Per capire la preziosità della corona del Rosario basterebbe conoscere la vicenda dolorosissima del santo martire padre Tito Brandsma, un frate carmelitano olandese, arrestato dai nazisti e portato nel campo di concentramento di Dachau, dove soffrì maltrattamenti e agonie fino alla morte di martire (nel 1942), proclamato poi "Beato" dalla Chiesa come martire della fede.
Nel campo di concentramento gli tolsero ogni cosa: il messale, il breviario, la corona. Rimasto senza nulla, il beato Tito poteva soltanto pregare, e si attaccò perciò alla preghiera ininterrotta del Santo Rosario, servendosi delle dita per contare le Ave Maria.
Finalmente un giovane compagno di prigionia gli fece una corona con dei pezzetti di legno legati da sottili fili di rame, incidendogli una piccola croce su un bottone della casacca, così da non far notare nulla; ma su quella crocetta il beato Tito appoggiava la mano mentre pregava, provando l'impressione di appoggiarsi alla croce di Gesù lungo il cammino spossante che doveva fare ogni giorno per recarsi ai lavori forzati.
Chi può dire con quanto amore il beato Tito usava quella corona del Rosario così rustica e così significativa con quei pezzetti di legno e i fili di rame? Essa simboleggiava davvero la realtà dolorosa del campo di concentramento, ma appunto per questo essa era per lui il gioiello più prezioso che avesse, adoperandolo con la passione del martire, usandolo più che poteva nella recita dei Rosari senza numero.
La sorella del beato Tito, Gastche, ha potuto avere quella corona del martire e la conserva come una preziosa reliquia nella sua fattoria presso Bolward. In quella corona del Rosario si possono leggere tutte le pene e le sofferenze sanguinose, tutte le preghiere e gli affetti, tutti gli atti di forza e di abbandono del santo martire, che si è offerto e immolato fra le mani della Madonna, suo unico conforto e sostegno di grazia.
Padre Stefano Manelli
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