L'EPISTOLARIO
Contenuto e sua importanza
L'argomento delle lettere è uno ed allo stesso tempo vario. E' uno, perché le lettere non hanno altro scopo che di rendere un esatto resoconto ai direttori dello stato presente della sua anima, manifestando loro i segreti dello spirito per trovare sicurezza nel cammino, orientamenti nei dubbi e sostegno nelle perplessità.
Ma è altresì varia la tematica, perché varie sono le fasi dell'attuazione dei disegni divini; varie le manifestazioni della grazia, sempre operante; varie le difficoltà e le lotte della natura e le insidie di satana, varie le aspirazioni ed i bisogni dell'anima; varia la fenomenologia mistica, che punteggia l'itinerario dell'anima verso Dio.
Con spontanea semplicità, senza ricercatezze stilistiche e senza divagazioni dottrinali, padre Pio descrive i gaudi e le pene, le gioie e le tristezze (invero più queste che quelle), le divine elevazioni e le deficienze umane, i trionfi e le sconfitte, i progressi ed i regressi, le esigenze della grazia e la limitatezza della natura.
E' il ritratto fedele e perfetto, senza ritocchi e mascheramenti, della sua anima privilegiata.
Mentre da tale corrispondenza il lato umano della spiritualità di padre Pio è quasi fotograficamente riprodotto, il lato divino, il lavorio nascosto della grazia, anche se ampiamente descritto, spesso si intravede ma non lo si vede completamente.
Il lato umano, fatto di lotte, di lamenti, sofferenze, debolezze e tentennamenti balza con accenti sempre nuovi da quasi tutte le pagine. Lo stesso padre Pio confessa che spesso i suoi scritti sono "pieni di lamenti e di lagrime" (16 2-1915) e ne dà la spiegazione lui stesso: "Mi accorgo, o padre mio, che vi cagiono colle mie lettere sempre nuovi dolori, vi ripeto sempre le stesse cose, e voi con santa pazienza mi ascoltate; ma, che volete? le condizioni sono sempre le stesse, come fare a parlarvi d'altro?" (15 8 1915).
Del resto, scrive a p. Agostino: "Per un cuore traboccante di dolore, non è mai troppo il parlare a lungo, lo scoprire le sue ferite a chi è stato da Dio incaricato a dirigerlo" (18 9 1915).
Questa sua tendenza a parlare più spesso e più volentieri delle sue debolezze e imperfezioni, delle sue sofferenze, anziché delle sue gioie, dei suoi tormenti intimi invece che delle sue ascensioni mistiche, delle sue lotte e non delle sue vittorie, non piaceva ai direttori.
Padre Benedetto, con un dolce ma energico rimprovero, lo esorta a dilungarsi nei resoconti di coscienza sui rapporti con la divinità e a non tenersi soltanto per sé "l'idillio" e le "gioie", anche perché questo avrebbe facilitato il suo compito di direttore e gli avrebbe dato l'avvio a quei discorsi lunghi che egli tanto desiderava:
"Ed ora vengo a te. Come scrivere a lungo su temi sì corti? E' da parecchio che mi dici una sola parola: soffro! Mel sapevo e non c'era bisogno di ricantarmela.
Devo dunque ragionar di ciò che ignoro o investigare un cielo velato? Soffro!
Almeno dimmi che, come san Giovanni nella caldaia di olio bollente e san Lorenzo sulla graticola, soffri e gioisci. Ma mentre sei sollecito di piangermi la solita elegia, tieni per te l'idillio. Sono io dunque destinato a sentire soltanto gemiti? Voglio saper tutto distintamente da un anno a questa parte, e per ubbidienza. Voglio che dolori e gioie mi siano narrati nelle loro particolarità, nei loro periodi e nel loro progresso, anche se nella relazione debba impiegarsi un mese. Non è una penitenza meritata ed equa? E a questa ne aggiungo un'altra, cioè di non esser breve solo quando tu sarai lungo" (18 3 1921).
Nessun commento:
Posta un commento