LA MESSA DI PADRE PIO
Mi hanno detto che Padre Pio da Pietrelcina deve dire la Messa a mattutino, quando la chiesetta di San Giovanni Rotondo è ancora immersa nel crepuscolo e sonnecchia tra gli ulivi che la circondano, quasi per ripararla dal soffio riarso che sale dall'ampio Tavoliere delle Puglie sottostante.
Ma dice sempre la Messa per una moltitudine di anime, anche se la folla non può più assistere al suo serafico: Ite, missa est, con uno di quei mormorii di stupore mistico che paiono racchiudere una sillaba sola appena pronunciata a mezza voce, tutto l'antico grido delle melopee greche.
Poiché all'Ite, missa est: Padre Pio si volgeva verso la moltitudine che assiepava la chiesuola rozza di montagna, e nel gesto lento che accomuna nella preghiera di rito disparte le anime verso i loro sentieri vitali, doveva necessariamente mostrare le stimmate nelle mani, a metà coperte per ordine della Santa Sede, da guanti di lana nera.
Tutta la moltitudine veniva per quel gesto di rito e per ricevere dalle mani crismate come quelle di Cristo e del poverello di Assisi, la Benedizione spirituale.
Può darsi che ora, dopo gli anni di rumore intorno al suo piccolo nome di fraticello; dopo i pellegrinaggi giunti da ogni parte d'Italia, sino ai piedi del suo umile altare; dopo i miracoli attribuiti alla sua intercessione, un po' di silenzio sia stato severamente chiesto da Roma, che non è proclive a lasciar parlare di Santi e di miracoli, allorché gli uomini segnati dalla grazia divina sono ancora in vita.
E può darsi benissimo che Padre Pio dica la sua Messa transumanata dalla sua passione mistica a mattutino, allorché le stelle impallidiscono e l'Adriatico diventa di madreperla e la terra odora più forte per il risveglio virino dell'aurora e il silenzio degli uomini e delle cose, sembra più profondo per la fatica quotidiana della giornata imminente.
Una delle Messe dell'agonia di Giacomo Puccini è stata detta da Padre Pio in un mattino del passato. novembre, allorché i passeri degli ulivi di San Giovanni Rotondo non si erano ancora svegliati, e le paranze adriatiche a vele spiegate, portanti i segni santi impressi nelle tele multicolori, rientravano in porto dopo la pesca della notte. Me lo ha detto la figlia di Giacomo Puccini, la buona signora Fosca Leonardi, quando a Bruxelles, in quel grigio e piovigginoso novembre, tutti la chiamavano ancora Foschina e le stringevano le mani fredde di pena mortale.
Certo, la messa dell'uomo semplice di Dio, che ha sulle mani, sui piedi e sul costato le stimmate del Golgota, deve aver accompagnato l'anima del Maestro amato dalle folle lungo l'ultimo grande viaggio verso l'infinito. Poiché il Maestro credeva.
Per conto mio ho scritto, giorni or sono, una cartolina al buon Padre che vive laggiù in faccia all' Adriatico inquieto, in una chiesetta che sembra per la sua architettura grecula, esser stata trasportata sulle ali di un sogno da qualche isoletta delle Cicladi, sulle cui notti profumate di mirto, vegliano le sette Pleiadi insonni. E ho ricevuto una breve risposta affermativa dal convento posto a cavaliere del Gargano. Padre Pio vive e prega in silenzio.
Da sette anni Padre Pio porta sul suo corpo le stimmate, poiché il miracolo cristiano si è compiuto il 20 Settembre 1918 (Venti Settembre). Tre giorni dopo quel 17 settembre che segnò nel 1224 l'aurora della gloria francescana.
Il fraticello nato a Pietrelcina, nella provincia di Benevento, trentasette anni or sono da una umilissima famiglia di contadini, dopo aver vissuto qualche tempo a Foggia, dedicandosi alla Istruzione dei fanciulli, notato dai superiori per l'ardore della preghiera e le continue estasi, aveva già fatto parlare di sé per certi avvenimenti strani che sembravano dare alla sua figura la mistica aureola degli illuminati. Si diceva che nella sua celluzza di Foggia, si notavano strani rumori, che impressionavano la piccola comunità di frati e che spesso un vago profumo di rose aleggiava intorno alla sua persona.
E un po' per far cessare tutte queste voci, un po' per la salute malferma di Padre Pio, nell'autunno del 1916, fu inviato al convento di S. Giovanni Rotondo, a ottocento metri di altitudine.
Quando nel coro della chiesuola, dove Padre Pio celebrava la messa, il fraticello ricevette nel suo corpo i precisi segni del Cristo crocefisso, si nascose per vari giorni nella celluzza che possiede ancora - il numero 5 - e che ha impresso nella rozza porta questa massima dell'Imitazione di Cristo: «La gloria del mondo ha sempre per compagna la tristezza».
Fu in quella celluzza bianca e riposante, dalla finestra aperta sul lontano mare azzurrino e sui biondissimi campi di grano del Tavoliere che or sono due anni, in un giorno del mio crepuscolo corporale, egli mi volle ricevere per condurmi nell’orticello degli olivi e dei mandorli.
Pellegrino di un dubbio, che tormentava la mia coscienza, dello stesso affanno che è nell'ora della nostra vita comune, ero andato sino lassù attratto dalla fama del fraticello, che riceveva ondate di millecinquecento pellegrini settimanali, duecento lettere giornaliere e cento raccomandate con denari ogni tre giorni; melopea delle sofferenze e delle speranze umane che si innalzano amo al suo umile altare.
Nella chiesa avevo trovato Bianca Morselli, la moglie dell'autore di «Glauco», che, morente, aveva avuto la visione di Padre Pio, della quale molto si era confortato. E la signora Bianca, con umiltà di preghiera, accudiva alla pulizia della chiesuola un po' selvaggia, posta tra le rocce e il cielo, degna di raccogliere il miracolo di Parsifal sul Mont Salvat. Ed erano venuti i principi Radziwli, ad unirsi in matrimonio davanti al semplice fraticello, e molti protestanti della Germania e dalla Francia, ad inginocchiarsi davanti alla fede cattolica, e moltissimi pellegrini a chieder grazie dalle differenti contrade dell'Europa e dell’America.
Ero arrivato nel paese che conta dodicimila abitanti e che brulica di bambini e di capre, la sera ad ora tarda. Ed era appena cessata la quotidiana fatica del fraticello seduto al confessionale ad udire i peccati e dare le penitenze ad una folla di fedeli, ai quali bene spesso si doveva fissare un numero d'ordine e che bisognava affidare a due carabinieri e a due fascisti per tutelarne ogni diritto nell'avvicinarsi al confessionale.
E mi era stato detto già dei miracoli e delle visioni. La guarigione della signora Bologna, malata di cancro, e della figliuola dell'ingegnere d'Amico di Firenze. Certe confessioni miracolose durante le quali Padre Pio, prima ancora di interrogare il penitente, diceva con parole calme e benevoli i peccati che affioravano dalle coscienze e non erano ancora sulle labbra.
Ad una madre di Barletta, accorsa a chiedere la grazia per il figlio malato, Padre Pio aveva detto con quella sua voce che chi l'ha udita una volta non la dimentica più:
- Buona donna, Dio vi concederà la grazia. Ma non è questo figlio che è in pericolo, bensì il minore. Accorrete presto da lui, se volete vederlo ancora.
- Ma è vivo e sta bene ... - balbettò la madre sorpresa ed impaurita.
L'indomani la madre l'accoglieva le ultime parole del figlio minore moribondo.
Avevo fatto, a San Giovanni, una rapida inchiesta parlando con i dottori Merla e Iuva, ed entrambi mi avevano confermato, per le molte visite compiute, non solo il fatto delle stimmate, che la Santa Sede aveva scrupolosamente fatto osservare dal suo inviato speciale prof. Romanelli, ma ancora mi avevano detto delle fortissime febbri a 48° che il fraticello sopportava nei giorni di mistico ascetismo, allorché le piaghe - mi ripeté il dottor Iuva - odoravano di rose,
Il dottor Meda è anzi in possesso di un termometro da bagno fatto saltare a cinquantadue dalla febbre di Frate Pio.
La leggenda si era un poco impadronita di lui, circondandolo di quell'aureola di sovrumanità che crea il miracolo.
Ma Padre Pio non mi aveva detto nulla di tutto questo. Poche parole di saluto, pronunciate con quella pacatezza di chi trovasi ad uno di quei promontori vitali dai quali gli orizzonti terreni si schiudono improvvisamente illuminando inattese aurore, sa parlare all'umanità intera con le parole semplici dei primitivi pastori di popoli. Sorrideva spesso e volentieri, per qualcosa di infantile che sapeva conservare nell'animo, al di sopra e all'infuori della umanità tormentata. Frasi rettilineari di coscienza e di perdono. Nessun scatto, mai. Nessuna particolare colorazione delle parole calme. E lo ricordo con quella barbetta castana che gli incorniciava il viso pallido, e con gli occhi bruni, dallo sguardo profondo e sicuro, e con le belle mani semicoperte dai guanti impostegli dalla Santa Sede, per nascondere le stimmate, le mani che rammentavano quelle di Sant'Agostino e che Sandro Botticelli dipinse in un affresco tra il terzo ed il quarto altare della chiesa di Ognissanti di Firenze.
Alla mattina prima delle quattro, Padre Pio è in piedi. Si è gettato sul letticciolo a mezzanotte. Alle volte anche più tardi. Poi scende per primo nella chiesetta odorosa di incenso, Contessa i fedeli che lo attendono trepidanti, e poi, allorché i boschi di ulivi e di mandorli diventano le cantorie degli uccelli che cinguettano le loro litanie mattutine, sale all'altare per la sua Messa.
Ora la dirà a chiesa deserta; poiché pare che la Santa Sede sia molto scrupolosa nel nascondere ogni rumore intorno a questa figura di semplice frate verso cui vanno gli incensi delle folle meridionali invocanti la grazia con grida quasi pagane o lamenti degni delle tragedie dionisiache che si svolgevano ai piedi dell'Olimpo nevoso. Ma la messa di Padre Pio era veramente quella del miracolo.
Mai nessun uomo di Dio può aver ufficiato con maggiore semplicità secondo l'esempio di Cristo pregante in Galilea. Pallidissimo, gli occhi socchiusi come di chi veda troppo fulgore di luce, Padre Pio dice la sua messa come se venisse da un'altra umanità superiore alla nostra, dicendo a quell'altare semplice e quasi rozzo, attraverso un'atmosfera d'oltre vita. E tutt'intorno a lui, la folla di San Giovanni Rotondo, odorante di selvaggio e di asprigno, riempie la chiesa di un mormorio come di mare in tormento di libeccio. Fuori, le mandrie di pecore e di capre fanno sentire di tanto in tanto il tintinnio delle sonagliere e qualche belato tremulo, mentre la foresta del vicino Monte Nero pare risvegli con gli idilli di tutti gli uccelli, l'anima di Siegfried.
E la folla si accalca a ondate sin sotto l'altare, sino sui tre gradini, dove parecchie volte si sono inginocchiati per servire messa vari vescovi e qualche cardinale. E la folla assiepa l'altare della mistica messa come un immenso rosaio di sofferenze umane, dal quale, transumato nel suo soffio di lirismo cristiano, Padre Pio pare si sollevi come una fiamma di purezza che tenda verso l'alto. E nel momento in cui il Frate crismato come il Frate Sole, alza l'ostia e poi si volge verso i fedeli a benedire, nel gesto santo che richiede le mani scoperte dai guanti imposti da Roma, alla vista delle stimmate, un urlo erompe dalla folla che attende quel momento e quel gesto, per gettarsi in ginocchio. Passa allora nella chiesetta di San Giovanni Rotondo, un'ala gigante e invisibile, che pare avvolgere tutta quella povera umanità affaticata dalla vita e che chiede di credere nell'oltre vita e che la trasporta come in un soffio verso orizzonti più vasti e più sereni.
E questa era la messa che Padre Pio diceva al popolo della sua campagna riarsa dal sole delle Puglie e battuta dal vento dell'Adriatico, e che diceva anche a tutta quella folla venuta da lontano, dalle città d'Europa e d'America, per cercare una breve pausa azzurra al ritmo fiammeggiante della vita in febbre.
E tutti si dissetavano un poco a quella sorgente di purezza: piccolo sorso di serenità alla inestinguibile sete di fede, che arde nelle coscienze umane.
Non so se le notizie siano vere e se Padre Pio dica la messa nella chiesetta deserta o sull'altare senza luci.
Ma certo quell'uomo quando celebra la messa è con Dioveramente. NINOSALVANESCHI