domenica 2 febbraio 2025

Rapporto tra la ragione umana e le verità di fede

 


Si deve notare che le cose sensibili, dalle quali la ragione umana desume la conoscenza, conservano in sé un certo vestigio della causalità divina, però così imperfetto da essere del tutto insufficiente a manifestare la natura stessa di Dio. Poiché gli effetti conservano in una certa misura la somiglianza con la loro causa, perché ogni agente produce una cosa a sé somigliante; ma l'effetto non sempre raggiunge una perfetta somiglianza. Perciò la ragione umana nel conoscere le verità di fede, che possono essere evidenti solo a coloro che contemplano l'essenza di Dio, è in grado di raccoglierne certe analogie, che però non sono sufficienti a dimostrare codeste verità o a comprenderle per intuizione intellettiva. Tuttavia è proficuo per la mente umana esercitarsi in tali ragionamenti per quanto inadeguati, purché non si abbia la presunzione di comprendere o di dimostrare: poiché poter intendere anche poco e debolmente le cose e le realtà più sublimi procura la più grande gioia, come abbiamo già notato sopra [c. 5].  

 Tale considerazione è confermata dall'autorità di S. Ilario, il quale afferma nel secondo libro del De Trinitate [cc. 10, 11], a proposito delle verità di fede: «Nella tua fede inizia, progredisci, insisti: sebbene io sappia che non arriverai alla fine, mi rallegrerò del tuo progresso. Chi infatti si muove con fervore verso l'infinito, anche se non arriva mai, tuttavia va sempre avanti. Però non presumere di penetrare il mistero, e non ti immergere nell'arcano di una natura infinita, immaginando di comprendere il tutto dell'intelligibile: ma cerca di capire che si tratta di realtà incomprensibili».  

Da quanto abbiamo detto risulta evidente che il sapiente deve mirare alle due serie delle verità divine, e alla confutazione degli errori contrari: circa la prima serie l'investigazione razionale è sufficiente; la seconda invece supera ogni risorsa della ragione. Ho parlato di due serie di verità divine non in riferimento a Dio, che è la verità unica e semplice, ma in riferimento alla nostra conoscenza, che nel conoscere le cose di Dio ha varie maniere.  

 Perciò nell'esporre le verità della prima serie bisogna procedere con ragioni dimostrative, capaci di convincere gli avversari. Ma poiché tali ragioni non possono applicarsi alla seconda serie, non si deve mirare a convincere l'avversario col ragionamento; bensì a risolvere gli argomenti da lui addotti contro la verità; poiché la ragione naturale non può essere contraria alle verità della fede, come sopra [c. 7] abbiamo dimostrato. Il modo singolare di convincere l'avversario che combatte verità di questo genere, consiste nell'addurre l'autorità della Scrittura confermata divinamente dai miracoli: poiché quanto supera la ragione umana, non lo crediamo se non per rivelazione divina. Tuttavia nell'esporre codeste verità è bene addurre degli argomenti probabili, perché la fede dei credenti trovi il modo di esercitarsi e di confortarsi, senza la pretesa però di convincere gli avversari: poiché la debolezza stessa di tali argomenti potrebbe confermarli maggiormente nei loro errori, pensando essi che noi accettiamo le verità di fede per degli argomenti così fragili.  

 Volendo perciò procedere secondo il metodo indicato, cercheremo prima di esporre quella serie di verità che è insieme professata dalla fede e investigata dalla ragione, portando argomenti, sia dimostrativi che probabili, desunti in parte dai libri dei filosofi e dei santi, capaci di confermare la verità e di convincere gli avversari [lib. I-III]. Quindi, passando dalle cose più note a quelle meno note, esporremo quella serie di verità che sorpassa la ragione [lib. IV], illustreremo le verità di fede, per quanto Dio ce lo concederà, sciogliendo gli argomenti degli avversari, sia con ragioni probabili che con argomenti d'autorità.  

 Volendo perciò procedere razionalmente nell'esporre quanto la ragione umana può investigare su Dio, in primo luogo si presenta lo studio di ciò che va attribuito a Dio in se stesso [lib. I];. secondo, la derivazione delle creature da lui [lib. II]; terzo, il tendere ordinato delle creature verso di lui come loro fine [lib. III].  

 Alle cose da considerare circa Dio in se stesso, si deve premettere, come fondamento necessario di tutta l'opera, la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Poiché in mancanza di questa, ogni ricerca intorno alle cose di Dio sarebbe necessariamente distrutta. 

SAN TOMMASO D’AQUINO

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