L'EPIFANIA E L'EUCARISTIA
Prostrandosi lo adorarono.
Matteo, II, 11
Chiamati a continuare innanzi al SS. Sacramento l'adorazione dei Magi nella grotta di Betlemme, dobbiamo aver con essi comune il pensiero che li guidò e l'amore che li sostenne.
Essi hanno cominciato a Betlemme quello che noi facciamo appiè dell'Ostia sacrosanta. Studiarne a nostra istruzione i caratteri della loro adorazione.
L'adorazione dei Magi fu un ossequio di fede e un tributo d'amore al Verbo incarnato: tale pure deve essere la nostra adorazione eucaristica.
I. - La fede dei Magi brilla di tutto il suo splendore a causa delle due terribili prove a cui fu sottoposta e di cui trionfò; voglio dire il silenzio a Gerusalemme e l'umiliazione
a Betlemme.
I reali viaggiatori, da uomini savi, vanno dritto alla capitale della Giudea: si aspettano di vedere tutta Gerusalemme nella gioia, il popolo in festa, la felicità dappertutto con
i segni della più viva allegrezza: ma, dolorosa sorpresa! Gerusalemme è silenziosa, e nulla vi rivela la grande meraviglia. Non si sono forse ingannati? Se il gran Re fosse nato, l'aspetto della città
non annuncerebbe il lieto evento? E non saranno fatti segno alla derisione, od anche all'insulto, se fanno conoscere lo scopo del loro viaggio?
Siffatte esitazioni e un tale linguaggio sarebbero prudenti secondo il mondo, ma indegni della fede dei Magi. Hanno creduto, sono venuti: Ove è nato il Re dei Giudei? domandano ad
alta voce in mezzo a Gerusalemme sbalordita, innanzi al palazzo di Erode e alla folla accorsa all'insolito spettacolo di tre re venuti nella città. Abbiamo veduta la stella del nuovo Re e veniamo per adorarlo. Dov'è?
Dovete saperlo voi, suo popolo, che lo attendete da sì lungo tempo.
Ma continua un silenzio glaciale. Erode, interrogato, consulta alla sua volta tutti i principi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, che rispondono allegando la profezia di Michea. Ciò
fatto, Erode da' commiato ai principi stranieri, promettendo che dopo di essi verrà ad adorare il nuovo re. Sulla parola del re essi partono, lasciando la città nella sua indifferenza: i sacerdoti stessi
come Erode aspettano tra l'esitazione e la incredulità.
Il silenzio del mondo, ecco la grande prova cui è soggetta la fede nell'Eucaristia.
Supponete che nobili personaggi di altra religione abbiano inteso che Gesù dimora in persona in mezzo ai cattolici nel suo Sacramento, e che così questi felici mortali hanno
la ventura unica, ineffabile, di possedere la stessa persona del Re del Cielo e della terra, del Creatore e Salvatore del mondo, insomma Nostro Signore Gesù Cristo; supponete che, animati dal desiderio di vederlo e
di offrirgli i loro omaggi, vengano dalle più remote contrade a cercarlo in mezzo a noi, in una delle nostre splendide capitali d'Europa; forse che non sarebbero soggetti alla stessa prova dei Magi? Infatti, qual
cosa segnala nelle nostre città cattoliche la presenza di Gesù Cristo? Le chiese? Anche i Protestanti e gli Ebrei hanno i loro templi. Qual cosa dunque? Nulla!
Gli ambasciatori della Persia e del Giappone sono venuti pochi anni fa a visitare Parigi; certo, nulla ha loro detto che noi possediamo Gesù Cristo e che vive per regnare in mezzo
a noi. Ecco lo scandalo per coloro che sono estranei alle nostre credenze.
Questo silenzio è lo scandalo pure dei cristiani deboli. Vedono che la scienza del secolo non crede a Gesù Cristo in Sacramento, che i grandi non l'adorano, che i potenti
non gli rendono alcun omaggio, e concludono: dunque non vi è, non vive, non regna in mezzo ai cattolici. Ve ne sono tanti che fanno tale ragionamento! E ' così grande la moltitudine degli ignoranti e degli
schiavi, che fanno quel che vedono fare.
Eppure i cattolici, come gli abitanti di Gerusalemme, posseggono le parole dei profeti e inoltre gli Evangeli e le lettere di S. Paolo, che affermano la presenza di Gesù nel Sacramento.
Sulla montagna di Dio è visibile a tutti la santa Chiesa, succeduta all'Angelo di Betlemme e alla stella dei Magi; la Chiesa che è un sole per chiunque vuole vedere la luce, che ha voce potente come quella
del Sinai per chi vuole ascoltare l'annunzio della legge; che ci addita il sacro tempio, l'augusto Tabernacolo e dice: Ecco l'Agnello di Dio, l'Emanuele, Gesù Cristo!
Alla sua voce le anime semplici e rette corrono verso il Tabernacolo, come i Re Magi a Betlemme, perché, amanti della verità, la seguono con ardore.
Tale è la fede di voi qui presenti; avete cercato Gesù Cristo, lo avete trovato; lo adorate, siatene benedetti!
L'Evangelo dice che all'udire i Magi, Erode si turbò e con esso tutta Gerusalemme.
Non è a stupire che si turbi Erode che è straniero ed usurpatore: egli vede in colui che gli si annunzia, il vero re d Israele che lo sbalzerà dal trono. Ma che si
turbi Gerusalemme al felice annunzio della nascita di colui che attende da sì gran tempo; che saluta, da Abramo, come il suo grande Patriarca; da Mosè, come il suo grande Profeta; dal tempo di Davide, come suo
gran Re: ecco una cosa incomprensibile. Ignora dunque il popolo la predizione di Giacobbe che indica la tribù da cui uscirà; quella di Davide che ne determina la stirpe; quella di Michea che ne designa la città
natale: quelle d'Isaia che ne cantano la gloria?
Nonostante queste testimonianze così luminose, bisogna che i Gentili, disprezzati dai Giudei, vengano a dir loro: E' nato il vostro Messia! Noi veniamo ad adorarlo dopo di voi,
ed a partecipare alla vostra felicità: indicateci la sua regale dimora e permetteteci di offrirgli i nostri omaggi. Ohimè, questo orribile scandalo dato dal Giudeo che si turba all'annunzio della nascita
del Messia, si continua in mezzo a cristiani! Quanti hanno paura di una chiesa in cui dimora Gesù Cristo! Quanti si oppongono alla costruzione di un nuovo Tabernacolo, di un nuovo santuario! Quanti fremono incontrando
il Viatico, e non possono reggere alla vista dell'Ostia adorabile! Perché mai? Che cosa ha loro fatto questo Dio nascosto? La seconda prova dei Magi è lo stato di umiliazione del divino Infante a Betlemme.
Si aspettano naturalmente di trovare intorno al neonato tutti gli splendori del Cielo e della terra. L'immaginazione né dipinge loro la magnificenza. A Gerusalemme ne han sentito
le glorie predette da Isaia.
Hanno visitato la meraviglia del mondo, il tempio destinato a riceverlo, e devono dirsi, strada facendo: Chi è simile a tale Re? Quis ut Deus?
Ma, o sorpresa, o disinganno, o scandalo per una fede meno salda della loro! Guidati dalla stella giungono alla stalla e che cosa
vedono? Un povero bambino con la sua giovane madre; il bambino è deposto sulla paglia come l'ultimo dei poveri; che dico? come un agnellino appena nato; riposa in mezzo a due animali; è avvolto in panni che
lo riparano a mala pena dal freddo della rigida stagione. E' dunque molto povera sua madre, che l'ha messo al mondo in sì misero ricovero? Non sono più là i pastori per ripetere le meraviglie che
hanno contemplato in ciclo, al di sopra della Grotta; Betlemme è indifferente. O Dio, qual prova! I re non nascono così e meno ancora un Re del cielo! Quanti Betlemiti al racconto dei pastori erano venuti alla
grotta, e se n'erano ritornati increduli! Che faranno i Re Magi? Eccoli prostrati con la fronte a terra, in atto di adorare con la più profonda umiltà quel tenero Bambino: piangono di gioia nel contemplarlo,
e la sua povertà li rapisce di amore: e prosternandosi lo adorarono.
Gran Dio! Che profondo mistero! I re non si abbassano mai a quel modo, neppure innanzi ad altri sovrani. I pastori stessi hanno ammirato il Salvatore annunziato dagli Angeli, ma non dice
l'Evangelista che si siano prostrati dinanzi a lui per adorarlo. I Magi gli resero il primo culto, il primo omaggio di adorazione pubblica in Betlemme, come né erano stati i primi apostoli in Gerusalemme.
Qual cosa dunque hanno veduto nella stalla, nel presepio, su quel Bambino? Che cosa hanno veduto? L'amore, un amore ineffabile, l'amor di Dio per l'uomo: Dio stesso spinto dall'amore
a farsi povero per essere l'amico, il fratello del povero; Dio che si fa debole per il conforto del debole, del derelitto; Dio che soffre per dar prova del suo amore. Ecco quello che i Magi hanno veduto, ed ecco la ricompensa
della loro fede e il suo trionfo in questa seconda prova. L'umiliazione dello stato sacramentale di Gesù è pure la seconda prova della fede cristiana. Gesù in Sacramento spesso vede intorno a sé
l'indifferenza e talvolta l'incredulità ed il disprezzo. Rendetevi conto della triste verità, non è difficile: Il mondo non l'ha conosciuto.
Forse sarebbe altrimenti se al momento della consacrazione si udisse, come nella notte del Natale, il concerto degli Angeli: se come sul Giordano si vedesse il cielo aprirsi su di lui,
o splendere la sua gloria come sul Thabor: o finalmente se si rinnovasse sotto i nostri occhi uno dei miracoli fatti nel corso dei secoli dal Dio dell'Eucaristia.
Ma nulla di tutto ciò, nulla. E' la negazione di ogni gloria e potenza, l'occultazione di tutto l'essere divino e umano di Gesù Cristo: non si vede il suo volto,
non si ode la sua voce: non apparisce alcuna azione sensibile. Ora, si dice, la vita è l'azione; almeno l'amore si manifesta con qualche segno: ma qui è il freddo, il silenzio della morte.
Avete ragione, o uomini del libero pensiero; ragione, o filosofi dei sensi, o applauditi dal mondo, avete cento volte ragione: l'Eucaristia è la morte, o piuttosto l'amore
della morte. Tale amore fa sì che Gesù leghi la sua potenza, e annienti la sua maestà, la sua gloria divina e umana per non atterrirci; nasconda, per non scoraggiarci, le sue perfezioni infinite e l'ineffabile
sua santità; ci si mostri sotto il velo delle sacre specie, che lo lasciano vedere più o meno alla nostra fede più o meno viva.
Ecco quello che, ben lungi dall'essere lo scandalo del vero cristiano, è la prova della sua fede, è la vita e l'accrescimento del suo amore. Con la viva sua fede il
cristiano passa attraverso la povertà, la debolezza, la morte apparente di Gesù, penetra sino alla sua Anima per consultarne i pensieri, ammirarne gli affetti e scoprendone la Divinità, come i Magi si
prostra, adora e contempla nell'ebbrezza dell'amore: ha trovato Gesù Cristo: e prostrandosi l'adorarono! Tali sono le prove ed il trionfo della fede dei Magi e di quella del cristiano.
Esaminiamo ora l'omaggio di amore dei Magi al divino Infante e quello che il nostro cuore deve rendere al Dio dell'Eucaristia.
II. - La fede conduce a Gesù Cristo: l'amore lo trova e l'adora. Qual è l'amore dei Magi Adoratori? E' un amore perfetto. Ora, l'amore si manifesta con
tre effetti, e queste manifestazioni ne sono la vita.
1° L'amore si manifesta con la simpatia. La simpatia delle anime è il legame, la legge di due vite; con essa si diviene simile a colui che si ama: amor pares facit. L'azione della simpatia naturale, e tanto più della simpatia soprannaturale con Nostro Signore, è l'attrazione forte, la trasformazione uniforme
di due anime in una, di due corpi in uno; come il fuoco assorbe e trasforma in se stesso qualunque materia combustibile, così il cristiano dall'amore viene trasformato in Gesù Cristo, in Dio: saremo simili
a lui.
Come mai possono i Magi trovarsi subito in tanta consonanza di affetti con il divino Infante, che ancora non parla e non manifesta loro il suo pensiero? L'amore ha visto, l'amore
si è unito all'amore. Come! non vedete quei re in ginocchio davanti la culla, tra gli animali, ed in quella postura così umile e umiliante per la loro qualità di re, adorare il tenero Bambino che li
guarda con semplicità infinita? L'amore fa qui da solo ciò che tra gli amici fa la parola. Non vedete che imitano per quanto loro è possibile la condizione del divino Infante? L'amore imita perché
simpatizza. Vorrebbero inabissarsi sino alle viscere della terra, annichilarsi per meglio adorare e più rassomigliare a Colui che dal trono della gloria si è umiliato sino a discendere nel presepio, sotto la
forma di schiavo.
Abbracciano l'umiltà che il Verbo fatto carne ha sposata, la povertà, il patire che ha divinizzati. Vedete come l'amore trasforma: produce l'identità di
vita; rende semplici i re, umili i dotti, poveri di cuore i ricchi: i Magi sono tutto questo.
La simpatia è necessaria alla vita d'amore per addolcirne i Sacrifici e renderla costante: è, in una parola, la prova dell'amore, la garanzia della sua durata. L'amore
che non è sostenuto dalla simpatia è una virtù laboriosa, sublime talvolta ma priva della gioia, degl'incanti dell'amicizia.
Il cristiano che deve vivere d'amore per Dio ha bisogno di questa simpatia d'amore. Ora, è appunto nella SS. Eucaristia che Nostro Signore ci assicura che ama ciascun di
noi come suo amico; là ci lascia riposare alquanto il nostro cuore sul suo, come già fece cui discepolo prediletto; là almeno un istante ci fa gustare la dolcezza della manna celeste e provare la gioia
di possedere il nostro Dio, come Zaccheo, il nostro Salvatore, come Maddalena; la nostra suprema felicità, il nostro tutto, come la Sposa dei Cantici. Là prorompiamo in questi sospiri d'amore: O Gesù,
come sei buono, soave, tenero per chi ti riceve con amore! Ma nell'amore la simpatia non si tiene paga del godimento. Il divin Salvatore ha acceso un fuoco nel nostro cuore: l'Eucaristia è un carbone acceso
che c'infiamma. Il fuoco è attivo e invadente, quindi l'anima sotto la sua azione si sente forzata a gridare: Che farò, o mio Dio, in cambio di tanto amore? E Gesù risponde: Tu devi rassomigliarmi,
vivere per me, vivere di me. La trasformazione sarà facile, poiché colui che ama, dice l'autore dell'Imitazione, non cammina, ma corre, ma vola.
2° L'amore si fa conoscere al suo carattere assoluto: vuole essere l'unico padrone del cuore e dominare ogni cosa. L'amore è di sua natura unificante, assorbe od
è assorbito.
Questa verità si fa manifesta splendidamente nell'adorazione dei Magi. Appena trovato il regale Infante, senza guardare alla povertà del luogo, agli animali che vi dimorano
e lo rendono ributtante; senza domandare prodigi al Cielo o spiegazioni alla Madre, senza curiosi esami sul Bambino, tosto cadono in ginocchio e lo adorano profondamente. Adorano lui solo; non vedono che lui per cui solo sono
venuti. Il Vangelo non fa neppure menzione degli onori che resero certamente alla sua santissima Madre: dinanzi al sole s'eclissano tutti gli astri.
L'adorazione è una come l'amore che la ispira. Ora l'Eucaristia è il colmo dell'amore di Gesù Cristo per l'uomo come quella che contiene tutti i
misteri della sua vita. Tutto quello che Gesù Cristo ha fatto dalla sua Incarnazione fino alla Croce tendeva all'Eucaristia, alla sua unione personale e corporale con ogni cristiano mediante la Comunione, in cui
egli vedeva il mezzo di comunicarci tutte le virtù della sua santa Umanità, tutti i meriti della sua vita ed i tesori della Passione. Ecco il prodigio dell'amore: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,
dimora in me ed io in lui.
L'Eucaristia deve pure concentrare tutto il nostro amore verso Gesù Cristo, se vogliamo far la parte nostra per giungere al fine ch'egli s'è proposto nell'istituire
la Comunione, cioè la trasformazione di noi in lui mediante l'unione.
Deve pertanto l'Eucaristia essere la legge delle nostre virtù, l'anima della nostra pietà, il desiderio culminante della vita, l'affetto regale e dominante del
cuore, il glorioso stendardo dei nostri combattimenti e Sacrifici. Senza questa unità di azione non arriveremo mai alla pienezza dell'amore, ma con essa nulla è più facile e dolce che il giungervi,
perché allora abbiamo tutta la potenza dell'uomo e quella di Dio che di accordo lavorano al regno dell'amore: Il mio diletto è a me ed io a lui.
3° Infine l'amore si manifesta col dono. La perfezione del dono dice la perfezione dell'amore. L'Evangelista ci da i particolari più precisi, ci descrive la maniera
e le circostanze della presentazione dei doni, fatta dai Magi: Aperti i loro tesori, gli offrirono i loro doni, oro, incenso e mirra.
Gli presentano dunque l'oro quale tributo che si deve ai re, la mirra che onora la sepoltura dei grandi, l'incenso simbolo dell'omaggio che rendiamo a Dio. Possiamo pure in
questi doni veder rappresentata ai piedi del divino Infante tutta l'umanità: ossia nell'oro la potenza e la ricchezza, nella mirra il dolore, nell'incenso la preghiera.
Quel che fu iniziato a Betlemme deve perpetuarsi intorno all'Eucaristia. I re hanno incominciato, noi continuiamo i loro omaggi.
A Gesù in Sacramento si deve oro come al Re dei re, che ha diritto ad un trono più splendido di quello di Salomone, si deve oro per il suo altare, per i vasi sacri. Si farebbe
forse per l'Eucaristia meno che per l'Arca, rivestita dell'oro più fino offerto dal popolo?
A Gesù, vittima del Sacramento, si deve mirra, non più per lui che sulla croce ha consumato il suo Sacrificio ed ora gode la gloria della risurrezione, ma perché, essendosi
costituito sull'altare nostra vittima sino alla fine del mondo, egli ha bisogno di soffrire in noi. Così la vittima adorabile ritrova la capacità e il merito del soffrire in noi suoi membri, che completiamo
la sua immolazione.
Gli è dovuto l'incenso. E questo gli è offerto appiè degli altari dai sacerdoti. Ma egli vuole inoltre l'incenso delle nostre adorazioni per ricambiarcelo con
l'effusione delle sue grazie.
Felici noi che, grazie all'Eucaristia, partecipiamo alla gioia di Maria Santissima, dei Magi e dei primi discepoli, che poterono dare a Gesù Cristo! Nell'adorabile Sacramento
si continua la povertà di Betlemme che attende il nostro soccorso.
Oh! sì, tutti i tesori della grazia e della gloria ci vengono dalla Divina Eucaristia: come da sorgente sgorgarono da Betlemme, divenuta il cielo dell'amore, si accrebbero durante
tutta la vita del Salvatore e vennero, fatti fiumi di grazie, di virtù e di meriti, a gettarsi nell'oceano dell'adorabile Sacramento, nel quale li possediamo nella loro pienezza.
Ma dall'Eucaristia derivano pure i nostri doveri: a tanto amore dobbiamo un generoso ricambio. I Magi sono i nostri modelli nell'adorazione: imitiamo la regale loro fede in Gesù
Cristo. Siamo gli eredi del loro amore, e un giorno saremo partecipi della loro gloria. Amen.
di San Pietro Giuliano Eymard