giovedì 11 dicembre 2025

ESTOLLENS VOCEM

 


ROSARIO

 nella eloquenza di 

VIEIRA


ESTOLLENS VOCEM


Ritornando ora e collocandoci nella quarta domanda, che abbiamo riservato per questo luogo, ciò che essa dice è ciò che non si poteva comprendere quando fu pronunciata. Ciò che si comprese allora era che il Signore parlava solo del pane ordinario, consueto, con cui il corpo è sostenuto: ma dopo averlo preso nelle sue mani sante e averlo consacrato, allora fu manifesto che parlava principalmente del suo corpo, che ci ha dato sotto la specie del pane per il sostentamento dell'anima. Per questo motivo san Luca lo chiamò pane quotidiano con il nome comune, e san Matteo con una parola nuova e propria per quel mistero, pane sovrasustanziale: "Panem nostrum supersubstantialem da nobis". (35) Egli lo chiama sovrasustanziale e nostro, anche se il nome nostro non cade, né lo dice propriamente nella stessa domanda in cui lo chiediamo. Ma proprio per questo è nostro, perché è sovrasustanziale. È così sovrasustanziale, perché gli accidenti che vediamo sono del pane; ma la sostanza non è del pane, ma del corpo di Cristo, che è sostanza su ogni sostanza. E poiché questo pane è Cristo, per questo stesso motivo è il nostro pane; perché Cristo stesso era già nostro prima di essere pane. Era pane dopo il Sacramento, ed era già nostro dalla nascita: "Parvultis natus est nobis, et Filius datus est nobis". (36) 

Ma questo stesso pane sovrasustanziale e nostro che chiediamo, perché Cristo lo ha posto nella quarta domanda, o con quale proporzione e mistero gli ha dato questo posto, quando sembra che a tutti gli effetti il ​​primo gli fosse dovuto? Il cardinale Ugo, in questa osservazione, più eminente che mai, notò che tra le sette petizioni del Padre Nostro, la quarta è nel mezzo, e dice con singolare pensiero che il Signore ha segnato questo posto per quel pane sacro, affinché, posto nel mezzo come sul confine e sull'orizzonte di due emisferi, li illuminasse entrambi, e così confinando con le petizioni che sono rivolte al cielo e a Dio, come con quelle che appartengono a questa vita, e a noi, in entrambe ugualmente ci confortasse con la sua virtù divina: "Media petitio, scilicet panem nostru!n da nobis, est communis, et quasi confinium utrarumque confortam, et dirigens transeuntem de vita temporali ad aeternam". Nelle prime tre petizioni ci occupiamo solo del cielo e di Dio, chiedendo la santificazione del suo nome, l'espansione del suo regno e l'esecuzione della sua volontà; nella seconda o ultima tre, ci occupiamo di questa vita e di noi stessi, chiedendogli di perdonare i nostri debiti, di non lasciarci cadere in tentazione e di liberarci dal peccato; e per tutto questo siamo rafforzati, posti in mezzo, dal Divin Sacramento: "Hic panis datur de coelo, et comeditur in terra". Questo pane (continua lo stesso autore) è dato dal cielo e si mangia sulla terra. In quanto è dato dal cielo, ci eleva a Dio; in quanto è mangiato sulla terra, ci conforta: a Dio, affinché soprattutto cerchiamo la sua gloria: a noi stessi. "Qui Soli medium locum tribunt, tres supra eum, totidem infra locando". I pianeti, come tutti sanno, sono sette; e perciò (dice Filone) l'Autore della natura pose il sole al quarto posto e nel quarto cielo, affinché, con tre pianeti sopra e tre sotto, e lui nel mezzo, da lì potesse meglio illuminarli tutti e comunicare loro equamente gli effetti e gli influssi della sua luce. Cristo non è più e non è meno nelle sette petizioni del Padre Nostro. Egli pose al quarto posto, e nel mezzo di esse, la petizione del Santissimo Sacramento: "Panem nostrum supersubstantialem da nobis": affinché da lì potesse ugualmente illuminarli tutti e influenzarli con la virtù della sua luce; "Sanctificetur nomen tuum: Adveniat regnum tuum: Fiat voluntas tua": le tre inferiori sono le ultime che scendono fino a noi: "Dimitte nobis debita nostra: Ne nos inducas in tentationem: Libera nos a mala": e come per i primi ci eleva come pane sovrasostanziale, così per gli ultimi ci conforta come nostro pane. Ha ancora più somiglianza con il sole nel quarto cielo.

Poiché come il sole illumina entrambi i pianeti, non solo di giorno, ma anche di notte; non solo quando è visibile a noi, ma anche quando è eclissato e coperto dalle nubi; così Cristo nel Divino Sacramento, eclissato e nascosto sotto la nube degli accidenti, e nella notte di questo mondo e nell'oscurità della fede, rafforza i nostri affetti in ciò che chiediamo a Dio per noi stessi; e ci comunica e stabilisce gli effetti di ciò che chiediamo a Dio per noi stessi.

Questa fu la prima immagine di questo mistero che Dio dipinse in cielo, che è il suo Tempio; e questa fu anche la seconda, che pose nel disegno della sua Chiesa, che è la nostra. Nel Tempio di Salomone, e davanti ad esso nel Tabernacolo di Mosè, Dio comandò che fosse fatto quel famoso candelabro, che, di fronte al Pane della Presenza, illuminava il Santo dei Santi. La materia era di oro purissimo, la forma simile a quella di un albero artificiale, dal cui tronco, in eguale proporzione, emergevano da entrambi i lati tre rami semiarcuati, alla cui estremità, come anche all'estremità del tronco, che era dritta, ardevano sette luci. Questo candelabro, quindi, dice San Prospero, (37) che significava il Santissimo Sacramento, e lo stesso significato e argomento fu seguito e compreso nei tempi moderni con grande erudizione da Teofilo Rainaudo (38). Si noti, tuttavia, che questo Autore diligentissimo, poiché la Scrittura è molto meticolosa nel descrivere tutti gli artifici e le parti del candelabro, e persino gli strumenti esterni che gli appartenevano, non fa menzione della base: "Praeterit Scriptura basim candelabri, itaut, tametsi atleo solicite reliquas. Candelabri partes quasi dissimilares expresserit, basis ta,"11en nusquam meminerit." Infatti, se questa famosa opera di architettura divina, progettata e ordinata per essere scolpita da Dio stesso, è descritta parte per parte in modo così esatto e accurato, perché non viene menzionata la base, dal momento che ci sono molti luoghi nella Storia Sacra, e non meno di venti, che parlano di questo candelabro? Tornielo, Saliano, Cornelio e gli altri suppongono che il candelabro avesse una base, sforzandosi di indovinare la forma di cui era formato, privandosi persino di una grande prova e della più elegante conferma della loro argomentazione.

Dico dunque che la Scrittura non fa menzione della base del candelabro, perché il candelabro non aveva base: e dico che non aveva base, come Melchisedec non aveva né padre né madre. Di Melchisedec, san Paolo dice che non aveva né padre né madre, non perché non li avesse, ma perché la Scrittura non ne fa menzione (39). E perché la Scrittura non fa menzione del padre e della madre di Melchisedec? Perché Melchisedec era figura di Cristo, che in cielo non ha Madre e in terra non ha Padre. Similmente nel nostro caso. Il candelabro aveva una base, ma la Scrittura non ne fa menzione, come se non avesse base. Perché? Perché il candelabro era figura del Sacramento. E poiché nel Sacramento gli accidenti sono senza soggetto, è la stessa meraviglia che il candelabro sia sostenuto senza base; perciò la Scrittura tace e non fa menzione della base del candelabro, come se non avesse base, affinché la figura possa assomigliare a ciò che è rappresentato. Avendo così dimostrato questa eccellente figura e la grande somiglianza di quel mistero sovrano dell'altare con il candelabro del Tempio, chi non vede nelle sue sette luci ciò che il divino Sacramento compie nelle sette petizioni del Padre Nostro? Proprio come nel candelabro le tre luci da un lato e le tre luci dall'altro provenivano tutte dallo stesso tronco, dove si trovava la luce centrale: così le prime tre petizioni del Padre Nostro, per essere accettate da Dio, e le ultime tre, per esserci utili, ricevono tutta la loro luce e calore, tutto il loro valore ed efficacia dal pane sovrasostanziale che chiediamo nel mezzo di esse. La prima, in cui chiediamo per Dio, nasce da quel santissimo mistero, come sacrificio, il cui fine è il culto divino; e l'ultima, in cui chiediamo per noi stessi, nasce dallo stesso mistero, come Sacramento, il cui fine è il nostro rimedio.

E affinché non mancasse il tratto più particolare e inimmaginabile della stessa figura, oltre al tronco e ai rami del candelabro su cui erano sostenute le luci, quale pensate che fosse l'opera con cui erano adornate? Era un'opera tornita in grani e scolpita in rose: "Sphaerulae per singulos, et lilia" (40). Al posto di "lilia", Vilhalpando e Lipomano leggono rose, e al posto di "sphaerulae" ne rendono altre con maggiore espressione, "globuli", che è il nome stesso dei grani con cui preghiamo. Così che nella stessa figura del candelabro, non mancassero né i grani né le rose nella prima e principale preghiera del Rosario, così come il misterioso numero delle sue petizioni in proporzione e la più alta consonanza delle sue voci: "Extollens vocem".


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