lunedì 27 aprile 2020

Il Legame del Cielo …. con la Terra



Una soave Poesia

Ciò voglio io dirvi oggi.

     Ora voi pure offrite in sacrificio a Me



“CHE VI HA DONATO UN CUORE SPIRITUALE SENSIBILE”
(14 - Gennaio)
1. Io vi ho donato un cuore nel quale voglio stabilire la Mia dimora, e nel quale Io sono a casa Mia quando i Miei figlioli Me ne fanno sacrificio. Io ho fatto il vostro cuore sensibile per tutto ciò che è buono, vero e nobile. Persino voi uomini riuscite a vincere il cuore, ancorché, molto spesso non nella maniera e nel modo da ridonare a vostro onore, ma pure, di rado, intimamente e con fervore, in tali occasioni il pensiero vostro corre a Me, che sono il Donatore.

2. Voi cantate bensì alla maniera del mondo, ma pure cantate; però, quanto non potrò di più Io, trionfare di un cuore quando esso è devoto a Me, degno di Me, puro, buono, e particolarmente ripieno di buoni sentimenti verso il prossimo?

3. In un tal cuore sono Io che dimoro; tutti i moti dello Spirito partono dal cuore. Io vi guarisco da tutte le infermità del mondo e metto tutte le Mie parole che vi necessitano, nei vostri cuori. Io vi faccio continuamente percepire in esse quanto vi ami. Molte cose ve le dico anticipatamente nel sogno, per la via del cuore. Già al tempo della vostra nascita corporale il vostro cuore è sensibile per ogni cosa buona. Desto colui che prende norma dagli incitamenti spirituali-divini del proprio cuore, che lo nobilita e che con questo cuore nobilitato Mi viene incontro; ma sciagurato colui che pensa di essere da più di altri uomini o da più di Me stesso, il Signore, il Quale ha pure creato anche il suo cuore!

4. Tutte le sventure vengono sul mondo a motivo dei cuori induriti, e con ciò viene aperta la porta al Maligno per la quale egli fa il suo ingresso. Ma quando egli si è stabilito nel cuore, guai, guai allora all’uomo.

5. L’Amore e l’Onnipotenza di Dio hanno tratto Adamo dalla terra. Ma la Vita essi gliel’hanno alitata attraverso le narici, e con ciò hanno donato vita al cuore. Esso incominciò la propria attività, e si diede a battere gioiosamente perché percepiva in sé la Vita, e con ciò l’uomo divenne simile a Dio dal Quale aveva ricevuto la Vita. Ma quanto tempo l’uomo è rimasto soddisfatto della sua somiglianza a Dio? Cosa richiese egli in primo luogo? Egli volle avere un ‘Io’ simile a lui, e Dio gli creò fuor da lui stesso il secondo ‘Io’ richiesto, che fu chiamato la ‘sua donna’.

6. Ebbene, questa coppia si ritrovò essa contenta? Affatto! Essa prestò più orecchio al Maligno, ovvero al serpente, che non a Me che pure avevo donato loro la vita. E non andrebbe diversamente nel Regno dei mille anni, qualora Io non mettessi il Maligno tra i ceppi. Tuttavia è necessario che Io lo lasci sfogare, affinché ogni figliolo, ogni uomo, bisogna che si sfoghi e che si vuoti del suo furore, prima che sia atto a migliorarsi. Quando egli si è sfogato abbastanza, così da essersi infiacchito con ciò da se stesso, appena allora è possibile domarlo lentamente e gradatamente.

7. Non datevi dunque pena, egli non può farvi più niente. Quando il primo assalto è passato, allora anche il suo coraggio si affievolisce e per Me è poi più facile dominarlo. Ma per gli sciagurati che si sono lasciati adescare da lui, non c’è altra via di salvezza che quella di ricominciare la propria vita terrena. Quanti suoi non avrebbero potuto diventare buoni già adesso, purché l’avessero voluto! Ma ora, ricevete la benedizione del Padre vostro, il Quale pensa a voi continuamente. CredeteMi: “Io solo vi salvo”. - Amen.

I GRADI DELLA SUPERBIA



Quella falsa e maledetta persuasione di cui abbiamo detto, è il fondamento di tutto l'eccesso della superbia. Quell'accecamento della mente è il principio degli iniqui desideri della volontà. Tantochè in conseguenza di tali funeste ilIusioni e di tali maledetti errori, l'uomo, confusamente e senza riflessione nè esame, crede di essere qualcosa di grande: è questo un veritiero inganno, perchè se si esaminassero un po' le cose con l'occhio della fede, si riconoscerebbe facilmente la propria illusione; in conseguenza dunque di quella funesta persuasione di essere da sè qualche cosa di grande, e di aver molto valore per proprio merito, si pretende aver diritto ricevere da tutti onore, rispetto e l'odi; questo si ricerca, sia apertamente, sia di nascosto, con ogni mezzo possibile, fino al punto di umiliarsi e disprezzare se stesso per essere onorato.
Il superbo poi se non riceve quell'onore e quella lode che aspetta e vuole, ne resta offeso e rattristato, disprezza quelli che non lo lodano, quasichè non conoscano il suo merito; si innalza sopra di essi per il disprezzo che ne fa e giunge persino alle ingiurie e alle dispute. Chè se non ottiene l'onore e le lodi, egli però crede di meritarle con tutta evidenza; se qualcuno lo loda e lo approva, quegli diventa per lui oggetto di benevolenza e di amore e persino di ammirazione.
Oh follia! Come se gli uomini siano capaci di onorarci! La loro stima quale vantaggio ci procura? Il loro disprezzo che cosa ci toglie? Queste sono cose per noi assolutamente esteriori e debbono esserci indifferenti. Quali giudici possono mai essere gli uomini? Essi sono o ciechi o maligni. Se sono ciechi, non sono capaci di giudicarci; perciò la Scrittura dice: « Gli uomini non vedono che l'esterno, Dio solo vede l'intimo del cuore »); se sono maligni, ci faranno l'elemosina di un po' di adulazione mentre nel loro cuore si burleranno di noi. Gli uomini sono maligni e superbi, quindi l'onore lo vogliono per se medesimi; state certi che se ve ne rendono, è soltanto con malizia, come dice la Scrittura: “L'uomo cattivo si umilia e si abbassa davanti a voi », per costringervi ad amarlo ed onorarlo, per comperare le vostre lodi col tributarvi le sue e per ricevere onore più che non ve ne renda. Il superbo si innalza sempre e fugge il disprezzo; se si abbassa non è che per evitare di essere respinto e confuso e per meritarsi accoglienza e lode.
L'anima, in conseguenza di questa stima, di questa lode e adorazione che desidera si procura, o riceve si fissa e si eleva in se stessa come su di un trono, al disopra di tutti. Vede se stessa come una persona singolare; intermamente considera se stessa come unica nel proprio valore, quindi arriva a credere di essere unica, come Dio. Si immagina di essere sapiente più di tutti o di posseder qualche capacità speciale ed unica.
Da qui nascono i disastri e i maledetti effetti della superbia; perchè prima essa era ancora timida, non aveva ancora che il proposito e il desiderio di stabilirsi nell'anima, non ne aveva ancora possesso nè vi aveva fissato il suo trono e la sua sede; ma appena si sia introdotta nell'anima e vi si sia fortificata, essa incomicia subito a causarvi mali orribili.
Tale fu l'opera del demonio in mezzo agli Angeli nel Cielo, dove fece tre mali spaventevoli; ed è pure il danno che uomini superbi portano nella società umana.
In primo luogo, lo spirito che si è stabilito in              cieca persuasione del suo valore singolare, siede in se medesimo, come il demonio, sul trono di Dio; disprezza Dio e lo bestemmia in se stesso. Perciò il superbo nella Scrittura viene chiamato Bestemmia. Nell'Apocalisse, il demonio porta sulla fronte questa parola. Nel suo disprezzo di Dio il superbo fa ogni sforzo per innalzarsi e mettersi al posto dì Lui.
In tal modo si comporta pure l'inferiore arrogante e superbo, quando abbia lasciato penetrare nel proprio spirito la falsa stima di se medesimo e la persuasione intima e cieca del proprio valore. Benchè si nasconda spesso sotto il manto dell'umiltà, perchè è questa una virtù molto apprezzata e necessaria per godere un po' di stima, non di meno egli si fissa nella persuasione che debba essere onorato: Dimodochè se gli accade di essere disprezzato, .respinto o condannato, si agita, si rivolta, condanna, mormora, dispnezza spodesta nel suo spirito ogni potestà superiore, si mette al disopra di tutti, cerca qualcuno che lo ami e lo stimi, si procura amici e soci che con lui si accompagnano e insieme si innalzano in una comune cospirazione:
Un'anima, in cui sia così radicata la stima di se stessa e la convinzione del proprio valore per la considerazione delle sue virtù esteriori, si costituisce al disopra di tutti; essa giudica di tutto e decide di ogni cosa, ma sempre in proprio favore e a condanna degli altri Segretamente, cerca sempre di regnare su tutti gli uomini, o almeno su di una parte di essi, nulla tralasciando per giungere al compimento dei suoi desideri.
Il secondo male che fece il demonio in Cielo fu di distogliere i suoi fratelli dalla sottomissione a Dio, di formare un bando a parte e così dividere, con la sua rivolta, il regno di Dio, rovinare la comunità celeste e distruggere quell'opera che Dio aveva formato con tanta compiacenza. Così, sia per dispetto contro Dio che sta sempre nel suo posto e sul suo trono divino, sia per la smania di essere onorato ed avere devoti adulatori e adoratori, egli sconvolgeva la società e gli ordinamenti del Cielo.
L'uomo superbo causa il medesimo danno nelle comunità. Egli, sia come nemico della superiorità altrui che lo umilia e condanna il suo modo di comportarsi, sia per amore di adulazione e di lode, ovvero per desiderio di appoggio, di conforto e di consolazione nei suoi disinganni e nelle sue desolazioni, non tralascia mai di suscitare scismi e divisioni; animato da un odio segreto, esso vorrebbe distruggere, se potesse, la bontà dei suoi fratelli, benchè ne dovesse egli stesso venire in esecrazione al cospetto di Dio.
Il terzo male di cui si rese colpevole il demonio fu di disprezzare e -sconvolgere la legge di Dio in Cielo e su la terra. Perchè dopo aver distrutto nei suoi fratelli la religione e l'unione, che sono le due leggi capitali del Cielo, egli discese su la terra e nel Paradiso terrestre, per sconvolgervi di nuovo, con la sua maledetta suggestione, tutta la legge di Dio. Dio aveva detto all'uomo che se mangiava del fratto proibito ne morrebbe, il demonio invece gli disse che se ne mangiasse, non morrebbe punto, ma sarebbe uguale a Dio. Così fanno i superbi in tutta la società; se la prendono infine con la legge e tentano di sconvolgerla e di distruggerla.

IN DIRETTA DALLA CHIESA “SANTA MARIA” DOVE È AVVENUTO IL MIRACOLO EUCARISTICO DI BUENOS AIRES


TESORI DI RACCONTI



Il peccato e la morte di Giuda.  

Un fanciullo faceva i suoi studi in uno dei principali collegi di Francia. Finché la virtuosa sua madre l'ebbe sotto le sue cure, era giunta a preservarlo dagli innumerevoli pericoli di cui è circondata la puerizia. La sola necessità poté indurla a separarsene, tanto più che un tetro e vago presentimento le martellava il cuore. Durante il viaggio nel condurlo al collegio, ella era triste e pensierosa, e le scorrevano dagli occhi le lagrime; si consolava tuttavia sul riflesso, che il figlio era innocente e savio, e cercava di rassicurarsi che tale si sarebbe conservato; ma sventuratamente s'ingannò.  

Tra i molti compagni di collegio, si incontrò il meschino in due fanciulli maliziosi e corrotti, e strinse con questi amicizia. Sortito da natura un temperamento ardente e un cuor sensibile, si lasciò ben presto trascinare dalle loro perfide insinuazioni. Perdette l'innocenza, e, con l'innocenza, la pace, la bella pace dell'anima. Alcuni libri cattivi, che quei perversi compagni gli diedero da leggere, finirono di perderlo.  

Intanto giunsero le vacanze, ed andò a passarle in seno alla famiglia, dove non riportava né il cuore né l'innocenza di prima. I genitori che erano veri cristiani, e volevano che lo fosse anche il figlio già prossimo ai dodici anni, gli parlarono di fare la sua prima Comunione. Per compiacere alla madre il giovane libertino accondiscese a tutto.  

Impara il suo catechismo, finge di voler emendarsi delle abitudini di collera, di menzogna, e di altri vizi contratti; si confessa, ma sacrilegamente col nascondere certi peccati più vergognosi; poi in tale stato ardisce accostarsi alla sacra Mensa, macchiando così l'anima sua di un secondo sacrilegio ancor più orribile.  

I genitori ingannati lo credono in buone disposizioni, e lo rimandano al collegio; ma i superiori e i condiscepoli s'accorsero subito che egli era assai peggiore di prima. Cupo, sgarbato, violento, per un nulla montava sulle furie, insoffribile ai compagni che maltrattava con prepotenza, disubbidiente e contumace coi maestri, era oggetto di continue lagnanze da parte di tutti. La sua svogliatezza nello studio, la sua indocilità e le sue maniere ardite e sprezzanti gli attiravano di frequente dei severi castighi.  

Una volta fra le altre spinse sì oltre la sua impertinenza, che il direttore lo fece rinserrare per qualche ora in una stanza del collegio. Gli vengono dati libri, carta e quanto occorre per fare i suoi doveri, e, giunto il momento di metterlo in libertà, si va alla stanza; prima di aprire si sta in ascolto, ma non si sente verun movimento.  

Si bussa all'uscio; nessuna risposta. È aperta la porta, e si trova lo sgraziato giovine appiccato ad una trave del soffitto. Che costernazione! Si guarda sul tavolino, e in luogo della composizione di scuola, si trova una specie di testamento scritto di sua mano. Ivi stavano espressi i sentimenti d'un'anima empia, sacrilega, disperata.  

Tale fu la fine di quell’infelicissimo giovane, vittima dei cattivi compagni e dei libri perversi, che, avendo peccato come Giuda, fece anche la morte di Giuda.  

DON ANTONIO ZACCARIA 

Santi Martiri del I – II e III Secolo



Dalla Gerarchia Cardinalizia di  Carlo Bartolomeo Piazza 
e dalle Rivelazioni Private della mistica 
 Maria Valtorta 


Le spoglie di S. Pietro. 

Chi pensa dunque che le ossa di San Pietro sono dentro la  Basilica, si sbaglia. Dove esse si trovano non c'è dato ancora di  sapere.  
Ma ecco cosa ci rivela lo stesso San Pietro attraverso la mistica Maria Valtorta37: 
 
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28-6-53.  
S. Pietro 

«Parlo oggi, senza attendere domani, giorno di mia festa,  perché altri oggi mi commemoreranno. 
Parlo per dirti questo. Il mondo è sempre più corrotto, il  comunismo cresce come gigantesco baobab e si estende come  tenaci gramigne e come liane che uccidono le piante buone.   Anche molta parte della Chiesa è decadente, avendo, se non  dimenticato, trascurato ciò che il Divino Maestro e Fondatore  della Chiesa, di cui Egli mi elesse suo primo Pontefice, aveva  insegnato ai suoi successori: noi, apostoli, discepoli, Pontefici e  Sacerdoti.  
Troppo colpevole è tutto, perché la reliquia delle reliquie, la  seconda solo a quelle che sono di G. e M., la maggiore di  quella di tutti i Santi, possa essere esposta, sì, alla venerazione  dei veri cristiani, ma anche al pericolo, sempre più incombente,  di profanazioni e dispersioni da parte degli anticristiani.  
Se il mondo non muterà, specie quella parte di mondo che è  l'Italia, non sorgerà mai l'ora in cui i resti della "Pietra su cui  Cristo edificò la sua Chiesa" verranno tratti, dalle tenebre ove  sono, alla luce del culto, dalla trascuranza, perché io sono celato, all'adorazione dei fedeli. 
Gesù insegnò: "Date e vi sarà dato, e più darete più vi sarà  dato, in maniera strabocchevole".  
Il ritrovamento del vero mio Corpo, la sua traslazione nella  Basilica a me dedicata, vero cuore della Cristianità, per essere  eretta sul luogo dove confessai eroicamente il mio fedele  amore a Cristo, Chiesa Madre di tutte le Chiese cattoliche,  sarebbe veramente dono di grazia strabocchevole.  
Ma per averlo occorre dare vero eroico amore a G., a M.  Ss., alla Chiesa tutta. Rinascere per avere. Accendersi per avere.  Ascendere per avere. Dio da a chi sa meritare il dono. A quelli  soli. A questi, che neppure furono giusti per l'Opera, nulla va  dato». 
Pietro, essendo, anzi apparendo come corpo glorificato, è  molto più bello di quanto non fosse, ma anche molto più triste  di quanto, da vivo, non fosse. 
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E ancora ci dice Gesù in un dettato a Maria Valtorta a riguardo  di dove si troverebbero i resti mortali di Pietro38, che sarebbero  ancora integri e intatti. 
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«Il discepolo non è da più del Maestro. Se per un impossibile  caso il Corpo del Verbo, fattosi Carne per essere Redentore,  non fosse risorto, sarebbe avvenuto di Esso ciò che è avvenuto  del corpo del mio Cefa.  
Una peregrinazione senza pace dovuta all'astio dei nemici, e all'amore o fanatismo degli amici che, per difendere la reliquia del  mio Corpo dalle sacrileghe mani dei nemici di Cristo e della sua  Chiesa, avrebbero dovuto occultare i resti qua e là, sempre più  lontano, sempre più nascosti, a disorientare i nemici  profanatori, né si saprebbe più quanti luoghi avrebbero accolto  le sue ossa. 
Non ha avuto pace il corpo del mio Simon Pietro neppure  dopo la morte. Pace ebbe il suo spirito. La sua spoglia, no. 
Evangelizzando, percorse tanto mondo di allora. Morto,  santificò delle sue spoglie tanto sottosuolo di Roma. 
Ma per tua pace e di quelli che cercano, dico. 
Dall'Ostriano presso la Nomentana all'altro cemeterio presso  la Tiburtina, e poscia a quello sulla Labicana, quante, quante  deposizioni ebbe il mio Pietro! 
Quella zona, dall'Ostriano all'Appia, da questa verso  Preneste, Tibur, Ariccia e Nomento, tutto è una grande  catacomba, fatta delle molte iniziate qua e là, e poscia fusesi in  un'unica, quando, per la ferocia dei persecutori, il suolo di  Roma contenne tanti martiri quanti semi di grano in un vasto  campo. 
Ma coloro che cercano dovrebbero ben sapere, sanno, che vi  è un luogo detto cimitero dei S. Pietro e Marcellino. S. Pietro.  Non meglio identificato per prudenza reverenziale a quelle  sante spoglie, dove ebbe requie il corpo del Primo Pontefice.  Non insistano oltre. Non insistano mai. Io so se dire, quando dire, con giustizia. 
Ma vorrei che più dell'affannosa preoccupazione di ricercare  delle ossa, sante ma sempre ossa, il cuore della mia Chiesa si  sforzasse a ritrovare lo spirito che animava Pietro e a farsene il  suo spirito. Questo sarebbe onorare Pietro e Colui che fece di  Cefa il Principe degli Apostoli, il Pontefice, la Pietra sulla quale  l'incrollabile Chiesa di Cristo si fonda. 
Incrollabile per mio Potere e Volere, ma vorrei lo fosse  anche perché fosse un aureo blocco di perfezione in tutti i suoi  membri successori di Pietro e dei Dodici tutti. Sarebbe un  amarmi di più, secondando il mio Potere e Volere contro gli  elementi disgregatori di Satana e dei satana. 
Tu sta' in pace come un uccellino implume nel nido. Non ti  agitare. Non ti far croce se non puoi dire di più. 
Quelle ossa sono tanto; ma ancora un nulla rispetto  all'essenziale. Per quelli che credono, basta la fede. Per gli  increduli, non servirebbe neppure rivedere Pietro vivente  condotto al martirio sul colle, e da lì trasportato là dove evangelizzava dalla sua cattedra di maestro della fede cristiana.  Per te basti ciò che hai scritto, cooperando con pazienza,  sofferenza, fatica a che gli uomini abbiano una nuova, ampia  conoscenza di Me che li salvi, li salvi, li salvi. 
Puoi leggere questo a chi sai. Ma l'importante per tutti è  possedere lo spirito di Pietro...». 


catacomba. Le più semplici sono quelle che vidi la prima e  seconda volta (la prima è rudimentale affatto). Poi si fanno  sempre più ornate, spaziose ecc. ecc. Ve ne è una che ha sbocco  sull'Appia molto bella. 
Il terzo luogo che, se mi oriente bene ricordando la pianta  topografica odierna mostratami dal R. P. Berti, è all'altezza di S.  Croce in Gerusalemme e S. Giovanni Laterano. Ma è in aperta  campagna, a circa 2 miglia, forse più, dall'antica cerchia di mura  romane. A quei tempi aveva prossima una casa di campagna  (pastori) che credo fosse stata fabbricata in quella zona deserta  per fare un paravento all'entrata della catacomba e forse anche  per alloggiare i sacerdoti senza dare nell'occhio. 
Le ultime catacombe, le più belle, hanno altari chiusi come i  nostri. Penso che nell'urna sotto l'altare fossero corpi di martiri.  Ma non vedo nulla. 
Il loculo senza nome, sempre vicino a quello che porta il  nome di S. Marcellino, è sempre il terzo nella parete destra,  rispetto che [a chi?] guarda l'altare, e presso l'entrata della  galleria. 
Le chiese catacombali erano, rispetto ai 4 punti cardinali, messe così: 


A cura di Mario Ignoffo

domenica 26 aprile 2020

VOGLIA DI PARADISO



Cristo è la via

Cristo, nell'esistenza celeste, sazierà pienamente e definitivamente la nostra fame di pane di vita, di luce e di verità.
Ma c'è di più: l'incontro con lui sarà anche la Via al Padre, che è il termine ultimo del nostro «andare a Dio».
Perché non è solo il Maestro che indica la Via per arrivare al Padre, ma è la stessa Via, che deve essere percorsa per arrivare al Padre di tutti. Gesù lo afferma esplicitamente: «io sono la Via!».
Noi accogliamo il suo invito, accostandoci a lui nella fede.
Ma fin che siamo nella fede non possiamo conoscere pienamente l'essenza di questa Via: la conosceremo completamente in Paradiso, quando ci sarà dato di conoscere che Lui solo è la "porta" d'accesso all'intimità del Padre.
Ed essendo la Via obbligata al Padre, Egli ha il diritto di disporre liberamente della casa paterna e di introdurvi coloro che gli sono uniti.
In questa casa invita gli amici:
- al banchetto della gioia,
- al convito di festa,
- alla tavola di Dio,
dove Egli stesso siederà a mensa e servirà i commensali.
Al termine del viaggio terreno Egli assicura una meta felice: Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato, perché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. 

Don Novello Pederzini

TRATTATO SULL’INFERNO



LOTTA TRA BENE E MALE

"Siate sobri, vigilate! Il vostro avversario, il diavolo, come un leone ruggente va in giro, cercando qualcuno da divorare" (1Pt 5,8). Fedele alla dottrina della Sacra Scrittura, la Chiesa insegna che gli spiriti decaduti, come pure gli uomini decaduti, esistono realmente e si comportano maliziosamente nel mondo. La Chiesa non insegna il terrore di Satana. Essa raccomanda soltanto un santo timore di Dio, e il timore di compiere il male deliberatamente. Infatti, l'influsso di Satana è subordinato in modo decisivo alla potenza di Dio. Come il Concilio Vaticano II ha più volte ripetuto, Cristo "ci ha liberati dal potere di Satana" (SC 6, cf GS 2,22; AG 3,9). Grazie all'opera redentrice di Cristo, il demonio può nuocere soltanto a coloro che liberamente gli permettono di farlo. I Vangeli parlano di possessioni diaboliche, mostrano Cristo in atto di espellere demoni e di istruire i suoi apostoli a fare altrettanto. Più grave, però, del male fisico che Satana potrebbe causare, è il male morale. La Sacra Scrittura presenta Satana anche come una fonte di tentazione (Mt 4,1-11).

E' "il seduttore perfido e astuto, che si insinua in noi attraverso i sensi, l'immaginazione, la concupiscenza, la logica utopica, i contatti sociali disordinati nel dare e prendere la vita, per introdurre deviazioni...". La stessa storia mondiale è sotto l'influsso del demonio. "Tutta intera la storia umana è, infatti, pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; la lotta, cominciata fin dall'origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno (cf Mt 24,13). San Paolo dice: "la nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti" (Ef 6,12).

Chi percepisce le profondità insondabili e amare del mistero del male difficilmente è portato ad un ottimismo superficiale, a credere, cioè, che il male è soltanto un difetto accidentale del mondo in evoluzione verso giorni migliori. Ci sono tracce di malizia così profonda da lasciare perplessi. L'oscuro mistero di Satana è che vi sono nel mondo degli esseri personali che agiscono, poco conosciuti a noi, pieni di malizia e sempre pronti a compiere il male, irrevocabilmente allontanatisi da Dio e a Lui ostili (cf Mt 25,41).

Che la storia umana sia segnata spesso da corsi tragici ed irrazionali è dovuto in parte a tali influenze. Dio rimane il Signore di ogni cosa. Qualunque potere ha il demonio trova i suoi limiti nei disegni della Provvidenza. Alla fin fine, tutte le cose sono state fatte per concorrere al bene di coloro che amano Dio. Satana e gli altri spiriti caduti sono essi pure semplici creature. È Dio che li ha creati, benché non li ha fatti per essere malvagi o sorgente di male. "Il Diavolo, infatti, e gli altri demoni sono stati creati da Dio buoni per loro natura, ma essi da se stessi divennero cattivi".

La struttura rimane. Dio ha fatto ogni cosa buona. Ha proibito la malizia e l'egoismo, ma ha fatto anche le persone libere, e non costringe nessuno a rimanergli fedele. Quelli che orgogliosamente resistono a Dio si pervertono e portano il male nell'universo. Dio permette il male, non già perché è impotente ad impedirlo, ma perché Egli, l'Onnipotente, ama la libertà. Egli è capace di ricavare i maggiori beni da ogni sorta di mali, come il maggior bene della fedeltà di fronte alle avversità, della pazienza, della carità resa perfetta in prove amare.

"L'uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l'ombra e mai si ferma. Tu, sopra un tale essere tieni aperti i tuoi occhi e lo chiami a giudizio presso di te? Chi può trarre il puro dall'immondo? Nessuno. Se i suoi giorni sono contati, se hai fissato un termine che non può oltrepassare, distogli lo sguardo da lui e lascialo stare finché abbia compiuto, come un salariato, la sua giornata! Poiché anche per l'albero c'è speranza: se viene tagliato, ancora ributta e i suoi germogli non cessano di crescere; se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco, al sentore dell'acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta. L'uomo invece, se muore, giace inerte; quando il mortale spira, dov'è? Potranno sparire le acque del mare e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi, l'uomo che giace più non si alzerà, finché durano i cieli non si sveglierà, né più si desterà dal suo sonno" (Gb 14, 1-12).

La nube della non-conoscenza



Che cos’è la carità, e come è veramente e perfettamente
contenuta nella contemplazione



Abbiamo parlato dell’umiltà, di come essa è tutta racchiusa, in maniera vera e perfetta, in quello slancio d’amore così piccolo e cieco che va a colpire l’oscura nube della non-conoscenza, dopo aver soppresso e rigettato, nell’oblio ogni altra cosa. Questo vale, tuttavia, per tutte le virtù, e in particolare per la carità.
La carità, infatti, consiste unicamente (e tu non dovresti intenderla in altro modo) nell’amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura, e nell’amare il prossimo come se stessi, per amore di Dio.
Ora, che nella contemplazione si debba amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura, mi sembra abbastanza evidente: come ho già detto prima, in sostanza questo lavoro non è nient’altro che un puro anelito diretto a Dio in se stesso, e a lui solo. Sì, l’ho chiamato puro anelito, perché in quest’opera chi sta diventando vero contemplativo non pretende né una riduzione della pena, né un aumento della ricompensa, ma per dirla in breve, non chiede altro che Dio. Cosicché non gli importa più niente se è afflitto o contento: la sua unica preoccupazione è che sia fatta la volontà di colui che egli ama. Ecco come in questo lavoro si arriva ad amare Dio in se stesso, al di sopra di ogni creatura e in maniera perfetta. Chi compie alla perfezione il lavoro, non permetterà mai che il semplice ricordo di una creatura, fosse anche la più santa che Dio abbia mai creato, venga ad occupare la sua attenzione.

Nella contemplazione si realizza in maniera perfetta anche il secondo aspetto della carità, quello relativo al prossimo. Che ciò sia vero non ci vuol molto a dimostrarlo. Infatti il perfetto contemplativo non tiene in particolare considerazione nessun uomo in quanto tale, parente o estraneo, amico o nemico che sia. Tutti gli uomini sono suoi fratelli in egual misura e nessuno gli è estraneo; tutti gli uomini sono suoi amici e nessuno è suo nemico: ecco come la pensa. E giunge al punto di considerare come suoi amici carissimi proprio quelli che gli fan del male o che lo fanno soffrire, e si sente spinto ad augurar loro lo stesso bene che si augura all’amico più caro.

Preghiamo lo Spirito Santo



Dono dello Spirito e fedeltà nell'accoglierlo 
Padre che ci doni lo Spirito,  
Tu non rifiuti mai lo Spirito Santo a coloro che te lo chiedono,  
Perché tu sei il primo a desiderare che lo riceviamo. Concedici dunque questo dono che riassume e contiene tutti gli altri,  
Questo dono nel quale racchiudi tutti i segreti del tuo amore, tutta la generosità dei tuoi benefici,  
Questo dono che è il dono stesso del tuo cuore paterno, nel quale tu ti offri a noi,  
Questo dono che ci comunica la tua vita intima per farne vivere anche noi,  
Questo dono destinato a dilatare il nostro cuore fino alle dimensioni universali del tuo,  
Questo dono capace di trasformarci da cima a fondo, di guarirci dalle nostre debolezze e di divinizzarci,  
Questo dono della tua energia onnipotente, indispensabile per adempiere la missione che ci affidi,  
Questo dono della tua felicità, nel fervore dell'amore, poiché con lo spirito viene a noi anche il dono della gioia e la gioia del dono.  

Ecumenismo.



Non ho letto l’enciclica “Ut unum sint”, né la “Dominus Jesus”. Sono documenti del Magistero, come tanti altri documenti, che leggono sicuramente “gli adepti ai lavori”. Non ho mai avuto occasione di lavorare in questo campo e perciò mi sono tranquillamente sfuggiti. E allora vi offro alcune mie riflessioni. 
 L’UNITÀ è caratteristica essenziale delle Tre Divine Persone, come lo è della Verità, come lo è della Chiesa. 
“Credo la Chiesa, UNA, Santa, Cattolica e Apostolica”. UNA e perciò UNICA. Nel linguaggio comune si parla di “chiese”: ma se non fanno parte dell’unica Chiesa fondata da Gesù Cristo, se non fanno parte della “Sposa dell’Agnello”, il Signore non  le riconosce. 
Tuttavia occorre fare un’osservazione: che spesso tanti “fratelli separati” conservano tesori di Fede e di vita in comune con la Chiesa, mentre di fatto tanti altri “fratelli non separati” non conservano questi tesori. E allora si potrebbe dire, come diceva un matto nel manicomio: “non sono tutti quelli che stanno, non stanno tutti quelli che sono”. Perciò il tema dell’ECUMENISMO riguarda non soltanto i rapporti tra i cristiani cattolici e cristiani non cattolici, ma riguarda ogni genere di rapporto umano, in primo luogo all’interno della Chiesa Cattolica, dove c’è santità e peccato, morte e vita, volere umano e Volere Divino. E così, all’interno di ogni diocesi, di ogni parrocchia, di ogni gruppo, associazione, famiglia, nazione. 
È una tensione tra la forza centripeta e la forza centrifuga, il contrasto che avvertiamo in noi stessi tra il desiderio del bene e l’inclinazione al male, quella lotta intima che descrive San Paolo nella lettera ai Romani (7, 7-25), il grano e la zizzania mescolati nello stesso campo, che siamo noi stessi. La notte di Pasqua la Chiesa proclama: “Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello”. È la lotta di “regno contro Regno”. Quindi l’ECUMENISMO va molto oltre il “vogliamoci bene”, riguarda questa tensione. L’ECUMENISMO esige perciò, come prima cosa,     un impegno di conversione di ognuno. 
I Pastori della Chiesa del nostro tempo ci dicono che è più conveniente ed importante guardare, insieme ai “fratelli separati”, ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide, ovvero, gli aspetti positivi anziché fermarsi su quelli negativi, e così facendo vedere dove è possibile collaborare, lavorare insieme, ecc. Tuttavia è necessario sapere quali sono le cose dove non si è d’accordo, per non ingannarsi e non perdere il tempo. 
E qui troviamo il famoso “DIALOGO”. Che dire del “dialogo”? Che per poter dialogare occorre come minimo parlare la stessa lingua, altrimenti non ci si capisce. Due “monologhi” intrecciati non sono un dialogo. 
A questo punto è necessario che tutti abbiamo chiara la stessa scala di valori: qual è la vera scala di valori? Per alcuni, il massimo valore è il benessere, il divertimento. Altri però dicono: ma per averlo occorre il denaro. Altri aggiungono: e a che serve,     se manca la salute? Per altri è la concordia, l’amicizia, “l’amore”, la pace, “l’unità” appunto… Ma tutti questi valori presuppongono un altro: la Verità, senza la quale tutto crolla. E si dà il caso che “la Verità” non è una cosa, ma una persona: Gesù Cristo. E se chiediamo a Lui: “Signore, e per Te, qual è il valore supremo?”, ci risponde: “la Volontà del Padre”. Siamo arrivati al punto più alto. “Soltanto nella Divina Volontà    è  possibile  l’unità”. 
Perciò, se i dialoganti alla ricerca della verità per arrivare all’unità non tengono costantemente presente il fare la Volontà di Dio, fare ciò che vuole Dio, la sola gloria di Dio, mai otterranno niente. 
Qualsiasi tipo di amicizia e di amore (tra fratelli, tra amici, tra genitori e figli, tra gli sposi…) è in proporzione alla percentuale dei veri valori spirituali che si condividono. Se io posso condividere con mio fratello o con un amico appena un 10% di quello in cui credo e che mi sta a cuore, l’amicizia è di appena un dieci per cento; basta poco perché evapori… Poiché l’amicizia, l’amore, l’unione sono conseguenza della condivisione della verità che lasciamo entrare nella nostra vita. 
E il Signore dice: “Non temete; ecco ciò che dovete fare: parlate con sincerità ciascuno con il suo prossimo; veraci e sereni siano i giudizi che terrete alle porte   delle vostre città” (Zaccaria 8,15-16). 
Io non ho esperienza di dialogo ecumenico, per così dire, ma penso che, volendo fare sul serio, sarebbe il caso di partire dalla verità più basilare: la domanda che ci farà il Signore al momento della nostra morte, come ce la fa implicita in ogni occasione: “dimmi, chi sei tu e Chi sono Io?” “Cosa vuoi tu di Me e cosa voglio Io di te?” “Qual è il mio Amore per te, e dov’è il tuo amore per Me?” “Lascia perdere le discussioni, lasciati di storie, lascia perdere i problemi storici o dottrinali e dimmi: tu, personal- mente, vuoi o non vuoi rispondere al tuo Dio e Signore?” “Ma voi, chi dite che io sia?” (Matteo 16,15). 
Poiché la vera divisione dell’umanità, quella che è alla base di ogni altra possibile divisione, non è tra bianchi e negri, ricchi e poveri, alti e bassi, cristiani e non cristiani, cattolici e protestanti, ecc., ma tra chi ama la Verità e chi non l’ama (e magari dice  di amarla ma cerca di aggiustarsela e di piegarla a qualche altro interesse di parte). Ma quando si dice amare la Verità, s’intende amarla sul serio, con tutte le conseguenze, pronti a riconoscerla dovunque si trovi e pronti a pagare di persona e a dare tutto ciò che si possiede per averla.    

P. Pablo Martin Sanguiao

Geremia



L'acquisto di un campo, segno di speranza

1Questi sono gli ordini che il Signore diede a Geremia durante il decimo anno del regno di Sedecia re di Giuda. Quell'anno era il diciottesimo del regno di Nabucodonosor, 2re di Babilonia, il quale con il suo esercito assediava Gerusalemme. In quel periodo, il profeta Geremia era rinchiuso nell'atrio della prigione, all'interno del palazzo reale. 3Lo aveva fatto imprigionare lo stesso re di Giuda, Sedecia, che accusava il profeta di aver annunziato questo messaggio del Signore: 'Farò cadere Gerusalemme nelle mani del re di Babilonia ed egli l'occuperà. 4Nemmeno Sedecia, re di Giuda, riuscirà a sfuggire alle mani dei nemici, perché ho deciso di consegnarlo in potere del re di Babilonia. Dovrà comparire davanti a lui per rispondergli personalmente. 5Poi Sedecia sarà condotto prigioniero a Babilonia dove resterà finché io non interverrò in suo favore. Perciò, anche se continuerete a combattere contro i Babilonesi, non riuscirete mai a vincere. Lo dico io, il Signore'.
6Ecco il racconto di Geremia.
Il Signore mi disse: 7'Canamel, figlio di tuo zio Sallum, fra poco verrà a parlarti del campo che egli possiede ad Anatot. Vuole venderlo a te perché tu sei il parente più prossimo e per legge hai più diritto degli altri di acquistarlo'. 8Come il Signore mi aveva annunziato, mio cugino Canamel venne a trovarmi nell'atrio della prigione e mi disse: 'Perché non compri il campo che io possiedo ad Anatot, nel territorio di Beniamino? Tu sei il primo che ha diritto di acquistarlo, perché tu sei il parente più prossimo. Non lasciartelo sfuggire!'.
Allora ne ebbi la certezza: il Signore mi aveva davvero parlato.
9Decisi di comperare da mio cugino Canamel il campo che si trova ad Anatot, e preparai il denaro secondo il prezzo stabilito: diciassette monete d'argento. 10Scrissi il contratto, lo chiusi con il mio sigillo alla presenza dei testimoni che avevo convocato e verificai il peso dell'argento con una bilancia. 11Poi presi le due copie del documento di acquisto, quella sigillata secondo le prescrizioni della legge e quella rimasta aperta, 12e le consegnai a Baruc, figlio di Neria e nipote di Maasia. Erano presenti mio cugino Canamel, i testimoni che avevano firmato il contratto d'acquisto e un certo numero di Ebrei che si trovavano nell'atrio della prigione. 13Davanti a tutti, diedi a Baruc quest'ordine: 14'Il Signore dell'universo, Dio d'Israele, comanda di prendere le due copie del contratto di acquisto, la copia sigillata e quella rimasta aperta, e di metterle in un'anfora di terra cotta, perché si possano conservare per molto tempo. 15Infatti il Signore dell'universo, Dio d'Israele, afferma che un giorno si compreranno ancora case, campi e vigne in questa regione'.

GESU’ AL CUORE DELLE MAMME



Sei serva o regina? La tua casa esige un lavoro incessante: sei stanca e ti sembra di non farcela più. Tuo marito, i tuoi figli, ciascuno reclama la tua assistenza, il tuo aiuto. Ti sembra di essere diventata la serva di tutti. Se sbuffi, se brontoli, se ti adiri, si... Se ami e ti doni con infinita abnegazione non sei la serva, ma la regina di casa tua.

don Dolindo Ruotolo


ARRIVA


FORMULA DI CONSACRAZIONE DEL CARMELITANO FRA JOSÉ DE SAN JUAN - 2 dicembre 1706



Gesù, Maria e Giuseppe, sapendo quanti vedranno questa carta della mia schiavitù, gli Angeli e gli uomini, i cieli e la terra, alla cui presenza si fa questa scrittura, io Fra José de San Juan, mi vendo e mi abbandono per schiavo perpetuo, principalmente del mio Signore Gesù Cristo, e anche della sua santissima Madre e Madre mia Maria, Signora nostra, e del mio Padre e signore, San Giuseppe, con una donazione pura, libera, spontanea, e irrevocabile della mia persona e dei miei beni perché di me e di essi dispongano a loro libertà e volontà e non meno della mia anima, come veri Signori miei e affinché mi aiutino nell'ora della mia morte, e mi diano vero amore di Dio, il suo santo timore, dolore dei miei peccati, affinché possa progredire nel cammino di orazione e di perfezione. E a protesta che non volterò la parola e le spalle a tutto quanto contenuto in questa scrittura, propongo al mio signore e Padre San Giuseppe di recitare tutti i giorni l'Inno del dolce nome di Gesù, l'Ave Maris Stella e l'Inno del mio Padre e signore San Giuseppe, con le antifone, i versetti e le orazioni di ognuno; di digiunare tutti i sabati della mia vita, se mi daranno il permesso, e di non mangiare mai frutta in questo giorno, per essere specialmente consacrato a Maria Santissima, mia Madre ed essere io pure nato in questo giomo. E, infine, offro i miei tre voti sostanziali a Gesù, Maria e Giuseppe in questa conformità: a Gesù l'obbedienza, a Maria la castità, e a San Giuseppe la povertà come è inciso nell'immagine di Gesù, Maria e Giuseppe che tengo nella cella, perché mi accompagnino e mi diano grazia affinché li compia fino a morire perfettissimamente. Tutto questo in segno e perché consti a tutti che sono e sarò perpetuo schiavo di Gesù, Maria e Giuseppe, e come tale voglio essere conosciuto da tutte le creature. E questo, voglio e dico che è la mia ultima volontà. E per essere verità lo firmo di mio nome in Alcalà il 23 dicembre di quest'anno 1706.