lunedì 23 dicembre 2019

La presenza reale



Tanto la festa del Corpus Christi, come la festa della SS. Trinità sono abbastanza recenti. L’istituzione dell’una e dell’altra festa risale al secolo XIV, in piena decadenza dello spirito liturgico, e non senza perché. Il fatto della decadenza dello spirito liturgico ci spiega anche l’importanza che queste due feste hanno avuto in sèguito, nei secoli successivi.
La festa del SS. Corpo e Sangue di Cristo sembrava aver soppiantato, nella Chiesa, le festività più grandi dell’anno liturgico; non dico la Pasqua o il Natale, ma certamente la Pentecoste. E anche oggi, in fondo, la solennità con la quale viene celebrato il Corpus Christi è superiore a tante altre feste, che sono più essenziali nell’economia dell’anno liturgico (per esempio l’Ascensione).
Perché oggi nel rinnovamento dell’anno liturgico queste due feste sembra debbano essere accantonate? Certamente non vi è alcun cristiano che non riconosca che il mistero della SS. Trinità è il mistero più grande del Cristianesimo, ma oggi nessun cristiano veramente consapevole potrebbe celebrare la festa della SS. Trinità più di quanto celebra la Pasqua, la Pentecoste, l'Ascensione, o anche il Natale e l'Epifania, o anche la Trasfigurazione del Signore e l’Esaltazione della Croce.
Perché? Perché non celebriamo Dio in Sé, ma Dio nel Mistero. E il Mistero è Dio che si dona, si comunica all’uomo, Dio che trae l’universo nella sua intima vita. Il Mistero implica dunque due termini: Dio e l’universo. Suppone Dio e il mondo, ma in un loro rapporto, in un rapporto vivo, nel rapporto di quella alleanza che la Sacra Scrittura traduce nei termini di una unione nuziale. Così ne parlano il profeta Osea, Geremia, Ezechiele, il Cantico dei Cantici, e, nel Nuovo Testamento, il quarto Vangelo e l’Apocalisse.
Non si celebra Dio in quanto ci rimane estraneo, in quanto ci trascende e non ha alcun rapporto con noi, ma si celebra il Mistero di un Dio che si rivela, che si comunica e vuol essere possedu- to, così da divenire la vita stessa del mondo, la vita dell’uomo cui Egli si è comunicato.
Per questo nei primi secoli del Cristianesimo, quando questa verità era ben viva nella coscienza cristiana, non si è sentito mai il bisogno di celebrare né la SS. Trinità, né il Corpus Christi perché tanto la SS. Trinità come l’Eucaristia sono evidentemente l’oggetto di ogni celebrazione liturgica. Dio che si rivela e Dio che viene conosciuto dall’uomo è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, l’avvenimento di questa rivelazione, di questo dono che Dio fa di Se stesso, si fa presente oggi per l’uomo nel Mistero Eucaristico. È al Padre per il Cristo nell’unità dello Spirito che si eleva ogni preghiera della Chiesa. Il cristiano non vive che entrando in questo mistero e vive questo mistero, vi partecipa in ogni suo atto soprannaturale. D’altra parte tutta la vita soprannaturale ha il suo principio nell’Eucaristia e trova in essa il suo alimento e la sua perfezione. Così non è possibile nel Cristianesimo celebrare una festività senza la Messa. A che scopo allora celebrare con una festa particolare il Corpus Christi e la SS. Trinità? Queste due feste hanno una funzione anche oggi, oppure, nel rinnovamento liturgico, sono destinate a scomparire? Il problema si pone.
Il rinnovamento liturgico certo ridimensiona queste due festività in tal modo che nessun cristiano oggi potrebbe pensare che possano avere una grandissima importanza nell’anno. Queste due feste sono nate alla fine del Medio Evo quando, alla teologia monastica e patristica, subentrò la grande teologia scolastica. Come si differenzia la teologia scolastica dalla teologia monastica o patristica? La teologia scolastica è una scienza che vuol essere trasmessa con l’insegnamento, ha necessariamente un linguaggio tecnico, esige una elaborazione razionale e sistematica. Nel monachesimo e nell'epoca patristica sono rare le somme teologiche. L’uomo, fosse un vescovo o fosse un monaco, si avvicina alla rivelazione non tanto per guardarla dal di fuori o per possederla come una scienza, quanto per entrarvi e assimilarla per una conoscenza sperimentale. Con la scolastica, la scienza teologica si distingue dalla mistica, e il teologo non tanto si impone di viverla quanto di insegnarla correttamente. Dopo l’avvento della scolastica, per essere teologi non sembra sia necessario esser santi. Per i Padri della Chiesa e per il monachesimo antico, invece, la teologia è preghiera e la preghiera è teologia. Non si può conoscere Dio che attraverso un processo di assimilazione a Lui. Il mistero non può essere contemplato come un oggetto di fronte al quale ti poni; ogni mistero implica per te un inserimento, una assimilazione, una trasformazione in quello che vedi.
L’uomo deve certo sentire che la verità divina lo supera. La concezione di un Dio che è nei cieli è mitologica, ma altrettanto lo è la nozione di un Dio che ci è estraneo, che è totalmente « altro » da noi, perché Egli è il nostro Creatore, è più intimo a noi di noi stessi. Cerchi Dio discendendo nel fondo di te, però quando sei sceso nel fondo senti che Dio è ancora al di là o è ancora più in fondo, tu non lo raggiungi mai; Egli ti trascende in profondità come in altezza. Così l’assimilazione al mistero non è mai tale che distrugga il mistero, che lo elimini: Dio ci trascende. 
L’uomo non può vivere una vita soprannaturale che in quanto entra nel Mistero, in quanto il Mistero lo assume e tuttavia il Mistero rimarrà sempre infinitamente al di là di ogni sua possibilità di assimilazione. Il contenuto della festa della SS. Trinità e del Corpus Christi è il riconoscimento precisamente della trascendenza totale del Mistero nei confronti dell’uomo e di ogni creatura. 
Certo, Cristo nell’Eucaristia è presente per comunicarsi all’uomo. Il suo Sacri-ficio diviene il nostro sacrificio, la sua adorazione diviene la nostra adorazione, la sua espiazione diviene la no- stra salvezza. Egli è presente per essere nostro: « Per noi uomini e per la nostra salvezza Egli è disceso dal cielo », si è fatto uomo, è morto ed ora è realmente presente nell’Eucaristia, sotto i segni del pane e del vino, cibo e bevanda per noi. Ma questo non esclude e non elimina la Presenza reale. Quantunque Egli sia presente per donarsi a me, io non sono mai così trasformato in Lui da rendere inutile la celebrazione quotidiana del suo Sacrificio. Se veramente l’Eucaristia mi avesse trasformato pienamente nel Cristo, non avrei più bisogno di riceverlo ancora. Se la Chiesa, il Corpo Mistico del Cristo, è frutto adeguato dell’Eucaristia, una volta che la Chiesa è, perché an- cora sussiste il Mistero Eucaristico? Al contrario è l’Eucaristia che fa la Chiesa, ma precisamente la costruisce nel suo sviluppo, la fa peregrinare verso la Patria.
Nella Chiesa militante e peregrinante della terra sussisterà sempre il Mistero Eucaristico. Nel Paradiso, al contrario, il mistero eucaristico non sussiste più, sussiste il Cristo che vien meno a se stesso nella sua umanità totalmente invasa dalla gloria divina. Ma il Cristo è tutta l’umanità redenta divenuta con Lui un solo mistico corpo. Il paradiso è la Pasqua del Cristo totale: tutto l’universo viene meno alla sua condizione di peccato, di miseria, di morte ed è invaso dalla gloria divina: il mistero della sua Morte e Resurrezione. In Paradiso non si celebrerà più il Corpus Christi: non sarà più necessario un rito attraverso il quale gli uomini debbano assimilarsi a nostro Signore. L’assimilazione si sarà già compiuta, ed una assimilazione maggiore non ci sarà per tutta l’eternità. Non ci sarà più bisogno della Presenza reale del Cristo nel Sacramento. Il Cristo non sarà più separato dagli uomini, perché gli uomini saranno veramente un solo Corpo con Lui e non vivranno con Lui che una medesima vita. Al contrario, quaggiù, la Chiesa celebrerà sempre il Corpus Christi come fonte per Essa di un progresso continuo, come sorgente di una vita che non è mai piena e perfetta e mèta irraggiungibile che guida il cammino terrestre.
Gesù nell’Eucaristia non è presente per essere adorato, tuttavia deve essere adorato perché è presente. Egli è presente per donarsi a noi, ma anche se noi Lo riceviamo, non lo riceviamo mai così pienamente, in modo che Egli non continui a trascenderci nella sua santità: pur donandosi e nell’atto stesso in cui si dona, Egli rimane infinitamente più grande dell’uomo e richiede la sua adorazione. Dobbiamo adorare Cristo perché è presente e la Chiesa tutta intera dovrà adorarLo fino alla consumazione di tutte le cose. Per questo, dopo la Scolastica, si è evitato di insegnare, come faceva l’antica teologia, che l’Eucaristia è il Corpo mistico del Cristo e la sua Presenza reale è la Chiesa. Solo quando l’Umanità intera non sarà più che un solo corpo con Lui, il Sacramento verrà meno e noi tutti saremo col Cristo un solo Sacrificio, un solo inno di lode al Padre. Questa sarà la Chiesa trionfante nel cielo.
Nel tempo presente, la festa del Corpus Christi come la festa della SS. Trinità dovranno significare l’impotenza dell’uomo – nell’economia presente – di assimilare e abbracciare totalmente il mistero. La piena trasformazione dell’uomo nel Cristo già lo porterebbe al di fuori dell’economia presente, distruggerebbe ogni ragione del tempo e della storia per il mondo. I Padri della Chiesa avevano ben coscienza della loro povertà nei confronti del Mistero. Oggi l’orgoglio dell’uomo vuole identificare l’esperienza umana al contenuto del mistero.
Queste due feste debbono venir celebrate per ricordare la trascendenza del Mistero presente nella Chiesa, per richiamare l’uomo a una necessaria umiltà. Certo, Dio ci chiama a vivere nel suo medesimo Seno; certo Dio ci chiama a vivere la sua medesima vita; certo Dio veramente si dona; e tuttavia rimane nel dono stesso che fa, più grande di quanto ogni anima possa accoglierlo e possederlo.
Nell’atto stesso nel quale Egli si dona, viene affermata la trascendenza di Dio. Ed è perché Egli ti trascende anche nell’atto in cui si comunica, che è possibile un tuo cammino di ascesa. 
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Divo Barsotti

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