venerdì 25 ottobre 2019

L’UOMO NEL DISEGNO DI DIO



1a MEDITAZIONE

In una delle sue e operette morali Leopardi racconta di un islandese, che aveva un desiderio nella vita: non offendere nessuno e non essere offeso da nessuno. Per realizzare questo prima ha dovuto abbandonare la compagnia degli uomini, perché è impossibile stare con gli uomini senza subire offese. Non cʼè riuscito perché, se è vero che non offendeva nessuno, la natura offendeva lui: lo offendeva con il freddo, lo offendeva con il caldo; lo offendeva con le minacce del terremoto, con le minacce delle catastrofi naturali, per cui deve cercare di fuggire anche dalla natura oltre che dallʼuomo. Arriva in Africa, attraversa lʼequatore. In un territorio disabitato incontra una immensa donna appoggiata con la schiena ad una montagna, che lo guarda con curiosità, e gli chiede chi sia e cosa faccia. Egli le risponde: “Sto scappando dalla natura”. “Bravo, mi sei venuto proprio in braccio, la natura sono io!”. Di fronte alla natura questo islandese dice tutto il suo lamento, il motivo della sua angoscia, cioè che lʼha scoperta nemica degli uomini, carnefice della propria famiglia. E la Natura gli risponde che lʼerrore sta nel pensare che essa abbia creato lʼuniverso per lʼuomo, ma non è così. “Io se faccio del bene agli uomini non me ne accorgo e se faccio del male non mi è noto; può anche succedere che io faccia scomparire tutta la stirpe degli uomini e non ci faccia nemmeno caso”. Allora questo islandese chiede: “A chi piace e a chi giova questa vita infelicissima? Perché creare un mondo così, dove nessuno ci guadagna niente; né lʼuomo né la natura?”. A questa domanda non cʼè risposta perché arrivano due leoni che ingoiano lʼislandese e una tempesta di sabbia lo copre. Questo racconto, che almeno per quanto mi riguarda è sempre stato affascinante, riflette  sulla natura e del suo rapporto con lʼuomo. 

Nel 1224 dopo una notte trascorsa nella sofferenza fisica, tormentato dai topi, Francesco ha intonato quel canto che conoscete bene: “Altissimo, onnipotente, bon Signore, tue soʼ le laude, la gloria et lʼhonore et omne benedictione… Laudato sii mi Signore…”. Anche questo modo di vedere il mondo e la presenza dellʼuomo nella natura e la natura benefica nei confronti dellʼuomo è affascinante: il sole che illumina e riscalda, il fuoco che è “robustoso et forte” e che allude in qualche modo a Dio, lʼacqua che è “humile et pretiosa et casta”. San Francesco sente la natura come vicina a lui: fratello, sorella, la madre terra, come se nella natura egli fosse in famiglia, come se si sentisse a suo agio, sostenuto, nutrito. Ma non tutto è tranquillo, parla di infermità, di altre tribolazioni, parla anche di queste cose, ma nonostante questo la natura gli appare positiva: positiva per lʼuomo, benevola nei suoi confronti anche in quello che appare assurdo, estremo; la morte, non è un male assoluto e anche per questo deve esser lodato Dio perché è quel passaggio attraverso cui lʼesistenza dellʼuomo viene liberata da ogni tribolazione, infermità, e arriva alla sua pienezza, al suo compimento.

Due modi affascinanti come pensiero letterario. La differenza sta nel percepire la natura come creatura di Dio, creatura accanto allʼuomo in una visione antropocentrica. Le creature sono considerate da San Francesco nel loro rapporto con lʼuomo: il sole è il mezzo per cui siamo illuminanti, lʼacqua è quella che per noi è umile, utile, preziosa; insomma lʼottica della lettura della natura è per la vita e per il bene dellʼuomo. Alla radice della natura, alla sua origine  sta una volontà benefica, una volontà di amore che è il messaggio fondamentale sulla creazione che sta dentro in profondità alla visione cristiana della vita del mondo. La natura, nellʼottica della fede, è una creatura voluta pensata e realizzata da Dio. La scrittura la presenta in tanti modi, con immagini diverse che descrivono lʼazione creatrice di Dio: quella del decreto regale del re che emette un decreto e di fronte al quale si compie un disegno di volontà regale, oppure come un combattente vittorioso che mette ordine nel mondo, oppure come un artigiano che con la sua arte plasma il mondo, la natura, lʼuomo. La cosa interessante è riuscire a capire che cosa questo messaggio sulla creazione dice sulla nostra vita e che cosa cambia nel nostro modo di pensare e di sentire.

 La prima osservazione può essere questa: i testi biblici che riguardano il messaggio della creazione sono generalmente considerati legati al periodo dellʼesilio babilonese: Israele era deportato in Babilonia e qui la riflessione sullʼazione creatrice di Dio è diventata matura. Perché è diventata matura in quel contesto? Primo motivo: è la risposta alla tentazione di disperazione che Israele ha dovuto affrontare; lʼesilio a Babilonia è espressione dello strapotere dei suoi nemici, dellʼimpero babilonese e, nellʼottica antica, è lo strapotere degli dei di Babilonia. Gli dei di Babilonia hanno vinto: “Siamo stati schiacciati da una forza più grande di noi, più grande del nostro Dio”. Il libro di Ezechiele ricorda lo spirito con cui gli israeliti vivono in Babilonia: dicono: “Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita siamo perduti”. È di fronte a questa tentazione di considerarsi ormai vinti e senza forza che viene ricordato lʼannuncio fondamentale della creazione. Al capitolo 40 di Isaia, al versetto 12, si legge questo (i capitoli dal 40 al 55 sono chiamati “secondo Isaia” e sono opera di un profeta del tempo dellʼesilio di Babilonia e quindi vanno letti in quel contesto):

Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare e ha calcolato lʼestensione dei cieli con il palmo? Chi ha misurato con il moggio la polvere della terra, ha pesato con la stadera le montagne e i colli con la bilancia? Chi ha diretto lo spirito del Signore e come suo consigliere gli ha dato suggerimenti? A chi ha chiesto consiglio, perché lo istruisse e gli insegnasse il sentiero della giustizia e lo ammaestrasse nella scienza e gli rivelasse la via della prudenza? Ecco, le nazioni son come una goccia da un secchio, contano come il pulviscolo sulla bilancia; ecco, le isole pesano quanto un granello di polvere. Il Libano non basterebbe per accendere il rogo, né le sue bestie per lʼolocausto. Tutte le nazioni sono come un nulla davanti a lui, come niente e vanità sono da lui ritenute. A chi potreste paragonare Dio e quale immagine mettergli a confronto? Il fabbro fonde lʼidolo, lʼorafo lo riveste di oro e fonde catenelle dʼargento.  Si aiutano lʼun lʼaltro; uno dice al compagno «Coraggio!». Il fabbro incoraggia lʼorafo; chi leviga con il martello incoraggia chi batte lʼincudine, dicendo della saldatura: «Va bene» e fissa lʼidolo con chiodi perché non si muova. Chi ha poco da offrire sceglie un legno che non marcisce; si cerca un artista abile, perché gli faccia una statua che non si muova. 
Non lo sapete forse? Non lo avete udito? Non vi fu forse annunziato dal principio? Non avete capito le fondamenta della terra? Egli siede sopra la volta del mondo, da dove gli abitanti sembrano cavallette. Egli stende il cielo come un velo, lo spiega come una tenda dove abitare; egli riduce a nulla i potenti e annienta i signori della terra. Sono appena piantati, appena seminati, appena i loro steli hanno messo radici nella terra, egli soffia su di loro ed essi seccano e lʼuragano li strappa via come paglia. «A chi potreste paragonarmi quasi che io gli sia pari?» dice il Santo. Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato quegli astri? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e li chiama tutti per nome; per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuno. Perché dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: «La mia sorte è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio?». Non lo sai forse? Non lo hai udito? Dio eterno è il Signore, creatore di tutta la terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dá forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi. (Is 40,12-31)  

Questo è il messaggio della creazione: non ci sono poteri mondani che possano prevalere sul disegno di Dio. Dio è, ma il potere di Dio è sorgente di fiducia, di speranza, di energia spirituale, capace di schiacciare ogni forza mondana di difesa, sorgente di speranza spirituale che si rinnova dentro il cuore dellʼuomo. Proprio perché Dio è il creatore del mondo, lʼuomo non ha da temere di fronte alle potenze o alle forze che lo minacciano, nemmeno di fronte alla scelta del futuro. Queste paure sono proprie dei pagani, dice Geremia, al capitolo 10:

«Non imitate la condotta delle genti e non abbiate paura dei segni del cielo, perché le genti hanno paura di essi.» (Ger 10,2) 

 Capite? Quel bisogno di sicurezza che porta lʼuomo dagli astrologi, dai cartomanti, da tutti questi accidenti possibili e immaginabili, sono lʼespressione di un paganesimo che non riconosce nel mondo, nella vita, la sovranità di Dio. Il fatto è che questo mondo è nelle sue mani e che Egli lo ho creato. Dentro quindi allʼesperienza del mondo, anche a quella della morte, ci ricordava San Francesco, rimane il volto di Dio, rimane la sua libertà, come libertà di amore. Allora ritrovare il messaggio della creazione, consente di trovare un atteggiamento fondamentale di fiducia nei confronti della realtà, che non è un atteggiamento facile, perché quello che Leopardi dice è vero. Da un certo punto di vista lo potete mettere tranquillamente insieme a San Francesco. Non è una visione del tutto falsa sulla natura: è una visione intelligente quella di Leopardi! Il problema però è sapere se questa visione è quella possibile dal tetto in giù o se invece dal tetto in su; se ci può essere qualche cosa che può permettere di vedere la stessa realtà senza considerarla in modo magico nella sua durezza, e riuscire a vederla dentro il disegno di Dio. Si potrebbe rileggere quellʼinizio della scrittura, il capitolo primo della Genesi, che contiene  in una specie di grande poema liturgico, in sette strofe, esattamente questo messaggio. La creazione non è una affermazione di tipo scientifico, è una affermazione di tipo teologico e, in fondo, liturgico. Si potrebbe quindi leggere questo capitolo come  un grande poema liturgico dove viene annunciata lʼopera di Dio nella creazione dellʼuniverso e nellʼordinamento del mondo. 

In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano lʼabisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno. Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina… (Gen 1,1-8) 

È un testo che deve stare dentro alla memoria del cuore come fondamento. Sono sette strofe che si possono dividere 3,3+1. Lʼultima è quella che riguarda il sabato, il riposo di Dio; le altre sei dividono lʼopera di Dio in due momenti. Prima di tutto lʼopera di separazione: le tenebre dalla luce, le acque di sotto da quelle di sopra, il bagnato dallʼasciutto e i primi tre giorni passano. Dio costruisce in questi tre giorni  una grande casa e negli altri tre giorni la popola, vi mette gli inquilini: il sole, la luna e le stelle, che segnano il tempo del giorno e della notte. Poi nel quinto giorno gli uccelli  e i pesci che popolano le acque di sopra e quelle di sotto e  il sesto giorno gli animali e lʼuomo. Quando si arriva alle creature viventi, lʼopera di Dio è accompagnata dalla benedizione: quella forza di Dio che fa vivere, che trasmette vita e i viventi sono creature benedette, proprio perché sono in grado di comunicare vita, di trasmettere vita, secondo la propria specie. Così si esprime il grande racconto della creazione nel capitolo primo della Genesi. Ma qual è il suo significato? Quale la sua rilevanza? Forse per capirlo vale la pena contrapporvi  unʼaltra visione di origine del mondo, di spiegazione del mondo è che antica e moderna nello stesso tempo. Antica perché risale a Democrito che scriveva che tutto ciò che esiste nel mondo è frutto del caso e della necessità. La necessità è evidentemente quello  che avviene secondo schemi regolari e quindi è comprensibile per lʼintelligenza dellʼuomo; il caso è quello che avviene nel modo irregolare e non è comprensibile. Se ricordate il caso e la necessità è il titolo di un libro famoso di un premio Nobel, J. Monod, che voleva esattamente interpretare il senso della realtà: “Il caso e la necessità”. Lʼidea era che allʼorigine di tutto ci fosse qualcosa di indistinto, di senza forma e da questo complesso senza forma, secondo le regole che stanno dentro, scritte dentro la sua realtà si producono casualmente tutte le cose fino a quella complessità del mondo che abbiamo noi. 

Aggiungiamo qualcosa dʼaltro. Diceva Platone che le cose più belle che ci sono nel mondo sono quelle che sono nate dalla natura e dal caso, cioè dal mondo in cui viviamo e che invece il terzo elemento che cʼè nella realtà del mondo, lʼarte, è qualche cosa di successivo. Lʼarte viene dopo o come continuazione della natura per es. lʼarte dei medici o come imitazione della natura, lʼarte dellʼartista.  Lʼarte considerata da Platone e poi da Aristotele come una forma di imitazione della natura, è di forma assolutamente infantile: di fronte alla bellezza della natura lʼarte vale zero. In tutti i modi in questa logica ci sono prima le regole della natura, secondo la necessità, poi lʼarte dellʼuomo. Se ha ragione il libro della Genesi, lʼottica vuole capovolta, prima lʼarte e poi cʼè la natura. È un artista che ha fatto la natura e le sue leggi, le sue necessità. Le sue leggi e le sue necessità non sono origine: la volontà di Dio, lʼarte di Dio, la libertà di Dio, il progetto di Dio, il disegno di Dio sono lʼorigine. Quindi prima cʼè lʼarte e poi viene la natura, prima la libertà e poi viene la necessità, prima la libertà di Dio che crea e poi il mondo, che Dio ha creato e che andrà avanti con le sue regole. Prima viene la persona, poi viene quello che appare al mondo. La natura per certi aspetti è anonima. Ha ragione Leopardi dicendo che quando questa fa il male o il bene non se ne accorge, appartiene in qualche modo a quello che si direbbe Fato, quello dei Greci, a cui tutti sono sottomessi compreso Giove. Giove stesso deve essere sottomesso al fato (lì non cʼè santo che tenga), è una realtà invincibile. Allʼorigine, secondo la scrittura no, allʼorigine cʼè il volto di Dio, il volto sapiente di Dio, cʼè un disegno, cʼè unʼintelligenza. È vero che cʼè la ripetizione nella natura, ma prima cʼè la creatività, prima della ripetizione cʼè lʼinvenzione. Come dicevo, presso i Greci il fato è onnipotente, nella visione biblica il mondo è liberato dal fato, liberato da un destino anonimo. Il mondo è consegnato allʼuomo, alla libertà dellʼuomo perché lʼuomo se ne assuma la responsabilità. Lʼatto creativo è un atto che colloca lʼuomo in una condizione di responsabilità di fronte a Dio. 

Il mondo non si spiega da sé ma è spiegabile solo in riferimento allʼAltro, come qualche cosa che viene dallʼAltro e che risponde a questo Altro. In fondo nella concezione biblica esistere è lo stesso che essere chiamato. Esisto vuol dire sono chiamato allʼesistenza e “io sono chiamato” deve avere un suono personale, un suono di libertà, un suono di responsabilità. Il riferimento alla trascendenza vuole dire essenzialmente questo: il mondo non è narcisista: lʼuomo non è autosufficiente, non può, non deve fare riferimento solo a se stesso per essere capito, anche il mondo trova la sua spiegazione nella relazione, nellʼessere rapportato ad un altro, nel riferimento ad un altro. Da questo punto di vista il messaggio biblico è un messaggio prezioso, che ha dei riflessi enormi sul modo in cui lʼuomo può concepire se stesso, la sua vita e il suo rapporto con la natura e con la storia. Se siamo al mondo per caso, per definizione non cʼè intelligibilità delle cose e quelle intelligibilità che si possono raggiungere sono senza significato, perché il complesso dellʼuniverso è caotico e senza un disegno, senza uno scopo, senza una fisionomia. 

Così ancora, il mondo non è Dio nella concezione biblica, è radicalmente contrapposto alla visione panteistica. Le religioni indiane tendono ad una visione panteistica della realtà secondo cui il mondo, nella sua realtà profonda è Dio. Tutto quello che esiste è una manifestazione della divinità, in un modo o nellʼaltro. La natura non è biblica, è lontana mille miglia dal nostro messaggio. La realtà non è Dio, viene da Dio, risponde a Dio, ma non è Dio. Questo è il motivo per cui è possibile allʼuomo di intervenire sul mondo e trasformarlo, dare una forma nuova, umana alla realtà. Se il mondo fosse divino e in sè quindi sacro, sarebbe  un mondo tabù, guai a cambiarlo e a toccarlo, lʼunico atteggiamento possibile sarebbe il muoversi il meno che si può per danneggiare il meno possibile quella realtà divina che è lʼuniverso stesso. Ma nella concezione biblica allʼuomo  è data la responsabilità sullʼ universo, sul mondo materiale. Responsabilità che non vuol dire che lʼuomo può fare quello che gli pare, ma che ha il dovere di rendere conto dei suoi interventi anche se i suoi interventi sono necessari e stanno dentro lʼottica del disegno di Dio.

Così ancora: è lontano dalla concezione biblica quella del dualismo, quella dottrina secondo cui allʼorigine dellʼuniverso ci sono due principi uguali e contrapposti: il bene e il male, il bianco e il nero. Contrapposti ma in fondo dipendenti lʼuno dallʼaltro, per cui ognuno ha bisogno dellʼaltro. Cʼè  bisogno di bene e anche di male perché lʼuomo lo trae dallʼaltro e viceversa. Allʼorigine sta la guerra, allʼorigine del mondo sta la guerra tra questi due principi fondamentali e i contrasti dentro la realtà manifestano questʼorigine dualista del mondo. Anche questo non è biblico, nellʼottica biblica il mondo viene dallʼunico Dio ed è buono. Resta da spiegare perché cʼè il male, però questo certamente non è collocabile di fronte al bene, allo stesso livello di essere, di esistenza. Al contrario lʼunico principio è lʼamore Dio, quindi il bene. Anche il dualismo è fuori da questa logica, come sono fuori del disegno biblico tutte le dottrine gnostiche: una visione dellʼuniverso che ha avuto un influsso notevole nella storia del pensiero occidentale perché interpreta il mondo come caduta dellʼessere nella materia, per cui la materia di cui è fatto il mondo è realtà negativa che esprime una decadenza dellʼessere. Lʼincarnazione cioè lʼingresso dellʼessere dentro la materia è un decadimento dellʼessere in quanto tale; tradotto vuole dire: la materia è male, nellʼuomo cʼè una scintilla di luce di cui lʼuomo deve diventare consapevole e tutto lo sforzo dellʼesperienza umana è quello di liberare la scintilla di luce che noi siamo da quella pesantezza di materia che ci opprime. Questo non ha nulla a che fare col pensiero biblico. La materia è natura vivente, quindi non cʼè dubbio che sia essenzialmente buona, positiva. Dicevo: cʼè un  riconoscimento di valore dentro la realtà in quanto tale ed è significativo che in quel capitolo 1° della Genesi, cui facevamo riferimento, ogni azione creativa di Dio si conclude con “…e Dio vide che era una cosa buona”, fino allʼultimo giorno quando Dio di fronte allʼuomo e a tutto il complesso che ha creato, quindi il cosmo comʼè uscito dalla sua volontà,  dice “cosa molto buona”.  Cʼè quindi un giudizio chiaro di positività di tutto quello che esiste, materia compresa. Il primo passo che ci viene chiesto è riuscire a dire un sì cordiale alla realtà del mondo, e dobbiamo riuscire a dirlo nonostante la visione di Leopardi, senza far finta che le cose non siano così, senza far finta che la natura non sia dura perché essa ha durezze impressionanti che in certi momenti sperimentiamo veramente. Siamo chiamati a dire il  nostro sì allʼesistenza del mondo, della natura, dellʼuomo  e della storia e degli avvenimenti con questa consapevolezza, nella fiducia che dentro questa realtà si compia il disegno consapevole e sapiente di Dio, che nasce dal suo amore. Abbiamo detto tante volte che la formula fondamentale dellʼamore è: “io voglio che tu esista”, e lʼatto della creazione è quellʼoriginario atto di amore che Dio ha posto e che da valore a tutti gli altri atti dʼamore che debbono accompagnare la storia dellʼuomo. Quando io dico di sì allʼesistenza delle persone che ho accanto, il mio è un piccolo sì che si innesta sul sì originario e creativo di Dio allʼuniverso: “e Dio vide che era cosa buona”. Attraverso questi sei giorni della creazione il mondo diventa un “cosmos”, cioè qualcosa di ordinato, cʼè una cosmesi, in qualche modo, del mondo, operata da Dio e proprio  per questo il senso ultimo della realtà è dato dalla parola di Dio  che chiama. Nel capitolo 3,32 del libro di Baruc si legge così: 

“Colui che sa tutto, la conosce [la sapienza] e lʼha scrutata con intelligenza. È lui che nel volger dei tempi ha stabilito la terra e lʼha riempita dʼanimali; lui che invia la luce ed essa va, che la richiama ed essa obbedisce con tremore. Le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono; egli le chiama e rispondono: «Eccoci» e brillano di gioia per colui che le ha create”. (Bar 3,32-35)

Questa immagine delle stelle che rispondono a Dio con la loro luce e che con essa esprimono la gioia della creazione di Dio, questa luce che esiste obbedendo alla chiamata di Dio, obbedendogli con tremore, alla fine vuole esprimere la vocazione e il senso dellʼuniverso. Anche il senso dellʼuomo nellʼuniverso! Noi abbiamo imparato a recitare la preghiera del mattino essenzialmente per questo: quando al mattino, dopo un periodo di non coscienza completa di me, riapro gli occhi e rivedo il mondo e la luce e i colori e le forme e le cose, perché io mi sappia collocare nei confronti di questo mondo nel modo migliore, e ci riesco se rinnovo la consapevolezza di stare davanti a Dio. Che il mio stare nel mondo è essere di fronte a Dio che lo ha creato, che il mio respirare e vedere e sentire è il mio respirare e vedere e sentire che  risponde a una chiamata: “ Egli manda la luce ed essa va, la richiama ed essa obbedisce tremante. Le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono”. È questo ciò cui ci chiamerebbe il messaggio della creazione. Non è un messaggio scientifico. Non vuole dire il come cronologicamente il mondo è stato formato, come sono cresciute le complessità degli esseri viventi o tutte queste cose qui. Ma vuole dire qual è lʼatteggiamento giusto che io, persona umana libera, sono chiamata ad avere di fronte a quella realtà di cui faccio parte: il mondo, ma di cui sono anche consapevole nella mia alterità, nella mia diversità. Come mi colloco lì di fronte? Le cose che abbiamo detto vorrebbero condurci a questo atteggiamento di fondo. A questo atteggiamento dovrebbe condurvi anche lʼesercizio che dovete fare: 1) Dovete provare a guardarvi dentro e a verificare gli atteggiamenti di fondo che noi abbiamo nei confronti della realtà del mondo, inteso nel senso più ampio possibile. I quali atteggiamenti vanno in tre linee diverse, quella della seduzione, cioè quella dellʼessere sedotti: il mondo è bello, è forte, è interessante e può essere seduttore, cioè nel senso che sono tentato di sposarlo, di giocare tutta la mia esistenza in questo rapporto mondano. O, dallʼaltra parte, la paura del mondo, perché il mondo, la natura, le esperienze sono anche delle pesantezze grandi nella nostra vita e se uno guarda il suo passato  forse ci trova anche dei buchi, cioè delle realtà che sono distruttrici di speranza o di gioia. Allora o seduzione, in qualche modo essere incatenati dal mondo o paura e quindi in contrasto radicale col mondo. O, invece, quellʼatteggiamento fondamentale che la fede ci richiederebbe che è la fiducia nel riconoscimento del mondo come qualche cosa che viene da Dio e quindi dalla sua consapevolezza e dal suo amore. 2) Dovreste scrivere un salmo cioè una preghiera di lode e di ringraziamento al Signore, nella stessa ottica di quella di S. Francesco (senza la pretesa di farla bella come la sua), nella prospettiva della lode al Signore, per le sue creature. Cʼè un bellissimo salmo nella Bibbia, Salmo 104, che comincia con:

“Benedici il Signore, anima mia, Signore, mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore” (Sal 104,1)

 e va avanti a descrivere la creazione del mondo in questa logica della benedizione del Signore. Potreste prendere il primo versetto e poi riscrivere voi un salmo con lʼesperienza della vostra vita, del mondo, della realtà delle cose.

S.E. Mons. LUCIANO MONARI

Nessun commento:

Posta un commento