La preghiera e la Messa nella vita del cristiano
La preghiera nelle Religioni
Il cristiano, dunque, nella sua preghiera si rivolge a Dio nel nome di Gesù; il cristiano prega “in Cristo e con Cristo”. La preghiera cristiana – lo vedremo più avanti – si esprime perciò nella Chiesa e con la Chiesa. E’ nella Chiesa infatti che Cristo continua la sua presenza in mezzo a noi.
Ora, proprio perché “cristiana” la nostra preghiera si differenzia profondamente e radicalmente da ogni altra preghiera, anche da quella che troviamo nelle varie religioni del mondo. Le religioni sono espressione della dimensione religiosa presente per natura nell’anima umana; l’uomo infatti ha sempre avuto coscienza di Dio e del proprio rapporto con lui.
Questo vi dice che l’ateismo non solo è un fenomeno secondario, un prodotto di degradazione del pensiero occidentale moderno, ma è anche un controsenso, va contro natura, e perciò un ateismo veramente convinto non esiste. Quello che noi chiamiamo ateismo non è una negazione di Dio, ma il rifiuto di Dio.
Ora, nelle diverse credenze religiose il concetto di Dio e le sue immagini si presentano estremamente diverse. Ho detto il “concetto di Dio”, perché le sue rappresentazioni, per quanto diverse, possono anche fare riferimento ad un'unica realtà trascendente, tuttavia l’idea fondamentale della divinità non è affatto identica nelle varie religioni, anche se comunemente si sostiene che è solo questione di nomi.
Il nome “Allah” dei musulmani ha ben poco in comune con il vero Dio che si è rivelato all’umanità, e le stesse divinità orientali – induismo, scintoismo, taoismo, buddismo… - sono ben lontane dal Dio vivo e vero. Non parliamo poi delle divinità pagane, antiche e moderne. Ora, la preghiera fa riferimento al concetto che si ha di Dio e del suo rapporto con l’uomo.
Il Dio dell’Islam è un Dio assolutamente unico (monoteismo), di una trascendenza irraggiungibile e inconoscibile, che lo colloca in una solitudine assoluta dove viene ammirato e adorato dall’uomo. Nel Corano, il libro-divinità dell’Islam, si nomina Dio migliaia di volte con gli attributi che proclamano la sua potenza, la sua grandezza, la sua forza, il suo potere, il suo dominio assoluto. La stessa “misericordia” in Allah non è che un aspetto dello strapotere di Dio sull’uomo. La preghiera rituale islamica non fa che scandire a ripetizione il primato assoluto di Dio: Allah è Allah, cioè “Dio solo è grande”, oppure “è Dio che ha il sopravvento”. E’ dunque un Dio monolitico che incombe sull’uomo, lo sovrasta e lo determina. Perciò nella preghiera islamica non c’è spazio per un vero dialogo con Dio; non c’è spazio infatti per una vera libertà e perciò per un’autentico rapporto d’amore tra l’uomo e Dio. Il musulmano che prega esprime, anche con la posizione del corpo – si piega profondamente fino a terra – quasi esclusivamente la “sottomissione assoluta a Dio”. E’ una preghiera che ignora la paternità di Dio e la nostra filiazione divina che ci mette in rapporto intimo con la Santissima Trinità. Siamo dunque lontani dalla preghiera cristiana.
Nelle religioni orientali, la nozione di Dio si presenta insieme politeista e monoteista. Quando la divinità è concepita in senso personale si ha un olimpo di innumerevoli divinità. Su tutte emerge la Trimurti induista con diverse varianti nelle diverse obbedienze. Quando invece la divinità è concepita in senso impersonale, si ha una entità astratta, indefinita, il Brahma cosmico, che si identifica panteisticamente con l’energia della Natura.
Così quando la preghiera si rivolge alle diverse divinità prende le forme dell’adorazione, del culto rituale, sacrificale e anche della petizione, ma con l’intento fondamentale di propiziarsi la divinità verso la quale prevale il timore reverenziale.
Quando infine la preghiera si rivolge all’Assoluto impersonale, al Brahma cosmico, prende la forma della meditazione e dell’ascesi interiore nelle quali il nostro io creaturale tende ad annullarsi e scomparire nel mare del Nirvana, molto simile al nulla. La preghiera si serve allora di tecniche psicologiche che mirano al dominio assoluto del proprio corpo e dei sensi per far entrare il nostro mondo interiore nella quiete più assoluta.
Tutte queste forme di preghiera fanno leva sull’iniziativa umana, sulle risorse della creatura che cerca in quello che fa – l’obbedienza alla legge degli dei o la devozione rituale, simile alla pietà (bhakti) – i titoli per risultare gradita e accolta dalle divinità. Più ancora, nella meditazione buddista, la preghiera (se ancora si può chiamare preghiera) nasce dallo sforzo solipsistico dell’io che finisce col restare chiuso nel bozzolo egocentrico costruito da sé stesso, senza alcun vero rapporto con Dio.
Evitiamo infine il discorso sulle innumerevoli Sette pseudo-religiose, soprattutto su quella attualmente molto diffusa e che ha ben poco di veramente religioso, la New Age, Sette dove la preghiera è totalmente falsata o distorta.
Ferdinando Rancan
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