1962 Rivoluzione nella Chiesa
Henri de Lubac e i “nuovi teologi”
Intorno agli anni ‘30 e ‘40, una nuova generazione di modernisti si presentava alla ribalta: erano nomi che sarebbero diventati in seguito fin troppo noti, come ad esempio quelli dei domenicani Marie-Dominique Chenu ed Yves Congar, nonché dei gesuiti Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar e, in seguito, Karl Rahner,
elaboratori di una “nouvelle théologie” (“nuova teologia”) che affondava le sue radici nel vecchio modernismo.
E difatti, esattamente come i “vecchi” modernisti, anche i nuovi teologi erano largamente infetti di immanentismo, di soggettivismo e di relativismo, con tutte le conseguenze immaginabili in campo dogmatico e morale.
* Il p. Henri de Lubac ad esempio, che era il caposcuola della nuova teologia, e che perciò è considerato un po’ come il “padre” del Concilio Vaticano II e della nuova Chiesa conciliare, aveva anch’egli come i suoi maestri modernisti un concetto assai elastico della verità.
Certo, negli scritti ufficiali il de Lubac era abbastanza cauto e attento a non lasciar troppo trapelare il suo relativismo di fondo, ma negli scritti privati, ovviamente, manifestava con più libertà il suo reale pensiero, senza i soliti fumogeni intellettuali.
In una lettera all’amico filosofo Maurice Blondel, per esempio, egli scriveva:
«(...) Il fascicolo delle “Recherches de science religieuse” che é pubblicato in questi giorni, contiene un articolo del P. Bouillard (esponente della “nuova teologia”) che discute assai fortemente le idee del P. Garrigou-Lagrange (avversario del de Lubac) sulle nozioni conciliari e le sue vedute sempliciste circa l’assoluto della verità. Quest’articolo, posso confidarvelo, è stato non solo approvato, ma desiderato dall’alto».1
Siamo certi che il de Lubac non avrebbe esitato ad accusare di “vedute sempliciste circa l’assoluto della verità” anche Nostro Signore Gesù Cristo, notoriamente alquanto intransigente a questo riguardo…
E allora, con queste premesse, nessuna meraviglia che il de Lubac ritenesse i dogmi di Fede anch’essi tutt’altro che assoluti:
“La sua (del de Lubac) affermazione principale”, avrebbe poi riassunto, infatti, il suo confratello p. M. Flick S.J. “sembra essere questa: non necessariamente le credenze ulteriori della Chiesa devono collegarsi con un legame logico a ciò che essa ha creduto sempre esplicitamente fin dai primi secoli”.2
Secondo il de Lubac, dunque, il Magistero della Chiesa avrebbe potuto tranquillamente insegnare oggi anche l’opposto di quanto insegnato ieri, e mutare periodicamente idea seguendo modernisticamente l’ispirazione della famosa coscienza umana, ossia le fantasie dei vari de Lubac di turno.
Per completare l’opera, in un suo libro (“Surnaturel”, pubblicato nel 1946) e che innescò la reazione dei teologi cattolici fino al-la condanna ufficiale con l’Enciclica Humani Generis, il de Lubac aveva presentato il suo pensiero sul rapporto tra grazia soprannaturale e natura umana: nonostante le solite ambiguità e i suoi atteggiamenti da vittima incompresa, la grazia soprannaturale vi era considerata come necessariamente dovuta da Dio all’uomo, in quanto parte costitutiva della stessa natura umana.
A chi non avesse afferrato la gravità della questione, ricordiamo che da quest’affermazione, che postulava un’umanità rimasta di fat-to nello stato di grazia, e quindi anche “autosufficiente” in ordine alla conoscenza di Dio e alla salvezza eterna, conseguiva necessariamente la demolizione del dogma del peccato originale, nel sen-so inteso dalla Chiesa, e la completa vanificazione della Rivelazione, della Redenzione e della missione della Chiesa stessa, che passavano ad essere delle realtà puramente accessorie, del tutto relative.
Infine, fatto significativo e rivelatore del fondo gnostico della nouvelle théologie, il p. de Lubac non nascondeva la sua simpatia per quella vera e propria gnosi che è il Buddismo, e pur sostenendo la “straordinaria unicità del fatto cristiano”, confessava:
“Ero sempre stato attratto dallo studio del Buddismo, che considero il più grande fatto umano, sia per la sua originalità, sia per la sua multiforme diffusione attraverso lo spazio ed il tempo, sia per la sua profondità spirituale”.3
(E a proposito: qual è l’immagine più emblematica e più riproposta del famoso “incontro interreligioso di preghiera” ad Assisi nel 1986? Sarà un caso, ma è proprio quella dell’abbraccio di Giovanni Paolo II, seguace entusiasta della nouvelle théologie, col... Dalai Lama, posto per l’occasione addirittura alla sinistra del Papa...).
Tutti gli “amici” del de Lubac
In quanto a relativismo evoluzionista, comunque, gli amici e discepoli del de Lubac non erano certo da meno del loro “maestro”.
* Il p. Hans Urs von Balthasar ad esempio, fin dal 1953, nel suo libretto “Abbattere i bastioni” (già il titolo era tutto un programma) anticipava buona parte degli errori del Concilio Vaticano II e sosteneva che la Tradizione dogmatica della Chiesa dovesse intendersi in senso vitalista-modernista:
“La tradizione - scriveva infatti il von Balthasar - (...) non può essere altro: lasciarsi portare dalla forza spirituale della generazione anteriore per avvicinarsi al mistero in maniera vitale (una verità che non fosse vitale o che non potesse ridiventare tale, non sarebbe verità)”.
E tanto per evitare fraintendimenti precisava:
“La verità della vita cristiana è in questo come la manna del deserto: non la si può mettere da parte e conservare; oggi è fresca, domani è marcia”.4
Da questo relativismo filosofico e dogmatico di fondo derivavano poi necessariamente, di necessità logica, tutti gli altri errori ed eresie del von Balthasar che egli proponeva nell’opera citata e che oggi imperano nella “Chiesa conciliare”: l’ecumenismo, l’apertura al mondo, il progettato annientamento del Primato giurisdizionale del Papa in quella che egli chiamava la futura “Chiesa petrina-mariana-giovannea”, la dissoluzione della Chiesa Cattolica Romana nella sospirata prossima ventura Chiesa “Catholica” mondialista, ecc..
Nel postconcilio, infine, il von Balthasar sosterrà anche la tesi di un Inferno “vuoto”. Nessuna meraviglia!
* Stessa musica anche per il gesuita p. Henri Bouillard, anch’egli della covata del de Lubac, che, serissimo, sentenziava:
“Quando lo spirito si evolve, una verità immutabile non si mantiene che grazie ad una evoluzione simultanea e correlativa di tutte le nozioni (...). Una teologia che non fosse attuale, sarebbe una teologia falsa”5;
mentre il suo confratello p. Gaston Fessard, dal canto suo, ironizzando su un presunto “beato assopimento” che protegge il tomismo canonizzato, ma anche, come diceva Péguy, “sotterrato”6, attaccava frontalmente la filosofia e la teologia di San Tommaso, da sempre promosse dal Magistero della Chiesa come baluardo contro ogni eresia (cfr. can. 1366, § 2 del C.I.C. 1917).
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sac. Andrea Mancinella