Si dichiara il modo con cui s'ingenerano dentro di noi i tre predetti spiriti, divino, diabolico, e umano.
§. I.
12. Abbiamo accennato, che le cagioni o principi dei tre spiriti, divino, diabolico e umano, sono Iddio, il demonio, la nostra natura contaminata dal peccato di Adamo. Resta ora a dichiarare il modo con cui operano dentro di noi queste diverse cagioni, per ingerire ciascuna ne' nostri animi il suo proprio spirito. Incominciamo da Dio, e rammentiamoci, che per operare gli atti virtuosi e santi (o questi appartengano all'intelletto, o alla volontà), non basta l'avere acquistato per mezzo della grazia santificante un essere divino, l'avere ricevuti gli abiti infusi delle virtù teologiche e morali, e neppur l'essere stato arricchito dei preziosissimi doni dello Spirito Santo: ma di più si richieggono indispensabilmente gli aiuti attuali della grazia divina, i quali altro non sono che certi lumi che ci persuadono il vero, che ci mostrano l'amabile della virtù, e l'orrido del vizio; e certe mozioni interne che a quella ci affezionano, e ci rimuovono da questo. Perché siccome non basta per far gli atti naturali che noi abbiamo sortita la natura umana con i suoi sensi e con le sue potenze abili ad operare, ma sono necessari gli spiriti vitali che diffondendosi per le membra rendono le nostre potenze disposte e pronte alle loro operazioni; così per fare gli atti sovraumani e divini, non basta che abbiamo partecipata la natura divina con tutte le virtù e doni e potenze soprannaturali, ma sono necessari gli aiuti e grazie attuali, che a modo di spiriti vitali diano vigore alla volontà per fare il bene. Quei misteriosi animali che vide Ezechiele e ne stupì, avevano mani, avevano piedi, avevano fino le ali, e pure per camminare avevano bisogno di un impulso interno che gli spingesse colà ov'era il termine del loro viaggio: (Ez.1,12); così per operare gli atti santi non bastano le virtù infuse e i doni, che sono quasi i piedi e le ali per andare a Dio, ma si richiede di vantaggio, che Iddio con gli aiuti della sua luce e delle sue pie affezioni internamente ci spinga al bene. E già avrà inteso il lettore come Iddio ingenera dentro di noi il suo spirito, voglio dire, con donarci le sue grazie attuali, poiché nei lumi ch'egli diffonde sopra di noi, e nelle pie mozioni che desta nel nostro cuore, consistono quegli impulsi e inclinazioni al bene, e quell'orrore al male, che chiamasi spirito divino, secondo quello che abbiamo mostrato nel precedente capitolo. E perché Iddio c'illumina e ci muove o per sé stesso, o pure per mezzo degli angeli, ne segue, che spesso riceviamo lo spirito divino o immediatamente da Dio, o da Dio mediante gli angeli.
§. II.
13. Passiamo ora a vedere come il demonio instilli in noi lo spirito suo diabolico, che è quel veleno pestifero che dà morte ad anime innumerabili.
Prima però voglio accennare alcune notizie che è necessario aver presenti in questa materia. Convien supporre, che nella caduta che fecero dal cielo gli angeli ribelli, o non tutti precipitarono negli abissi, o se tutti vi precipitarono, escano gran parte di loro all'aria caliginosa che circonda la terra e forma la nostra atmosfera.
Questi sono in sì gran numero, che se avessero corpo, come dice il ven. Bellarmino, oscurerebbero il sole nel suo meriggio (Bellar. De gemitu columbae. cap. 12). Ed Aimone, non senza il consenso de' padri, arriva a dire, che non sì densi sono gli atomi che volano per l'aria, come folti sono i demoni che scorrono per l'istessa aria ai danni di noi mortali (Hoyma In epist. ad Eph. cap. 6). Il loro impiego si è di tentare gli uomini incessantemente, ora incitandoli al male, ora ritraendoli dal bene: e un officio sì perverso, come afferma S. Tommaso, vien loro insinuato dalla invidia che portano a noi, e dalla superbia che gl'innalza contro Dio (S. Thom. I part. quaest. 114, art. I).
Per l'invidia non possono soffrire che noi abbiamo da occupare quelle splendide sedie da cui furono essi giustamente discacciati. Per la superbia tentano di farsi simili a Dio: e siccome Iddio manda gli angeli alla custodia delle città, de' regni, e delle persone che in essi vivono; così i maligni deputano demoni particolari che invigilino alla perdizione delle provincie, de' regni, delle città, delle terre, e di ciascun uomo che in esse dimora. Sicché, come dice Alberto Magno seguito comunemente da' teologi, abbiamo tutti un demonio assistente che sempre veglia alla nostra rovina.
14. Ciò presupposto, altro non vi vuole per intendere come dentro di noi si formi lo spirito diabolico, che capire il modo con cui si formano le tentazioni diaboliche. rr demoni che abbiamo in tanta quantità attorno, entrano nel nostro cerebro, in cui non è loro impedito l'ingresso, e per mezzo della commozione degli spiriti muovono ora specie di oggetti falsi, ora immaginazioni di cose illecite, e le combinano in modo che queste ci si rappresentino molto convenevoli, e così ci invitino ad abbracciarle. Inoltre penetrano il senso interno in cui risiede l'appetito sensitivo, e con l’agitazione degli stessi spiriti e degli umori svegliano affetti pravi verso i detti oggetti, e accendono passioni peccaminose. Questi pensieri poi, ora falsi ora cattivi, e queste affezioni perverse, sono appunto quelle propensioni, quegli impulsi, e quei stimoli al male, che noi chiamiamo spirito diabolico. Ma si avverta che, secondo la dottrina di S. Bernardo, quando il demonio ci assalta da sé solo ingerisce sempre nei nostri animi spirito amaro; perché eccita allora pensieri torbidi, affetti inquieti, agitazioni penose, diffidenze, scoramenti, disperazioni, invidie, odi, rancori, tedi e malinconie tormentose. Quando poi ci investe per mezzo de' suoi satelliti carne e mondo. instilla sempre in noi spirito dolce, ma però lusinghiero e fallace: perché allora sveglia nel nostro animo specie, e desideri dilettevoli di piaceri, di onori, di preminenze, di fasto e di ricchezze, con cui ci dipinge avanti gli occhi della mente una falsa felicità, che poi va a finire in una vera infelicità temporale, ed eterna (S. Bern. Sermo de sept. spir.).
§. III.
15. Finalmente per intendere come la nostra natura corrotta dal peccato originale produca in noi lo spirito umano, bisogna rammentarsi di ciò che era la natura umana prima del peccato di Adamo, e ciò ch'essa è di presente. Prima che il nostro infelice progenitore cadesse nel suo celebre fallo, la concupiscenza obbediva ossequiosa alla ragione né poteva sollevarsi tumultuariamente contro l'imperio della volontà, perché il gran dono dell'integrità, che allora essa possedeva, teneva le specie ben regolate, e gli umori corporali e le passioni ben ordinate e soggette al comando della ragione. Ma dopo che col peccato di Adamo fu la nostra natura ferita con colpo mortale, perdé i doni della grazia, e specialmente il dono della giustizia originale e dell'integrità, e ne' beni suoi naturali rimase grandemente indebolita; allora fu, che restò l'intelletto nostro ottenebrato, l'immaginativa instabile, la volontà debole e fiacca; e sciolta la concupiscenza cominciò a sollevarsi con tutte le sue passioni contro la volontà e contro la ragione, e a non volere sentire più il freno, né soffrirne il comando.
Questo è lo stato in cui presentemente ci troviamo noi miseri: e però la nostra natura così sconcertata, d'ordinario ci spinge internamente a quelle cose che sono amiche della carne, del mondo e del demonio. Or quest'impulsi, o moti, il più delle volte difettosi, in quanto provengono dalla nostra natura, si chiamano spirito umano.
§. IV.
16. Non è però facile, dice S. Bernardo, il discernere se gl'interni moti dell'animo provengono o dalla natura umana, o dal demonio, o dalla carne, o dal mondo confederati a nostri danni: perché inclinando la nostra corrotta natura a voler quelle cose che si amano da quei suoi tre grandi amici, non par possibile il conoscere, s'essa sola per la sua corruzione, o pure quelli colle loro istigazioni siano di tali movimenti difettosi la cagione (S. Bern. Sermo de sept. spir.). Indi, segue a dire, che poco importa un tale discernimento: perché essendo quest'impulsi di una stessa cosa, e tutti egualmente pericolosi e nocivi, devono tutti con sollecitudine rigettarsi (Ibid.).
17. Con tutto ciò, perché in qualche caso può essere espediente al buon regolamento delle anime l'intendere d'onde nascono i suoi moti cattivi, se al di dentro della natura, o al di fuori dal demonio, ne darò qui quelle congetture che se ne possono avere. Quelle cose che hanno origine da noi stessi e dalla nostra natura, spontaneamente da noi s'intraprendono, e spontaneamente da noi si lasciano: ma quelle cose che ci sono ingerite al di fuori da' nostri nemici. s'imprimono in noi con molta forza, né se ne possono con facilità impedire i progressi; perché vi è un altro che opera dentro di noi ad onta d'ogni nostra resistenza. Inoltre gl'impulsi della natura sogliono d'ordinario aver qualche cagione connaturale da cui sono risvegliati: ma le suggestioni del demonio nascono il più delle volte all'improvviso, o senza alcuna cagione, o per molto leggere occasioni. Alcuni aggiungono altre congetture. Se la tentazione ebbe principio da cattivi pensieri e prave immaginazioni insorte senza motivo o per tenui motivi, sarà segno che ne fu autore il demonio; mentre pare, che in questo caso manchi una cagione naturale bastevole a suscitar questo fuoco. Se poi la tentazione incomincia con la ribellione del senso, e poi passa ad eccitar nella mente pensieri peccaminosi. converrà darne la colpa alla naturale commozione degli umori e degli spiriti, e conseguentemente alla pravità della natura proclive al male. Con questa regola S. Filippo scoprì, che una certa sua tentazione impura eragli stata suggerita dal nemico infernale comparsogli presso l'anfiteatro romano in sembianza di povero. Aggiungono, che se ricorrendo la persona a Dio in tempo delle sue tentazioni, queste svaniscono, sia segno che vengono dal demonio; perché i nostri nemici temono molto l'orazione fervorosa e devota, e quando ci vedono con quest'arma in mano pronti alla difesa, si perdono di animo e si ritirano: ma se poi, ricorrendo la persona all'orazione con fervore, la tentazione non cessa, sarà indizio che questa nasce al di dentro per fragilità della natura; poiché non volendo Iddio operare straordinariamente, aiuta la volontà acciocché resista, e lascia che la natura faccia il suo corso. Insomma, osservi il direttore il modo con cui insorgono e durano le tentazioni, ed avrà lume bastevole per conoscere quali siano i loro autori: perché in realtà certi moti violenti, improvvisi, ostinati e senza sufficiente occasione, non sogliono aver origine dalla natura, di cui è proprio procedere con più placidezza e con naturalezza ne' suoi movimenti benché siano sregolati. È vero che queste regole non sono infallibili, ma pure col lungo maneggio delle anime giunge il direttore per mezzo di esse a conoscere da quali principi i provengono certi impulsi peccaminosi che quelle patiscono, e servendosi opportunamente di tali notizie, può poi applicare rimedii acconci al loro bisogno.
18. Avverta il lettore, che sebbene io ho posto l’essenza degli spiriti nelle mozioni attuali interne che siamo soliti sperimentare, e secondo la diversità di tali moti ho costituita tutta la loro diversità, con tutto ciò, anche alle cagioni e principii di tali mozioni suole applicarsi il nome di spirito.
Così non solo chiamasi spirito divino quell'impulso santo che l'uomo prova in sé stesso, ma dicesi spirito divino ancora Dio, in quanto pone questi stimoli santi nel cuor dell'uomo. Non solo chiamasi spirito diabolico quell’incitamento al male che talvolta dentro di noi patiamo, ma dicesi anche spirito diabolico il demonio stesso, in quanto pone questi pessimi incentivi ne' nostri cuori. Lo stesso dicesi dello spirito umano.
G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS
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