LA DIVOZIONE AL S. CUORE DI N. S. GESÙ CRISTO
§ 1. La Preghiera.
Agli ostacoli da evitare e alle disposizioni da avere per acquistare l’amore perfetto di Gesù Cristo e una tenera devozione al S. Cuore di Lui, giova qui suggerire i mezzi più adatti a questo scopo. Ora il primo mezzo per ottenere l’amore ardente di Gesù Cristo e una tenera devozione al S. Cuore di Lui è la preghiera. Fa meraviglia che i Cristiani, con un mezzo infallibile per ottenere tutto ciò che chiedono, non siano, per dir così, onnipotenti e non ottengano ciò che desiderano; eppure questo mezzo non consiste in altro che nel chiedere.
Non c’è cosa a cui Gesù si sia più spesso e con più solennità obbligato quanto a esaudire le nostre preghiere: ma fra tutte le preghiere non ce n’è una a Lui più gradita di quella con cui gli chiediamo il suo amore. Egli si è obbligato strettamente a concederlo a chiunque glielo chiederà, ma si può aggiungere che, se anche non vi si fosse obbligato da se stesso, ve l’obbligherebbe questa domanda. Gesù per obbligarci ad amarlo ha fatto tutto quel che ci si poteva immaginare, anzi più di quello che noi potessimo credere. Siccome dipende da Lui darci quest’amore, chi oserà pensare che se glielo domandiamo Egli vorrà negarcelo?
Ma forse noi stimiamo assai poco quest’amore, perché ce ne diamo tanto poco pensiero, e appunto non ce ne diamo pensiero, perché lo chiediamo così poco. Voi stessi vi meravigliate, di non amare ardentemente Gesù, dato che quest’amore sia così giusto e conforme alla ragione; ma ci sarebbe maggior motivo di meravigliarsi se l’amaste, essendo quest’amore il più grande di tutti i doni, e non vi foste neppur degnati di chiederglielo.
Fra tutti i mezzi per ottenere l’amore di Gesù nessuno è più efficace della preghiera, ma nessuno anche più facile: chi infatti può scusarsi dal pregare? Eppure sembra che sia il più trascurato. Si direbbe che il motivo più forte con cui Gesù vuole obbligarci a pregare sia quello che ce ne allontani: — Credite quia accipietis: state sicuri che sarete esauditi. Dio mio, ma è proprio questo che si teme! Timebam ne me cito exaudires. — (S. Agost. l. I. Confess). Noi temiamo, disgraziati, temiamo che se Tu una volta ci esaudissi, l’amor tuo ci porterebbe ad essere più buoni, più raccolti, più devoti e più santi di quel che vogliamo essere: temiamo che, se ti amassimo ardentemente, dovremmo avere più che disgusto di tutto riò che abbiamo amato e per tutto ciò che amiamo ancora: in una parola, sembra che temiamo di non poter più far a meno di amarti. Ma tu, o mio Salvatore, non aver riguardo ai primi sentimenti, che noi detestiamo non appena possiamo accorgercene: donaci solo il tuo amore e la tua grazia e saremo ricchi abbastanza. Quanta nausea presto ci recherà ogni altra cosa se tu, aprendoci il tuo S. Cuore, ci farai gustare solo una volta la soavità che si prova nell’amarti!
Preghiamo e domandiamo spesso quest’amore, ch’è impossibile non ottenerlo se lo chiediamo con istanza e senza stancarci. Il mezzo è agevole ed efficace, e si può dire che qui il chiedere è già ottenere. Nessun timore di fare richieste eccessive o importune, tali da indisporre Gesù Cristo con la nostra indiscrezione e con la nostra importunità. È tutto l’opposto: la causa per cui si ottiene poco da Dio, è che non Gli chiediamo abbastanza, che siamo troppo ristretti nei desideri e troppo languidi, nelle preghiere. Nel Vangelo Gesù ci ha addotta la parabola di quell’uomo che a prezzo della sua importunità ottiene ciò che chiedeva, a solo scopo di farci imparare che, se vogliamo esaudita la nostra richiesta, dobbiamo renderci importuni. Poco s’ottiene perché troppo poco si chiede, e quel poco non si chiede con istanza. Non dobbiamo chiedergli che l’amor suo, ma tenero, ardente, generoso e perfetto, e chiederlo con premura e importunità. Io stimo che, sebbene Egli si sia obbligato con tanta solennità a non negarci nulla di quello che gli domanderemo in nome suo, non può non esaudirci, se non vuol mancare alla sua promessa.
Noi spesso non sappiamo quel che chiediamo. Ma faremmo torto a Gesù e daremmo una smentita alla nostra fede se, chiedendogli il suo amore, dubitassimo d’essere esauditi, specialmente se lo chiediamo con sincerità e premura. Io potrò credere che Gesù per punirci o umiliarci, e sempre per farci acquistare maggiori meriti, ci voglia lasciare dei difetti o delle imperfezioni, di cui lo preghiamo di liberarci, ma nessuno mi persuaderà mai che, dopo avergli chiesto noi sinceramente e con premura l’amore ardente, Egli ce l’abbia negato, anzi non ce n’abbia concesso più di quello che gliene chiedevamo.
Signore, tu hai portato questo gran fuoco in terra, e che vuoi se non che si accenda? E da che dipenderà se io non ne sono tutto infiammato? Dammi, o Signore, ti prego, l’amor tuo! Questa sarà da qui innanzi la mia preghiera ordinaria; ed io te la rivolgerò la mattina, la sera, durante il riposo, al lavoro; te la rivolgerò sempre, e mai non smetterò di dire: — Dammi solo, o Signore, l’amor tuo e la tua grazia, e sono ricco abbastanza, e questo mi basta.
§ 2. La Comunione frequente.
Il secondo mezzo è l’uso frequente dei Sacramenti, ossia la Comunione frequente. Basta sapere che cosa sia comunicarsi per capire che non c’è altro mezzo più sicuro per essere presto infiammato d’amore per Gesù, quanto il comunicarsi spesso.
Non è possibile, dice il Savio, portare il fuoco in seno e non bruciarsi. L’Amore divino ha acceso, per così dire, un gran fuoco sui nostri altari con l’adorabile Eucaristia, e appunto accostandosi a questo fuoco sacro tutti i Santi s’innamorarono d’amore ardentissimo e tenerissimo verso Gesù; amore che, ardendoli, nel partirsi dalla Comunione, si rifletteva persino sui loro volti. Quante volte di pieno inverno è stato necessario andare in cerca di refrigeri per temperarne gli ardori divini! Il solo nome, la sola immagine di Gesù li levava in estasi e rapimenti, e non c’è dubbio che l’amore grande verso Gesù dei primi fedeli dipendesse dalla loro Comunione quotidiana. Quelli che con l’innocenza della vita e con la pratica della vera pietà si rendono degni di comunicarsi spesso, vengono anche a provare ogni giorno più le conseguenze della Comunione frequente. Amano sempre più Gesù, e il loro amore cresce a misura che si nutrono più spesso del Pane degli angeli, e tanto è lontano che dall’uso continuo venga loro a nausea, che piuttosto la fame si fa loro più sensibile quanto più ardente diventa l’amore verso Gesù Cristo.
Gli altri Sacramenti sono effetti dell’amore del Figlio di Dio per gli uomini, e ciascuno è adatto a far nascere nel nostro cuore un vero amore verso il Salvatore divino; ma il Sacramento dell’altare, dice S. Bernardo, è l’amore degli Amori. Sacramentum altaris est amor amorum; cioè la conseguenza del massimo di tutti gli amori che Gesù possa nutrire verso gli uomini, e insieme la sorgente più feconda dell’amore più ardente e più tenero, che gli uomini devono nutrire verso Gesù. In questo Mistero tutto concorre a ispirare e ad accrescere quest’amore ardente; il dono che ci viene offerto, il modo con cui ci viene offerto, e il fine per cui ci viene offerto. Qui Gesù, ci dà il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, diventati nostro nutrimento. In verità, se un tal nutrimento celeste non è capace d’accendere il fuoco divino nel cuore degli uomini, chi potrà mai farlo?
Ma non meno ci obbliga ad amare Gesù il modo gentile con cui Egli ci fa questo dono.
Il Salvatore divino, l’Aspettato dal popolo d’Israele, il Desiderato dalle nazioni, il Desiderio dei colli eterni, si è fatto pregare, si è fatto supplicare a venire al mondo per quaranta secoli. Ma ora egli stesso, prega gli uomini, li sollecita, anzi usa loro violenza per costringerli a riceverlo. — Spingeteli, dice nel Vangelo, spingeteli a partecipare al banchetto che ho loro preparato: Compelle intrare. L’amore è 1’impaziente, nemico degli indugi, ignora che cosa sia fermarsi, traccheggiare. Ma che cosa pretende l’amabile Salvatore con tante premure? Di farsi amare dagli uomini; dà loro il suo Corpo e il suo Sangue per avere il loro cuore, si fa Egli medesimo loro cibo per acquistarselo, per rapirlo, senza che essi possano, per dir così, difendersene.
«La principale intenzione che dovete avere, nel comunicarvi, dice S. Francesco di Sales, deve consistere nel progredire, fortificarvi e consolarvi nell’amore di Dio, perché voi dovete ricevere per amore ciò che il solo amore vi fa dare. No, il Salvatore non va considerato in un’azione più amorosa né più tenera di questa, nella quale s’annichila, secondo il nostro modo di parlare, e si trasforma in cibo per entrare nelle anime nostre e per unirsi, intimamente al cuore e al corpo dei fedeli». (Introd. alla vita devota.
P. 2, cap. 21. Come ci si deve comunicare).
Si ammira il fervore di certe anime pure che non si accostano mai ai Santi altari senza sentirsi aumentare in modo sensibile l’amore verso Gesù, e senza esserne tutte accese. Questi ardori divini ci appaiono meravigliosi appunto perché sono diventati rari. Ma non è un prodigio più stupendo vedere che mentre le Comunioni sono più frequentate, più di rado succedono tali meraviglie? Vi tormentano ì vostri peccati, le recidive e le debolezze vostre e bramereste di emendarvi, di vincere la ripugnanza, la tiepidezza, di spezzare quel piccolo legame, ch’è l’unica cosa che vi ritardi sulla via della pietà; vorreste amare con vero ardore Gesù Cristo, e ammettete che solo quelli che l’amano perfettamente, si sentono al tutto felici, eppure dopo duemila comunioni vi ritrovate ancora imperfetto, tiepido e non amate di più Gesù Cristo.
Da un anno, da dieci anni voi celebrate la Messa ogni mattina, ch’è quanto dire avete ricevuto il Corpo e il Sangue prezioso di Gesù Cristo più di tremila volte nella nostra vita, e da un anno, da dieci anni combattete contro una immaginazione, un fantasma o non so che altro, come dite voi, che v’impedisce d’essere tutto di Dio e di godere la pace e la dolcezza che si gode nel suo servizio; forse anche di giorno in giorno vi sentite scemare l’amore verso Gesù. Ah, Dio mio, sono eretici forse o pagani quelli che parlano cosi? — grida un gran servo di Dio. — Dunque un cristiano, che si ciba spesso del Corpo di Gesù Cristo, può desiderare qualche cosa invano? A chi si darà mai ad intendere che un Dio, presentato come prezzo delle grazie che gli si chiedono, non sia capace d’ottenerle? Che Gesù Cristo, il quale ha istituito questo Mistero per farsi amare, voglia negare l’amor suo a quelli a cui dà se stesso senza riserva e senza nessun riguardo? (Riflessioni cristiane del B. de la Colombière).
Se però questa disgrazia succede, se si vede che comunicandosi ogni otto giorni o anche, più spesso, che celebrando ogni mattina la S. Messa, non si ricavi nessun frutto da questo Sacramento, non ci si emendi, si abusi della Comunione, non si ami di più Gesù Cristo, si resti sempre nella stessa tiepidezza, si ricada nelle stesse debolezze, si deve per questo lasciare la Comunione? Si deve smettere di celebrare la Messa? No, ma dobbiamo correggere la nostra vita e liberarci dai vizi e dai difetti che c’impediscono di ricavarne frutto. La colpa non è delle Comunioni frequenti, ma delle Comunioni mal fatte. Ogni nutrimento vi si rende inutile perché lo prendete mal disposti. In questa circostanza quale vi piacerebbe di questi due consigli, o di non mangiare affatto, oppure di usare le precauzioni necessarie affinché vi sia utile ciò che mangiate?
Un tale per una eccessiva applicazione di mente non digerisce più il cibo che prende nei suoi pasti, e cade malato.
Presto! Si chiamino subito i medici, si consultino le facoltà di medicina.
Ci sarà mai un solo specialista che ordini all’infermo di astenersi dal mangiare? Bisogna che mangi, ma lo faccia con le debite cautele e sia meno indiscreto, meno imprudente.
Ma se smettesse di mangiare s’impedirebbe al cibo di corrompersi nello stomaco.
Sì, questa applicazione eccessiva di mente non impedirebbe certo la digestione, ma ben presto gli prostrerebbe il resto delle forze, e voi vedreste quell’uomo cadere in ventiquattr’ore in una spossatezza mortale. Non morirebbe d’indigestione, ma di fame. In breve sarebbe follia levargli ciò per cui vive per liberarlo da ciò per cui si ammala.
Questo esempio vale mirabilmente per quelli che non ricavano nessun frutto dalla Comunione: costoro hanno molto da temere che la loro vita sia sregolata, che la coscienza non sia pura, che abbiano una fede troppo languida, che le confessioni siano prive di sincerità o di dolore, o di proposito di emendarsi.
Siete cattivo? Correggetevi quanto prima per potervi comunicare spesso.
Avete delle imperfezioni? Comunicatevi spesso per correggervi. Il Figlio di Dio chiama questo Mistero adorabile nostro pane quotidiano per indicarci quanto debba esserne frequente l’uso. Chiama al suo convito i poveri e i ricchi per insegnarci che per quanto siamo indigenti e malati, purché siamo ancora vivi, non dobbiamo avere difficoltà di mangiar il Pane della vita. .
Il poco frutto che ricavano dalla Comunione frequente la maggior parte delle persone, e specialmente i sacerdoti, delle volte fa dubitare se convenga comunicarsi spesso. Ma risposta migliore non possiamo dare a questo dubbio che riportando qui ciò che su questo argomento ha scritto S. Francesco di Sales.
«Io, dice il Santo, non lodo né riprovo che si riceva la Comunione eucaristica ogni giorno; ma consiglio ed esorto ognuno a comunicarsi tutte le domeniche, purché l’anima sia libera da ogni affetto al peccato. Queste sono appunto le parole di S. Agostino, col quale io non lodo né riprovo assolutamente che si possa ricevere la Comunione ogni giorno, ma lascio ciò alla prudenza del Padre Spirituale di colui che vorrà risolversi ai farlo. Siccome la disposizione necessaria per comunicarsi tanto spesso è molto rara, così non è bene consigliarlo in generale; ma perché questa disposizione, per quanto rara, si può trovare in parecchie anime pie, non è bene altresì negarlo per principio a tutti, ma regolarsi in questi casi secondo lo stato interno di ciascuno. Sarebbe un’imprudenza consigliare indifferentemente a tutti un tale uso frequente, come anche non sarebbe prudente biasimare quelli che lo fanno secondo il giudizio d’un savio direttore.
«È graziosa la risposta che diede S. Caterina da Siena, quando le fu detto, a proposito della Comunione frequente, che S. Agostino non lodava né biasimava di comunicarsi ogni giorno: — Ebbene, disse, se S. Agostino non lo biasima, vi prego di non biasimarlo nemmeno voi, e io sarò contenta.
«Ma voi vedete, o Filotea, che S. Agostino esorta e consiglia moltissimo la comunione domenicale; fatelo dunque quanto potete. Poiché, come io suppongo, non avendo nessun affetto al peccato mortale né al peccato veniale, voi siete nella vera disposizione richiesta da S. Agostino, anzi in modo più eccellente, perché non soltanto vi manca l’affezione al peccare, ma persino quella del peccato; quando al vostro P. Spirituale paresse bene, voi potreste utilmente comunicarvi anche più spesso della domenica». (Introd. alla Vita devota. P. 2ª c. 20 - La Comunione frequente).
«Se i mondani, soggiunge il Santo nel capo seguente, vi chiedono come mai vi, comunicate tanto spesso, rispondete loro che lo fate per imparare l’amore di Dio, per purificarvi dalle imperfezioni, per liberarvi dalle miserie, per confortarvi nelle afflizioni, per trovare un appoggio nelle vostre debolezze. Rispondete che due sorte di persone devono comunicarsi spesso: i perfetti perché, essendo ben disposti, farebbero malissimo se non andassero alla sorgente e alla fontana della perfezione, e gli imperfetti per poter giustamente tendere a quella; i forti per non indebolirsi e i deboli per fortificarsi; i malati per guarire, i sani per non cadere malati; e che quanto a voi, come imperfetta, debole e malata, avete bisogno di comunicare spesso con Lui, ch’è la perfezione, la forza e la medicina vostra. Rispondete loro che devono comunicarsi spesso quelli che non hanno molte occupazioni nel mondo, perché ne hanno la comodità, e quelli che ne sono pieni perché ne hanno bisogno; chi lavora molto e si affanna nella fatica deve altresì mangiare cibi solidi e spesso. Rispondete loro che voi riceverete il SS. Sacramento per imparare la riceverlo bene, perché un’azione non si fa bene se non ci si esercita spesso in quella.
«O Filotea, comunicatevi spesso e più spesso che potete, col consiglio del vostro Direttore spirituale. Credete a me, le lepri d’inverno diventano bianche nelle nostre montagne, perché non vedono né mangiano che neve, e voi, a forza di adorare e di mangiare la bellezza, la bontà e la purità stessa nel Sacramento divino, diventerete tutta bella, tutta buona e tutta pura». (Introd. alla Vita devota, P. 2ª c. 21. Come ci si deve comunicare).
Questo è il consiglio che S. Francesco di Sales dà a quelli che, avendo un vero orrore per qualunque peccato mortale, desiderino veramente di salvarsi. In verità il desiderio di comunicarsi è ordinario a quelli che hanno viva fede e amano veramente G. Cristo, mentre avviene purtroppo che si duri maggior fatica a comunicarsi, quanto più ci si impegna nel mondo e più ci si raffredda nell’amore di Gesù Cristo. Perciò è inutile predicare ai viziosi di star lontano dalla Comunione; lo fanno già da sé, e non s’è mai visto che quest’anime corrotte e immerse nel disordine siano affamate di questo cibo celeste, che forma le delizie delle anime pure e di chiunque ami di cuore Gesù Cristo.
§ 3. La visita al SS. Sacramento.
Il terzo mezzo consiste nel visitare spesso il SS. Sacramento dell’altare. L’amicizia umana si conserva e s’accresce con le visite e le frequenti conversazioni. Con questo mezzo ancora si avrà un amore sempre più ardente verso Gesù Cristo, che dimorando nei nostri altari per essere continuamente con noi, pensate quanto favorevoli sentimenti deva nutrire verso di quelli che vede sempre accanto a Sé. Pare che nulla conquisti maggiormente, il suo Cuore quanto queste visite e adorazioni frequenti; di solito in questo tempo Egli sparge le sue grazie con maggiore abbondanza, e possiamo dire che, di tutti i doni e di tutti i lavori che in esso concede, il più comune è la grazia dell’amor suo.
Ci sono visite di convenienza e visite di pura amicizia; se si mancasse a quelle sarebbe una colpa; ma per solito i favori speciali si concedono in queste.
Le grandi giornate festive, il tempo della Messa e dell’Ufficio divino sono rispetto a Gesù Cristo come le visite di dovere e di convenienza rispetto ai Grandi; chi non ci si trovasse con la folla sarebbe notato, anzi punito; ma le visite fatte in certe ore del giorno, quando Gesù è quasi completamente solo, quando anzi la maggior parte della gente si dimentica di Lui, sono visite da amici; e in questo tempo più d’ogni altro, Gesù si trattiene, per così dire, con maggiore intimità con i suoi preferiti, si comunica loro confidenzialmente, apre il suo Cuore, spande su di essi il tesoro di tutte le grazie, accendendoli dell’amor suo.
E forse perché l’indifferenza dì chi allora lo dimentica rende più preziosa la fedeltà di chi lo visita, tutti i Santi hanno provato che non c’è mezzo più certo, per ottenere subito questo grande amore di Gesù Cristo, del visitarlo spesso nelle Chiese, specie poi in certe ore del giorno in cui è meno onorato e raramente visitato.
Nella terza parte di questo libro si troverà come devono farsi le visite e perché si ricavi poco profitto da quelle che si fanno; qui ci basti notare che purché si facciano come da persone che credono essere Gesù Cristo quello che visitano, esse sono un mezzo sicuro per acquistare in breve l’amore perfetto verso di Lui.
§ 4. La fedeltà nel compiere esattamente alcune pratiche di questa devozione.
Il quarto mezzo consiste nell’eseguire esattamente le piccole pratiche che Gesù ha mostrato di gradire assai, come molto adatte ad onorare il suo S. Cuore, e per accendersi in breve del suo amore ardente. Queste pratiche si riducono ad alcune visite al SS. Sacramento, ad alcune preghiere e a qualche Comunione più frequente e devota, secondo alcuni motivi che si troveranno nel primo capitolo della terza parte.
Quelli che per non so quale falsa idea della virtù stimano inezie tutte le pratiche di devozione, che sembrano loro troppo facili, e apprezzano poco quelle che non offrono loro occasioni bastevoli di distinguersi, forse non si cureranno molto di queste, perché nulla contengono di grande apparenza, né di cosa assai straordinaria. Essi crederanno che quello che tutti possono fare non sia un mezzo efficace per diventare ciò che pochi sono in realtà. Ma lasciando di esaminare qui la causa vera di tale illusione, si potrebbe loro date la risposta che fu data a Naaman, che aveva delle idee molto simili a queste. Se vi si proponesse una cosa assai difficile per ottenere una grazia sì grande, non dovreste ricusare di farla; a più forte, ragione dovete almeno provare se il mezzo che vi si propone sia efficace, poiché costa tanto poco.
Certo per acquistare con perfezione lo spirito di queste piccole pratiche sono necessarie la perseveranza e l’esattezza. La fedeltà è di solito tra le cose più gradite a Dio e nella maggior parte delle pratiche di devozione tra le più meritorie, perché è sempre il segno meno sospetto di grande amore. Sarebbe molto meglio diminuirle, ma essere più costanti. Le nostre opere buone sono tanto più perfette quanto meno sono accompagnate da volontà propria. Ora le persone che mutano continuamente le pratiche di devozione o il tempo di queste, certamente non operano se non sotto la spinta della loro volontà, non avendo altro motivo, di cambiare.
Nella perseveranza dunque sta la fedeltà generosa, ed è questa la prova più sicura che si ama grandemente Gesù Cristo.
Se si consideri seriamente quello che si fa per Iddio, per grande che sia la nostra fatica, si vedrà che non si può fare che pochissimo; tuttavia in altro senso e con verità si può dire che non è poco non aver riguardo alla disposizione in cui siamo, ai sentimenti che abbiamo, e a cento altri speciosi pretesti che ogni giorno si presentano; cose tutte che alla nostra naturale incostanza sembrano ragioni legittime per mutare o almeno per interrompere le nostre pratiche di devozione.
Siamo tristi o di buon umore, siamo riposati o stanchi, nella calma o nel turbamento, se però siamo sempre costanti e adempiamo verso Gesù i nostri piccoli obblighi, che ci impongono l’amore e la gratitudine che vogliamo nutrire per Lui, questo è essere veramente fedeli, questo è amare veramente Gesù Cristo.
§ 5. Una tenera devozione alla SS. Vergine.
Il quinto mezzo per accendersi facilmente d’amore ardente verso Gesù Cristo consiste in una tenera devozione verso la SS. Vergine, che ha un potere assoluto sul S. Cuore di suo Figlio. Non c’è dubbio che la S. Vergine abbia amato Gesù più di ogni altra creatura e da Lui sia stata più amata, e più brami che Egli sia perfettamente amato. A Lei ch’è la Madre del bello amore, mater pulchrae dilectionis, ci dobbiamo rivolgere per esserne infiammati. I Sacri Cuori di Gesù e di Maria sono talmente conformi e uniti, che non si può avere ingresso in uno senza averlo anche nell’altro; ma con la differenza che il Cuore di Gesù non tollera se non anime sommamente pure, mentre quello di Maria purifica, mediante le grazie che loro ottiene quelle che non lo sono, e le mette in condizione d’essere ricevute nel Cuore di Gesù.
Benché tutti gli altri mezzi d’avere l’amore ardente per Gesù siano agevoli ed efficaci, a molti però questo sembra il più facile. Pochi hanno tutte quelle disposizioni che sono necessarie ad essere infiammati di amor divino, ma son pochi altresì quelli che non possano ottenerle per l’intercessione di Maria. I peccatori non devono disperare, ché Maria è la speranza dei peccatori, Maria è il rifugio dei miseri e l’aiuto di tutti (S. Aug. Sermo XVIII de Sanct. — S. Ephrem. Oratio de laudibus Virginis). Gesù Cristo ci concede facilmente ciò che noi siamo indegni di ricevere. Quia indignus eras cui donaret, dice S Bernardo, datum est Mariae ut per illam acciperes quidquid haberes. L’ha costituita dispensatrice delle sue grazie, e ha stabilito di non far nulla se non passi per le mani di Lei. Nihil nos Deus habere voluit quod per Mariae manus non transiret. (S. Bern. Sermo III in vigil. Nativ.). Abbiamo un tenero amore alla Madre e in breve saremo accesi di amore ardente per il Figlio. È segno che non vogliamo davvero amare il Figlio, se non sentiamo somma tenerezza verso la Madre; e chi è privo di questa somma tenerezza per la Vergine SS.ma non può mai attendersi di aver adito al S. Cuore di Gesù.
Avete mai osservato che non c’è stato nessuno che si sia mostrato solo indifferente verso la S. Vergine senza che al tempo stesso non sia stato anche avverso a Gesù Cristo? Da questa avversione appunto a Gesù Cristo nasce l’indifferenza e l’avversione di tali persone verso la S. Vergine. Qui me odit, diceva il Figlio di Dio, et Patrem meum odit. Chi odia me odia anche mio Padre. Si può dire ugualmente che non ci sono stati eretici al mondo nemici della Vergine se non perché erano nemici di Gesù Cristo. Tutti i loro scritti mirano tanto soffocare l’amore verso la Madre, quanto verso il Figlio. C’è stato mai un solo nemico occulto di Gesù Cristo, occupato a distruggerei mezzi adatti a farlo amare, uno solo, dico, che ci abbia consigliato la devozione alla S. Vergine? O che piuttosto non si sia sforzato con tutti i mezzi possibili di soffocare nel cuore dei fedeli questa solida devozione?
Questo appunto ha egregiamente fatto osservare uno dei più zelanti prelati del nostro tempo, l’illustre arcivescovo di Malines, nella sua celebre lettera Pastorale di cui il S. Padre, Papa Benedetto XII, ha fatto un sì bell’elogio nel breve che indirizzò al grande Prelato. La lettera, piena di quello spirito e di quel, santo zelo che animava S. Carlo Borromeo e S. Francesco di Sales, può considerarsi anche oggi un capolavoro in tale maniera di scrivere, per le belle istruzioni che contiene, la sana morale di cui è piena, e anche per la sodezza di dottrina che racchiude. Ecco come il grande Prelato si esprime sul falso zelo di coloro che invece di esortare i fedeli alla devozione verso la S. Vergine pare anzi che vogliano screditarla. «Un fatto, dice egli, scandalizza al sommo i Cattolici, ed è d’accorgersi che di sottomano si screditi la devozione alla S. Vergine, devozione succhiata col latte e che loro è stata così spesso e con tanta cura inculcata dai loro educatori; di vedere che non si faccia più conto delle immagini, che si mettano in ridicolo i pellegrinaggi devoti, che si usino per beffarsene le facezie insipide e poco cristiane, scritte da Erasmo a questo proposito; che in conversazioni private e anche in libelli anonimi si sparli contro le congregazioni fondate in onore della S. Vergine, mentre persone attaccate alle pie e sante pratiche dei loro padri ne assumono la difesa, perché siano ancora oggi come nel tempo degli avi il segno per riconoscere e distinguere il cattolico dall’eretico».
E in un altro luogo dice: «Noi raccomandiamo istantemente a tutti la devozione alla S. Vergine; vogliamo che v’industriate a far tornare in mezzo ai fedeli sempre più diffuso e fiorente il culto di Lei; che si venerino le sue immagini, specialmente quelle miracolose. Si portino secondo il solito in processione, si accendano innanzi ad esse delle candele, si cantino inni e litanie, vi si recitino preghiere. Si parli in lode delle Congregazioni e delle Confraternite erette in onore di Lei, come anche dei privilegi e immunità concesse loro dai Papi; s’invitino ad entrarvi quelli che non vi sono ancora ammessi; se ne erigano dove non ci sono mai state fino ad ora, e si facciano rivivere dove furono abolite. Si sappia che attentando a qualcuna di queste cose, si viene a colpirci nella parte più sensibile, e assai più se si biasimano e distruggono.
«Noi abbiamo ereditato dai nostri antenati questi teneri sentimenti di pietà verso la S. Vergine, e a dispetto della rabbia degli eretici che ne circondano, siamo riusciti felicemente a conservarli.
«Desidero dunque con tutto il cuore che mettano sempre più radici nelle anime dei fedeli, che a ciò siano incoraggiati dai consigli e dagli esempi di molte sante persone, che non è necessario qui nominare specificamente, perché si può asserire che quanti nei secoli scorsi si sono resi celebri per santità straordinaria, tutti hanno dato in vita splendidi saggi della loro devozione alla S. Vergine. E su questo punto non si deve affatto dare ascolto ai vani scrupoli degli eretici e degli altri avversari del culto di Maria, i quali sostengono che l’onore reso alla Madre colpisca in certo modo i diritti del Figlio. I fedeli non sono sì poco istruiti da ignorare ciò che devono al Figlio, e che solo per rispetto a Lui onorano la Madre. Tutti infatti riconoscono che per amore del Figlio si onora la Madre, o, meglio, che nella Madre si onora il Figlio, il quale anzi farà severa vendetta di chi offende l’onore della Madre. I Santi spesso ce lo dicono, e la caduta deplorevole di alcuni cristiani ci mostra chiaramente che quando uno si rallenta nella devozione alla Madre, a poco a poco gli scema la devozione al Figlio, che finalmente viene ad estinguersi affatto.
«Lo zelo di S. Carlo Borromeo nel diffondere la devozione alla S. Vergine, gli statuti composti per onorarla, si manifestano nei vari Concili tenuti a Milano sotto la cura e l’autorità di Lui; ché non ce n’è quasi nessuno dove questo santo Prelato non faccia spiccare con le parole e i monumenti stabili e sodi l’ardente affetto che sentiva per la Regina del Cielo.
«I libri del santo Vescovo di Ginevra son pieni degli stessi sentimenti e la sua vita abbonda di fatti che documentano questa devozione. In un certo luogo Egli si gloria d’essere ascritto alla confraternita del S. Rosario come tutta la città. Tralascio S. Anselmo, S. Bernardo, S. Norberto, ecc…
«I Pastori ascoltino questi Santi, li prendano come esempio, li propongano anche al loro gregge come modelli eccellenti da imitare». (Lettera pastorale di Mons. Humber Guillaume, arciv. di Malines).
Veramente si trovano di rado delle anime poco tenere e poco inclinate all’amore e al culto che si deve avere a Maria. Si può asserire che oggi la devozione alla S. Vergine è universale, e sarà sempre, vero che la devozione alla Madre non sarà mai screditata se non dai nemici del Figlio. In quanto a noi, che bramiamo di amare ardentissimamente il Figlio, non tralasciamo nulla per amare teneramente la Madre, e persuadiamoci che soltanto per mezzo della Madre potremo avere un più facile accesso a Gesù e saremo ricevuti nel suo Cuore.
Ma per la stessa ragione dobbiamo essere devoti in modo, speciale anche della S. Famiglia, cioè di S. Giuseppe, di S. Anna e di S. Gioacchino, che, avendo amato naturalmente con più ardore e tenerezza di ogni altra persona Gesù Cristo, ci possono aiutare maggiormente a conseguire questo stesso amore, e procurarci l’ingresso, per dir così, al S. Cuore, sul quale essi hanno tanta autorità.
§ 6. Una devozione speciale a S. Luigi Gonzaga
Il sesto mezzo che proponiamo, e che Dio ha già fatto conoscere con segni sicuri come molto adatto ad acquistare un tenero amore verso Nostro Signore Gesù Cristo, è la devozione a S. Luigi Gonzaga d. C. d. G., illustre più per l’innocenza e la perfezione sublime della vita che per l’alta condizione che gli aveva dato la sua nascita nel mondo.
È certo che i Santi in cielo si curano molto di tutti coloro che, in modo particolare li amano e onorano in terra, e che la grazia più comune che loro ottengano è la virtù in cui essi furono eccellenti e che in certo qual modo fu loro caratteristica. Questo è ciò che diceva il Santo stesso, in uno scritto di proprio pugno che si trovò dopo la sua morte, con queste parole:
«Siccome gli uomini in terra sono più portati naturalmente a prestar servigio a quelli che hanno le stesse loro inclinazioni… così pure in Cielo i Santi, che spiccarono per qualche virtù speciale, adoperano con piacere il loro credito presso Dio in favore di quelli che si sentono inclinati in modo particolare verso la stessa virtù, e lavorano efficacemente a conseguirla». Ora, siccome la devozione al S. Cuore di Gesù nella pratica della vita interiore e dell’unione continua con Dio fu la caratteristica di S. Luigi Gonzaga, non c’è dubbio ch’Egli non s’interessi, in modo speciale, di quelli a cui questa devozione sta sommamente a cuore. Molte persone hanno già felicemente provato l’effetto potente della sua intercessione su questo punto. Si direbbe che ad essere veramente suo devoto si venga subito a sentire una verta tenerezza verso Gesù. La sua devozione ispira non so quale profonda stima e amore per la vita interna, e ci sono pochi Santi che sembra possano proporsi a ogni qualità di persone più universalmente di Lui, come modello per giungere facilmente, mediante la pratica d’una vita ordinaria, ad una virtù soda e profonda.
A giudicare dalle azioni esterne di Lui non si trova nulla che apparisca come molto straordinario nella sua vita, perché, essendo morto da giovane, non ebbe grandi uffici né poté diventar celebre per opere assai strepitose, ma ebbe sempre somma cura di starsene nascosto. Tuttavia il grado altissimo di gloria a cui fu elevato non può non essere che il premio d’un merito grande, come questo stesso non può essere in Lui che frutto di somma purezza di cuore, di vita interna, di presenza continua di Dio, d’amore ardentissimo e tenerissimo di Gesù, e finalmente di perfezione consumata, a cui giunse in pochissimi anni per mezzo d’un amore ‘eccessivo e d’una devozione tenerissima, che nutri sempre verso il S. Cuore di Gesù nel Santo Sacramento.
Non senza speciale provvidenza di Dio questo Servo fedele di Gesù Cristo mori, come aveva predetto e bramato, nel giorno in modo particolare consacrato alla festa del S. Cuore di Gesù, di cui fu sempre devoto. Proprio in questo Cuore adorabile ricevette, per dir così, fin da bambino il dono di altissima contemplazione e il dono continuo delle lacrime così abbondanti, specialmente durante la Messa dopo la Consacrazione, che i suoi vestiti n’erano tutti inzuppati. Dalla stessa fonte derivava la somma pace del cuore che mantenne imperturbata in tutte le contingenze e le occupazioni della vita.
Dal S. Cuore finalmente, dice lo scrittore della vita di Lui, lo Spirito Santo riempiva l’anima sua di un ardore così vivo e di consolazioni così soavi, che la sua faccia appariva tutta infuocata, mentre il cuore per, la straordinaria violenza pareva volesse balzargli fuori dal petto. Qui Egli s’univa così intimamente a Dio che se per qualche motivo era costretto a distrarsene, sentiva nel cuore quel dolore che si prova quando si sloga un membro del corpo, come asseriva Egli stesso.
«Io non so perché, diceva una volta, mi si proibisca di concentrarmi in Dio per timore che questa applicazione non mi faccia male al capo; eppure lo sforzo che devo fare per non applicarmi mi nuoce più della stessa applicazione, perché a questa ci ho fatto l’abitudine, tanto che non è più per me uno sforzo, ma soavità e quiete. Tuttavia farò di tutto per ubbidire meglio che posso».
Ma per avere qualche idea della gloria sublime che gode in cielo, e che si può dire è il frutto della sua vita interna e dell’amore ardentissimo e tenerissimo che sempre nutrì verso il cuore adorabile dì Gesù, basta leggere la testimonianza che ne ha data S. Maria Maddalena dei Pazzi. Ecco il racconto fattone dall’autore della vita di questa Santa.
«Nell’anno 1600, ai quattro d’aprile, trovandosi la Santa in uno dei soliti rapimenti, vide in Paradiso la gloria del B. Luigi Gonzaga d. C. d. G., e sorpresa da una cosa che le appariva straordinaria, cominciò a parlare con pause e a intervalli tra una frase e l’altra:
«Oh che gloria ha Luigi figliuolo d’Ignazio! Non mai l’avrei creduto, se tu non me l’avessi mostrato, Gesù mio… Mi pare che non abbia da essere tanta gloria in cielo quanta ne vedo avere Luigi… Io dico che Luigi è un gran Santo… Noi abbiamo dei Santi in Chiesa (intendeva le sacre reliquie della Chiesa del monastero) i quali non credo abbiano tanta gloria… Io vorrei poter andare per tutto il mondo e dire che Luigi figliuolo d’Ignazio è un gran Santo, e vorrei poterne mostrare ad ognuno la gloria perché Dio fosse glorificato… Ha tanta gloria perché operò con l’interno… Chi potrebbe mai narrare il valore e la virtù delle opere interne? Non c’è comparazione alcuna dall’interno all’esterno… Luigi stando quaggiù in terra tenne la bocca aperta verso il Verbo (cioè amava le ispirazioni interne che il Verbo mandava al suo cuore)… Luigi fu martire nascosto, perché chi ama te, mio Dio, ti conosce tanto grande e infinitamente amabile, che gli è gran martirio il vedere che non t’ama quanto desidera amarti, e che non sei amato, dalle creature, anzi offeso… Si fece ancora martire da se stesso… Oh, quanto amò in terra! E però ora gode in cielo gran pienezza d’amore… Saettava il cuore del Verbo quando era mortale, ora ch’é in cielo quelle saette si riposano nel cuor suo; perché quelle comunicazioni che meritava con gli atti d’amore e d’unione che faceva, i quali erano come saette, ora le intende e gode».
Fin qui le parole stesse della Santa. Da questo carattere si conosce facilmente il giusto ritratto del vero e perfetto devoto del S. Cuore di Gesù, e, perciò chi desidera davvero di divenirlo, e d’avere amore tenero verso Gesù, il dono della vita interna e della presenza continua di Dio, deve essere teneramente devoto di questo gran Santo, che gli farà ben presto provare i dolci effetti della sua intercessione presso Gesù e Maria, amati da Lui con tanto ardore e tenerezza, e dai quali fu teneramente amato.
Per questo le Religiose del convento degli Angeli di Firenze oltre agli atti devoti giornalieri tributati al gran Santo, celebrano ogni anno nel loro monastero la sua festa in modo solennissimo per ottenere per sua intercessione il raccoglimento interno, l’unione continua con Dio, l’amore ardentissimo e tenerissimo di Gesù e la devozione perfetta verso il S. Cuore8.
§ 7. Il giorno del ritiro mensile
Il settimo ed ultimo mezzo per acquistare e conservare questo amore ardente verso G. Cristo è così utile e necessario, da potersi affermare che, senza di questo, gli altri che abbiamo proposto sono di debole aiuto. Per quanto sia sincera la volontà di amare ardentemente Gesù, abbiamo bisogno di tanto in tanto di tornare a riflettere sui motivi che la fanno nascere, e sembra, difficile trovare altro mezzo migliore per rinfrescare le riflessioni salutari, e con esse il fervore, che n’è l’effetto ordinario, quanto il fare un giorno di ritiro ogni mese.
Non è qui necessario allegare tutti i vantaggi che si ricavano da una pratica tanto cristiana e atta ad ispirare sempre più orrore al vizio, e a farci amare sempre più ardentemente Gesù Cristo. In un libro composto recentemente su questo argomento, si potranno vedere la necessità e i vantaggi che si ricavano dalla pratica di questa devozione, tanto utile e facile, che non si può raccomandare abbastanza a ogni sorta di persone, sia per conservarsi innocenti, quanto per fare nuovi progressi nella virtù9. Mentre ci si persuade facilmente che Gesù Cristo è infinitamente amabile, e ci dispiace, ci si vergogna, ci rincresce di non averlo amato, perché dunque l’amiamo sì poco? Forse perché discordiamo dagli obblighi infiniti che abbiamo verso di Lui? No davvero, ma è perché ci dimentichiamo dei suoi benefici. Il tumulto dei mondo, la confusione degli affari mondani, la dissipazione dell’anima che si diffonde troppo all’esterno, queste sono le cose che spesso e’impediscono di pensare ai grandi misteri ispiratori dei buoni sentimenti di gratitudine. Bisognerebbe, a imitazione del divin Salvatore, che di tanto in tanto ci ritirassimo dal mondo per qualche ora nella solitudine, onde riaccendere con serie riflessioni l’amore di Gesù quasi estinto. Questo appunto è lo scopo che ci si propone e il frutto che di solito si ricava da un tal giorno di ritiro in ciascun Mese.
Non è necessario che si vada a cercare altrove la solitudine; basta la propria casa, ché questo ritiro si può fare anche senza interrompere i propri affari e senza esimersi dai minimi doveri del proprio stato. Basta sottrarsi per un giorno a qualche divertimento, a qualche visita poco necessaria, per esaminarsi se ci sia qualche tiepidezza nella pratica della virtù, se si compiono con esattezza i più piccoli obblighi del proprio stato, se si nutre verso Gesù più amore e più riconoscenza, se c’è progresso nella virtù e qual profitto si ricava dall’uso dei Sacramenti.
Nel libro citato si troverà la maniera di far bene questo ritiro; le meditazioni sulle verità più importanti della fede, divise per ciascun mese, vi sono svolte assai diffusamente con le considerazioni da farsi ogni giorno. Mi pare che non si possa proporre mezzo più efficace per fare sempre più nuovi progressi nella virtù, non si chiede che un giorno al mese, lasciando la libertà di scegliersi quello che faccia più comodo. E veramente è segno che amiamo poco Gesù se ci rifiutiamo di spendere per Lui un giorno solo ogni mese.
P. GIOVANNI CROISET S.J.
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