sabato 26 ottobre 2019

Geremia



1Il Signore mi mandò 2a proclamare sto messaggio a tutti gli abitanti di Gerusalemme:
'Israele, voglio ricordarti come mi eri fedele negli anni della tua giovinezza, come mi amavi quando eri fidanzata. Camminavi dietro a me nel deserto, là, dove non si può seminare.
3Eri soltanto mia,
come mia è l'offerta
dei primi prodotti del raccolto.
Allora io punivo
tutti quelli che ti facevano del male.
Lo dico io, il Signore'.


I primi peccati di Israele

4Ascoltate la parola del Signore, voi discendenti di Giacobbe, tutte le tribù d'Israele. 5Il Signore dice:
'Che male ho fatto ai vostri antenati?
Perché si sono allontanati da me?
Sono corsi dietro agli idoli inutili,
e loro stessi sono diventati insignificanti.
6Non si sono preoccupati di me
che li ho fatti uscire dall'Egitto.
Li ho guidati attraverso il deserto,
in mezzo alle aride steppe,
tra le ombre allucinanti
di una terra bruciata dal sole,
dove nessuno passa,
dove nessuno può sopravvivere.
7Io li ho fatti entrare in una terra fertile,
perché gustassero i suoi frutti migliori.
Ma essi, sùbito, hanno rovinato la mia terra.
8 Neppure i sacerdoti si sono domandati:
'Dov'è il Signore?'
Essi hanno sempre tra le mani la mia legge
eppure non sanno nemmeno chi sono io.
I capi del popolo
si sono ribellati contro di me,
i profeti hanno parlato in nome di Baal
e sono corsi dietro a idoli inutili.

Ogni vita é una vocazione


Preghiamo perché ogni Uomo possa capire la propria condizione umana posta tra il nulla e l'infinito e così possa riuscire, con l'aiuto del Signore, ad aprire il proprio cuore alla grazia dell'Amore divino. La grazia di Dio in ogni Uomo, accolta con amore, genera grazia per altre vite e per quelle dei propri fratelli in Cristo. Il "nulla dell'Uomo" diventa parte di una "infinita vita", nell'Unità della Trinità.  

Da Mons. Luciano Monari <<L’uomo è uomo se contribuisce a fare di lui l’immagine di Dio. Questa immagine, infatti, non consiste nel possedere una qualche qualità specificamente divina; è invece un compito consegnato all’uomo (insieme alle doti necessarie per realizzarlo, s’intende): il compito di essere ‘creatore’ in subordine (come immagine) di quel mondo che è stato creato da Dio; il compito di custodire il mondo che Dio ha voluto per lui; di arricchire il mondo attraverso una rete di relazioni, di conoscenze, di valori, che faccia del mondo una testimonianza della sapienza e dell’amore di Dio. Per operare tutto questo l’uomo ha bisogno del corpo (deve essere anch’egli ‘mondo’), dell’intelligenza (deve comprendere il mondo per agire in esso con saggezza), della libertà (per motivare le sue scelte come scelte di amore), del senso morale (per amare il bene e rifiutare il male) e così via. Insomma, l’uomo è una creatura in cammino per maturare e diventare uomo; e nella misura in cui diventa uomo, realizza in se stesso l’immagine e la somiglianza con Dio: nella misura, quindi, in cui con le sue azioni costruisce un mondo sano, nel quale sono presenti e operano e dominano la giustizia, la verità, l’amore. Non c’è bisogno di dire che questa missione o vocazione riguarda anzitutto l’umanità intera, la sua storia, la sua evoluzione culturale, etica, politica, religiosa. E all’interno di questa vocazione dell’umanità in solido, riguarda ciascun uomo, con la sua individualità, mai, però, separato dagli altri. La considerazione dell’individuo singolo e della sua vocazione è necessaria a motivo della libertà e della responsabilità che è sempre personale; ma l’isolamento dell’individuo è un’astrazione che non corrisponde in nessun modo alla realtà: sono vere le parole di John Donne: “nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è parte di un continente, una parte del tutto.” Dunque, secondo il libro della Genesi, l’esistenza dell’umanità nel cosmo risponde a una volontà specifica di Dio che vuole l’umanità come strumento della sua sapienza e del suo amore nel governo del mondo. L’esistenza di ogni uomo si colloca dentro a questa grande missione-vocazione dell’umanità: ciascuno deve contribuire, a suo modo, a plasmare un’umanità che sia immagine e somiglianza di Dio, che operi nel mondo in modo conforme alla volontà di Dio, che trasformi il mondo in modo da far risplendere sempre meglio la sapienza e la bontà di Dio. La conoscenza, l’esercizio della libertà, la tecnologia, il lavoro, la società nelle sue molteplici forme, la cultura, l’arte, l’educazione, i sentimenti, le decisioni, le azioni… tutto questo complesso vario di materiale umano entra a realizzare questa grande vocazione dell’uomo.

Vocazione è il riconoscimento che il mondo creato e l’uomo, in questo mondo creato, sono destinati (chiamati, mandati) a portare l’immagine di Dio e quindi del suo amore creativo e oblativo; e vocazione è il riconoscimento cha ogni esistenza umana concreta, quindi la mia esistenza concreta, si colloca entro questa vocazione universale e contribuisce, per la sua quota parte, a compierla. L’esistenza di ogni uomo si distende nel tempo per contribuire a dare forma al mondo, a dargli una forma che ne faccia, del mondo, il luogo di una manifestazione sempre più chiara dell’amore di Dio.

Testimonianza di uno studente del I anno di Teologia

La chiamata del Signore non è mai scontata, facile, appariscente. Ti coglie nell’oscurità della tua notte oppure nel torpore del giorno e ti fa vedere le cose in modo nuovo. Per avvertirla è necessario fermarsi, rileggere le propria storia alla luce di una parola che illumina e dà vita, che ti coinvolge nell’intimo, e andare in profondità per cogliere i segni, gli eventi in cui Dio si fa presente. E questo non è possibile farlo da soli, come Samuele è necessario farsi aiutare con fiducia affidando le proprie preoccupazioni, i propri talenti a qualcuno che per amore ti accoglie. Posso dire per esperienza che Dio con discrezione e senza mai far violenza viene sempre a cercarti ovunque e a prescindere dalle scelte; l’amore di Dio non ha confini e vuole donare ai suoi figli vitain abbondanza.

Testimonianza di un diacono

Una canzone che conosco riporta nel testo questa frase: “Guardami, Signore, poca terra ho nelle mani ma, se vuoi, anche la mia terra fiorirà”. È una di quelle melodie che ti rimangono in testa e che un po’ incidono sulla tua vita… e sono convinto che la risposta alla chiamata di Dio parta proprio da qui: accettarsi per quello che si è ed accettare quello che Dio è. Guardando alla mia storia, mi sono accorto che ho saputo dire: “Eccomi, manda me” quando, pur vedendo che non ero perfetto e pur notando intorno a me persone migliori di me, più brave, più buone, ho capito che ciò che conta è altro: conta solo che a Dio vai bene così, è Lui l’abile giardiniere che può far diventare la mia terra piena di sassi, uno splendido giardino. Eccomi Signore, non sono come io mi vorrei, ma a Te quello che sono è sufficiente, Tu sei meno esigente di me, per questo mi offro: manda me ad annunciare la tua Buona Notizia, io ci metterò tutto me stesso; Tu, resta accanto a me!

Il “Benedictus” (Lc 1, 68 – 79)

Zaccaria fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo: «Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo, come aveva detto per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo: salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano. Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati. Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace»


venerdì 25 ottobre 2019

QUANDO IL MAESTRO PARLA AL CUORE



Che la tua vita sia una conversazione senza interruzioni con me. Oggi si parla molto di dialogo. Perché non dialogare con me? Non sono forse presente dentro di te, vigile ai movimenti del tuo cuore, attento ai tuoi pensieri, interessato ai tuoi desideri? Parlami con molta semplicità, senza badare a costruire le frasi. Io apprezzo molto di più quello che vuoi esprimere che non le parole adoperate per farlo.

Conversazioni Eucaristiche




Exi… et pauperes, debiles, cæcos… compelle intrare. 


  È tanto vivo e veemente il desiderio del buon Gesù di avere presso di sè la compagnia degli uomini, che da tutte le Chiese, dove Egli sta Sacramentato, manda per le città, per i villaggi, per le case, e per le vie uno degli Angeli della sua Corte ad invitarli e sollecitarli di recarsi alla sua mensa divina. E quando l’Angelo trovi indifferenza od incuranza, come si legge nel Vangelo, allora ha ordine di rivolgere le sollecitudini ai poveri, deboli, ciechi, ed altri infelici, e di stimolarli e quasi costringerli con ispirazioni irresistibili ad accorrere ed entrare giubilanti alla mensa reale, già loro apparecchiata dalla squisita carità di Lui: parasti in conspectu tuo mensam. 

  Oh, quest’Altare dunque è il vostro Cenacolo, Gesù mio! E l’Angelo, che fu deputato alla custodia dell’anima mia, vedendomi più miserabile d’ogni altro, mi ha condotto e sospinto a presentarmi quest’oggi alla Mensa Vostra, sicuro di rendere Voi pago e gaudente, e di fare a me stesso il maggiore de’ benefici. Oh, benedetta la vostra pietosa carità! 

  Sant’Angelo mio Custode, mio buon pedagogo, che ministro quale siete della carità divina, foste sempre sollecito del bene mio; andate pure in cerca di altri indigenti miei pari, e riduceteli a questo Cenacolo, dove Gesù tiene imbandita la Eucaristica Sua Mensa, per refiziare e fortificare i deboli, per illuminare i ciechi, per raddrizzare i zoppicanti, e per arricchire i poveri. Io già mi trovo tra li suoi aggraziati. 

  Ah, Gesù mio, vi ringrazio delle maniere tanto obbliganti, con che sapete attirare e cattivarvi l’amore di tutti i poveri disgraziati. Vi odo a ripetere da quest’altare quella vostra confortevole grida: Venite ad me omnes qui laboratis, et onerati estis; et Ego reficiam vos!… Ma io non ero degno di tanto onore. Ben vedete, o Signore, che in me si accumulano ed aggravansi i difetti e i malanni tutti, che agli altri sono singolari. In me povertà, debolezza, cecità, ed altre infermità spirituali d’ogni genere; per cui più degli altri abbisogno della vostra pietosa compassione e carità. Questo è il luogo dove ai vostr’invitati dispensate il pascolo squisito e preziosissimo delle vostre carni immacolate; quì gli abbeverate e dissetate del sangue vostro divino; quì li curate e risanate da qualsivoglia malore; quì Voi stesso mi avete chiamato e collocato, in loco pascuæ ibi me collocasti, per usarmi tutte queste finezze d’amore. 

  O Agnello Divino, che togliete i peccati del mondo, e con il vostro preziosissimo sangue purificate, sanate e fortificate le anime vostre; deh, fate così all’anima mia! Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis; dona nobis pacem! Quella pace promessa agli uomini di buona volontà; quella buona volontà che frutta la pace ed il gaudio nel servirvi e nell’amarvi; e quella pace ineffabile che si trova nel godimento e nell’unione dell’anima col vostro Cuore. 

  Voi state quì quasi a mia disposizione; ed io, avendo Voi, non manco più di niente: nihil mihi deerit. E che cosa posso desiderare di più caro, di più prezioso, di più salutare? Quid enim mihi est in cœlo et a te quid volui super 
terram? Defecit cor meum et caro mea: Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum. Non cerco altro! Niente più buono di Voi può esistere nè in cielo, nè in terra. Per ciò in Voi solo colloco tutte le mie brame e le mie speranze: mihi adhærere Tibi bonum est; ponere in Te omnem spem meam. Sì, voglio stare attaccato a Voi solo che siete il mio sostegno; ed attaccato come l’ellera all’albero ed al muro, come la vite avviticchiata all’olmo: sicut vitis abundans in lateribus domus tuæ. 

  O Angeli del Dio d’amore, e Voi tutti Spiriti celesti, che siete grandi e chiarissimi Principi dell’Empireo, scendete di lassù a circondare la Mensa Divina da Gesù preparata su questo altare; io mi unisco intimamente a Voi con le adorazioni che gli rendete nel più augusto de’ suoi Sacramenti: l’Eucaristia. Eppure, non per Voi, ma per me, per noi povere umane creature, tanto a voi inferiori, Egli tiene sempre imbandita questa Mensa Divina. O sublimi Intelligenze; o ardenti Serafini, partecipatemi qualche parte delle vostre fiamme, e della vostra purità nel cospetto del vostro e mio Signore! Beati Cherubini qualche diffusione dei vostri lumi! Santi eccelsi Troni, l’influsso della vostra pace! Dominazioni eccellenti, e Sacre Virtù, il generoso impero delle mie viziose inclinazioni, e la fedele imitazione della vostra invincibile forza contro i nemici di Gesù Sacramentato, contro i nemici del suo Vicario visibile e della sua Chiesa! Formidabili Potestà, la vostra autorità sopra gli spiriti infernali! Gloriosi Principati, Santi Angeli ed Arcangeli, lo zelo, l’ardor vostro per la propagazione della Fede, e per l’onore del SS. Sacramento, e per la salute di tutto l’uman genere. 

E voi, sette Principi, che state di continuo presso al trono di Dio e dell’Agnello, fate ch’io rompa, dirò così, con voi lo stesso Pane celeste, e che come voi ne sia tutto acceso e trasformato per amore. Divenga io, ad imitazione vostra, difensore invincibile del Sacramento di Gesù Cristo, penetrato di fervore per la sua gloria e per la dilatazione del suo divin culto. Non respiri più se non de’ suoi Misteri, delle sue massime, delle sue celesti virtù. A Lui sottometta le mie potenze e tutto l’intimo del mio cuore; acciocchè, dopo di averlo glorificato sotto le specie Sacramentali quì in terra, con riverenza pari alla vostra, possa un dì contemplarlo fra i beati splendori della immortalità, ed offerirgli con voi cantici eterni di pura lode, e di puro amore. 

  Angelo mio Custode, io credo che voi con tutti i vostri compagni adoraste già il mio Divin Redentore nel momento della sua nascita, e che ogni volta che io mi presento a Lui per venerarlo, voi l’adorate meco. Deh! fate che Egli mi conceda particolarmente un’ampia partecipazione alle grazie del Divin Sacrificio, al quale assistete con tanto rispetto intorno ai nostri altari, e riceva benignamente in quest’Azione Santissima quanto per Essa Egli mi meritò pro venerentia sua! 

  O mio Sacramentato Signore, che non vi stancate mai di stare per amor mio su quest’altare, fate che anch’io trovi tutte le mie delizie nello starmene qui con Voi. Innamoratemi perdutamente di Voi; e sebbene sia vero che non ne son degno, è però vero che Voi state qui apposta. Dunque contentate il Cuor Vostro, ed anche il mio. 

  O Maria, Regina di tutti gli Angeli e di tutti i Santi, Madre amabilissima del mio Gesù, come un giorno Voi nella Mensa nuziale di Cana con una semplice espressione muoveste il Cuore di Lui a consolare con un miracolo gli Sposi e tutti i loro commensali, così, vi prego, di ottenere anche a me quelle disposizioni che si convengono a ben ricevere nella povera casa dell’anima mia la prodigiosa venuta di Lui, sicchè ne resti consolata e compresa di gratitudine eterna. Riempitela quest’anima mia, anzi impinguatela della grazia sostanziale del vostro Ss. Figlio, transustanziatela in lui, chè allora gli potrò innalzare nuovi cantici di lode, di esultanza, di amore e di ringraziamento: Sicut adipe et pinguedine repleatur anima mea; et labiis exultationis laudabit os meum in saecula saeculorum, amen. 

  (Si reciti il Cantico: Magnificat)

Francesco Spinelli

Preghiera Portare il cielo alla terra



Che cosa è la preghiera 


Fare supplica 

 La preghiera è supplica quando significa chiedere umilmente     
  o con fervore (intensamente). 


1 Re 8:33 
Quando il tuo popolo Israele sarà sconfitto davanti al 
nemico perché ha peccato contro di te, se torna a te e loda 
il tuo nome, se ti prega e ti supplica in questo tempio... 

ILDEGARDA DI BINGEN


***
Questa visione straordinaria esige una risposta e vuol dare alla vita di Ildegarda una nuova direzione. Di questo avvenimento Ildegarda stessa dà la data con precisione, meglio ancora, con solennità. Lei introduce così la descrizione: “Nell’anno 1141 dell’Incarnazione di Gesù Cristo,Figlio di Dio, quando io contavo quarantadue anni e sette mesi vidi un grandissimo splendore: in esso si fece udire una voce dal cielo che mi disse: ‘O essere fragile, cenere da cenere e putredine da putredine, scrivi quello che vedi e odi’”. Questa visione è per Ildegarda una specie di battesimo di fuoco; la descrive così: “Una luce fiammeggiante con bagliori simili a quelli di un fulmine venne dal cielo e scese su di me, m’inondò il cervello, mi penetrò pure il petto con una fiamma che non consuma ma riscalda, come fa il sole per quanto cade sotto i suoi raggi. E d’improvviso mi aprì ilsenso delle Scritture, del Salterio, del Vangelo e degli altri libri del Vecchio e del NuovoTestamento, il loro senso, non il significato parola per parola, o altre regole retoriche. ‘Scrivi quello che vedi e odi’, così la voce”.

Per Ildegarda non fu facile aderire all’ingiunzione divina. Era troppo convinta della sua pochezza ed ignoranza. Vi si aggiungeva poi l’insicurezza di fronte alle cose straordinarie di cui era oggetto.
“Tutto ciò che ho descritto” ci spiega “io l’avevo visto e udito, tuttavia rifiutavo di descriverlo, non per ostinazione, ma nella convinzione della mia incapacità, a causa dei dubbi, dell’opinione non favorevole e delle diverse interpretazioni che vi si davano, fintanto che, come Dio vuole, caddi malata e infine, costretta nelle molte sofferenze, misi mano a scrivere”. Dice in latino: ‘manus  ad scribendum opposui”. Così inizia la sua attività di scrittrice e anche di questo inizio ci dà la data,mettendola in relazione con gli avvenimenti del tempo e del luogo in cui viveva: “Al tempo di Enrico, vescovo di Magonza, e di Corrado, re di Roma, di Kuno, abate di Disibodenberg, sotto Eugenio, papa, successero queste visioni e parole. Ed io le dissi e scrissi non secondo il mio sentire, o quello di altre persone, ma secondo come le vidi e le udii e ricevetti dal cielo per le vie misteriose e nascoste di Dio”.

Ma l’insicurezza le rimaneva. La visione poteva venire sì da Dio, ma sarebbe stato accolto il messaggio da una donna “semplice”, cioè, incolta? Assicurarla poteva soltanto una persona che alla profondità della dottrina unisse alla santità di vita e una tale persona era nell’anno 1147 non lontana: Bernardo di Chiaravalle era allora a Treviri per il Sinodo a cui prendeva parte pure un altro cisterciense, papa Eugenio III. Diamo qualcosa della lettera che Ildegarda gli scrive e della risposta di Bernardo. Ildegarda: “Sono in pena per questa visione che mi si rivela nell’anima in maniera misteriosa. Mai ne ho presa coscienza con gli occhi di carne. O mite Padre, nella Tua bontà rispondi alla Tua indegna serva che dall’infanzia mai ha vissuto una sola ora di sicurezza… Io mi affretto a venire a Te… Tu sei l’aquila che fissa lo sguardo nel sole”. E Bernardo risponde, poche parole, chiare e rassicuranti: “Ci rallegriamo con Te per la grazia che Dio opera in Te. Per quanto mi riguarda, io Ti esorto e scongiuro di stimarla come una grazia e di corrispondervi con tutta la forza del Tuo amore dell’umiltà e della dedizione”.

Intanto l’abate del monastero di Disibodenberg, Helinger, ne parla con il vescovo e Ildegarda stessa racconta nell’eremitaggio di Disibodenberg parla della sua incertezza con Jutta, la quale la consiglia di parlarne con un monaco, che molto probabilmente è lo stesso che più tardi sarà il segretario di Ildegarda. Il monaco ne parla con l’abate e l’abate parla con il vescovo. Il vescovo infine ne parla con il papa. Il papa che si trova in quel periodo a Treviri, a poca distanza da Disibodenberg, manda per questo motivo due suoi legati a Disibodenberg, incaricandoli di fare conoscenza personale di Ildegarda, di prendere informazioni molto precise su di lei e di chiedere pure di leggere il libro che Ildegarda sta scrivendo, lo Scivias, che verrà portato a termine nel 1151. Riguarda al titolo Ildgarda dice: “Nella mia visione ho saputo che a questo mio libro che dovevo scrivere per incarico di Dio dovevo dare il nome di ‘Sci vias Domini’”. Generalmente questo titolo viene tradotto “Conosci le vie del Signore”, ma non credo che questa sia la traduzione giusta, anche per quanto Ildegarda dice in seguito,  facendo questa osservazione: “Ho conosciuto le vie del Signore”. È la sua testimonianza sulla vita dell’uomo, sulla Chiesa, sulla storia.

Come leggiamo negli Atti della canonizzazione, Eugenio III stesso lo legge personalmente ai membri del Sinodo. A quanto ci racconta, Bernardo di Chiaravalle sarebbe intervenuto personalmente presso il papa con la preghiera di non lasciare che una simile lucerna restasse nascosta e il papa si mostra non solo favorevole nella richiesta ma esorta pure Ildegarda con una lettera, che abbiamo, a corrispondere alla grazia a lei fatta e a scrivere quanto verrebbe a conoscere nelle sue visioni, Così gli anni della solitudine e del silenzio volgono alla fine e nello stesso tempo, quasi per rendere più evidente la nuova direzione in cui procedere viene ingiunta in visione a Ildegarda di lasciare l’eremo e come nuova sede per la piccola comunità, che ormai contava diciotto persone, le viene indicato il monte di san Ruperto, il Rupertsberg, nella vicinanza di Bingen, sul Reno, dove, secoli addietro, questo giovane santo era vissuto e morto.

***
Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

LA PREGHIERA



“Bisogna trasformare tutta la nostra vita in un'aspirazione unica a Dio.
E' in questa preghiera che noi vivremo la nostra filiazione divina e uniti al Cristo parteciperemo alla sua missione di universale salvezza.
Non abbiamo potere sulle cose e sugli uomini: il nostro potere è sul cuore di Dio.
E noi sentiamo che è per questo potere che noi vivremo
quell'amore fraterno che vuole la salvezza di tutti.”
Don Divo, dalla Meditazione “Siamo monaci”

P Serafino Tognetti - La potenza della preghiera - Suzzara 

PREGHIERE CHE SCONFIGGONO I DEMONI



 Rimproverare il Nemico 

 Satana, il Signore ti rimprovera (Zaccaria 3:2). 
              Fa che il nemico muoia al Tuo rimprovero, o Signore (Sal 80:16). 
              Fa che il nemico fugga al Tuo rimprovero, o Signore (Sal 104:7). 
              Rimprovero tutti i venti e le tempeste del nemico inviati contro la mia vita (Marco 04:39). 
              Minaccia la bestia dei canneti e il branco dei tori fino a quando essi si prostrino (Sal 68:30). 
              Minaccia quelli che rumoreggiano verso di me, e fa che fuggano via (Is. 17:13). 
              Per amor mio, minaccia l’insetto divoratore (Malachia 3,11). 
              Minaccia il cavallo e carro, e fa che vengano presi da torpore (Sal 76:6). 
              Sgrido ogni spirito immondo, che volesse tentare di operare nella mia vita (Luca 09:42). 
              Rimprovero gli spiriti orgogliosi che sono stati maledetti (Sal. 119:21). 
              Rilascio rimproveri furiosi sul nemico (Ez 25:17). 
              Fa che il soffio delle tue narici rimproveri il nemico (2 Sam. 22:16). 
              Rimprovera il nemico con fiamme di fuoco (Is. 66:15). 
              Fa che mille fuggano alla mia minaccia, o Signore (Is. 30:17). 
              Sgrido ogni mare che volesse provare a chiudersi sulla mia vita (Sal 106:9). 
              Diavolo, io ti sgrido. Sta zitto, ed esci (Marco 01:25). 


L’UOMO NEL DISEGNO DI DIO



1a MEDITAZIONE

In una delle sue e operette morali Leopardi racconta di un islandese, che aveva un desiderio nella vita: non offendere nessuno e non essere offeso da nessuno. Per realizzare questo prima ha dovuto abbandonare la compagnia degli uomini, perché è impossibile stare con gli uomini senza subire offese. Non cʼè riuscito perché, se è vero che non offendeva nessuno, la natura offendeva lui: lo offendeva con il freddo, lo offendeva con il caldo; lo offendeva con le minacce del terremoto, con le minacce delle catastrofi naturali, per cui deve cercare di fuggire anche dalla natura oltre che dallʼuomo. Arriva in Africa, attraversa lʼequatore. In un territorio disabitato incontra una immensa donna appoggiata con la schiena ad una montagna, che lo guarda con curiosità, e gli chiede chi sia e cosa faccia. Egli le risponde: “Sto scappando dalla natura”. “Bravo, mi sei venuto proprio in braccio, la natura sono io!”. Di fronte alla natura questo islandese dice tutto il suo lamento, il motivo della sua angoscia, cioè che lʼha scoperta nemica degli uomini, carnefice della propria famiglia. E la Natura gli risponde che lʼerrore sta nel pensare che essa abbia creato lʼuniverso per lʼuomo, ma non è così. “Io se faccio del bene agli uomini non me ne accorgo e se faccio del male non mi è noto; può anche succedere che io faccia scomparire tutta la stirpe degli uomini e non ci faccia nemmeno caso”. Allora questo islandese chiede: “A chi piace e a chi giova questa vita infelicissima? Perché creare un mondo così, dove nessuno ci guadagna niente; né lʼuomo né la natura?”. A questa domanda non cʼè risposta perché arrivano due leoni che ingoiano lʼislandese e una tempesta di sabbia lo copre. Questo racconto, che almeno per quanto mi riguarda è sempre stato affascinante, riflette  sulla natura e del suo rapporto con lʼuomo. 

Nel 1224 dopo una notte trascorsa nella sofferenza fisica, tormentato dai topi, Francesco ha intonato quel canto che conoscete bene: “Altissimo, onnipotente, bon Signore, tue soʼ le laude, la gloria et lʼhonore et omne benedictione… Laudato sii mi Signore…”. Anche questo modo di vedere il mondo e la presenza dellʼuomo nella natura e la natura benefica nei confronti dellʼuomo è affascinante: il sole che illumina e riscalda, il fuoco che è “robustoso et forte” e che allude in qualche modo a Dio, lʼacqua che è “humile et pretiosa et casta”. San Francesco sente la natura come vicina a lui: fratello, sorella, la madre terra, come se nella natura egli fosse in famiglia, come se si sentisse a suo agio, sostenuto, nutrito. Ma non tutto è tranquillo, parla di infermità, di altre tribolazioni, parla anche di queste cose, ma nonostante questo la natura gli appare positiva: positiva per lʼuomo, benevola nei suoi confronti anche in quello che appare assurdo, estremo; la morte, non è un male assoluto e anche per questo deve esser lodato Dio perché è quel passaggio attraverso cui lʼesistenza dellʼuomo viene liberata da ogni tribolazione, infermità, e arriva alla sua pienezza, al suo compimento.

Due modi affascinanti come pensiero letterario. La differenza sta nel percepire la natura come creatura di Dio, creatura accanto allʼuomo in una visione antropocentrica. Le creature sono considerate da San Francesco nel loro rapporto con lʼuomo: il sole è il mezzo per cui siamo illuminanti, lʼacqua è quella che per noi è umile, utile, preziosa; insomma lʼottica della lettura della natura è per la vita e per il bene dellʼuomo. Alla radice della natura, alla sua origine  sta una volontà benefica, una volontà di amore che è il messaggio fondamentale sulla creazione che sta dentro in profondità alla visione cristiana della vita del mondo. La natura, nellʼottica della fede, è una creatura voluta pensata e realizzata da Dio. La scrittura la presenta in tanti modi, con immagini diverse che descrivono lʼazione creatrice di Dio: quella del decreto regale del re che emette un decreto e di fronte al quale si compie un disegno di volontà regale, oppure come un combattente vittorioso che mette ordine nel mondo, oppure come un artigiano che con la sua arte plasma il mondo, la natura, lʼuomo. La cosa interessante è riuscire a capire che cosa questo messaggio sulla creazione dice sulla nostra vita e che cosa cambia nel nostro modo di pensare e di sentire.

 La prima osservazione può essere questa: i testi biblici che riguardano il messaggio della creazione sono generalmente considerati legati al periodo dellʼesilio babilonese: Israele era deportato in Babilonia e qui la riflessione sullʼazione creatrice di Dio è diventata matura. Perché è diventata matura in quel contesto? Primo motivo: è la risposta alla tentazione di disperazione che Israele ha dovuto affrontare; lʼesilio a Babilonia è espressione dello strapotere dei suoi nemici, dellʼimpero babilonese e, nellʼottica antica, è lo strapotere degli dei di Babilonia. Gli dei di Babilonia hanno vinto: “Siamo stati schiacciati da una forza più grande di noi, più grande del nostro Dio”. Il libro di Ezechiele ricorda lo spirito con cui gli israeliti vivono in Babilonia: dicono: “Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita siamo perduti”. È di fronte a questa tentazione di considerarsi ormai vinti e senza forza che viene ricordato lʼannuncio fondamentale della creazione. Al capitolo 40 di Isaia, al versetto 12, si legge questo (i capitoli dal 40 al 55 sono chiamati “secondo Isaia” e sono opera di un profeta del tempo dellʼesilio di Babilonia e quindi vanno letti in quel contesto):

Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare e ha calcolato lʼestensione dei cieli con il palmo? Chi ha misurato con il moggio la polvere della terra, ha pesato con la stadera le montagne e i colli con la bilancia? Chi ha diretto lo spirito del Signore e come suo consigliere gli ha dato suggerimenti? A chi ha chiesto consiglio, perché lo istruisse e gli insegnasse il sentiero della giustizia e lo ammaestrasse nella scienza e gli rivelasse la via della prudenza? Ecco, le nazioni son come una goccia da un secchio, contano come il pulviscolo sulla bilancia; ecco, le isole pesano quanto un granello di polvere. Il Libano non basterebbe per accendere il rogo, né le sue bestie per lʼolocausto. Tutte le nazioni sono come un nulla davanti a lui, come niente e vanità sono da lui ritenute. A chi potreste paragonare Dio e quale immagine mettergli a confronto? Il fabbro fonde lʼidolo, lʼorafo lo riveste di oro e fonde catenelle dʼargento.  Si aiutano lʼun lʼaltro; uno dice al compagno «Coraggio!». Il fabbro incoraggia lʼorafo; chi leviga con il martello incoraggia chi batte lʼincudine, dicendo della saldatura: «Va bene» e fissa lʼidolo con chiodi perché non si muova. Chi ha poco da offrire sceglie un legno che non marcisce; si cerca un artista abile, perché gli faccia una statua che non si muova. 
Non lo sapete forse? Non lo avete udito? Non vi fu forse annunziato dal principio? Non avete capito le fondamenta della terra? Egli siede sopra la volta del mondo, da dove gli abitanti sembrano cavallette. Egli stende il cielo come un velo, lo spiega come una tenda dove abitare; egli riduce a nulla i potenti e annienta i signori della terra. Sono appena piantati, appena seminati, appena i loro steli hanno messo radici nella terra, egli soffia su di loro ed essi seccano e lʼuragano li strappa via come paglia. «A chi potreste paragonarmi quasi che io gli sia pari?» dice il Santo. Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato quegli astri? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e li chiama tutti per nome; per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuno. Perché dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: «La mia sorte è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio?». Non lo sai forse? Non lo hai udito? Dio eterno è il Signore, creatore di tutta la terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dá forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi. (Is 40,12-31)  

Questo è il messaggio della creazione: non ci sono poteri mondani che possano prevalere sul disegno di Dio. Dio è, ma il potere di Dio è sorgente di fiducia, di speranza, di energia spirituale, capace di schiacciare ogni forza mondana di difesa, sorgente di speranza spirituale che si rinnova dentro il cuore dellʼuomo. Proprio perché Dio è il creatore del mondo, lʼuomo non ha da temere di fronte alle potenze o alle forze che lo minacciano, nemmeno di fronte alla scelta del futuro. Queste paure sono proprie dei pagani, dice Geremia, al capitolo 10:

«Non imitate la condotta delle genti e non abbiate paura dei segni del cielo, perché le genti hanno paura di essi.» (Ger 10,2) 

 Capite? Quel bisogno di sicurezza che porta lʼuomo dagli astrologi, dai cartomanti, da tutti questi accidenti possibili e immaginabili, sono lʼespressione di un paganesimo che non riconosce nel mondo, nella vita, la sovranità di Dio. Il fatto è che questo mondo è nelle sue mani e che Egli lo ho creato. Dentro quindi allʼesperienza del mondo, anche a quella della morte, ci ricordava San Francesco, rimane il volto di Dio, rimane la sua libertà, come libertà di amore. Allora ritrovare il messaggio della creazione, consente di trovare un atteggiamento fondamentale di fiducia nei confronti della realtà, che non è un atteggiamento facile, perché quello che Leopardi dice è vero. Da un certo punto di vista lo potete mettere tranquillamente insieme a San Francesco. Non è una visione del tutto falsa sulla natura: è una visione intelligente quella di Leopardi! Il problema però è sapere se questa visione è quella possibile dal tetto in giù o se invece dal tetto in su; se ci può essere qualche cosa che può permettere di vedere la stessa realtà senza considerarla in modo magico nella sua durezza, e riuscire a vederla dentro il disegno di Dio. Si potrebbe rileggere quellʼinizio della scrittura, il capitolo primo della Genesi, che contiene  in una specie di grande poema liturgico, in sette strofe, esattamente questo messaggio. La creazione non è una affermazione di tipo scientifico, è una affermazione di tipo teologico e, in fondo, liturgico. Si potrebbe quindi leggere questo capitolo come  un grande poema liturgico dove viene annunciata lʼopera di Dio nella creazione dellʼuniverso e nellʼordinamento del mondo. 

In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano lʼabisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno. Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina… (Gen 1,1-8) 

È un testo che deve stare dentro alla memoria del cuore come fondamento. Sono sette strofe che si possono dividere 3,3+1. Lʼultima è quella che riguarda il sabato, il riposo di Dio; le altre sei dividono lʼopera di Dio in due momenti. Prima di tutto lʼopera di separazione: le tenebre dalla luce, le acque di sotto da quelle di sopra, il bagnato dallʼasciutto e i primi tre giorni passano. Dio costruisce in questi tre giorni  una grande casa e negli altri tre giorni la popola, vi mette gli inquilini: il sole, la luna e le stelle, che segnano il tempo del giorno e della notte. Poi nel quinto giorno gli uccelli  e i pesci che popolano le acque di sopra e quelle di sotto e  il sesto giorno gli animali e lʼuomo. Quando si arriva alle creature viventi, lʼopera di Dio è accompagnata dalla benedizione: quella forza di Dio che fa vivere, che trasmette vita e i viventi sono creature benedette, proprio perché sono in grado di comunicare vita, di trasmettere vita, secondo la propria specie. Così si esprime il grande racconto della creazione nel capitolo primo della Genesi. Ma qual è il suo significato? Quale la sua rilevanza? Forse per capirlo vale la pena contrapporvi  unʼaltra visione di origine del mondo, di spiegazione del mondo è che antica e moderna nello stesso tempo. Antica perché risale a Democrito che scriveva che tutto ciò che esiste nel mondo è frutto del caso e della necessità. La necessità è evidentemente quello  che avviene secondo schemi regolari e quindi è comprensibile per lʼintelligenza dellʼuomo; il caso è quello che avviene nel modo irregolare e non è comprensibile. Se ricordate il caso e la necessità è il titolo di un libro famoso di un premio Nobel, J. Monod, che voleva esattamente interpretare il senso della realtà: “Il caso e la necessità”. Lʼidea era che allʼorigine di tutto ci fosse qualcosa di indistinto, di senza forma e da questo complesso senza forma, secondo le regole che stanno dentro, scritte dentro la sua realtà si producono casualmente tutte le cose fino a quella complessità del mondo che abbiamo noi. 

Aggiungiamo qualcosa dʼaltro. Diceva Platone che le cose più belle che ci sono nel mondo sono quelle che sono nate dalla natura e dal caso, cioè dal mondo in cui viviamo e che invece il terzo elemento che cʼè nella realtà del mondo, lʼarte, è qualche cosa di successivo. Lʼarte viene dopo o come continuazione della natura per es. lʼarte dei medici o come imitazione della natura, lʼarte dellʼartista.  Lʼarte considerata da Platone e poi da Aristotele come una forma di imitazione della natura, è di forma assolutamente infantile: di fronte alla bellezza della natura lʼarte vale zero. In tutti i modi in questa logica ci sono prima le regole della natura, secondo la necessità, poi lʼarte dellʼuomo. Se ha ragione il libro della Genesi, lʼottica vuole capovolta, prima lʼarte e poi cʼè la natura. È un artista che ha fatto la natura e le sue leggi, le sue necessità. Le sue leggi e le sue necessità non sono origine: la volontà di Dio, lʼarte di Dio, la libertà di Dio, il progetto di Dio, il disegno di Dio sono lʼorigine. Quindi prima cʼè lʼarte e poi viene la natura, prima la libertà e poi viene la necessità, prima la libertà di Dio che crea e poi il mondo, che Dio ha creato e che andrà avanti con le sue regole. Prima viene la persona, poi viene quello che appare al mondo. La natura per certi aspetti è anonima. Ha ragione Leopardi dicendo che quando questa fa il male o il bene non se ne accorge, appartiene in qualche modo a quello che si direbbe Fato, quello dei Greci, a cui tutti sono sottomessi compreso Giove. Giove stesso deve essere sottomesso al fato (lì non cʼè santo che tenga), è una realtà invincibile. Allʼorigine, secondo la scrittura no, allʼorigine cʼè il volto di Dio, il volto sapiente di Dio, cʼè un disegno, cʼè unʼintelligenza. È vero che cʼè la ripetizione nella natura, ma prima cʼè la creatività, prima della ripetizione cʼè lʼinvenzione. Come dicevo, presso i Greci il fato è onnipotente, nella visione biblica il mondo è liberato dal fato, liberato da un destino anonimo. Il mondo è consegnato allʼuomo, alla libertà dellʼuomo perché lʼuomo se ne assuma la responsabilità. Lʼatto creativo è un atto che colloca lʼuomo in una condizione di responsabilità di fronte a Dio. 

Il mondo non si spiega da sé ma è spiegabile solo in riferimento allʼAltro, come qualche cosa che viene dallʼAltro e che risponde a questo Altro. In fondo nella concezione biblica esistere è lo stesso che essere chiamato. Esisto vuol dire sono chiamato allʼesistenza e “io sono chiamato” deve avere un suono personale, un suono di libertà, un suono di responsabilità. Il riferimento alla trascendenza vuole dire essenzialmente questo: il mondo non è narcisista: lʼuomo non è autosufficiente, non può, non deve fare riferimento solo a se stesso per essere capito, anche il mondo trova la sua spiegazione nella relazione, nellʼessere rapportato ad un altro, nel riferimento ad un altro. Da questo punto di vista il messaggio biblico è un messaggio prezioso, che ha dei riflessi enormi sul modo in cui lʼuomo può concepire se stesso, la sua vita e il suo rapporto con la natura e con la storia. Se siamo al mondo per caso, per definizione non cʼè intelligibilità delle cose e quelle intelligibilità che si possono raggiungere sono senza significato, perché il complesso dellʼuniverso è caotico e senza un disegno, senza uno scopo, senza una fisionomia. 

Così ancora, il mondo non è Dio nella concezione biblica, è radicalmente contrapposto alla visione panteistica. Le religioni indiane tendono ad una visione panteistica della realtà secondo cui il mondo, nella sua realtà profonda è Dio. Tutto quello che esiste è una manifestazione della divinità, in un modo o nellʼaltro. La natura non è biblica, è lontana mille miglia dal nostro messaggio. La realtà non è Dio, viene da Dio, risponde a Dio, ma non è Dio. Questo è il motivo per cui è possibile allʼuomo di intervenire sul mondo e trasformarlo, dare una forma nuova, umana alla realtà. Se il mondo fosse divino e in sè quindi sacro, sarebbe  un mondo tabù, guai a cambiarlo e a toccarlo, lʼunico atteggiamento possibile sarebbe il muoversi il meno che si può per danneggiare il meno possibile quella realtà divina che è lʼuniverso stesso. Ma nella concezione biblica allʼuomo  è data la responsabilità sullʼ universo, sul mondo materiale. Responsabilità che non vuol dire che lʼuomo può fare quello che gli pare, ma che ha il dovere di rendere conto dei suoi interventi anche se i suoi interventi sono necessari e stanno dentro lʼottica del disegno di Dio.

Così ancora: è lontano dalla concezione biblica quella del dualismo, quella dottrina secondo cui allʼorigine dellʼuniverso ci sono due principi uguali e contrapposti: il bene e il male, il bianco e il nero. Contrapposti ma in fondo dipendenti lʼuno dallʼaltro, per cui ognuno ha bisogno dellʼaltro. Cʼè  bisogno di bene e anche di male perché lʼuomo lo trae dallʼaltro e viceversa. Allʼorigine sta la guerra, allʼorigine del mondo sta la guerra tra questi due principi fondamentali e i contrasti dentro la realtà manifestano questʼorigine dualista del mondo. Anche questo non è biblico, nellʼottica biblica il mondo viene dallʼunico Dio ed è buono. Resta da spiegare perché cʼè il male, però questo certamente non è collocabile di fronte al bene, allo stesso livello di essere, di esistenza. Al contrario lʼunico principio è lʼamore Dio, quindi il bene. Anche il dualismo è fuori da questa logica, come sono fuori del disegno biblico tutte le dottrine gnostiche: una visione dellʼuniverso che ha avuto un influsso notevole nella storia del pensiero occidentale perché interpreta il mondo come caduta dellʼessere nella materia, per cui la materia di cui è fatto il mondo è realtà negativa che esprime una decadenza dellʼessere. Lʼincarnazione cioè lʼingresso dellʼessere dentro la materia è un decadimento dellʼessere in quanto tale; tradotto vuole dire: la materia è male, nellʼuomo cʼè una scintilla di luce di cui lʼuomo deve diventare consapevole e tutto lo sforzo dellʼesperienza umana è quello di liberare la scintilla di luce che noi siamo da quella pesantezza di materia che ci opprime. Questo non ha nulla a che fare col pensiero biblico. La materia è natura vivente, quindi non cʼè dubbio che sia essenzialmente buona, positiva. Dicevo: cʼè un  riconoscimento di valore dentro la realtà in quanto tale ed è significativo che in quel capitolo 1° della Genesi, cui facevamo riferimento, ogni azione creativa di Dio si conclude con “…e Dio vide che era una cosa buona”, fino allʼultimo giorno quando Dio di fronte allʼuomo e a tutto il complesso che ha creato, quindi il cosmo comʼè uscito dalla sua volontà,  dice “cosa molto buona”.  Cʼè quindi un giudizio chiaro di positività di tutto quello che esiste, materia compresa. Il primo passo che ci viene chiesto è riuscire a dire un sì cordiale alla realtà del mondo, e dobbiamo riuscire a dirlo nonostante la visione di Leopardi, senza far finta che le cose non siano così, senza far finta che la natura non sia dura perché essa ha durezze impressionanti che in certi momenti sperimentiamo veramente. Siamo chiamati a dire il  nostro sì allʼesistenza del mondo, della natura, dellʼuomo  e della storia e degli avvenimenti con questa consapevolezza, nella fiducia che dentro questa realtà si compia il disegno consapevole e sapiente di Dio, che nasce dal suo amore. Abbiamo detto tante volte che la formula fondamentale dellʼamore è: “io voglio che tu esista”, e lʼatto della creazione è quellʼoriginario atto di amore che Dio ha posto e che da valore a tutti gli altri atti dʼamore che debbono accompagnare la storia dellʼuomo. Quando io dico di sì allʼesistenza delle persone che ho accanto, il mio è un piccolo sì che si innesta sul sì originario e creativo di Dio allʼuniverso: “e Dio vide che era cosa buona”. Attraverso questi sei giorni della creazione il mondo diventa un “cosmos”, cioè qualcosa di ordinato, cʼè una cosmesi, in qualche modo, del mondo, operata da Dio e proprio  per questo il senso ultimo della realtà è dato dalla parola di Dio  che chiama. Nel capitolo 3,32 del libro di Baruc si legge così: 

“Colui che sa tutto, la conosce [la sapienza] e lʼha scrutata con intelligenza. È lui che nel volger dei tempi ha stabilito la terra e lʼha riempita dʼanimali; lui che invia la luce ed essa va, che la richiama ed essa obbedisce con tremore. Le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono; egli le chiama e rispondono: «Eccoci» e brillano di gioia per colui che le ha create”. (Bar 3,32-35)

Questa immagine delle stelle che rispondono a Dio con la loro luce e che con essa esprimono la gioia della creazione di Dio, questa luce che esiste obbedendo alla chiamata di Dio, obbedendogli con tremore, alla fine vuole esprimere la vocazione e il senso dellʼuniverso. Anche il senso dellʼuomo nellʼuniverso! Noi abbiamo imparato a recitare la preghiera del mattino essenzialmente per questo: quando al mattino, dopo un periodo di non coscienza completa di me, riapro gli occhi e rivedo il mondo e la luce e i colori e le forme e le cose, perché io mi sappia collocare nei confronti di questo mondo nel modo migliore, e ci riesco se rinnovo la consapevolezza di stare davanti a Dio. Che il mio stare nel mondo è essere di fronte a Dio che lo ha creato, che il mio respirare e vedere e sentire è il mio respirare e vedere e sentire che  risponde a una chiamata: “ Egli manda la luce ed essa va, la richiama ed essa obbedisce tremante. Le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono”. È questo ciò cui ci chiamerebbe il messaggio della creazione. Non è un messaggio scientifico. Non vuole dire il come cronologicamente il mondo è stato formato, come sono cresciute le complessità degli esseri viventi o tutte queste cose qui. Ma vuole dire qual è lʼatteggiamento giusto che io, persona umana libera, sono chiamata ad avere di fronte a quella realtà di cui faccio parte: il mondo, ma di cui sono anche consapevole nella mia alterità, nella mia diversità. Come mi colloco lì di fronte? Le cose che abbiamo detto vorrebbero condurci a questo atteggiamento di fondo. A questo atteggiamento dovrebbe condurvi anche lʼesercizio che dovete fare: 1) Dovete provare a guardarvi dentro e a verificare gli atteggiamenti di fondo che noi abbiamo nei confronti della realtà del mondo, inteso nel senso più ampio possibile. I quali atteggiamenti vanno in tre linee diverse, quella della seduzione, cioè quella dellʼessere sedotti: il mondo è bello, è forte, è interessante e può essere seduttore, cioè nel senso che sono tentato di sposarlo, di giocare tutta la mia esistenza in questo rapporto mondano. O, dallʼaltra parte, la paura del mondo, perché il mondo, la natura, le esperienze sono anche delle pesantezze grandi nella nostra vita e se uno guarda il suo passato  forse ci trova anche dei buchi, cioè delle realtà che sono distruttrici di speranza o di gioia. Allora o seduzione, in qualche modo essere incatenati dal mondo o paura e quindi in contrasto radicale col mondo. O, invece, quellʼatteggiamento fondamentale che la fede ci richiederebbe che è la fiducia nel riconoscimento del mondo come qualche cosa che viene da Dio e quindi dalla sua consapevolezza e dal suo amore. 2) Dovreste scrivere un salmo cioè una preghiera di lode e di ringraziamento al Signore, nella stessa ottica di quella di S. Francesco (senza la pretesa di farla bella come la sua), nella prospettiva della lode al Signore, per le sue creature. Cʼè un bellissimo salmo nella Bibbia, Salmo 104, che comincia con:

“Benedici il Signore, anima mia, Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore” (Sal 104,1)

 e va avanti a descrivere la creazione del mondo in questa logica della benedizione del Signore. Potreste prendere il primo versetto e poi riscrivere voi un salmo con lʼesperienza della vostra vita, del mondo, della realtà delle cose.

S.E. Mons. LUCIANO MONARI

giovedì 24 ottobre 2019

Geremia

Due visioni: il mandorlo e la pentola

11Il Signore mi domandò:
- Geremia, che cosa vedi?
Io risposi:
- Vedo un ramo di mandorlo.
12Il Signore aggiunse:
- Hai visto bene. Ricordati che anch'io sto ben attento perché si realizzi tutto quel che dico.
13Il Signore mi domandò ancora:
- Che cos'altro vedi?
Risposi:
- Vedo una pentola che sta bollendo, inclinata da nord verso sud.
14Il Signore mi spiegò:
'È proprio dal nord
che si rovescerà la distruzione
su tutti gli abitanti di questa regione.
15Io infatti sto per radunare
tutte le tribù e i regni del nord.
Essi verranno, e ogni re porrà il suo trono
davanti alle porte di Gerusalemme.
Circonderanno le sue mura
e attaccheranno tutte le città di Giuda.
Lo dico io, il Signore.
16'Allora io punirò gli abitanti della Giudea per tutto il male che hanno commesso: hanno abbandonato me per offrire sacrifici a divinità straniere e per andare a buttarsi in ginocchio davanti a idoli che loro stessi si sono fabbricati. 17Ma tu tieniti pronto per andare a riferire loro quel che io ti ordinerò. Non aver paura di loro, altrimenti sarò io a farti tremare davanti a loro. 18Oggi io ti rendo capace di resistere, come una città fortificata, come una colonna di ferro e un muro di bronzo contro gli attacchi di questa regione: i re di Giuda, i suoi capi, i sacerdoti, tutta la sua gente. 19Si metteranno tutti contro dite, ma non potranno vincerti perché ci sarò io con te a difenderti. Te lo prometto io, il Signore!'.

IL SACERDOTE



GESÙ PRESENTE NEL SACERDOTE


Gesù è misteriosamente, ma veramente, presente nel Sacerdote. Il Sacerdote deve prendere sempre più coscienza di questa realtà che sperimenterà per opera dello Spirito Santo e con la soave e materna opera di Maria, ma solo se diverrà sempre più l'uomo della preghiera. Farà la stessa esperienza di san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!».

Ecco alcune realtà da vivere:
Le mani del Sacerdote sono le mani di Gesù: mani aperte a diffondere i doni di Gesù nei contatti quotidiani con i fedeli nell'esercizio delle opere di misericordia.
Mani aperte nel donare le ricchezze della Grazia nei gesti rituali e sacramentali.
Mani aperte e stese sulla croce e inchiodate nel rinnegare se stessi per essere consumati dai fedeli. Mani crocifisse che salvano il mondo.
Mani aperte piuttosto nel dare che stese per ricevere!
Gli occhi del Sacerdote sono gli occhi di Gesù: occhi che cercano il volto del Signore! Vultum tuum, Domine, requiram.
Occhi come raggi di sole che arrivano anche al fango e alle sozzure, ma non si sporcano.
Occhi in cui brilla la Misericordia di Gesù e di Maria.
Occhi specchio di un cuore puro, limpido, pieno di carità, di gaudio e di pace.
È da questo tesoro del cuore cristificato che egli deve attingere a piene mani per dare dare dare non se stesso, ma Gesù!
Il cuore del Sacerdote è il Cuore di Gesù: Egli deve poter dire, come Gesù: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore!».
Cuore che palpita di un solo amore: amore fedele, generoso, totale, indiviso e bruciante per Gesù e per Maria.
Cuore, perciò, che ama i fedeli tutti indistintamente e solamente per Dio.
Il Sacerdote deve essere in tal modo Gesù da poter dire con tutta verità quello che Gesù diceva ai farisei: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù... Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo!» (Gv 8,23).
La bocca del Sacerdote è la bocca di Gesù: labbra che si schiudono solo per lodare il Signore, per esaltare le sue meraviglie davanti al mondo.
Labbra sacerdotali che benedicono, che consacrano, che pregano.
La bocca del Sacerdote deve aprirsi solo per parlare di Dio, per insegnare le cose di Dio, per parlare con Dio.
Ecco, in sintesi, un programma: Il Sacerdote è nel mondo,
non è del mondo, è per il mondo!
È compito delle anime consacrate pregare e offrire sacrifici affinché tutti i Sacerdoti siano davvero coscienti del proprio essere Cristo in terra e siano santi!


IL PADRE NEGLI ULTIMI TEMPI




«VOGLIO ESSERE COME UN BAMBINO PICCOLINO... »

 "Voglio essere come un bambino piccolino... che tira la veste al suo Papà e con il sorriso gli chiede le cose più semplici, che al mondo possono sembrare le più impossibili..."
La piccolina del Padre


I giorni di tenebra
«Subito dopo la tribolazione di quei giorni il sole si oscurerà».
La Luce è Dio. "Il sole si oscurerà" vuol dire che Dio non parlerà più, o meglio gli uomini non Lo ascolteranno più, con le conseguenze che si deducono dalle espressioni che seguono:

«La luna non darà più la sua luce». 
Se il sole è Dio, la luna è Maria-Chiesa. La luna riceve la luce dal sole; se il Padre non si farà più sentire - non perché. Lui non voglia più parlare, ma perché i cuori induriti dal male dimenticheranno che esiste un Padre tenerissimo che li attende continuamente - anche Maria non sarà più vista, seguita ed avvertita e non potrà più illuminare coloro che ignorano o rifiutano la sua esistenza. Sarà il termine delle manifestazioni mariane che tanto respiro hanno dato alla Chiesa e al mondo in questi nostri tempi. L'umanità allora sarà costituita da un mare di orfani che non avranno altro che disperazione perché non esisterà più il senso per il quale erano stati creati.
Riteniamo che questi siano i famosi "tre giorni di buio" così spesso ricorrenti nelle profezie di questo secolo. Ma questi giorni "saranno abbreviati". Gli uomini, all'acme della disperazione, grideranno «Padre!» e il Padre verrà, e Maria verrà e la Vita ricomincerà a circolare nell'universo, perché lì dove ci sarà un sorriso di uomo, ci sarà il sorriso stesso di Dio.

«Gli astri cadranno dal cielo».
Gli "astri" del mondo dello spirito sono i sacerdoti, dei quali Gesù ha detto: "Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,14). Gran parte dei sacerdoti, sbandati, calunniati, non compresi, dimentichi dell'unica vera arma che è la preghiera, saranno sbattuti come canne al vento e anziché essere guide e pastori, saranno guide cieche che condurranno altri ciechi. Verso dove? Verso l'Amore misericordioso del Padre, che non potrà lasciarli perire e che al minimo cenno di pentimento li abbraccerà, li rivestirà della veste nuova e li aiuterà a rinascere ed a riprendere il loro cammino che è un cammino infinito.

«Le potenze dei cieli saranno sconvolte».
"Cielo", nel linguaggio biblico, equivale a "spirito". Gli uomini si troveranno dunque in una situazione di profonda confusione morale, di caos spirituale, e non riusciranno più ad avere un quadro oggettivo e limpido della situazione nella quale si verranno a trovare. E questa situazione è già abbastanza evidente: "Verrà un tempo in cui gli uomini impazziranno - disse Antonio il Grande - e se qualcuno ragionerà gli diranno: tu sei pazzo".

Padre Andrea D'Ascanio

NON DIMENTICHIAMOLI



La preghiera per i nostri cari defunti 
è un bisogno del cuore, 
è un dovere che noi abbiamo verso coloro 
che in vita ci amarono tanto 
e ci fecero del bene.

 Caterina da Genova


“...vista spaventosa dei propri peccati...”

“Grande è l’afflizione delle Anime del Purgatorio alla vista spaventosa dei propri peccati che dovranno espiare con sommo dolore in questo luogo di purificazione. Da vivi, infatti, non erano sufficientemente consapevoli dell’entità delle loro colpe che in Purgatorio emergono molto chiare”.
O Eterno Padre, Dio Santo ed Onnipotente, Dio Santo ed Immortale, io ti amo e ti adoro sopra ogni cosa poiché Tu sei Misericordia infinita e mi dolgo con tutto il cuore di averti offeso.
D’ora in poi intendo adoperarmi in tutti i modi per non allontanarmi più da Te. Donami nuovamente, o mio Dio, la tua grazia. Abbi pietà di me ed abbi pietà dei nostri fratelli del Purgatorio.
O Maria, Madre di Dio, piena di grazia, vieni in aiuto alle Anime del Purgatorio con la tua potente intercessione. Per mezzo di essa, possa Gesù, il Tuo amatissimo Figlio e nostro Signore, concedere loro di partecipare alla sua gloria ed alla sua beatitudine.
Padre Nostro, Ave Maria, Eterno Riposo