venerdì 25 ottobre 2019

ILDEGARDA DI BINGEN


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Questa visione straordinaria esige una risposta e vuol dare alla vita di Ildegarda una nuova direzione. Di questo avvenimento Ildegarda stessa dà la data con precisione, meglio ancora, con solennità. Lei introduce così la descrizione: “Nell’anno 1141 dell’Incarnazione di Gesù Cristo,Figlio di Dio, quando io contavo quarantadue anni e sette mesi vidi un grandissimo splendore: in esso si fece udire una voce dal cielo che mi disse: ‘O essere fragile, cenere da cenere e putredine da putredine, scrivi quello che vedi e odi’”. Questa visione è per Ildegarda una specie di battesimo di fuoco; la descrive così: “Una luce fiammeggiante con bagliori simili a quelli di un fulmine venne dal cielo e scese su di me, m’inondò il cervello, mi penetrò pure il petto con una fiamma che non consuma ma riscalda, come fa il sole per quanto cade sotto i suoi raggi. E d’improvviso mi aprì ilsenso delle Scritture, del Salterio, del Vangelo e degli altri libri del Vecchio e del NuovoTestamento, il loro senso, non il significato parola per parola, o altre regole retoriche. ‘Scrivi quello che vedi e odi’, così la voce”.

Per Ildegarda non fu facile aderire all’ingiunzione divina. Era troppo convinta della sua pochezza ed ignoranza. Vi si aggiungeva poi l’insicurezza di fronte alle cose straordinarie di cui era oggetto.
“Tutto ciò che ho descritto” ci spiega “io l’avevo visto e udito, tuttavia rifiutavo di descriverlo, non per ostinazione, ma nella convinzione della mia incapacità, a causa dei dubbi, dell’opinione non favorevole e delle diverse interpretazioni che vi si davano, fintanto che, come Dio vuole, caddi malata e infine, costretta nelle molte sofferenze, misi mano a scrivere”. Dice in latino: ‘manus  ad scribendum opposui”. Così inizia la sua attività di scrittrice e anche di questo inizio ci dà la data,mettendola in relazione con gli avvenimenti del tempo e del luogo in cui viveva: “Al tempo di Enrico, vescovo di Magonza, e di Corrado, re di Roma, di Kuno, abate di Disibodenberg, sotto Eugenio, papa, successero queste visioni e parole. Ed io le dissi e scrissi non secondo il mio sentire, o quello di altre persone, ma secondo come le vidi e le udii e ricevetti dal cielo per le vie misteriose e nascoste di Dio”.

Ma l’insicurezza le rimaneva. La visione poteva venire sì da Dio, ma sarebbe stato accolto il messaggio da una donna “semplice”, cioè, incolta? Assicurarla poteva soltanto una persona che alla profondità della dottrina unisse alla santità di vita e una tale persona era nell’anno 1147 non lontana: Bernardo di Chiaravalle era allora a Treviri per il Sinodo a cui prendeva parte pure un altro cisterciense, papa Eugenio III. Diamo qualcosa della lettera che Ildegarda gli scrive e della risposta di Bernardo. Ildegarda: “Sono in pena per questa visione che mi si rivela nell’anima in maniera misteriosa. Mai ne ho presa coscienza con gli occhi di carne. O mite Padre, nella Tua bontà rispondi alla Tua indegna serva che dall’infanzia mai ha vissuto una sola ora di sicurezza… Io mi affretto a venire a Te… Tu sei l’aquila che fissa lo sguardo nel sole”. E Bernardo risponde, poche parole, chiare e rassicuranti: “Ci rallegriamo con Te per la grazia che Dio opera in Te. Per quanto mi riguarda, io Ti esorto e scongiuro di stimarla come una grazia e di corrispondervi con tutta la forza del Tuo amore dell’umiltà e della dedizione”.

Intanto l’abate del monastero di Disibodenberg, Helinger, ne parla con il vescovo e Ildegarda stessa racconta nell’eremitaggio di Disibodenberg parla della sua incertezza con Jutta, la quale la consiglia di parlarne con un monaco, che molto probabilmente è lo stesso che più tardi sarà il segretario di Ildegarda. Il monaco ne parla con l’abate e l’abate parla con il vescovo. Il vescovo infine ne parla con il papa. Il papa che si trova in quel periodo a Treviri, a poca distanza da Disibodenberg, manda per questo motivo due suoi legati a Disibodenberg, incaricandoli di fare conoscenza personale di Ildegarda, di prendere informazioni molto precise su di lei e di chiedere pure di leggere il libro che Ildegarda sta scrivendo, lo Scivias, che verrà portato a termine nel 1151. Riguarda al titolo Ildgarda dice: “Nella mia visione ho saputo che a questo mio libro che dovevo scrivere per incarico di Dio dovevo dare il nome di ‘Sci vias Domini’”. Generalmente questo titolo viene tradotto “Conosci le vie del Signore”, ma non credo che questa sia la traduzione giusta, anche per quanto Ildegarda dice in seguito,  facendo questa osservazione: “Ho conosciuto le vie del Signore”. È la sua testimonianza sulla vita dell’uomo, sulla Chiesa, sulla storia.

Come leggiamo negli Atti della canonizzazione, Eugenio III stesso lo legge personalmente ai membri del Sinodo. A quanto ci racconta, Bernardo di Chiaravalle sarebbe intervenuto personalmente presso il papa con la preghiera di non lasciare che una simile lucerna restasse nascosta e il papa si mostra non solo favorevole nella richiesta ma esorta pure Ildegarda con una lettera, che abbiamo, a corrispondere alla grazia a lei fatta e a scrivere quanto verrebbe a conoscere nelle sue visioni, Così gli anni della solitudine e del silenzio volgono alla fine e nello stesso tempo, quasi per rendere più evidente la nuova direzione in cui procedere viene ingiunta in visione a Ildegarda di lasciare l’eremo e come nuova sede per la piccola comunità, che ormai contava diciotto persone, le viene indicato il monte di san Ruperto, il Rupertsberg, nella vicinanza di Bingen, sul Reno, dove, secoli addietro, questo giovane santo era vissuto e morto.

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Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

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