EPISTOLARIO
b. Intervento diabolico.
Satana sfrutta con le sue arti il doloroso e contrastante stato in cui viene a trovarsi l'anima abitualmente avvolta in dense tenebre, che le impediscono di contemplare la luce della rivelazione e della ragione, come pure di distinguere in concreto il bene dal male, la verità dall'errore. Con le sue ingannevoli suggestioni aumenta la confusione dello spirito e non di rado spinge l'anima verso il precipizio della disperazione.
1. Lotta continua e spietata. L'intervento del "cosaccio", cioè del diavolo, nell'itinerario spirituale di padre Pio è un fenomeno, a prima vista sconcertante. Si tratta di un duello a morte, senza tregua e senza risparmio di colpi, tra l'anima ed il suo accanito nemico. Molteplici sono le insidie, assidui gli attacchi, atroci le tentazioni. Il periodo di tempo contemplato dall'epistolario ci suggerisce due periodi di questa lotta. Nel primo gli assalti diabolici si camuffano, prevalentemente, sotto mentite spoglie corporali: il nemico si presenta sotto forme spaventose, incrudelisce sui sensi, agisce per così dire sul mondo esterno (1910 1916). Nel secondo periodo invece (1916 1922) anche se non scompare del tutto questa specie d'infestazione diabolica - gli attacchi son diretti alla parte superiore dell'anima: gli assalti prendono di mira le potenze (intelletto e volontà) con lo scopo preciso di impedire l'esercizio delle virtù teologali ed il progresso nell'amore divino. Ed è soprattutto in questa seconda fase che si scopre il senso purificatore dell'intervento diabolico. A titolo di curiosità premettiamo la lunga filza degli epiteti rivolti o usati da padre Pio per designare con scherzosa ironia e non senza un pizzico di humour il suo rivale. Ecco quelli riscontrati nella corrispondenza epistolare dal gennaio 1911 sino al settembre 1915, e che da questa data spariscono e non più compaiono: baffettone, baffone, barbablù, birbaccione, infelice, spirito maligno, cosaccio, brutto cosaccio, brutto animalaccio, triste cosaccio, brutti ceffoni, impuri spiriti, quei disgraziati, malvagio spirito, bestiaccia, maledetta bestia, apostata infame, impuri apostati, facce patibolari, fiere che ruggiscono, insidiatore maligno, principe delle tenebre. Primo scopo da raggiungere in questa lotta spietata è quello di generar nell'anima uno stato di diffidenza e di sfiducia nella misericordia divina, nella cui intimità l'anima desiderava perpetuarsi, ormai risoluta a percorrere senza soste la via dell'unione perfetta. La fantasia è particolarmente vulnerabile, poiché i sensi non sono ancora del tutto purificati. La reazione è immediata e vigorosa, ma alle volte genera qualche incertezza sulla riuscita della difesa, prodotta più che altro dalla sincera disponibilità in cui si trova l'anima di non dispiacere minimamente al Signore. In questo periodo si soffre non tanto "per la continua violenza" che si deve fare, quanto "per la bruttezza e continuata ostilità" delle tentazioni, ma intanto Gesù non ritira le consolazioni e le dolcezze, con cui favorisce l'anima. Spesso ritorna nelle lettere l'angoscia causata dal persistere degli attacchi diabolici: "Anche durante le ore del riposo il demonio non lascia di affliggermi l'anima in vari modi" (22 10 1910); "il nemico della nostra salute è talmente arrabbiato che non mi lascia quasi un momento in pace, guerreggiandomi in vari modi" (29 11 1910). E la previsione non era affatto lusinghiera: "In questi giorni poi il diavolo me ne fa di tutti i colori e specie, e me ne va facendo quanto più ne può. Quest'infelice raddoppierà tutti i suoi sforzi a mio danno" (29 3 1911). Gli attacchi sono non solo continui, ma si rivelano ogni giorno più crudeli.
Fermiamo l'attenzione su alcuni testi del 1912 1913: "L'altra notte la passai malissimo; quel cosaccio da verso le dieci, che mi misi a letto, fino alle cinque della mattina non fece altro che picchiarmi continuamente. Molte furono le diaboliche suggestioni che mi poneva davanti alla mente, pensieri di disperazione, di sfiducia verso Dio; ma viva Gesù, poiché io mi schermii col ripetere a Gesù: vulnera tua, merita mea. Credevo proprio che fosse quella propriamente l'ultima notte di mia esistenza; o, anche non morendo, perdere la ragione. Ma sia benedetto Gesù che niente di ciò s'avverò. Alle cinque del mattino, allorché quel cosaccio andò via, un freddo s'impossessò di tutta la mia persona da farmi tremare da capo a piedi, come una canna esposta ad un impetuosissimo vento. Durò un paio d'ore. Andai del sangue per la bocca" (28 6 1912; cf. anche 18 1 1912; 5 11 1912; 18 11 1912). "E tutt'altro che spaventarmi, mi preparai alla pugna con un beffardo sorriso sulle labbra verso costoro. Allora sì che mi si presentarono sotto le più abbominevoli forme e per farmi prevaricare incominciarono a trattarmi con guanti gialli; ma grazie al cielo, li strigliai per bene, trattandoli per quello che valgono. Ed allorché videro andare in fumo i loro sforzi, ma si avventarono addosso, mi gittarono a terra e mi bussarono forte forte, buttando per aria guanciali, libri, sedie, emettendo in pari tempo gridi disperati e pronunziando parole estremamente sporche" (18 1 1913).
"Quei cosacci ultimamente, nel ricevere la vostra lettera prima di aprirla mi dissero di strapparla ovvero l'avessi buttata nel fuoco [...]. Risposi loro che nulla sarebbe valso a smuovermi dal mio proposito.
Mi si scagliarono addosso come tante tigri affamate, maledicendomi e minacciandomi che me lo avrebbero fatto pagare. Padre mio, hanno mantenuto la parola! Da quel giorno mi hanno quotidianamente percosso. Ma non mi atterrisco" (1 2 1913; cf. anche 13 2 1913, 18 3 1913; 1 4 1913; 8 4 1913).
"Ormai sono sonati ventidue giorni continui che Gesù permette a costoro [= brutti ceffoni] di sfogare la loro ira su di me. Il mio corpo, padre mio, è tutto ammaccato per le tante percosse che ha contato fino al presente per mano dei nostri nemici" (13 3 1913).
"Ed ora, babbo mio, chi potrebbe narrarvi tutto quello che ho dovuto sostenere! Sono stato solo di notte, solo di giorno. Una guerra asprissima s'impegnò da quel giorno con quei brutti cosacci. Volevano darmi ad intendere di essere stato rigettato finalmente da Dio" (18 5 1913).
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