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venerdì 4 febbraio 2022

DALL'UOMO A DIO

 


LA SCALA DI GIACOBBE 


Povertà di Dio 

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Perché sono cristiano: perché ho sete di un Dio che non sia né pura tenebra né me stesso - di un essere che, rassomigliandomi fino in fondo, sia anche tutto quello che mi manca. Perché in questo mondo voglio tutto benedire e niente divinizzare. Perché voglio conservare. ad un tempo lo sguardo limpido e il cuore ardente. Perché sento che l'avventura umana sfocia in qualcosa di diverso da una vana disperazione, da un vano interrogativo o da una vana apatia. Per conciliare il mio immenso amore e il mio immenso disgusto dell'uomo. Perché ho bisogno di luce nel mistero e di mistero nella luce. Perché voglio avere la forza di costruire e di vivere, e quella ancora più grande di sperare nella rovina e nella morte.  

Ma se spero tutto, se credo tutto, come dice San Paolo, è forse per rendere sopportabile la vita a me stesso e per essere consolato? Si tratta proprio di questi piccoli bisogni personali, quando ci si sente legati a tutto l'universo e responsabili di tutto l'universo!  

La mia passione del mondo mi fa cristiano, il mio rispetto e la mia gratitudine per questo destino che mi nutrisce e che non è «me stesso». Non mi amo abbastanza per scegliermi in cielo un Dio conforme ai miei desideri, ma amo troppo la vita per non crederla infinitamente bella, piena e giusta, per non confonderla, alla sua radice, con il Dio dei cristiani. Trasposizione della «scommessa» pascaliana dal soggetto all'oggetto.  

 

LA VITA E IL DOGMA - Non posso concepire niente di vivo, niente di reale fuori dalle cornici del dogma cristiano. Tutto - male e bene, bellezza e bruttezza, grandezza e bassezza - non giunge per me all’esistenza piena e autentica, se non in clima cristiano. Sforzi, sentimenti, dolori, drammi non cristiani mi appaiono come qualcosa di strano e irreale, come immagini di sogno. Sopprimete le realtà che il dogma esprime e le cose non respirano più, il mondo non ha più né cuore né abissi; tutti i suoi precipizi diventano elementi scenografici. Il dogma non è una cornice imposta alla vita dall'esterno, è l'espressione, la forma stessa della vita. La vita non è prigioniera del dogma, più di quanto il cuore non sia prigioniero del suo ritmo ...

Ogni cosa in me non ha senso se non in rapporto a te, o Signore. Gli stessi miei peccati ti riguardano. Ma questo mondo di fantasmi, questi uomini che non vivono al tuo cospetto con le loro gioie e le loro pene, i loro vizi e le loro virtù, che ti voltano le spalle, questa ronda di spettri che sognano e credono nei loro sogni!'  

Signore, la tua solitudine, entrata in me per un istante, m'ha divorato il cuore ...  

Queste ombre che passano e che credono di lottare, di amare, di vivere! Io fremo di fronte ai loro atti, alle loro passioni come di fronte a gesti di folli. Poiché ogni esistenza che si dispiega senza alzare gli occhi verso di Te è un'esistenza folle.    

Quel che il mondo chiama la vita è un'immensa follia collettiva, una follia organizzata, codificata, dove i pazzi si comprendono fra di loro. E ciò che esso chiama follia non aggiunge gran che a questa follia essenziale che è la dimenticanza di Dio. Coloro che il mondo tratta da alienati sono semplicemente coloro che hanno cessato di delirare all'unisono con gli altri uomini.  

 

FEDE ED ESPERIENZA - Colui che cerca Dio l'ha già trovato, colui che crede in Dio, sente già Dio. Ma questo sentimento basato sull'esperienza merita il nome di fede?    

Fides de non visis ...  

Risposta: Certo, sente già Dio colui che crede in Dio. Ma la sua fede supera la sua esperienza: egli crede perché sente, ma crede più che non senta. Credere significa dire a Dio: domani sarà più bello di oggi; le cose che m'hai dato sono il pegno delle cose che mi riservi, tu m'hai parlato abbastanza perché io abbia fede, fino alla morte, nel tuo silenzio. La fede appare così come una specie di speranza che ha le sue radici nella gratitudine. E l'esperienza da cui nasce la fede non è, parlando propriamente, l'esperienza di una «luce», è la esperienza di una sicurezza nelle tenebre.  

Fides ultima - Io credevo in Dio. Ed ora non credo più che in Dio.  

Dio è il solo essere amato con il quale si possa essere pienamente, miserabilmente sé stessi, con il quale l’amore non abbia mai e in nessun grado bisogno di mentire.  

NATURA E GRAZIA - È facile cadere al di sotto di sé stessi. Ma non si può cadere al di sotto di Dio.  

Non vediamo il bene che Iddio ci fa, perché Iddio non cessa mai di farci del bene. Niente, quanto un bene continuo, colpisce meno la coscienza. Non si è riconoscenti all'acqua di scorrere senza posa, né al sole di levarsi ogni mattino. Se Iddio non si occupasse di noi che di tanto in tanto, noi penseremmo di più alla Sua bontà. La riconoscenza è prima di tutto uno stupore.  

- Se Dio esistesse, certi orrori non esisterebbero. - m'ha gridato quest'uomo.  

Ma se Dio non esistesse, se un ordine spirituale non fosse immanente nel mondo, se il caos fosse re di ogni cosa, sarebbe anche re dell'anima tua e tu non ti indigneresti.  

Il tuo scandalo e la tua angoscia di fronte all'ordine violato, rendono testimonianza al creatore di quest'ordine. Questa indignazione che ti fa negare Iddio, è la voce stessa di un Dio, ancora oscuro, inefficiente e impaziente.    

 

DIO E L'UOMO - Ego sum qui sum, Iddio solo può parlare così. L'uomo non può che dire con Shakespeare:  

I am what I am, Ego sum quod sum, Dio è in senso assoluto.  

Ma l'uomo, dicendo: io sono questo, constata anche contemporaneamente con disperazione: io non sono che questo.  

Il dramma della perdizione e della salvezza dell'uomo si svolge tutto intorno a questo qui e a questo quod. 

Dio è morto per quest'uomo. E tuttavia Dio è morto in quest'uomo. Qui è lo scandalo del cristianesimo storico, il «mysterium iniquitatis».  

 

POVERTA' DI DIO - Dio è il più ricco e il più povero degli esseri. Egli è tutto, ma non ha niente. Egli non può dare che sé stesso. E ciò spiega il suo insuccesso. L'uomo è assetato di doni più esteriori e meno preziosi.  

Si è attirati da Dio nella misura in cui già lo si possiede, si è attirati dalle creature nella misura in cui non le si possiede ancora. Iddio delude chi non lo conosce abbastanza, le creature deludono chi le conosce troppo. Dio promette attraverso le creature, ma non adempie alla promessa che attraverso sé stesso.  

Non domandare alla stessa bevanda l'ebbrezza e il nutrimento. E se un giorno le trovi riunite, pensa che è Iddio che ti tende la coppa.  

Oggi è diventato un luogo comune dire che il cristianesimo ha arricchito l'Umanità allo stesso titolo dell'ellenismo o dell'induismo, ecc. ecc. Questo non significa niente. Il cristianesimo si presenta prima di tutto come un valore al disopra della storicità, come un assoluto. Bisogna accettarlo come un assoluto o condannarsi a non ricevere niente da lui. Dà tutto o non dà niente. Il cristianesimo non ha valore relativo.  

 

Il cristianesimo non può essere conosciuto e giudicato con verità che dal di dentro. O piuttosto può ben essere giudicato dal di fuori (e con quale precisione e quale acume!), ma questo giudizio allora non è emesso che sulla sua caricatura e sulle sue scorie umane.  

Gli increduli hanno un istinto infallibile per fiutare e mettere alla luce tutto ciò che nel cristianesimo non è cristiano. Ma anche qui essi giudicano dal di dentro!  

  

ERESIE - Non si può uscire dalla verità cattolica: essa abbraccia tutto. Ma si può tagliarla a pezzi. Si può fustigare il covone con la spiga che gli si strappa. Strano procedere, questo dei nemici della chiesa, e come non ne riconoscono la vanità?  

Se attaccano il misticismo cristiano è in nome della morale cristiana (Bayet e soci), se attaccano la morale cristiana è in nome del misticismo che Cristo (Gide ecc.) ha dato al mondo.  

Come non vedono l'origine di questi frammenti, di questi frantumi divini con cui essi tentano di colpire Dio? Non possono colpire la Chiesa che con le parti morte che essi tagliano nella sua carne viva.  

I due poli del cristianesimo affettivo sono il senso del peccato e il senso di Dio, cioè il senso del disordine, dello sciupio, della vanità e al tempo stesso. l'ossessione di una purità mortificante, di una bianchezza accecante (l'ideale vendicatore di Baudelaire... ), il presentimento crocifisso di un ordine intimo e liberatore. E questi due sentimenti, queste due sofferenze. fanno blocco e non possono esistere separatamente: per soffrire così della bassezza umana, bisogna intravvedere fa purità divina e per soffrire della purità divina bisogna vivere nella bassezza. Fuori da questo duplice punto di vista e da questo dissidio non resta che la «felice mandria degli uomini».  

 

PANTEISMO - Questa miseria, questo tradimento di non vedere in Dio che l'amore che si effonde attraverso le forme, che l'amore che crea! Oblio mortale dell'amore che non crea, della fiamma interna, di quest'aspetto inguaribilmente solitario di Dio, che non rassomiglia a niente, à cui nessuna forma, nessun universo, nessun'armonia di mondi fa da contrappeso. Peccato di Spinoza, peccato di Goethe e di Klages: rifiutarsi di veder ciò che resta di Dio al di là dell'ebrezza e dell'armonia creatrici - questo blocco schiacciante di divinità che nessuno splendore cosmico può parzialmente rappresentare né riprodurre - questa indigenza infinita della trascendenza ...  

Il panteismo è ingrato proprio nei confronti dell'universo: è radicalmente impotente ad accogliere tutta la realtà di questo mondo. Avendo dimenticato come le cose materiali siano caratterizzate da una limitatezza che dà a ciascuna il suo senso e la sua verità, esso piega necessariamente verso uno degli aspetti di questo mondo relativo e se ne fa un Dio. L'altro aspetto lo dissolve in fumo. Così il panteismo occidentale, man mano che scivolava verso il culto del mondo materiale e sensibile, ha trattato come illusioni le cose dello spirito, mentre il panteismo orientale, concentrato sul mondo interiore dello spirito, ha considerato come un puro miraggio il mondo dei sensi e delle apparenze.  

Tutti i panteismi, che teoricamente consistono nel divinizzare il mondo, non riescono infatti che a mutilare il mondo. «Chi non raccoglie con me, disperde ...».  

Colui che rinnega la mano di Dio, non stringerà mai la totalità dell'universo.  

Nell'uomo il peggior nemico dell'infinito è l'illimitato che dà l'illusione dell'infinito e che lo nasconde. Finché un essere può andare avanti, finché il limite della sua potenza, del suo amore o della sua libertà indietreggia davanti a lui, egli ignora l'infinito e non sa niente di Dio. Solo urtando contro il suo limite, egli scopre l'infinito. Dio sta sempre dietro la porta che non si può varcare.  

  

GIUSTIZIA DIVINA - «Le punizioni di Dio sono invisibili e in questo è la loro grandezza. Esse non colpiscono né la nostra felicità, né la nostra coscienza: esse sono un silenzio di Dio» (J. Giraudoux).  

Niente di più forte può essere detto sul mistero della divina vendetta. La giustizia umana non può colpirci che togliendoci qualche cosa (i nostri beni materiali, la nostra libertà, la vita ...), ma Dio, per castigarci, non ha bisogno di toccare le nostre felicità naturali; gli basta rifiutarci la felicità soprannaturale che è Lui stesso. La sua peggior vendetta consiste nel suo tacere, nel lasciarsi ignorare, nel non versare o nel non conservare più il gusto del cielo nelle nostre anime.  

Quando sembra che si vendichi diversamente, quando sembra, come oggi, punirci alla maniera degli uomini, disturbando il nostro riposo e la nostra felicità nel peccato, questa «vendetta» è ancora una manifestazione del suo amore che vuole purificarci e ricondurci a lui, costi quel che costi, e malgrado noi stessi, come il cane che insegue e morde le pecore erranti. Ma non si potrebbe concepire una situazione più derisa di castigo di quella di un'umanità che Dio, pur colmando di beni e di piaceri, quaggiù, privasse soltanto della sua presenza viva, e alla quale, lasciasse in questo caso la convinzione mostruosa che non le manca niente ...  

Più una cosa è sana, nobile o preziosa, più è pudica e discreta, meno attira l'attenzione su di sé. Al contrario più è povera o malsana, più è ingombrante e più s'impone. Un corpo malato fa sentire ad ogni istante le sue esigenze e niente è più importuno e chiassoso di un'anima malata. Sembra che l'essere supremo delle cose tremi ed esiti a diventare fenomeno; i nostri ospiti più sacri sono in piedi dietro la porta e attendono, ma non bussano. La miseria è appariscente e stridula; la trasparenza crea la modestia: la luce e Dio sono invisibili.  

Abbiamo un bel tentare d'interpretare, di ricreare a modo nostro un essere vivo e presente, non possiamo impedirgli di scompigliare le nostre interpretazioni, manifestando il suo proprio modo di essere. Ma i morti e gli assenti sono unicamente come noi li facciamo; per questo li stimiamo tanto.  

Così di Dio. Egli è quale noi lo facciamo finché noi siamo quali egli ci fa: Egli è «noi stessi» finché noi siamo «lui stesso»; Egli è il fedele riflesso del nostro nulla e dei nostri limiti, (oh, la nera storia della creazione di Dio fatta dall'uomo!) finché noi siamo il fedele riflesso della sua perfezione. Estote perfecti ... Colui che non consente a lasciarsi pienamente creare da Dio, si condanna al ridicolo sacrilegio di creare Dio.  

 

CONOSCENZA DI DIO - Dio è l'essere ad un tempo più ignorato e più prostituito. È prostituito nell'esatta misura in cui è ignorato (verbalismo religioso), è vergine nell'esatta misura in cui è veramente conosciuto e posseduto.  

Differenza fra un empio convinto e un cristiano ordinario: il primo non conosce Dio personalmente, il secondo conosce Dio di nome. 

  

Nisi dominus - I costumi e le istituzioni umane arrivano talvolta ad un tal grado di aberrazione che Dio non può manifestare la sua pietà che distruggendo. La grazia allora rientra nell'uomo con la folgore. Così avviene degli esseri, dei popoli e delle forme di civiltà, di cui Dio non può abitare che le rovine.  

Giudizio finale - L'universo non morrà: Dio lo ucciderà. In verità Iddio ama il mondo. L'indifferenza lascia morire, l'amore uccide.  

La suprema debolezza, quella che il mondo comprende di meno e disprezza di più è la debolezza del forte, il riscatto della sua forza. Ah, questa debolezza preziosa della forza che gli uomini non perdonano ... Che sia crocifisso! Tutte le debolezze, anche le più impure, anche le più vane trovano quaggiù delle consolazioni e degli appoggi, tranne la debolezza della forza.  

Discendi dalla tua croce ! Gesù ha pregato gli uomini e non ne è stato esaudito ...  

Getsemani - Le vostre gioie sono vane - ci dice Gesù - Ma almeno voi possedete questa vanità, è il vostro bene. Guardate a che miseria sono sceso: ho vanamente mendicato la vanità del vostro amore.  

 

Sitio - dice il Signore - Di che cosa la Fonte può aver sete? Che significa questa sete dell'onda infinita? La Fonte risponde: ho sete di cenere e polvere, sete di ciò che soffoca - ho sete dell'uomo ...  

GUSTAVE THIBON