Ad una visione superficiale potrebbe sembrare ingiustificato, in quanto non necessario, un intervento del Signore per far conoscere qualcosa che, a giudicare dalla frequenza con cui appare in espressioni verbali, tutti già conoscono. Niente infatti di più corrente di frasi come queste: «Fare la Volontà di Dio», «Sia ciò che Dio vuole» e tante altre espressioni equivalenti. Tuttavia il contenuto di queste espressioni e concetti non arriva ordinariamente a toccare la verità.
La Volontà di Dio può essere intesa o come Permissione di Dio – e questo è il senso più frequente in cui l’espressione è usata – o come vera e propria Volontà di Dio. In ambedue i casi l’energia, Forza Attiva, è di Dio, procede da Dio, ma nel primo caso è l’uomo che agisce con l’energia divina che Dio mette a sua disposizione, cioè al servizio della sua libertà, e nel secondo invece è Dio che agisce attraverso l’uomo, quando questi gli ha dato la sua libertà.
Percepire questa differenza di significato in espressioni che superficialmente si presentano identiche, è qualcosa di molto importante; comporta un grado di evoluzione dell’essere umano al quale non tutti sono arrivati. La spiegazione della natura intima di questo è ciò che il Signore ci dà col suo intervento, allo scopo di preparare e provocare, se cosi si può dire, una presa di coscienza. Naturalmente a chi non abbia raggiunto quel grado di evoluzione sarà impossibile comprendere tutto ciò, ma, come abbiamo detto, è proprio per provocare questo momento che interviene il Signore.
Fintanto che questo non si sia dato, l’uomo non può identificarsi con la Volontà di Dio e non può, di conseguenza, raggiungere la sua piena e vera realizzazione. Senza la conoscenza di sé stesso, l’uomo ignora che si trova in un processo di evoluzione nella conoscenza e nella coscienza del bene e del male, e poco è ciò che può comprendere circa l’origine, lo sviluppo e la finalità della presenza dell’uomo sulla terra.
Se si manca di questa conoscenza risulta impossibile comprendere come possa avvenire che ci siano individui che al chiudersi il circolo dell’evoluzione collettiva dell’umanità non abbiano raggiunto il grado di evoluzione individuale che permetta loro di discernere questo momento di chiusura e che, per ciò stesso, non arrivino alla meta della realizzazione dell’essere umano dietro la quale vanno, realizzazione che consiste nell’identificarsi con la Volontà di Dio lasciando liberamente e coscientemente che sia Lui a fare. A questo si riferiva Gesù quando diceva: «Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni. Pregate perché la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato» (Mt 24, 19- 20).
Gesù voleva dire che coloro che si trovino ancora nel processo di gestazione o di allattamento (vale a dire in stato di evoluzione non compiuta) e non abbiano dato alla luce la “nuova creatura” o che, pur avendola data alla luce, questa non abbia raggiunto la robustezza che le permetta, quando si chiuderà il circolo dell’evoluzione collettiva dell’umanità, di camminare da sé (ciò che esprime la parola “fuga” di Gesù), resteranno nello stato in cui in quel momento si trovino: non sono arrivati a comprendere il significato del momento, non hanno raggiunto nella loro evoluzione la maturità che avrebbe loro permesso di comprenderlo.
Perciò questo “Messaggio” non è solamente un insegnamento, ma anche un “richiamo” urgente e pressante «affinché gli uomini riconoscano la verità e si dispongano ad entrare nella sua Misericordia prima che si manifesti la sua Giustizia».
Coloro in cui non si è compiuta l’evoluzione della quale qui si parla, si trovano nella “Permissione”, stanno nel “fare”, non possono comprendere che ciò che viene richiesto è di lasciare che sia l’ESSERE a fare; e anche coloro che per il loro grado d’evoluzione hanno potuto o possono capire che la “realizzazione” non consiste nel “fare”, se non si dispongono a “rinnegare sé stessi” e rimangono liberamente e coscientemente in sé stessi, nel “fare”, restano nella “Permissione”.
Le folle che domandavano a Giovanni Battista «Che cosa dobbiamo fare?» stavano ancora così, nel “fare”. Giovanni rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto» (Lc 3, 10-11).
Quanti ancor oggi sono come loro, e ancora non si rendono conto che non è nel “fare” che dobbiamo realizzarci!
Giovanni Battista si trovava nella stessa condizione, infatti indicava opere che si dovevano fare per prepararsi a comprendere quanto stava per avvenire in quel momento (al quale il nostro momento assomiglia), però non vi si trovava in modo da non sapere che il fare opere non era quello che contava: egli stava aspettando un altro e perciò manda a dire a Gesù: «Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?» (Lc 7, 19). Per questo Gesù disse di lui: «In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11, 11).
Quando la gente faceva la stessa domanda a Gesù: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio», Egli non rispondeva come Giovanni, ma diceva loro che non erano opere ciò che dovevano fare: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6, 28-29).
«Credere nella parola di Dio non è voler far noi realtà quella parola ascoltata, ma OBBEDIRE allo Spirito Santo affinché la virtù dell’Altissimo ci copra con la sua ombra ed Egli stesso dia a quella “parola” la “forma” della sua Volontà» (Peregrinación del Pueblo de Dios - Esplicación de los grabados, Madrid 1971, p. 132)
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JOSÉ BARRIUSO
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