( I qq. 1ss)
(Il problema ―dell‘esistenza‖ di Dio in S. Tommaso)
Il primato che san Tommaso riconosce a Dio nell‘organizzazione del sapere teologico appare già dal primo colpo d‘occhio al piano della di teologia. Che si tratti della stessa essenza divina o della distinzione delle persone, oppure del modo in cui si può comprendere la creazione, è sempre Dio Trinità che è preso in considerazione, in sè o nella sua opera. Al teologo cristiano non è possibile, senza mutilare il mistero, trattare di Dio nella sua unità o della sua creazione, e fare astrazione dalla sua vita tripersonale. Il cristiano non conosce altro Dio se non quello della rivelazione e questa luce illumina tutto il suo sforzo d‘intelligenza della fede.
Il modo in cui Tommaso abborda il suo soggetto è un po‘ sconcertante per un lettore non informato; e risulta nondimeno illuminante per la sua intenzione: «Occorre innanzitutto chiedersi se Dio esista; poi come egli sia o meglio come non sia; infine bisognerà interrogarsi sulla sua operazione: la sua scienza, la sua volontà, la sua potenza»45. É quindi necessario stabilire innanzitutto l‘esistenza di Dio. Cosa già affermata con parole molto forti nella Somma contro i Gentili: «Alla considerazione di Dio in sè stesso, si deve premettere, come fondamento necessario di tutta l‘opera, la dimostrazione della sua esistenza. In mancanza di questa, infatti, ogni ricerca intorno alle cose di Dio non si reggerebbe»46.
Non bisogna tuttavia sbagliarsi sul perché di questo modo di procedere. Non si tratta di simulare l‘inesistenza di Dio, di fare «come se» Dio non esistesse. Tommaso non ha alcun dubbio a tal proposito, nemmeno metodologico. Nella sua fede, egli accoglie questa verità come la prima che confessa nel Credo. E incessantemente si riferisce alla Scrittura rivelata. E molto significativo, per esempio, che l‘articolo in cui sviluppa le cinque vie che devono stabilire l‘esistenza di Dio, prenda il suo punto di partenza nella teofania del roveto ardente: «Io sono Colui che sono»47 . Si farebbe un gran torto all‘ispirazione della sua ricerca considerandone soltanto l‘armatura filosofica. Suo scopo è accertarsi con la ragione di ciò che crede per fede ed elaborare in quanto teologo il contenuto della rivelazione fatta a Mosè. Al contrario di ciò che penseremmo spontaneamente, il suo procedimento è meno diretto contro l‘ateismo che contro chi pretende che l‘esistenza di Dio sarebbe evidente e che non sarebbe necessario stabilirla. A costoro Tommaso replica: in sé essa è evidente, ma non per noi48.
Ne è prova il fatto che gli increduli sono numerosi. Ma se occorre che il teologo almeno mostri che non è irragionevole credere, è ancora più importante, forse, ch‘egli stesso prenda coscienza di ciò che implica il primo articolo della professione di fede.
Senza rifare qui il procedimento, che continua a mettere alla prova la sagacia degli interpreti49 utile ricavarne la struttura e il senso. Tommaso non parte dalla soggettività religiosa, ma piuttosto dall‘osservazione del mondo esteriore, ed è per questo che la prova basata sul movimento occupa il primo piano. Non il puro movimento fisico, che non è che un punto di partenza, ma il movimento metafisico inferito, riscontrabile in ogni passaggio dalla potenza all‘atto. Col rischio di risalire all‘infinito, da tale passaggio dalla potenza all‘atto osservabile in tutto il mondo creato, si deve arrivare ad ammettere l‘esistenza di un primo «motore» che non ha alcun bisogno d‘essere mosso da qualche altro, dato che esso è totalmente in atto. Ed è questo che tutti intendono dire parlando di Dio. Le altre quattro vie esplorano i diversi aspetti sotto i quali si realizza l‘universale causalità di Dio nella creazione: l‘efficienza, il possibile e i necessario, i gradi nell‘essere e il governo del mondo; la struttura delle vie resta però fondamentalmente la stessa e si è condotti in ognunt all‘esistenza di un Primo, che è l‘unica causa esplicativa del mondo, poiché ne è contemporaneamente il primo Principio e il Fine ultimo.
Il significato religioso e spirituale di questo metodo è anch‘esso molto chiaro. L‘impresa di Tommaso per stabilire l‘esistenza di Dio non è pretesa razionalista, ma confessione di umiltà: l‘uomo non dispone di Dio50. I fiumi d‘inchiostro versati a proposito delle prime questioni della
Somma non possono riuscire a sommergere ciò che una lettura «semplice» permette facilmente di constatare: non solo Tommaso si sente obbligato a stabilire che Dio è, ma in più si riconosce incapace di giungere a possedere di lui una conoscenza completa; senza sosta egli ripete lo stesso ritornello: di Dio noi non possiamo sapere «ciò che egli è» (quid est), ma soltanto «ciò ch‘egli non è» (quid non est). Se non rinuncia all‘impresa, dovrà tuttavia confessare che Dio è conosciuto come sconosciuto51. E se osa dirne qualcosa lo dirà «come balbettando». 52
a cura di P.Tito S. Centi e P. Angelo Z. Belloni
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