La partecipazione attiva alla Messa è, sì, rispondere al Sacerdote, alzarsi quando si legge il Vangelo, ma questa è una partecipazione attiva al rito, non ancora
al mistero. Invece noi possiamo partecipare al mistero anche quando non siamo presenti alla Messa. La partecipazione al mistero si realizza in una morte che ci associa alla Morte del Cristo, in una morte che fa presente in
noi la sua Morte come atto di amore, di offerta, di redenzione.
Nel rito orientale della Messa, viene posto sopra l'altare un pane benedetto – non consacrato – di cui si fanno nove parti; e queste parti rappresentano tutto il
popolo fedele: i defunti, i santi del Cielo, tutti i cristiani, anche i peccatori. Il pane è un simbolo reale: ogni cristiano è una vittima posta sull'altare, e vi dimora come Gesù, per essere offerto,
immolato a Dio per il bene di tutti. È questa la nostra Messa. Tutta la nostra vita è partecipazione al Sacrificio di Cristo.
Si può vivere in casa nostra la vita nascosta di Gesù, o quella pubblica nell'apostolato cristiano, o la sua missione di taumaturgo nell'esercizio delle professioni,
ma tutti dobbiamo vivere la nostra vita come ostie. Lo dice S. Paolo nella Lettera ai Romani: « Vi esorto, in nome della misericordia di Dio, affinché vogliate offrire a guisa di culto spirituale, e quindi gradito
a Dio, i vostri corpi, come vittima vivente e santa ». Lo ripete nella Lettera agli Efesini: « Siate imitatori di Dio come figli carissimi; come Gesù morì vittima di soave odore, così offrite
voi stessi a Dio ». È questa la vita cristiana. Non si può eliminare questa concezione della vita cristiana che è essenziale al nostro essere in Cristo: siamo vittime.
Il Battesimo ci ha consacrati a Dio. Essere consacrati vuoi dire essere riservati, messi da parte. I contadini mettono da parte le bestie riservate al macello: così la consacrazione
ci risèrva: siamo separati dall'umanità, ma lo siamo per l'umanità; siamo messi da parte per essere immolati per il bene degli uomini. Chi compirà il nostro sacrificio? Colui che operò
il sacrificio di Gesù. Per lo Spirito Santo egli si offrì al Padre: lo immolò soltanto il suo amore. Anche in noi la sofferenza e la morte saranno partecipazione alla Morte di Cristo, se saranno la prova
che in noi vive l'amore.
La vita presente è per tutti un morire: che sia per noi un morire per amore! Offriamoci per il bene dei fratelli; offriamo la nostra sofferenza, le nostre lacrime, la nostra
povertà, ciò che ci umilia, tutta la nostra vita ...
O Signore, come siamo contenti di poter soffrire per dimostrare il nostro amore per Te! Ti offriamo il nostro corpo, la nostra anima, il nostro sangue, tutto, e vogliamo che il
nostro dono sia salvezza per tutti.
Certo, sappiamo che il nostro dono non vale; ma è grande se lo uniamo all'offerta del Cristo. Noi siamo sull'altare proprio per questo: perché la nostra offerta
non sia separata da quella del tuo Figlio! Quale immagine del Cristo più bella, più vera, del cristiano? Si può pensare che una statua, un dipinto sia un'immagine più vera di quello che è
l'uomo che ha ricevuto la mattina la S. Comunione? La Comunione non ci trasforma nel Cristo? Non fa presente Gesù nella nostra vita, non fa vivere Cristo in noi? Pensiamo che la fede cristiana, l'unione intima
con Gesù Salvatore, ci debba dispensare dalla sofferenza. A che serve esser cristiani, a cosa serve il pregare (dicono tanti) se dobbiamo soffrire come gli altri, se siamo sottoposti come gli altri alla morte? Non é
come gli altri, ma come Gesù.
La nostra fede ci serve a soffrire di più, non certo a preservarci dal dolore, perché deve far presente in noi la Passione stessa del Cristo: non la sofferenza che
è dovuta per i nostri peccati, ma la sofferenza che è dovuta a tutta quanta l'umanità, perché è questa sofferenza che Gesù ha preso sopra di sé. Nella misura in cui tu vivi nel Cristo, non vivi più soltanto il tuo dolore, ma vivi il dolore del mondo; tu non assumi soltanto il peso dei tuoi peccati, tu assumi il peso del peccato del mondo, per esserne
a tua volta schiacciato.
L'uomo dovrebbe superare il dolore dopo aver vinto in sé il peccato: proprio allora, invece, incomincia per lui il vero martirio.
Nella mistica di S. Giovanni della Croce sembrerebbe che l'uomo, giunto all'unione trasformante, non dovesse più soffrire, ma S. Giovanni della Croce nelle sue opere
non ci dà nemmeno la prova di quello che fu la sua esperienza interiore. Neppure S. Giovanni della Croce, una volta giunto all'unione trasformante, conobbe la gioia. Egli giunse all'unione trasformante nel carcere
di Toledo; ma dopo il carcere di Toledo, Dio preparò per lui un abisso ancor più grande di sofferenza: l'abbandono da patte dei suoi fratelli, il tentativo di cacciarlo dall'Ordine, la morte. La sofferenza
di S. Giovanni della Croce non terminò con l'unione trasformante: è con l'unione trasformante piuttosto che egli divenne capace di partecipare in un modo più intimo e vero alla Passione stessa
di Gesù, che è Passione redentrice. La passione di S. Giovanni della Croce, gli meritò di essere il padre dell'Ordine: tutto l'Ordine vivrà nella sua passione. Come dalla Passione del Cristo è nata la Chiesa, così dalla passione dei santi si rinnova la Chiesa e nasce e vive ogni famiglia religiosa.
Così S. Teresa di Gesù Bambino. Sembra che ella sia giunta all'unione trasformante nel tempo in cui si offrì all'Amore misericordioso; se leggiamo la
sua vita vedremo che è proprio da allora che la investe il massimo della sofferenza e delle tribolazioni interiori. Invece di liberarsi dalla sofferenza, proprio allora ella ottiene di divenire la più grande
santa dei tempi moderni, assumendo tutto il peso del peccato umano per esserne come schiacciata, spezzata. L'Umanità di Gesù non sopportò il peso del dolore umano ed egli è morto sulla Croce:
come potrebbe l'uomo, nella misura in cui fa suo il dolore del Cristo, reggere a tale peso?
La perfezione cristiana termina nella morte, non tuttavia in un'estasi di amore, come aveva scritto S. Giovanni della Croce; ma nell'agonia pura e semplice. nella desolazione dello spirito, nel sentimento dell'abbandono del Padre, perché così è morto Gesù e così deve morire chi a lui più
si avvicina.
Questa la vera vita eucaristica. La Comunione non ti promette la dolcezza dell'estasi: Gesù si comunica all'uomo per imprimere in lui il suo Volto divino, affinché
egli divenga la vera « icona » del Cristo, la vera immagine di Gesù. Presente realmente, ma misteriosamente nascosto nell'Eucarestia, Egli vuole rivelarsi in noi, vuoi farsi presente e visibile agli
uomini nella nostra medesima vita, nel nostro medesimo corpo.
Noi non riceveremo le stigmate. Ma partecipando al suo mistero, dovremo esprimere chiaramente la nostra assimilazione a Cristo così che anche il corpo divenga veramente una
immagine di Gesù. La vera immagine di Gesù è il santo: non scolpita o dipinta dalla mano dell'uomo, ma dallo Spirito Santo.
La mistica cristiana non è una mistica dell'Uno, un puro affondare dell'anima nella luce di Dio, un puro perdersi dell'uomo nella luce infinita: è un'assimilazione
a Cristo. La nostra unione, la nostra unità con Dio, esige prima di tutto la nostra unità con tutta quanta l'umanità sofferente e peccatrice, nella nostra trasformazione in Cristo.
Gesù fa presente in te la sua Passione in un modo visibile e tu partecipi al mistero della sua riparazione. Quello che è nascosto nell'Eucarestia, nel santo diviene
palese; quello che nell'Eucarestia è nascosto deve vivere in te.
Gesù si comunica a te, per vivere pienamente in te, per passare di nuovo dal mistero (non dalla realtà, perché la realtà è già tutta nel
mistero) alla visibilità; per introdursi dal mistero nella vita del tempo. Attraverso la partecipazione al Mistero eucaristico, l'atto della Morte del Cristo entra nel tempo e nello spazio, diviene la vita di ogni
uomo, la vita anche del mondo.
don Divo Barsotti
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