mercoledì 2 settembre 2020

VITA DI CRISTO



La Circoncisione  

«Passati gli otto giorni, in capo ai quali il bambino doveva essere circonciso, gli venne posto il nome di Gesù com'era stato chiamato dall' angelo prima di esser concepito nel seno materno» (Luca 2: 21)  

La circoncisione era il simbolo del patto stretto da Dio con Abramo e il di lui seme, e aveva luogo l'ottavo giorno dalla nascita.  

La circoncisione presumeva che la persona circoncisa fosse un peccatore, e adesso il Bambino prendeva il posto dei peccatori: qualche cosa avrebbe fatta nel corso della Sua vita. La circoncisione era un segno, una prova della qualità di membro d'Israele. La sola nascita umana non bastava a immettere un bimbo in seno ad Israele: un altro rito occorreva, qual è consegnato nel Libro della Genesi:  «Disse ancora Dio ad Abramo: "Tu poi osserverai il mio patto; e così la tua discendenza dopo di te, nelle sue generazioni. Ed ecco il patto mio, che custodirete, tu ed i tuoi discendenti: ogni maschio di fra voi sarà circonciso; la vostra carne circonciderete, in segno d'alleanza fra me e voi"» (Genesi 17: 9-11).  

La circoncisione, dell’Antico Testamento, era una prefigurazione del battesimo, del Nuovo Testamento. Entrambi simboleggiano una rinunzia della carne al peccato della carne. La prima consisteva in una ferita del corpo; il secondo, nella purificazione dell'anima.  

La prima incorporava il bambino nella comunità di Israele, il secondo incorporava il bambino nella comunità del nuovo Israele, ossia nella Chiesa.  

Il termine «circoncisione» fu in séguito usato nelle Scritture per spiegare il significato spirituale dell'applicazione della Croce alla carne mediante l'autodisciplina.  

Mosè, nel Libro del Deuteronomio, parlò, in termini inequivocabili, della necessità di circoncidere il cuore; e anche Geremia impiegò la stessa espressione; mentre S. Stefano, nell'ultimo messaggio da lui pronunziato prima di essere ucciso, disse ai suoi ascoltatori che essi erano incirconcisi nei cuori e nelle orecchie.  

Sottoponendosi a questo rito, di cui non abbisognava in quanto era senza peccato, il Figlio di Dio impose all'uomo di appagare le esigenze della Sua nazione, allo stesso modo ch'Egli avrebbe osservato tutte le altre norme ebraiche.  

Egli festeggiò la Pasqua; osservò il sabato; partecipò ai conviti, e obbedì all'Antica Legge finché non fu il momento di perfezionarla realizzandone e spiritualizzandone le oscure prefigurazioni secondo che Dio aveva disposto.  

Nella circoncisione del Divino Infante c'era una vaga allusione, un vago accenno al Calvario, a riguardare quella precoce donazione di sangue.  

L'ombra della Croce era già sospesa su un Bambino d'otto giorni d'età. Sette volte Egli avrebbe versato il Proprio sangue, e quella fu la prima, perché le altre sarebbero state l'Agonia nell'Orto, la Flagellazione, l'Incoronazione di Spine, la Via della Croce, la Crocifissione, la Trafittura del Cuore. Sennonché, ogniqualvolta si aveva un'indicazione del Calvario, si aveva anche un segno di gloria, e difatti, nel momento stesso in cui Egli anticipava il Calvario versando il Proprio sangue, Gli venne conferito il nome Gesù.  

Un bambino di soli otto giorni principiava già a versare il Proprio sangue a compimento della Sua già perfetta condizione umana. Di vermiglio si tinse la Sua culla, e significò un indizio del Calvario. Il Prezioso Sangue cominciava il suo lungo pellegrinaggio. Trascorsi otto giorni dalla Sua nascita, Cristo obbediva ad una legge di cui Egli stesso era l'Autore, una legge che in Lui appunto avrebbe trovato la sua ultima applicazione. Nel sangue umano c'era stato il peccato, ed ecco ora il sangue cominciare a versarsi per sopprimere il peccato.  

Come l'oriente assume al tramonto i colori dell'occidente, così la circoncisione riflette il Calvario.  

Dev'Egli cominciar subito la Sua opera di redenzione? La Croce non può aspettare? Vi sarà tempo a sufficienza. Venuto direttamente dalle braccia del Padre a quelle della Sua madre terrena, sulle braccia di lei Egli è portato al Suo primo Calvario.  

E, molti anni dopo, di nuovo dalle braccia di lei sarà preso dopo la mortificazione della carne sulla Croce, dopo che avrà compiuto l'opera del Padre. 

Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN 

SOTTO LA GUIDA DELLO SPIRITO



Manifestare i propri desideri


Abbiamo appena visto come la qualità della paternità spirituale dipenda dalla qualità di una relazione umana. Ebbene, la qualità di ogni relazione umana riflette in buona parte la qualità del dialogo che si instaura tra le due persone in questione. Tutta la tradizione è unanime su questo punto: l'accompagnamento si basa sul dialogo, il discepolo interroga suo padre nell'attesa di una parola che si presume che questi sia in grado di offrirgli. Anche il contenuto di questo dialogo è ben attestato: lo si chiama comunemente apertura del cuore o manifestazione dei pensieri. Di cosa si tratta? Precisiamo subito che è bene tener distinti accompagnamento spirituale e sacramento della confessione. Al presbitero, ministro del sacramento, si confessano i peccati realmente commessi per i quali si chiede l'assoluzione. Al padre spirituale - al di fuori di qualsiasi contesto sacramentale, dato che nulla vieta che sia un laico - si manifestano i desideri e le tendenze che affiorano nel cuore e nell'immaginazione, anche se nessun peccato è stato commesso, né interiore né esteriore. La confessione può essere il punto di partenza di un colloquio spirituale che può eventualmente seguirla, ma questo non è indispensabile: con l'assoluzione finale, la confessione è pienamente compiuta. D'altro canto, un colloquio spirituale non è necessariamente seguito dalla confessione: nella maggior parte dei casi non è così. D'altronde la guida spirituale non è forzatamente un presbitero: la paternità spirituale non ha nulla a che vedere con il sacerdozio ordinato. Un laico, uomo o donna, che abbia un'esperienza personale della vita dello Spirito santo può farsene carico altrettanto bene che un presbitero, e senz'altro meglio che un presbitero che abbia poca o nessuna esperienza. Alla propria guida spirituale non si manifestano innanzitutto i peccati effettivamente commessi, ma piuttosto ciò che gli anziani chiamavano i logismoi, i pensieri. La traduzione è ambigua. Non si tratta tanto di quello che pensiamo, ma piuttosto di quello che sentiamo, di ciò verso cui tendiamo: sentimenti, desideri, inclinazioni che si fanno strada, incontrollati, nel cuore e nella mente, anche se non sfociano - se non raramente - in peccati veri e propri. Il termine "confessione" qui sarebbe perciò errato, soprattutto nella sua accezione sacramentale: si tratta unicamente di mettere in luce, di scoprirsi di fronte al proprio interlocutore. Chi apre così il proprio cuore non chiede un'assoluzione e nemmeno un incoraggiamento o una parola rassicurante, anche se così potrebbe sembrare. Chiede innanzitutto di essere accettato: poter esprimere a un altro desideri e sentimenti, così a lungo repressi e rimossi, costituisce per lui un evento straordinario che, già di per sé, rappresenta un enorme sollievo. Non è più solo con loro, gli è possibile confidarli a un altro che li accoglierà tranquillamente e con amore. Accogliere i sentimenti degli altri è infatti innanzitutto una questione di amore. I primi momenti del colloquio spirituale, quando i sentimenti più difficili vengono finalmente in superficie, sono sempre i più importanti. La qualità e l'autenticità dell'amore dell'accompagnatore (e possiamo ben dire del padre spirituale) sono qui messe alla prova. Troppe guide spirituali commettono un grave errore: quello di parlare troppo presto, sia per biasimare che per rassicurare. Spiegheremo più avanti in che cosa consiste questo errore tattico; ora ci basta sottolineare che l'ascolto attento e benevolo di quanto viene confidato riveste un'importanza determinante per il prosieguo della relazione. Ancora una volta, non si tratta assolutamente di approvare o di condannare le inclinazioni e i desideri che si affacciano; si tratta semplicemente di accettare una persona per come si presenta, magari anche afflitta da sentimenti che riesce a esprimere solo con difficoltà. Ha il diritto di essere quello che è, come si sente e come si mostra: con i suoi desideri. Che questi siano buoni o cattivi non deve entrare in linea di conto, per il momento, neanche se sono espressi con un linguaggio molto confuso. Siamo qui di fronte al punto più delicato dell'accompagnamento spirituale: dietro questa confusione, apparentemente inaccettabile, si nascondono sentimenti umani insoddisfatti e difficili da esprimere, i quali non solamente sono fondamentali, ma anche vitali e profondamente sani. Il fatto che questi desideri si esprimano per il momento in modo confuso è solo un male relativo che si spiega il più delle volte con l'imperizia e la mancanza di esperienza unite a incidenti del passato con tutte le conseguenti malformazioni: tutte cose per le quali la vittima non ha alcuna responsabilità. Quanto c'è di profondamente sano in questa persona deve innanzitutto essere schiettamente riconosciuto mediante la confutazione di alcuni desideri o fantasmi, deve essere ascoltato e, nella misura del possibile, messo in valore nella sua verità profonda. Ecco l'unica possibilità di metterci in contatto con la misericordia di Dio e con la grazia che vengono a valorizzare l'uomo fin nella sua debolezza più profonda, fino a guarirlo se ne ha bisogno. E’ noto il consiglio che Benedetto dà all'abate: oderit vitia, diligat fratres, "odierà i vizi ma amerà i fratelli" (RB 64,11). Il fratello deve sentirsi amato nonostante la propria debolezza, e al cuore stesso della propria debolezza. Va amato com'è, e basta. Con Dio non ci sono condizioni imposte per aver diritto all'amore, né colpe imperdonabili che farebbero decadere dall'amore: il padre spirituale diventa qui l'icona del Padre celeste, "che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni" (Mt 5,45), l'icona di Gesù, che non è "venuto a chiamare i giusti ma i peccatori" (Mc 2,17). Il fatto che sentimenti e desideri a lungo repressi possano finalmente emergere al cuore del colloquio spirituale è importante per un motivo ancora più profondo: è forse la prima volta che siamo in grado di raggiungere perfino i nostri desideri più profondi, il che è assolutamente necessario se la grazia deve un giorno portare frutto in noi. I nostri desideri più profondi infatti non sono di tipo razionale, non si situano nemmeno a livello della nostra volontà o delle nostre facoltà d'azione. La grazia scende molto più in profondità nell'uomo, raggiunge i suoi desideri più segreti e ancora totalmente inespressi, là dove questi si sente più vulnerabile e dove effettivamente è stato maggiormente ferito, là dove sa di essere incredibilmente debole, là dove, secondo Paolo, "la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito desideri contrari alla carne" (Gal 5,17). La carne per Paolo va intesa in senso lato: sono i nostri desideri profondi, quelli che costituiscono il punto di contatto tra la grazia di Dio e la persona umana, il punto d'impatto in cui lo Spirito e la carne tentano di sopraffarsi l'un l'altra, dandosi battaglia con desideri opposti. Ma è proprio questo il luogo in cui possiamo essere assolutamente certi di incontrare la grazia. Per essere in grado di ascoltare in noi i desideri dello Spirito, bisogna innanzitutto che i desideri della carne emergano in superficie e si rendano percepibili. Dove la carne non fosse percepita, come potrebbe esserlo lo Spirito, lui che lotta incessantemente contro la carne? Ecco perché è estremamente importante essere messi di fronte ai propri desideri più profondi, osare guardarli in faccia, senza paura e anche senza temerarietà, affinché l'impulso profondo dello Spirito possa anch'esso sorgere e aprirsi un varco. E proprio questo l'obiettivo della paternità spirituale: avvicinare una persona ai propri sentimenti e ai propri desideri più profondi, al fine di avvicinarlo allo Spirito santo.

Spirito di pace



In te si esprime l'accordo del Padre e del Figlio, tu sei la pace divina personificata.  
Vieni a renderci partecipi di questa pace essenziale, mettendoci in armonia col Cristo e col Padre.  
Vieni a farci gustare la pace intima dell'accordo profondo del nostro essere con Dio, dal quale dipende l'accordo profondo con noi stessi.  
Muovici a cercare questa pace con un comportamento che si sforzi di piacere al Signore in tutte le cose.  
Liberaci dalle inquietudini e dalle angosce che ci turbano e ci impediscono di amare Dio con tutto il cuore.  
La certezza della bontà divina e la illimitata fiducia nella sollecitudine del Padre celeste ci facciano superare ogni preoccupazione per l'avvenire così da poter vivere in una pace inalterata.  
E la pace del nostro accordo con Dio ci aiuti a custodire la pace che deriva dall'unione con quelli che ci circondano.  
Tu che diffondi la pace, fa di noi gli artefici della pace, spiriti concilianti e cuori generosi in tutte le iniziative della carità.  
Donaci di seguire tutte le ispirazioni con le quali tu vuoi condurci sulla via della pace: pace della coscienza, pace dei rapporti sociali, pace dell'universo.  
Stabilisci in noi il regno della pace, segno autentico del regno di Cristo.  

Se oggi insisto molto sulla preghiera, è perché ciascuna di queste anime che avranno una decisione da prendere, trovano la risposta per quanto riguarda la loro Vita Eterna.



Venerdì 14 agosto 2020 ore 12:30

"Figlio mio, io sono Maria, tua Madre.

Caro figlio, sono piena d'Amore per tutti i miei figli. È Per questo motivo desidero salvarli tutti.

Il tempo è già arrivato dove tutto deve concretizzarsi. Molti troveranno rifugio nel mio Cuore Immacolato. Invece, molti saranno traumatizzati alla vista dei loro peccati, e molti dovranno decidere tra il bene e il male.


Se oggi insisto molto sulla preghiera, è perché ciascuna di queste anime che avranno una decisione da prendere, trovano la risposta per quanto riguarda la loro Vita Eterna.


Non dimenticate che la lotta tra il bene e il male è al culmine.



Il «regalo» che il Padre Eterno darà a ciascuno dei Suoi figli, sia: L'Illuminazione delle coscienze, diventerà la loro decisione!


Molti saranno perduti, perché i loro peccati saranno così grandi che non potranno attraversare questo torrente d'amore che sarà riversato su di loro...



Affinché i Miei figli possano ritrovare la Via della Verità, Vi chiedo di pregare molto per loro, affinché abbiano la grazia del momento, attraverso le vostre preghiere, molti ritroveranno le Luci per la loro Salvezza.


Cari figli, SIATE PAZIENTI E PERSEVERANTI, e soprattutto non scoraggiatevi nonostante gli ostacoli che troverete lungo la strada.



Uniti dalle vostre preghiere e soprattutto dalla recita del Rosario, voi eclisserete il male.


Siate allora anime ferventi e sempre unite in Cielo.


Caro figlio, grazie per il tuo ascolto. Ti amo e Ti benedico. »



Maria, la tua mamma.

Robert Brasseur

martedì 1 settembre 2020

Mons. Crepaldi: dopo il coronavirus un nuovo statalismo?



Dopo il coronavirus: la strada della vera libertà

Qualche settimana fa, in piena emergenza coronavirus, ho avuto modo di rendere note alcune mie riflessioni, condotte sia come vescovo sia come convinto promotore della Dottrina sociale della Chiesa, sulla nuova situazione sociale creata dall’epidemia. Come ricordavo in quella occasione, questa esperienza richiede di essere valutata prima di tutto in chiave spirituale e nella visione di una teologia della storia umana segnata dalla caduta e dalla redenzione.
Scriveva infatti Leone XIII nella Rerum novarum che «le cose del tempo non è possibile intenderle e valutarle a dovere, se l’animo non si eleva ad un’altra vita» (n. 17).
Così la Chiesa aiuta gli uomini ad affrontare anche la presente crisi: «La crisi ci obbliga a riprogettare il proprio cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno» (Caritas in veritate, n. 21).
Tenendo conto di questa prospettiva, vorrei ora continuare quelle osservazioni interrogandomi più direttamente su alcune direttive di azione, che assieme ai principi di riflessione e ai criteri di giudizio, fanno parte della proposta della Dottrina sociale della Chiesa.

La vera libertà

Il prossimo futuro dovrà essere una fase della vera libertà, ricordando che «la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione della verità» (Centesimus annus, n. 46).
Durante l’emergenza abbiamo vissuto alcune legittime limitazioni della libertà insieme ad altre meno legittime.
I dati scientifici non sempre sono stati utilizzati secondo verità, le restrizioni e le sanzioni talvolta non sono state applicate con buon senso, sono emerse anche nuove forme di autoritarismo politico.
Il prossimo futuro dovrà essere di vera libertà, non per rivendicare una libertà assoluta, ma per riappropriarsi della libertà da viversi nelle varie realtà naturali, dalla famiglia all’impresa, dal quartiere alla scuola.
C’è una grande occasione per superare una libertà artificiale e costruire una libertà reale e naturale, espressione della vera essenza della persona umana e dei fini autentici della comunità politica.

Il ritorno dello statalismo

Per dare concretezza storica ad una vera libertà, bisognerà porre attenzione ad evitare un nuovo statalismo. Certamente lo Stato deve fare la propria parte per garantire la sicurezza nel settore dell’economia e per sorvegliare sulla giustizia.
Bisogna però ricordare che un nuovo statalismo potrebbe forse distribuire risorse di tipo assistenzialistico ma difficilmente sarà in grado di promuovere una giusta ripresa economica e sociale (cfr. Centesimus annus, n. 48).
Lo Stato dovrà intervenire sui grandi nodi infrastrutturali, ma le risorse dovranno essere messe a disposizione per investimenti e produttività, per la creazione di lavoro vero e non di lavoro assistito.
Anche questo fa parte della verità della libertà, in questo caso della libertà economica. Da questo punto di vista ipotesi come il reddito di emergenza, la regolarizzazione in blocco degli immigrati irregolari, le massicce assunzioni nel pubblico impiego condotte senza reali motivi funzionali dovrebbero essere evitate.

Un sistema sanitario sussidiario

Da molte voci si chiede una riappropriazione del sistema sanitario da parte dello Stato centrale. La Dottrina sociale della Chiesa propone a questo riguardo il principio di sussidiarietà: «una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre» (Centesimus annus, n. 48).
Credo quindi che la sanità dovrebbe essere ripensata non con il criterio del ri-accentramento ma in chiave sussidiaria, fondandola sul principio di responsabilità sia delle amministrazioni locali sia dei corpi intermedi.
L’accentramento in quanto tale, infatti, può deresponsabilizzare. Serve una sussidiarietà responsabile e coordinata, con la partecipazione anche del privato, delle fondazioni, delle istituzioni religiose aventi una vocazione sanitaria e delle comunità locali.

La libertà di educare

Gli aspetti ora visti sono espressione di vera libertà, la libertà organica e non individualistica indicata da sempre dalla Dottrina sociale della Chiesa.
Dello stesso tipo è la libertà della scuola, fortemente penalizzata durante la pandemia. Ancora una volta si è seguito l’uso di astratte disposizioni dall’alto incapaci di tenere conto delle diversità sociali e territoriali e dei protagonismi da valorizzare nel Paese.
Le scuole paritarie sono state messe in seria difficoltà e questo nuovo statalismo laicista ha suscitato una positiva voglia di scuola parentale veramente libera dallo Stato, che produrrà nel prossimo futuro i suoi frutti. In Italia ci vuole una vera libertà di educazione a tutti i livelli, condizione necessaria per la stessa ripresa economica e civile.
Anche in questo caso l’accentramento va superato, mentre occorre dare spazio alle famiglie naturali e alle famiglie spirituali della società civile.

Demolire la macchina del Leviatano

Nel nostro Paese il centralismo statalista si concretizza in un sistema burocratico molto rigido.
Durante la pandemia si è fatta notare la differenza tra i lavoratori del settore privato, in apprensione per il loro futuro, e i lavoratori del settore pubblico. Nella macchina pubblica, così garantita, ancora una volta si sono dovuti registrare errori e lentezze. Infermieri e medici hanno dato il massimo di sé, ma ciò è avvenuto nonostante i difetti del sistema, anzi a loro compensazione. Da decenni la riforma della burocrazia è all’ordine del giorno e mai risolta.
Per farlo serve una nuova visione sussidiaria e incentrata sul bene comune. La realtà non è fatta di singoli cittadini, di anonimi uffici pubblici e dallo Stato, come Grande Individuo. Nella società organica di oggi ci sono soggetti dotati di un grande know-how che non trovano spazio per agire, sia in campo economico che educativo che produttivo. La riduzione della burocrazia richiede una grande riforma capace di ripensare il servizio pubblico, distinguendo tra loro i concetti di pubblico e di statale.

La vera libertà fiscale

La vera libertà per cui bisogna combattere in questa fase di ripresa è anche quella fiscale. Non solo una patrimoniale è da evitare, ma anche il mantenimento di una fiscalità di Stato esosa e oppressiva.
Il sistema fiscale va commisurato alle imprese e alle famiglie, non agli individui.
Il fisco deve ritrovare i suoi criteri di moralità: deve essere usato per il bene comune e deve essere proporzionato.
Già la Rerum novarum auspicava: «la proprietà privata non venga oppressa da imposte eccessive» (n. 35).
Durante la pandemia le tasse sono state solo rinviate, bisogna che vengano radicalmente diminuite in concomitanza con la ristrutturazione dell’apparato burocratico e i suoi costi. Per aiutare le famiglie e le imprese non bisogna dare sussidi a pioggia, bisogna abbassare le tasse, riscoprendo il significato fiscale e sociale del diritto naturale della proprietà privata.

Meglio un prestito nazionale

È stato ormai deciso che la ripresa avverrà con un forte aiuto finanziario dall’Europa. Non si tratta di un aiuto gratuito e a fondo perduto, né finanziariamente né politicamente. Dal punto di vista del bene della nazione e del principio di sussidiarietà sarebbe stato da preferire l’idea caldeggiata da diversi economisti di un prestito nazionale.
Ciò non sarebbe stato in contrasto con la critica all’accentramento statalista vista sopra, perché avrebbe riguardato il reperimento delle risorse e non il loro utilizzo.
Sussidiariamente parlando, la prima scelta da attuare è di fare da sé e da questo punto di vista l’Italia avrebbe potuto fare da sé, stante la cospicua entità del risparmio privato.
Se consideriamo l’ordine naturale delle cose, la famiglia e la nazione vengono prima dello Stato e delle istituzioni sovra-statali.
Bisognerà evitare che dietro ai finanziamenti per il dopo-coronavirus si faccia valere nuovamente un europeismo ideologico che schiacci la nazione condizionandone la vita e la libertà.

Nuovi poteri all’orizzonte

Un altro pericolo per la nostra vera libertà e al quale porre molta attenzione nel prossimo futuro è la possibile emergenza di nuovi poteri sovranazionali motivati dalla necessità di fronteggiare le emergenze.
Il coronavirus è stato un esperimento mondiale.
È possibile che, sulla scorta di questa esperienza, si producano in futuro nuove emergenze, magari di tipo ecologico e ambientalistico, per motivare una stretta delle libertà e per instaurare forme di pianificazione centralizzata e di controllo uniformato. Le forze che spingono per un nuovo globalismo fondato su un “nuovo umanesimo” e anche durante la pandemia ne abbiamo avuto prova.

La libertà o è vera o non è libera

Infine sarà impossibile percorrere la strada della vera libertà senza la libertà di nascere una volta concepiti, di essere procreati e in modo umano, di nascere sotto il cuore di una mamma e di un papà, di non essere costretti a morire per volontà altrui facendoci credere di morire per volontà nostra, senza la libertà vera di poter educare i nostri figli.
L’uscita dalla crisi della pandemia ci faccia riscoprire che «oggi il fattore decisivo è sempre l’uomo stesso» (Centesimus annus, n. 32) e non le strutture, e che «lontano da Dio l’uomo è inquieto e malato» (Caritas in veritate, n. 76).

Giampaolo Crepaldi 
da: http://www.diocesi.trieste.it/il-vescovo/omelie-e-discorsi/

Vivere una vita veramente arresa



Mi sono infortunato al ginocchio alcuni anni fa mentre giocavo a calcio in un campus universitario di Manila. Mi sono seduto in disparte, guardando il mio ginocchio dolorante, vedendolo gonfiarsi così velocemente e sentendo quella sensazione palpitante. Le parole che mi venivano in mente erano tipiche: “Perché questo ora, Signore Gesù? Perché io? Questa è l'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento. " La mia risposta ha mostrato che ero lontano da quella resa totale che Gesù ci chiede come suoi discepoli. Potevo essermi data a Lui, ma ora ero riluttante ad accettare le cose dolorose e deludenti che mi stava offrendo.
Non siamo completamente arresi a Dio quando siamo impegnati a raccogliere e scegliere ciò che ci piace nella vita e rifiutare ciò che non è secondo le nostre preferenze o gusti. D'altra parte, un'anima completamente arresa è colui che accetta amorevolmente tutto ciò che esce per amore di Dio.
Mt. 16: 21-27 ci mostra Gesù come la persona perfettamente arresa e colui che il Padre ha mandato per condurci a questa resa completa. Si dona prontamente amorevolmente al Padre per la nostra salvezza e accetta anche amorevolmente tutto ciò che il Padre gli offre: "Cominciò a mostrare ai Suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto dagli anziani, dai capi sacerdoti e dagli scribi , e sarai ucciso e il terzo giorno risuscitato. " Accettò amorevolmente la morte ingiusta e brutale, nonché la gloriosa risurrezione che Suo Padre gli offrì.
In precedenza Pietro aveva accettato il potere delle chiavi e una nuova identità come roccia su cui Gesù costruirà la Sua chiesa. Ma, come molti di noi, non si è completamente arreso a Gesù. È impegnato a raccogliere e scegliere ciò che accetterebbe da Dio. Non avrebbe accettato il piano completo che il Padre stava offrendo a Gesù ea tutti i suoi discepoli perché non è in linea con il suo gusto e la sua preferenza per un messia: “Dio non voglia, Signore! Non ti succederà mai niente del genere. "

Pietro si guadagnò così giustamente il forte rimprovero di Gesù: “Va dietro a me, Satana! Sei un ostacolo per me. Non stai pensando come fa Dio, ma come fanno gli esseri umani ". Gesù dovette persino ripetere questa lezione di resa completa al Padre quando Pietro cercò di salvarlo con la forza dall'essere catturato nel Giardino di Getsemani. Gesù accettò liberamente di essere arrestato anche se aveva dodici legioni di angeli a Sua disposizione: "Non dovrei bere il calice che mio Padre mi ha dato?" (Gv 18:11) Ha accettato ogni singola cosa che il Padre ha voluto e permesso nella sua vita.
"Stai pensando non come fa Dio, ma come fanno gli esseri umani." Sappiamo che vedere Gesù è vedere il Padre (cf. Gv 14,9). Quindi “pensare come fa Dio” significa partecipare all'abbandono totale di Cristo al Padre, cioè offrire noi stessi con amore a Lui e accettare anche tutto ciò che Egli ci offre in cambio. Poiché tendiamo ad accettare solo ciò che è piacevole al nostro gusto, Gesù ci chiede: "Quale profitto ci sarebbe se uno guadagnasse il mondo intero e perderà la sua vita?" Ciò implica che è soprannaturalmente inutile per noi scegliere e accettare solo ciò che ci piace nella vita.
San Paolo ci ricorda che è per la misericordia di Dio resa presente in Gesù Cristo che possiamo effettivamente sperare di offrirci a Dio e ricevere tutto ciò che Egli ci offre: "Vi esorto, fratelli e sorelle, per la misericordia di Dio, per offrire i tuoi corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, il tuo culto spirituale ". Dobbiamo rifiutarci di essere "conformi a questa età" perché questo mondo accetta solo ciò che gli è piacevole e facile, giudicando tutte le cose dal proprio punto di vista e preferenze mondane.
Al contrario, accettare amorevolmente tutto ciò che Dio ci offre permette a Dio di abbracciarci, agire nella nostra vita e realizzare il Suo misterioso scopo in noi. Questo è ciò che ci riempie di quella gioia del Signore per cui siamo fatti. Questo è così perché una tale vita di completo abbandono ci aiuta a discernere "qual è la volontà di Dio, ciò che è buono, gradito e perfetto". Non possiamo afferrare ciò che è veramente gradito a Dio e veramente utile per noi quando ci manca l'abbandono completo a Dio.
Miei cari fratelli e sorelle in Cristo, ci siamo donati a Dio nel Santo Battesimo. Perché la nostra resa a Lui è incompleta? Perché ci accontentiamo delle gioie terrene solo di ciò che piace ai nostri gusti quando ci invita alla gioia eterna e soddisfacente del Signore dall'accettare tutto ciò che ci offre? Gesù non ci ha assicurato che lo riceviamo solo accogliendo un bambino bisognoso nel suo nome (Cf Mc 9,37)? Perché allora siamo pietrificati di ricevere tutto ciò che ci offre nella vita? Non dovremmo fare eco ai sentimenti di Giobbe: "Riceveremo il bene per mano di Dio e non riceveremo il male?" (Giobbe 2:10)
Nel nostro mondo oggi vediamo questo rifiuto di accettare tutto ciò che Dio ci offre. Accettiamo solo ciò che è piacevole, facile e confortevole e rifiutiamo ciò che non è nessuna di queste cose. Quanti di noi hanno scelto consapevolmente di accettare il virus Covid-19 con tutti i suoi disagi e inconvenienti per amore di Dio? Non siamo più coinvolti nel discutere se il virus sia una punizione di Dio o la natura che fa i capricci? Non stiamo accettando solo gli insegnamenti ei comandamenti di Dio che troviamo attraenti e che violano palesemente quelli che troviamo scomodi e contro il nostro gusto?
Molti cattolici oggi scelgono e scelgono anche tra i sacramenti, che si accalcano per ricevere il Sacramento dell'Eucaristia la domenica, ma hanno poco o nessun amore o apprezzamento per il sacramento della Riconciliazione perché va contro il nostro orgoglio ferito. Amiamo difendere i migranti mentre ignoriamo i bambini non nati che vengono assassinati nel grembo delle loro madri perché oggi è meno di moda difendere la vita innocente dei nascituri. Cerchiamo inutilmente di essere soddisfatti con una gioia passeggera e abbandoniamo la gioiosa speranza del pieno abbandono a Dio per il quale gli apparteniamo e accettiamo tutto ciò che ci offre.
Gesù Cristo, il re della misericordia, condivide con noi in questa Eucaristia il suo atteggiamento di offerta di sé al Padre e di accettazione di tutto ciò che il Padre gli offre. Possiamo solo offrire noi stessi al Padre e ricevere tutto ciò che il Padre ci offre perché Gesù lo ha fatto per primo e ci invita a fare lo stesso in Lui e per Lui con la sua misericordia. Non possiamo che rinnegare noi stessi e accettare le nostre croci nella vita perché, in Lui, anche noi possiamo accettare tutto ciò che il Padre ci offre con amore sapendo che è anche la via della nostra gloria.
Guardiamo a Mamma Maria che si è offerta tutta a Dio nell'Annunciazione: "Ecco, la serva del Signore". Accettò anche amorevolmente tutto ciò che Dio le offrì nella vita: dare alla luce Gesù in una mangiatoia, fuggire con Lui in Egitto per sfuggire all'omicida Erode, cercarlo per tre giorni, camminare con Lui fino al Calvario, guardarlo morire sul croce, e pazientemente aspettando la Sua gloriosa risurrezione.
Il grembo di Maria e la casa di Nazareth sono le scuole in cui Gesù imparò e fu preparato per una vita di completa resa al Padre. Anche noi possiamo entrare nel grembo spirituale di Maria e imparare da lei il completo abbandono in modo da poter accettare tutto ciò che Dio ci offre e permettere a Dio di abbracciarci e sorprenderci con la sua gioia senza fine.
Gloria a Gesù !!! Onore a Mary !!!
P. Nnamdi Moneme OMV

Mio Dio



Mio Dio, io non posso fare altro che cadere in ginocchio, con il grande rivelatore del mistero della grazia, Gesù, supplicandoTi, Padre mio, di aumentare mediante il tuo Santo Spirito le mie capacità spirituali, la fede e la carità, perché abbia forza di contemplare l'ampiezza, la lunghezza, la sublimità, la pròfondità della carità di Cristo, e rendermi conto che essa supera ogni intelligenza; e che devo lasciarmi invadere dall'effusione della vita Divina...

O Padre, viva in me Gesù e per mezzo suo avrò parte al tuo Amore. ... Io non sono puro, ma il sangue del Figlio tuo mi purifica; sono lontano da Te, nelle tenebre, nella menzogna, nella morte, ma Lui è la Via, la Verità, la Vita. Insegnami a lasciare me stesso, a rinnegarmi, a spogliarmi, a morire, e quando Cristo sarà diventato la sola mia vita, Tu, o Padre, ti compiacerai amorosamente in me. 

(Cardinal D. Mercier)


« Signore, abbiamo lavorato tutta la notte senza prender nulla ... ». Ebbene, gettate le reti alla mia parola, voglio far di tutti « pescatori d'uomini ».



SUPREMO APPELLO

… Datevi a Me serenamente, con l'unico desiderio di farmi vivere in voi, e, senza neppure avvedervene, mi darete alle anime; le nutrirete di Me. Chinatevi su tutte ... nessuna vi sembri troppo meschina, o troppo inaccessibile. Non le invadete, chinatevi semplicemente, son Io che opero, a vostra insaputa; fatemi passare, offritemi silenziosamente, all'anima su cui vi chinate, riverberatemi su lei senza parole e vi assicuro che Io la conquisterò. Grande è la parte vostra, ma in modo passivo; non vi agitate troppo, mettete la vostra attività solo nel compimento del vostro dovere, di tutto il vostro dovere e per il resto lasciatemi vivere, lasciatemi operare. Mi si concede troppo poco posto ... vi affaticate molto e prendete poco. E' l'eterno sbaglio: « Signore, abbiamo lavorato tutta la notte senza prender nulla ... ». Ebbene, gettate le reti alla mia parola, voglio far di tutti « pescatori d'uomini ».

Moneta del popolo TASSE ZERO!



Estratto dal libro: “La banca la moneta e l’usura” di Sua Ecc.za dott. Bruno Tarquini


L’INDEBITAMENTO SIGNIFICA: TASSE

Ma se si contraggono debiti, la conseguenza è che essi debbano essere pagati; e che il denaro ricevuto in prestito debba essere restituito, naturalmente con gli interessi. Ma come fa lo Stato ad adempiere tale obbligazione? In quale modo si procura il denaro necessario per restituire quanto dovuto alla Banca Centrale? Oltre ai soliti modi, dei quali si è fatta già menzione, vale a dire le operazioni di vendita dei beni patrimoniali e di dismissione di quelli demaniali e l’emissione di titoli di credito fruttiferi, quello più efficace e sicuro, quello da cui ritrae il maggior gettito consiste nella imposizione fiscale a carico dei cittadini: le imposte, dirette e indirette, sono infatti le vie attraverso le quali lo Stato riesce ad introitare tutto, o quasi tutto, il denaro da restituire all’Istituto di Emissione. Questo significa allora che il pagamento del debito viene sopportato in massima parte dai cittadini, cioè dal popolo. Cioè è il popolo che si indebita ed è il popolo che, in definitiva, deve pagare.

 Bisogna anche mettere nella dovuta evidenza che la moneta che il popolo è obbligato a pagare come imposta, non è la stessa moneta che, a suo tempo, la Banca aveva prestato allo Stato: beninteso, le due monete sono costituite dallo stesso supporto cartaceo, contengono gli stessi simboli ed hanno lo stesso valore facciale; nondimeno hanno una diversa impronta qualitativa e soprattutto morale, perché, mentre la moneta prestata dall’Istituto di Emissione allo Stato viene creata dal nulla, la moneta pagata dal popolo è l’effetto delle attività lavorative dei cittadini, costituendone il compenso. Se il costo della prima è quindi rappresentato soltanto dalla carta e dalla stampa, il costo della seconda è rappresentato dal lavoro del popolo: la prima non ha, al momento della sua immissione nella circolazione, alcun valore e puzza solo di inchiostro; la seconda, al contrario, è moneta vera perché, circolando, ha acquistato valore e odora pure della fatica dei cittadini.
Ma esiste un’altra via, attraverso la quale i cittadini sono soggetti, quasi sempre inconsapevolmente, a sopportare una posizione debitoria nei confronti della Banca d’Italia. Per far fronte ad esigenze od emergenze personali, familiari o imprenditoriali, i cittadini sono costretti a ricorrere a mutui bancari. È naturale che costoro debbano pagare il prezzo di tali operazioni, sotto forma di un interesse, ma questo interesse contiene in sé anche una quota, la cui legittimità non può sufficientemente sostenersi: è la quota di interesse che corrisponde al tasso di sconto (TUS) che la Banca d’Italia, di sua iniziativa, determina per le anticipazioni fornite alle banche commerciali, che queste debbono quindi pagare alla stessa Banca Centrale, ma che, a volte anche oltre la soglia dell’usura, grava sul cliente della banca, e cioè sui cittadini.


“Chiesa viva” NUMERO UNICO *** Gennaio 2014


INFANZIA  SPIRITUALE



La Stolta Superbia Soave Umiltà



“Dio ama i piccoli. A chi si fa bambino, tornando puro, semplice, amoroso, fedele, Egli apre le dighe della sua Misericordia, facendone fluire torrenti di grazie. Non potendole spiegare, si accettano certe grazie del Signore con la semplicità dei bimbi, cercando di meritare altri favori, rimanendo immersi nella purezza e nella generosità.
Sapete la prima condizione per essere di Cristo? Prendere questi pargoli a modello. Imitateli! L’anima rivestita della grazia battesimale è come uno specchio di Dio, un piccolo Dio che aspetta, amando, di tornare in Cielo dove lo aspetta il suo Amore Creatore. In essa vi è la semplicità e la purezza per accogliere la rivelazione di Dio”.
I fanciulli hanno ali, non catene, al loro spirito ilare. Mi imitano facilmente perché non hanno ancora preso nessuna personalità. Si fanno come sono Io, perché sulla loro anima vergine di impronte, si può imprimere senza confusione di linee la mia dottrina e figura. Hanno l’anima priva di umani ricordi, di risentimenti, di preconcetti, non c’è nulla. Ci posso essere Io, perfetto, assoluto, come sono in Cielo” (Poema 8°, p. 101).
“Siete meno dei bambini, perché loro sono innocenti, mentre voi non lo siete, perciò in voi è più appannata, fosca, la luce spirituale. Le anime di adulti veramente “bambine” sono rare come le perle di perfetta rotondità e di mirifica grandezza. I fanciulli di età hanno tutti quell’anima, non ancora profanata, delizia di Dio e sollievo si Cristo. Mi piacciono i bambini, perché sono puri, sinceri, amorosi” (Poema 2°, p. 48).
“Amo tanto i bambini! Non mi hanno mai visto ridere altro che con loro: erano per Me la mia gioia di uomo. Il Padre era la mia gioia di Dio, la mia Madre, la mia gioia di Uomo-Dio e il mio Discepolo (Giovanni), la mia gioia di Maestro. Ma i bambini sono stati il mio giocondo sollievo sulla Terra tanto amara” (Quad. ‘44, p. 254).
“Più che figli delle mie viscere sono i bambini per Me. Io sono il loro padre per l’anima che è mia, non per il tempo che passa, ma per l’eternità che resta. Così potessi dire di ogni uomo che da Me, Vita, traesse la vita per uscire dalla morte” (Poema 8°, p. 318). “Non ci sono che le labbra dei piccoli che tolgono il dolore delle ferite del Salvatore: dei piccoli per età e per volere. Questi ultimi, per amore verso il Divino Maestro, si fanno “piccoli per avere il Regno dei Cieli” (Mt. 19,13). “Salomone non ha avuto, nella sua ricchezza, veste più bella del giglio che profuma. Ma per il mio Cuore non vi è giglio che valga uno di questi piccoli. Non vi è aiola, né giardino che, per me, valga quanto uno solo di questi puri, innocenti, sinceri e semplici bambini. Questi sono i miei gigli, il giardino in cui il Figlio di Dio va pascersi del suo cibo celeste, di amore e di purezza. L’aiola da cui coglie i fiori a Lui cari, in cui non c’è macchia di senso, di cupidigia, di superbia. Voi che volete conoscermi, amarmi, sappiate la prima condizione per essere miei. Non vi dico parole né vi dò esempi difficili, vi dico solo: prendete questi ad esempio” (Poema 2°, p. 147).
“Siate semplici com’è semplice Dio e il fanciullo. Siate veritieri in tutti momenti della vita. Siate schietti! - “E’ per la tua sincerità che ti amo, Pietro” (Poema, 2°, p. 51) - E’ così bella la bocca dell’uomo che non conosce menzogna! Sarà povero, rozzo, sconosciuto, ma è sempre un re, perché è un sincero. La sincerità è regale più dell’oro e del diadema, innalza sulla folla più di un trono, dà corte di buoni più di un monarca. Sicurezza e sollievo dà la vicinanza dell’uomo sincero, mentre disagio dà l’amicizia dell’insincero. Solo ad averlo vicino dà un senso di fastidio, poiché presto la menzogna affiora per mille pori. Non pensa il bugiardo che, dopo, sarà sempre tenuto in sospetto?” (Poema 2°, p. 608).
“Ti voglio tenere per mano come un bravo bambino. Più avrai l’anima di un bimbo, più ti sarò Padre e Maestro. L’ubbidienza mi rende benigno e più maestro che mai”. “Il giorno in cui tu volessi divenire grande e pari agli adulti che non hanno bisogno di essere guidati perché sanno e se ne vantano, cesserei di tenerti per mano” (Quad. ‘43, p. 611).
“Non è un riposo, un confronto, un legame fra sposi, parenti, amici, uno di questi innocenti, la cui anima è pura come alba serena, il cui viso fuga le nubi e mette speranza, le cui carezze asciugano le lacrime e infondono forza di vita? Perché in loro tanto potere, in loro ancora deboli, inermi, ignoranti? Perché in sé hanno Dio, la forza e la sapienza di Dio. Hanno la vera saggezza: sanno amare e credere, sanno vivere in questa fede, in questo amore. Siate come loro: semplici, puri, amorosi, sinceri, credenti. Non vi è sapiente che sia maggiore del minore di loro, la cui anima è di Dio e della quale è il suo Regno” (Poema 2°, p. 147). “Il Regno dei Cieli è simile ai bambini”. In essi comanda la logica superiore dell’amore, non la logica della ragione.
“Amate il fanciullo come modello angelico che dovete imitare, perché come angeli dovrete essere. A vostra scusa potreste dire: “Non vediamo angeli!” Ma Dio vi dà il bambino come esempio, e questo lo avete fra voi. Se vedete un fanciullo abbandonato materialmente o moralmente, raccoglietelo in mio Nome.
Chiunque accoglie un bambino in nome mio, accoglie me stesso, perché Io sono nella loro anima innocente, e chi mi accoglie, accoglie chi mi ha mandato: l’Altissimo.
Come bambini, amatevi tra di voi, senza dispute, senza superbie. Siate in pace tra di voi e con tutti. Fratelli nel Signore siete, non nemici. Non ci devono essere nemici per i discepoli di Gesù. L’unico nemico è Satana. Di quello siate nemici acerrimi, scendendo in battaglia contro di lui e contro i peccatori che portano Satana nei cuori. Non dategli quartiere. Il demonio non dice mai: “Basta, ora sono stanco!” Egli è l’instancabile. ma voi dovete dire ciò che dice lui: “Io non riposo!” Lui non dorme nè riposa mai per popolare l’Inferno; voi non dovete riposare per popolare il Paradiso.
Vedete questo fanciullo, è nella verità più di voi. La sua innocenza gli dà la chiave per aprire le porte del mio Regno. Egli ha compreso nella sua semplicità di pargolo che l’amore è la forza per diventare grandi, che l’ubbidienza fatta per amore è la chiave per entrare nel mio Regno. Siate semplici, umili, ubbidienti alle mie parole, amorosi di un amore che non è dato solo a Me, ma è scambievole tra di voi. Imparate dai piccoli. Il Padre rivela a loro la verità come non la rivela ai sapienti”.
“Il più grande nel regno dei Cieli è il minimo fra gli uomini, quello cioè che è considerato “minimo” dagli uomini: il semplice, l’umile, il fiducioso, l’ignaro, il fanciullo o chi sa rifarsi anima di fanciullo. Non è la scienza, né il potere, né la ricchezza, neppure l’attività anche se buona, quelle che vi faranno grandi, “il più grande” nel Regno celeste. Ma è l’essere come pargoli per amorevolezza, umiltà, semplicità e fede.
Osservate come mi amano i Bambini, come credono in Me, imitateli; come ricordano ciò che insegno e non insuperbiscono di ciò che fanno, imitateli; come non sono gelosi di Me e dei miei, imitateli.
Se non cambiate il vostro modo di pensare, di agire e di amare, e non ve lo rifate sul modello dei bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli. Sanno come voi l’essenziale della mia Dottrina, ma con quanta differenza la praticano! Per ogni vostro atto buono, voi dite: “Io ho fatto questo!” Il fanciullo mi dice invece: “Gesù, per te ho ubbidito, amato, e sono contento perché lo sei anche te!” Quando mancano, con che umiltà mi confessano:
“Oggi sono stato cattivo, mi dispiace, perché ti ho dato dolore!” Non cercano scusanti. Sanno che Io so. Si dolgono per il mio dolore. O bambini, cari al mio cuore e in cui non c’è superbia, né doppiezza, né lussuria! Ve lo dico: diventate loro simili, se volete entrare nel mio Regno”.

René Vuilleumier