"La più bella astuzia del diavolo, ha detto Carlo Baudelaire, sta nel persuaderci che egli non esiste". E aggiungiamo: che non esiste nemmeno l'inferno. Ha già ottenuto che di questo si parli oggi sempre meno, e in modo molto cauto e riservato, dai sacri oratori e in qualche catechismo. Eppure l'inferno è una verità tremenda della fede. Nel Vangelo la troviamo ripetuta più volte sulle labbra di Gesù. Da Lui sappiamo che l'inferno c'è, che è eterno, che c'è un fuoco inestinguibile e altri tormenti. Gesù dunque vuole che gli uomini conoscano il tragico destino in cui possono andare a cacciarsi, col rifiutare l'amore di Dio e la grazia salvatrice che loro offre.
L'uomo, finché vive, può con la sua libertà scegliere se stesso e rifiutarsi coscientemente a Dio, respingere l'amore di Dio. Se persevera in questa scelta fino alla fine, la morte non farà che confermarlo irrevocabilmente in essa, e sarà l'inferno. Finito il tempo, sarà finito anche il tempo delle scelte: il dannato non muterà più, anzi non potrà più mutare la sua decisione. La sua volontà rimarrà fissata per sempre nella sua scelta ostinatamente mantenuta.
Pur conoscendo l'infinita amabilità di Dio e la beatitudine eterna da lui perdute, il dannato resterà legato al suo rifiuto, al suo peccato, e questo sarà l'inferno del suo inferno. Comprende ora tutta la sua stoltezza, ma senza detestarla. Pensa che ci voleva così poco per evitare la sua dannazione, eppure si attacca ad essa come è attaccato al suo peccato. L'ostinato rifiuto opposto in vita alla grazia e all'amore è divenuto ora un irrigidimento irreversibile, un'autocondanna a vivere senza amore, senza Dio.
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