Dio che conduceva Josefa per vie misteriose, ma sicure, doveva ripetutamente sconvolgere
i suoi progetti, insegnandole così la scienza dell'abbandono e del completo sacrificio di sé.
Il P. Rubio, che da dodici anni la seguiva senza perderla d'occhio, credette nel 1912 che
fosse giunto il momento di farle realizzare i suoi desideri e la indirizzò verso le Riparatrici che
egli conosceva da vicino.
Josefa, che aveva ormai ventidue anni, docilmente seguì il consiglio del direttore,
quantunque, nell'intimo dell'anima sua, sentisse potente l'attrattiva per il Sacro Cuore. Entrò
dunque dalle Riparatrici e si avviò con tutto il cuore nel cammino del postulato. Si trovava
felice in quella famiglia religiosa di cui gustava ed apprezzava lo spirito, poiché riparare per
mezzo del Cuore di Maria rispondeva alle sue aspirazioni fervorose. Nessuna tentazione turbò
la pace di quei mesi che passarono in mezzo ad umili impieghi materiali, nei quali la vita
interiore poteva espandersi liberamente. Tuttavia, anche in seno a quella pace, si faceva
sentire un'altra chiamata; diceva più tardi che le vicine campane del Sacro Cuore risvegliavano ogni volta in lei, e malgrado lei, altri desideri che pur si sforzava di sacrificare.
La SS. Vergine stessa volle avvertirla che là non era il luogo del suo riposo. Josefa venne
incaricata della pulizia di una sala, dove si trovava una grande statua dell'Addolorata, vestita
secondo l'uso spagnolo, con in mano una corona di spine. Quale fu lo stupore della postulante
nello scorgere un giorno la corona tutta illuminata, mentre non si vedeva di dove la luce
venisse. Per tre o quattro giorni la cosa si ripeté, ma Josefa non disse niente a nessuno.
Finalmente si azzardò a salire in alto, fin presso la statua e si accorse che una spina,
brillantissima, illuminava tutta la corona. Nello stesso tempo udì una voce soave dirle
distintamente:
Trepidante, staccò la spina e la serrò al cuore, rispondendo al dono materno con un'offerta
che non tardò a realizzarsi nell'esperienza di nuovi dolori.
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