venerdì 17 gennaio 2025

Quale carità! Gesù ringrazia non di ricevere, ma di donare.

 


7 novembre 1946, festa del Beato Gabriele Peyrboire. 


Dopo la Cena e prima di recarsi al Getsemani, Gesù recita l'inno di ringraziamento. É adesso che questo inno prende tutto il suo significato. Per gli ebrei non era che un atto di gratitudine rituale, una reminiscenza dell'Esodo. Per Gesù, è la piena realizzazione non solo delle profezìe e della Legge, ma anche del suo progetto di redenzione e di deificazione dell'umanità. Non è solo di un pasto, anche solenne, che Gesù ringrazia il Padre, è di avergli permesso di dare Se stesso in nutrimento e bevanda. Quale carità! Gesù ringrazia non di ricevere, ma di donare. Che lezione per noi che diamo cosi faticosamente, che ci aspettiamo troppo spesso un ritorno o almeno un'espressione di gratitudine, e che crediamo di mettere il colmo alle nostre bontà se non ci aspettiamo riconoscenza dei nostri favori!

Gesù, Lui, ci insegna a considerarci come gli obbligati di quelli che ci obbligano. Ed è giusto. Cosa diamo noi di nostro? Tutto è da Dio. A chi diamo? A Dio, poiché Gesù si vede nel povero, e, pertanto, è nostro l'onore se Dio vuol ricevere da noi! Come diamo? Per un movimento del cuore o dello Spirito che Dio ci ha ispirato. Il merito della buona azione va innanzitutto a Lui. E perché aspettarci un ringraziamento? Avremmo allora già ricevuto la nostra ricompensa, mentre essa sarà grande nei Cieli: sarà Dio stesso; lo ha promesso. Cosa diamo noi in cambio di questo Dono supremo? Niente! Siamo dunque noi gli obbligati per i nostri obblighi. Qui Gesù ringrazia ugualmente il Padre di liberare noi, nuovi ebrei, dagli egiziani, cioè dai demòni. Ci condurrà nella Terra Promessa, nel suo Regno; prima qui, poi in Cielo. E per far ciò, ci fa attraversare il mar Rosso del suo Sangue sparso per noi, dove farà annegare i nostri peccati, a condizione che siamo prima segnati col sangue dell'Agnello, e che sappiamo perseverare in questa vita come gli israeliti avrebbero dovuto fare nel deserto, accettando le privazioni, senza recriminazioni, la monotonia di una vita semplice e talvolta fastidiosa, sapendo essere riconoscenti dei favori divini, giacché Dio non ha agito ugualmente con tutte le nazioni: noi siamo dei privilegiati. Gli apostoli che, per primi, furono i beneficiari di questa ultima e prima comunione come del Sacrificio del Divin Salvatore, rappresentavano le 12 tribù di Israele salvate, cioè tutti i cristiani, di ogni razza e nazione, che appunto noi siamo. Siamo dunque noi che dobbiamo cantare l'inno di ringraziamento.

Siano rese grazie al Figlio che ci ha riscattati col suo Sangue, che si è dato a noi, così indegni, che sarà la nostra ricompensa eterna, la nostra gioia eterna, il nostro amore senza fine. Siano rese grazie allo Spirito Santo che ci è stato inviato dal Padre per il Figlio, che ci santifica mediante il Figlio, che ci dona l'amore del Padre e del Figlio, che sarà la nostra vita eterna. Deo gratias. Amen. 

meditazioni, ritrovate tra i suoi scritti Fernand Crombette

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