sabato 28 dicembre 2019

FUGGITA DA SATANA



MICHELA 

La mia lotta per scappare dall'Inferno

«Benvenuta a casa»

Poco prima delle 20 ero davanti al comprensorio di Trigoria nel quale c'era anche la sede di Nuovi Orizzonti. La cosa incredibile è che non ho faticato per nulla a trovare questo posto: era come se ci fossi già stata. Chissà se anche in questo caso avevo avuto qualche istruzione più dettagliata sotto ipnosi... Ho suonato al citofono e mi hanno aperto il cancello. Ho percorso il viale d'accesso, sono entrata nel giardinetto e ho bussato nuovamente al portoncino della villetta a schiera dove viveva Chiara. Dopo qualche secondo un ragazzo mi ha aperto e dietro di lui ho visto Chiara che si alzava per venirmi incontro
È stato un attimo. Mi ha abbracciata con un sorriso e mi ha detto: «Benvenuta a casa». Mi sono sentita spiazzata, il suo abbraccio mi era arrivato dritto al cuore, insieme con la sensazione del suo amore. Era l'abbraccio di una madre, quell'abbraccio che io non avevo mai avuto la gioia di sperimentare prima di quel momento. E fu proprio quel semplice abbraccio a capovolgere completamente la mia vita. Subito Chiara, con dolcezza, mi ha invitato a sedere e a mangiare. Mi ricordo che c'era un tavolo da ping-pong attorno al quale erano seduti molti giovani. Così io mi misi a un altro tavolino, insieme con due ragazze, e mi ritrovai davanti un piatto di pasta al pomodoro con il parmigiano.
Mi sentivo a disagio in quell'ambiente. Io ero abituata a tavole con le tovaglie damascate, a ristoranti di lusso, con tre bicchieri, stoviglie d'argento e il piatto cambiato a ogni pietanza... Qui invece dovevo mangiare nello stesso piatto e con una sola forchetta, al fianco di tossici pieni di tatuaggi, ragazzi di strada che per me erano tutti delinquenti, i peggiori dei peggiori, indegni del minimo di considerazione. Mi dicevo: «Ma dove sono capitata...». Però con questi ragazzi dovevo parlarci, raccontando un sacco di storie per mantenere la mia copertura di brava ragazza che voleva mettersi a fare volontariato.
Al termine della cena Chiara mi ha portato nella sua stanza e abbiamo cominciato a parlare. Io mi sono mostrata molto determinata nel raccontarle che stavo affrontando un momento di scelta all'interno della mia vita e che mi sarebbe piaciuto potermi dedicare a tempo pieno a un'opera di solidarietà, abbandonando il lavoro che stavo facendo come chef in un grande ristorante.
Lei mi ascoltava con estrema attenzione e con un sorriso accogliente. Mi disse che aveva notato come fossi riuscita durante la cena a creare in pochissimo tempo una sintonia con i ragazzi che mi stavano accanto. Si mostrò però molto prudente a riguardo del lavoro: mi disse con decisione di non lasciarlo e di iniziare piuttosto ad andare periodicamente qualche giorno in comunità per conoscere meglio la realtà di Nuovi Orizzonti. Solo dopo alcuni mesi avrei potuto eventualmente valutare l'opportunità di chiedere un'aspettativa. Non mi aspettavo proprio quel tipo di risposta e mi sorpresi nell'accorgermi che per me fu davvero un colpo tanto che mi si riempirono gli occhi di lacrime. Era davvero incredibile ma quella che doveva essere solo una bella storia architettata per uccidere Chiara era già diventata per me un'esigenza. Era bastato quel primo abbraccio e quell'incontro così intenso con Chiara e i ragazzi della comunità Nuovi Orizzonti per sentire davvero nascere nel mio cuore un unico prepotente desiderio: "Voglio lasciare tutto, e venire a vivere qui! ".
Mi diedero un letto per dormire e il giorno dopo lo trascorsi a chiacchierare con i ragazzi della comunità e a osservare con attenzione tutto quanto avveniva. L'8 gennaio tornai alla stazione Termini per rientrare al lavoro. Avevo la prenotazione per il sedile centrale in uno scompartimento da sei. E, incredibile a dirsi, chi mi trovo di fronte, sul sedile dal lato del finestrino? La stessa suora di madre Teresa che avevo incontrato nella metropolitana di Roma. Non potevo sbagliarmi: lo sguardo, il volto, la borsa e il Rosario, anche il taglio rammendato nel vestito erano i suoi. Scese alla fermata prima della mia e dal marciapiede mi guardò con il suo sorriso serafico.
Giunsi nel tardo pomeriggio nella mia città e andai direttamente al ristorante. Volevo dare una mano per la preparazione della cena, ma mi accorsi subito che facevo fatica a lavorare. Il proprietario mi chiedeva se mi sentivo bene e io rispondevo di sì: però non percepivo i sapori, l'odore della cucina mi dava fastidio. Incominciavo anche ad avere strani dolori in tutto il corpo. Pensando che fosse lo stress di quei giorni decisi di tornare a casa. Mi stesi sul letto e mi accorsi che i piedi mi sanguinavano, ma non avevo ferite e non riuscivo a comprendere da dove uscisse quel sangue. Mi sentivo il cuore andare a mille e temevo che mi stesse venendo un infarto. Mi sono trovata ad aver paura e ho pensato: "E adesso chi chiamo?".
Durante i due giorni romani la Dottoressa non mi aveva mai contattata. Evidentemente l'ultima telefonata, nella quale il 5 gennaio le avevo detto che mi era stato confermato l'appuntamento con Chiara, l'aveva sufficientemente rassicurata. Pensavo a lei e contemporaneamente mi rivedevo davanti i sorrisi di Chiara e della Missionaria della Carità che si intrecciavano nella mia mente. Non riuscivo a comprendere come mai il ricordo di queste due persone mi desse pace e invece l'idea di dover incontrare la Dottoressa mi provocasse ansia: era la prima volta in assoluto che avevo una sensazione del genere.
Decisi di telefonare a Chiara e mi rispose proprio lei, subito. Riuscì a tranquillizzarmi. Poi mi barricai in casa, perché nel frattempo quelli della setta avevano cominciato in maniera sempre più insistente a cercare di mettersi in contatto con me. Come precauzione avevo parcheggiato la macchina lontano da casa, tenevo tutte le serrande chiuse e non rispondevo né al telefono né al citofono. Loro però continuavano a suonare a ogni ora del giorno e della notte, perché certamente erano molto preoccupati per gli sviluppi della vicenda.

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