domenica 26 giugno 2022

Mezzi speciali per acquistare il perfetto amore di Gesù Cristo e una tenera devozione al Suo S. Cuore.

 


LA DIVOZIONE AL S. CUORE DI N. S. GESÙ CRISTO 


§ 1. La Preghiera. 

Agli ostacoli da evitare e alle disposizioni da avere per acquistare  l’amore perfetto di Gesù Cristo e una tenera devozione al S. Cuore di Lui,  giova qui suggerire i mezzi più adatti a questo scopo. Ora il primo mezzo  per ottenere l’amore ardente di Gesù Cristo e una tenera devozione al  S. Cuore di Lui è la preghiera. Fa meraviglia che i Cristiani, con un mezzo  infallibile per ottenere tutto ciò che chiedono, non siano, per dir così,  onnipotenti e non ottengano ciò che desiderano; eppure questo mezzo non  consiste in altro che nel chiedere. 

Non c’è cosa a cui Gesù si sia più spesso e con più solennità obbligato  quanto a esaudire le nostre preghiere: ma fra tutte le preghiere non ce n’è  una a Lui più gradita di quella con cui gli chiediamo il suo amore. Egli si è  obbligato strettamente a concederlo a chiunque glielo chiederà, ma si può  aggiungere che, se anche non vi si fosse obbligato da se stesso, ve  l’obbligherebbe questa domanda. Gesù per obbligarci ad amarlo ha fatto  tutto quel che ci si poteva immaginare, anzi più di quello che noi potessimo  credere. Siccome dipende da Lui darci quest’amore, chi oserà pensare che  se glielo domandiamo Egli vorrà negarcelo? 

Ma forse noi stimiamo assai poco quest’amore, perché ce ne diamo  tanto poco pensiero, e appunto non ce ne diamo pensiero, perché lo  chiediamo così poco. Voi stessi vi meravigliate, di non amare ardentemente  Gesù, dato che quest’amore sia così giusto e conforme alla ragione; ma ci  sarebbe maggior motivo di meravigliarsi se l’amaste, essendo quest’amore il  più grande di tutti i doni, e non vi foste neppur degnati di chiederglielo. 

Fra tutti i mezzi per ottenere l’amore di Gesù nessuno è più efficace  della preghiera, ma nessuno anche più facile: chi infatti può scusarsi dal  pregare? Eppure sembra che sia il più trascurato. Si direbbe che il motivo  più forte con cui Gesù vuole obbligarci a pregare sia quello che ce ne  allontani: — Credite quia accipietis: state sicuri che sarete esauditi. Dio  mio, ma è proprio questo che si teme! Timebam ne me cito exaudires. —  (S. Agost. l. I. Confess). Noi temiamo, disgraziati, temiamo che se Tu una  volta ci esaudissi, l’amor tuo ci porterebbe ad essere più buoni, più  raccolti, più devoti e più santi di quel che vogliamo essere: temiamo che, se  ti amassimo ardentemente, dovremmo avere più che disgusto di tutto riò  che abbiamo amato e per tutto ciò che amiamo ancora: in una parola,  sembra che temiamo di non poter più far a meno di amarti. Ma tu, o mio  Salvatore, non aver riguardo ai primi sentimenti, che noi detestiamo non appena possiamo accorgercene: donaci solo il tuo amore e la tua grazia e  saremo ricchi abbastanza. Quanta nausea presto ci recherà ogni altra cosa  se tu, aprendoci il tuo S. Cuore, ci farai gustare solo una volta la soavità  che si prova nell’amarti! 

Preghiamo e domandiamo spesso quest’amore, ch’è impossibile non  ottenerlo se lo chiediamo con istanza e senza stancarci. Il mezzo è agevole  ed efficace, e si può dire che qui il chiedere è già ottenere. Nessun timore di  fare richieste eccessive o importune, tali da indisporre Gesù Cristo con la  nostra indiscrezione e con la nostra importunità. È tutto l’opposto: la  causa per cui si ottiene poco da Dio, è che non Gli chiediamo abbastanza,  che siamo troppo ristretti nei desideri e troppo languidi, nelle preghiere.  Nel Vangelo Gesù ci ha addotta la parabola di quell’uomo che a prezzo  della sua importunità ottiene ciò che chiedeva, a solo scopo di farci  imparare che, se vogliamo esaudita la nostra richiesta, dobbiamo renderci  importuni. Poco s’ottiene perché troppo poco si chiede, e quel poco non si  chiede con istanza. Non dobbiamo chiedergli che l’amor suo, ma tenero,  ardente, generoso e perfetto, e chiederlo con premura e importunità. Io  stimo che, sebbene Egli si sia obbligato con tanta solennità a non negarci  nulla di quello che gli domanderemo in nome suo, non può non esaudirci,  se non vuol mancare alla sua promessa. 

Noi spesso non sappiamo quel che chiediamo. Ma faremmo torto a  Gesù e daremmo una smentita alla nostra fede se, chiedendogli il suo  amore, dubitassimo d’essere esauditi, specialmente se lo chiediamo con  sincerità e premura. Io potrò credere che Gesù per punirci o umiliarci, e  sempre per farci acquistare maggiori meriti, ci voglia lasciare dei difetti o  delle imperfezioni, di cui lo preghiamo di liberarci, ma nessuno mi  persuaderà mai che, dopo avergli chiesto noi sinceramente e con premura  l’amore ardente, Egli ce l’abbia negato, anzi non ce n’abbia concesso più di  quello che gliene chiedevamo. 

Signore, tu hai portato questo gran fuoco in terra, e che vuoi se non  che si accenda? E da che dipenderà se io non ne sono tutto infiammato?  Dammi, o Signore, ti prego, l’amor tuo! Questa sarà da qui innanzi la mia  preghiera ordinaria; ed io te la rivolgerò la mattina, la sera, durante il  riposo, al lavoro; te la rivolgerò sempre, e mai non smetterò di dire: —  Dammi solo, o Signore, l’amor tuo e la tua grazia, e sono ricco abbastanza,  e questo mi basta. 

 

§ 2. La Comunione frequente. 

Il secondo mezzo è l’uso frequente dei Sacramenti, ossia la Comunione  frequente. Basta sapere che cosa sia comunicarsi per capire che non c’è  altro mezzo più sicuro per essere presto infiammato d’amore per Gesù,  quanto il comunicarsi spesso. 

Non è possibile, dice il Savio, portare il fuoco in seno e non bruciarsi.  L’Amore divino ha acceso, per così dire, un gran fuoco sui nostri altari con  l’adorabile Eucaristia, e appunto accostandosi a questo fuoco sacro tutti i  Santi s’innamorarono d’amore ardentissimo e tenerissimo verso Gesù;  amore che, ardendoli, nel partirsi dalla Comunione, si rifletteva persino sui loro volti. Quante volte di pieno inverno è stato necessario andare in cerca  di refrigeri per temperarne gli ardori divini! Il solo nome, la sola immagine  di Gesù li levava in estasi e rapimenti, e non c’è dubbio che l’amore grande  verso Gesù dei primi fedeli dipendesse dalla loro Comunione quotidiana.  Quelli che con l’innocenza della vita e con la pratica della vera pietà si  rendono degni di comunicarsi spesso, vengono anche a provare ogni giorno  più le conseguenze della Comunione frequente. Amano sempre più Gesù, e  il loro amore cresce a misura che si nutrono più spesso del Pane degli  angeli, e tanto è lontano che dall’uso continuo venga loro a nausea, che  piuttosto la fame si fa loro più sensibile quanto più ardente diventa l’amore  verso Gesù Cristo. 

Gli altri Sacramenti sono effetti dell’amore del Figlio di Dio per gli  uomini, e ciascuno è adatto a far nascere nel nostro cuore un vero amore  verso il Salvatore divino; ma il Sacramento dell’altare, dice S. Bernardo, è  l’amore degli Amori. Sacramentum altaris est amor amorum; cioè la  conseguenza del massimo di tutti gli amori che Gesù possa nutrire verso  gli uomini, e insieme la sorgente più feconda dell’amore più ardente e più  tenero, che gli uomini devono nutrire verso Gesù. In questo Mistero tutto  concorre a ispirare e ad accrescere quest’amore ardente; il dono che ci  viene offerto, il modo con cui ci viene offerto, e il fine per cui ci viene  offerto. Qui Gesù, ci dà il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso,  diventati nostro nutrimento. In verità, se un tal nutrimento celeste non è  capace d’accendere il fuoco divino nel cuore degli uomini, chi potrà mai  farlo? 

Ma non meno ci obbliga ad amare Gesù il modo gentile con cui Egli ci fa questo dono. 

Il Salvatore divino, l’Aspettato dal popolo d’Israele, il Desiderato dalle  nazioni, il Desiderio dei colli eterni, si è fatto pregare, si è fatto supplicare a  venire al mondo per quaranta secoli. Ma ora egli stesso, prega gli uomini, li  sollecita, anzi usa loro violenza per costringerli a riceverlo. — Spingeteli,  dice nel Vangelo, spingeteli a partecipare al banchetto che ho loro  preparato: Compelle intrare. L’amore è 1’impaziente, nemico degli indugi,  ignora che cosa sia fermarsi, traccheggiare. Ma che cosa pretende l’amabile  Salvatore con tante premure? Di farsi amare dagli uomini; dà loro il suo  Corpo e il suo Sangue per avere il loro cuore, si fa Egli medesimo loro cibo  per acquistarselo, per rapirlo, senza che essi possano, per dir così,  difendersene. 

«La principale intenzione che dovete avere, nel comunicarvi, dice  S. Francesco di Sales, deve consistere nel progredire, fortificarvi e  consolarvi nell’amore di Dio, perché voi dovete ricevere per amore ciò che il  solo amore vi fa dare. No, il Salvatore non va considerato in un’azione più  amorosa né più tenera di questa, nella quale s’annichila, secondo il nostro  modo di parlare, e si trasforma in cibo per entrare nelle anime nostre e per  unirsi, intimamente al cuore e al corpo dei fedeli». (Introd. alla vita devota. 

P. 2, cap. 21. Come ci si deve comunicare). 

Si ammira il fervore di certe anime pure che non si accostano mai ai  Santi altari senza sentirsi aumentare in modo sensibile l’amore verso Gesù,  e senza esserne tutte accese. Questi ardori divini ci appaiono meravigliosi  appunto perché sono diventati rari. Ma non è un prodigio più stupendo vedere che mentre le Comunioni sono più frequentate, più di rado  succedono tali meraviglie? Vi tormentano ì vostri peccati, le recidive e le  debolezze vostre e bramereste di emendarvi, di vincere la ripugnanza, la  tiepidezza, di spezzare quel piccolo legame, ch’è l’unica cosa che vi ritardi  sulla via della pietà; vorreste amare con vero ardore Gesù Cristo, e  ammettete che solo quelli che l’amano perfettamente, si sentono al tutto  felici, eppure dopo duemila comunioni vi ritrovate ancora imperfetto,  tiepido e non amate di più Gesù Cristo. 

Da un anno, da dieci anni voi celebrate la Messa ogni mattina, ch’è  quanto dire avete ricevuto il Corpo e il Sangue prezioso di Gesù Cristo più  di tremila volte nella nostra vita, e da un anno, da dieci anni combattete  contro una immaginazione, un fantasma o non so che altro, come dite voi,  che v’impedisce d’essere tutto di Dio e di godere la pace e la dolcezza che si  gode nel suo servizio; forse anche di giorno in giorno vi sentite scemare  l’amore verso Gesù. Ah, Dio mio, sono eretici forse o pagani quelli che  parlano cosi? — grida un gran servo di Dio. — Dunque un cristiano, che si  ciba spesso del Corpo di Gesù Cristo, può desiderare qualche cosa invano?  A chi si darà mai ad intendere che un Dio, presentato come prezzo delle  grazie che gli si chiedono, non sia capace d’ottenerle? Che Gesù Cristo, il  quale ha istituito questo Mistero per farsi amare, voglia negare l’amor suo a  quelli a cui dà se stesso senza riserva e senza nessun riguardo? (Riflessioni  cristiane del B. de la Colombière). 

Se però questa disgrazia succede, se si vede che comunicandosi ogni  otto giorni o anche, più spesso, che celebrando ogni mattina la S. Messa,  non si ricavi nessun frutto da questo Sacramento, non ci si emendi, si  abusi della Comunione, non si ami di più Gesù Cristo, si resti sempre nella  stessa tiepidezza, si ricada nelle stesse debolezze, si deve per questo  lasciare la Comunione? Si deve smettere di celebrare la Messa? No, ma  dobbiamo correggere la nostra vita e liberarci dai vizi e dai difetti che  c’impediscono di ricavarne frutto. La colpa non è delle Comunioni  frequenti, ma delle Comunioni mal fatte. Ogni nutrimento vi si rende  inutile perché lo prendete mal disposti. In questa circostanza quale vi  piacerebbe di questi due consigli, o di non mangiare affatto, oppure di  usare le precauzioni necessarie affinché vi sia utile ciò che mangiate? 

Un tale per una eccessiva applicazione di mente non digerisce più il cibo che prende nei suoi pasti, e cade malato. 

Presto! Si chiamino subito i medici, si consultino le facoltà di medicina. 

Ci sarà mai un solo specialista che ordini all’infermo di astenersi dal  mangiare? Bisogna che mangi, ma lo faccia con le debite cautele e sia  meno indiscreto, meno imprudente. 

Ma se smettesse di mangiare s’impedirebbe al cibo di corrompersi nello stomaco. 

Sì, questa applicazione eccessiva di mente non impedirebbe certo la  digestione, ma ben presto gli prostrerebbe il resto delle forze, e voi vedreste  quell’uomo cadere in ventiquattr’ore in una spossatezza mortale. Non  morirebbe d’indigestione, ma di fame. In breve sarebbe follia levargli ciò per  cui vive per liberarlo da ciò per cui si ammala. 

Questo esempio vale mirabilmente per quelli che non ricavano nessun  frutto dalla Comunione: costoro hanno molto da temere che la loro vita sia sregolata, che la coscienza non sia pura, che abbiano una fede troppo  languida, che le confessioni siano prive di sincerità o di dolore, o di  proposito di emendarsi. 

Siete cattivo? Correggetevi quanto prima per potervi comunicare spesso. 

Avete delle imperfezioni? Comunicatevi spesso per correggervi. Il Figlio  di Dio chiama questo Mistero adorabile nostro pane quotidiano per  indicarci quanto debba esserne frequente l’uso. Chiama al suo convito i  poveri e i ricchi per insegnarci che per quanto siamo indigenti e malati,  purché siamo ancora vivi, non dobbiamo avere difficoltà di mangiar il Pane  della vita. . 

Il poco frutto che ricavano dalla Comunione frequente la maggior  parte delle persone, e specialmente i sacerdoti, delle volte fa dubitare se  convenga comunicarsi spesso. Ma risposta migliore non possiamo dare a  questo dubbio che riportando qui ciò che su questo argomento ha scritto  S. Francesco di Sales.  

«Io, dice il Santo, non lodo né riprovo che si riceva la Comunione  eucaristica ogni giorno; ma consiglio ed esorto ognuno a comunicarsi tutte  le domeniche, purché l’anima sia libera da ogni affetto al peccato. Queste  sono appunto le parole di S. Agostino, col quale io non lodo né riprovo  assolutamente che si possa ricevere la Comunione ogni giorno, ma lascio  ciò alla prudenza del Padre Spirituale di colui che vorrà risolversi ai farlo.  Siccome la disposizione necessaria per comunicarsi tanto spesso è molto  rara, così non è bene consigliarlo in generale; ma perché questa  disposizione, per quanto rara, si può trovare in parecchie anime pie, non è  bene altresì negarlo per principio a tutti, ma regolarsi in questi casi  secondo lo stato interno di ciascuno. Sarebbe un’imprudenza consigliare  indifferentemente a tutti un tale uso frequente, come anche non sarebbe  prudente biasimare quelli che lo fanno secondo il giudizio d’un savio  direttore. 

«È graziosa la risposta che diede S. Caterina da Siena, quando le fu  detto, a proposito della Comunione frequente, che S. Agostino non lodava  né biasimava di comunicarsi ogni giorno: — Ebbene, disse, se S. Agostino  non lo biasima, vi prego di non biasimarlo nemmeno voi, e io sarò  contenta. 

«Ma voi vedete, o Filotea, che S. Agostino esorta e consiglia moltissimo  la comunione domenicale; fatelo dunque quanto potete. Poiché, come io  suppongo, non avendo nessun affetto al peccato mortale né al peccato  veniale, voi siete nella vera disposizione richiesta da S. Agostino, anzi in  modo più eccellente, perché non soltanto vi manca l’affezione al peccare,  ma persino quella del peccato; quando al vostro P. Spirituale paresse bene,  voi potreste utilmente comunicarvi anche più spesso della domenica».  (Introd. alla Vita devota. P. 2ª c. 20 - La Comunione frequente). 

«Se i mondani, soggiunge il Santo nel capo seguente, vi chiedono come  mai vi, comunicate tanto spesso, rispondete loro che lo fate per imparare  l’amore di Dio, per purificarvi dalle imperfezioni, per liberarvi dalle miserie,  per confortarvi nelle afflizioni, per trovare un appoggio nelle vostre  debolezze. Rispondete che due sorte di persone devono comunicarsi spesso:  i perfetti perché, essendo ben disposti, farebbero malissimo se non andassero alla sorgente e alla fontana della perfezione, e gli imperfetti per  poter giustamente tendere a quella; i forti per non indebolirsi e i deboli per  fortificarsi; i malati per guarire, i sani per non cadere malati; e che quanto  a voi, come imperfetta, debole e malata, avete bisogno di comunicare  spesso con Lui, ch’è la perfezione, la forza e la medicina vostra. Rispondete  loro che devono comunicarsi spesso quelli che non hanno molte  occupazioni nel mondo, perché ne hanno la comodità, e quelli che ne sono  pieni perché ne hanno bisogno; chi lavora molto e si affanna nella fatica  deve altresì mangiare cibi solidi e spesso. Rispondete loro che voi riceverete  il SS. Sacramento per imparare la riceverlo bene, perché un’azione non si  fa bene se non ci si esercita spesso in quella. 

«O Filotea, comunicatevi spesso e più spesso che potete, col consiglio  del vostro Direttore spirituale. Credete a me, le lepri d’inverno diventano  bianche nelle nostre montagne, perché non vedono né mangiano che neve,  e voi, a forza di adorare e di mangiare la bellezza, la bontà e la purità  stessa nel Sacramento divino, diventerete tutta bella, tutta buona e tutta  pura». (Introd. alla Vita devota, P. 2ª c. 21. Come ci si deve comunicare). 

Questo è il consiglio che S. Francesco di Sales dà a quelli che, avendo  un vero orrore per qualunque peccato mortale, desiderino veramente di  salvarsi. In verità il desiderio di comunicarsi è ordinario a quelli che hanno  viva fede e amano veramente G. Cristo, mentre avviene purtroppo che si  duri maggior fatica a comunicarsi, quanto più ci si impegna nel mondo e  più ci si raffredda nell’amore di Gesù Cristo. Perciò è inutile predicare ai  viziosi di star lontano dalla Comunione; lo fanno già da sé, e non s’è mai  visto che quest’anime corrotte e immerse nel disordine siano affamate di  questo cibo celeste, che forma le delizie delle anime pure e di chiunque ami  di cuore Gesù Cristo. 

 

§ 3. La visita al SS. Sacramento. 

Il terzo mezzo consiste nel visitare spesso il SS. Sacramento  dell’altare. L’amicizia umana si conserva e s’accresce con le visite e le  frequenti conversazioni. Con questo mezzo ancora si avrà un amore sempre  più ardente verso Gesù Cristo, che dimorando nei nostri altari per essere  continuamente con noi, pensate quanto favorevoli sentimenti deva nutrire  verso di quelli che vede sempre accanto a Sé. Pare che nulla conquisti  maggiormente, il suo Cuore quanto queste visite e adorazioni frequenti; di  solito in questo tempo Egli sparge le sue grazie con maggiore abbondanza,  e possiamo dire che, di tutti i doni e di tutti i lavori che in esso concede, il  più comune è la grazia dell’amor suo. 

Ci sono visite di convenienza e visite di pura amicizia; se si mancasse  a quelle sarebbe una colpa; ma per solito i favori speciali si concedono in  queste. 

Le grandi giornate festive, il tempo della Messa e dell’Ufficio divino  sono rispetto a Gesù Cristo come le visite di dovere e di convenienza  rispetto ai Grandi; chi non ci si trovasse con la folla sarebbe notato, anzi  punito; ma le visite fatte in certe ore del giorno, quando Gesù è quasi completamente solo, quando anzi la maggior parte della gente si dimentica  di Lui, sono visite da amici; e in questo tempo più d’ogni altro, Gesù si  trattiene, per così dire, con maggiore intimità con i suoi preferiti, si  comunica loro confidenzialmente, apre il suo Cuore, spande su di essi il  tesoro di tutte le grazie, accendendoli dell’amor suo. 

E forse perché l’indifferenza dì chi allora lo dimentica rende più  preziosa la fedeltà di chi lo visita, tutti i Santi hanno provato che non c’è  mezzo più certo, per ottenere subito questo grande amore di Gesù Cristo,  del visitarlo spesso nelle Chiese, specie poi in certe ore del giorno in cui è  meno onorato e raramente visitato. 

Nella terza parte di questo libro si troverà come devono farsi le visite e  perché si ricavi poco profitto da quelle che si fanno; qui ci basti notare che  purché si facciano come da persone che credono essere Gesù Cristo quello  che visitano, esse sono un mezzo sicuro per acquistare in breve l’amore  perfetto verso di Lui. 

 

§ 4. La fedeltà nel compiere esattamente alcune pratiche di questa devozione. 

Il quarto mezzo consiste nell’eseguire esattamente le piccole pratiche  che Gesù ha mostrato di gradire assai, come molto adatte ad onorare il suo  S. Cuore, e per accendersi in breve del suo amore ardente. Queste pratiche  si riducono ad alcune visite al SS. Sacramento, ad alcune preghiere e a  qualche Comunione più frequente e devota, secondo alcuni motivi che si  troveranno nel primo capitolo della terza parte. 

Quelli che per non so quale falsa idea della virtù stimano inezie tutte  le pratiche di devozione, che sembrano loro troppo facili, e apprezzano poco  quelle che non offrono loro occasioni bastevoli di distinguersi, forse non si  cureranno molto di queste, perché nulla contengono di grande apparenza,  né di cosa assai straordinaria. Essi crederanno che quello che tutti  possono fare non sia un mezzo efficace per diventare ciò che pochi sono in  realtà. Ma lasciando di esaminare qui la causa vera di tale illusione, si  potrebbe loro date la risposta che fu data a Naaman, che aveva delle idee  molto simili a queste. Se vi si proponesse una cosa assai difficile per  ottenere una grazia sì grande, non dovreste ricusare di farla; a più forte,  ragione dovete almeno provare se il mezzo che vi si propone sia efficace,  poiché costa tanto poco. 

Certo per acquistare con perfezione lo spirito di queste piccole  pratiche sono necessarie la perseveranza e l’esattezza. La fedeltà è di solito  tra le cose più gradite a Dio e nella maggior parte delle pratiche di  devozione tra le più meritorie, perché è sempre il segno meno sospetto di  grande amore. Sarebbe molto meglio diminuirle, ma essere più costanti. Le  nostre opere buone sono tanto più perfette quanto meno sono  accompagnate da volontà propria. Ora le persone che mutano  continuamente le pratiche di devozione o il tempo di queste, certamente  non operano se non sotto la spinta della loro volontà, non avendo altro  motivo, di cambiare. 

Nella perseveranza dunque sta la fedeltà generosa, ed è questa la  prova più sicura che si ama grandemente Gesù Cristo. 

Se si consideri seriamente quello che si fa per Iddio, per grande che  sia la nostra fatica, si vedrà che non si può fare che pochissimo; tuttavia in  altro senso e con verità si può dire che non è poco non aver riguardo alla  disposizione in cui siamo, ai sentimenti che abbiamo, e a cento altri  speciosi pretesti che ogni giorno si presentano; cose tutte che alla nostra  naturale incostanza sembrano ragioni legittime per mutare o almeno per  interrompere le nostre pratiche di devozione. 

Siamo tristi o di buon umore, siamo riposati o stanchi, nella calma o  nel turbamento, se però siamo sempre costanti e adempiamo verso Gesù i  nostri piccoli obblighi, che ci impongono l’amore e la gratitudine che  vogliamo nutrire per Lui, questo è essere veramente fedeli, questo è amare  veramente Gesù Cristo. 

 

§ 5. Una tenera devozione alla SS. Vergine. 

Il quinto mezzo per accendersi facilmente d’amore ardente verso Gesù  Cristo consiste in una tenera devozione verso la SS. Vergine, che ha un  potere assoluto sul S. Cuore di suo Figlio. Non c’è dubbio che la S. Vergine  abbia amato Gesù più di ogni altra creatura e da Lui sia stata più amata, e  più brami che Egli sia perfettamente amato. A Lei ch’è la Madre del bello  amore, mater pulchrae dilectionis, ci dobbiamo rivolgere per esserne  infiammati. I Sacri Cuori di Gesù e di Maria sono talmente conformi e  uniti, che non si può avere ingresso in uno senza averlo anche nell’altro;  ma con la differenza che il Cuore di Gesù non tollera se non anime  sommamente pure, mentre quello di Maria purifica, mediante le grazie che  loro ottiene quelle che non lo sono, e le mette in condizione d’essere  ricevute nel Cuore di Gesù. 

Benché tutti gli altri mezzi d’avere l’amore ardente per Gesù siano  agevoli ed efficaci, a molti però questo sembra il più facile. Pochi hanno  tutte quelle disposizioni che sono necessarie ad essere infiammati di amor  divino, ma son pochi altresì quelli che non possano ottenerle per  l’intercessione di Maria. I peccatori non devono disperare, ché Maria è la  speranza dei peccatori, Maria è il rifugio dei miseri e l’aiuto di tutti (S. Aug.  Sermo XVIII de Sanct. — S. Ephrem. Oratio de laudibus Virginis). Gesù  Cristo ci concede facilmente ciò che noi siamo indegni di ricevere. Quia  indignus eras cui donaret, dice S Bernardo, datum est Mariae ut per illam  acciperes quidquid haberes. L’ha costituita dispensatrice delle sue grazie, e  ha stabilito di non far nulla se non passi per le mani di Lei. Nihil nos Deus  habere voluit quod per Mariae manus non transiret. (S. Bern. Sermo III in  vigil. Nativ.). Abbiamo un tenero amore alla Madre e in breve saremo accesi  di amore ardente per il Figlio. È segno che non vogliamo davvero amare il  Figlio, se non sentiamo somma tenerezza verso la Madre; e chi è privo di  questa somma tenerezza per la Vergine SS.ma non può mai attendersi di  aver adito al S. Cuore di Gesù. 

Avete mai osservato che non c’è stato nessuno che si sia mostrato solo  indifferente verso la S. Vergine senza che al tempo stesso non sia stato anche avverso a Gesù Cristo? Da questa avversione appunto a Gesù Cristo  nasce l’indifferenza e l’avversione di tali persone verso la S. Vergine. Qui me  odit, diceva il Figlio di Dio, et Patrem meum odit. Chi odia me odia anche  mio Padre. Si può dire ugualmente che non ci sono stati eretici al mondo  nemici della Vergine se non perché erano nemici di Gesù Cristo. Tutti i loro  scritti mirano tanto soffocare l’amore verso la Madre, quanto verso il Figlio.  C’è stato mai un solo nemico occulto di Gesù Cristo, occupato a  distruggerei mezzi adatti a farlo amare, uno solo, dico, che ci abbia  consigliato la devozione alla S. Vergine? O che piuttosto non si sia sforzato  con tutti i mezzi possibili di soffocare nel cuore dei fedeli questa solida  devozione? 

Questo appunto ha egregiamente fatto osservare uno dei più zelanti  prelati del nostro tempo, l’illustre arcivescovo di Malines, nella sua celebre  lettera Pastorale di cui il S. Padre, Papa Benedetto XII, ha fatto un sì  bell’elogio nel breve che indirizzò al grande Prelato. La lettera, piena di  quello spirito e di quel, santo zelo che animava S. Carlo Borromeo e  S. Francesco di Sales, può considerarsi anche oggi un capolavoro in tale  maniera di scrivere, per le belle istruzioni che contiene, la sana morale di  cui è piena, e anche per la sodezza di dottrina che racchiude. Ecco come il  grande Prelato si esprime sul falso zelo di coloro che invece di esortare i  fedeli alla devozione verso la S. Vergine pare anzi che vogliano screditarla.  «Un fatto, dice egli, scandalizza al sommo i Cattolici, ed è d’accorgersi  che di sottomano si screditi la devozione alla S. Vergine, devozione  succhiata col latte e che loro è stata così spesso e con tanta cura inculcata  dai loro educatori; di vedere che non si faccia più conto delle immagini, che  si mettano in ridicolo i pellegrinaggi devoti, che si usino per beffarsene le  facezie insipide e poco cristiane, scritte da Erasmo a questo proposito; che  in conversazioni private e anche in libelli anonimi si sparli contro le  congregazioni fondate in onore della S. Vergine, mentre persone attaccate  alle pie e sante pratiche dei loro padri ne assumono la difesa, perché siano  ancora oggi come nel tempo degli avi il segno per riconoscere e distinguere  il cattolico dall’eretico». 

E in un altro luogo dice: «Noi raccomandiamo istantemente a tutti la  devozione alla S. Vergine; vogliamo che v’industriate a far tornare in mezzo  ai fedeli sempre più diffuso e fiorente il culto di Lei; che si venerino le sue  immagini, specialmente quelle miracolose. Si portino secondo il solito in  processione, si accendano innanzi ad esse delle candele, si cantino inni e  litanie, vi si recitino preghiere. Si parli in lode delle Congregazioni e delle  Confraternite erette in onore di Lei, come anche dei privilegi e immunità  concesse loro dai Papi; s’invitino ad entrarvi quelli che non vi sono ancora  ammessi; se ne erigano dove non ci sono mai state fino ad ora, e si  facciano rivivere dove furono abolite. Si sappia che attentando a qualcuna  di queste cose, si viene a colpirci nella parte più sensibile, e assai più se si  biasimano e distruggono. 

«Noi abbiamo ereditato dai nostri antenati questi teneri sentimenti di  pietà verso la S. Vergine, e a dispetto della rabbia degli eretici che ne  circondano, siamo riusciti felicemente a conservarli. 

«Desidero dunque con tutto il cuore che mettano sempre più radici  nelle anime dei fedeli, che a ciò siano incoraggiati dai consigli e dagli  esempi di molte sante persone, che non è necessario qui nominare specificamente, perché si può asserire che quanti nei secoli scorsi si sono  resi celebri per santità straordinaria, tutti hanno dato in vita splendidi  saggi della loro devozione alla S. Vergine. E su questo punto non si deve  affatto dare ascolto ai vani scrupoli degli eretici e degli altri avversari del  culto di Maria, i quali sostengono che l’onore reso alla Madre colpisca in  certo modo i diritti del Figlio. I fedeli non sono sì poco istruiti da ignorare  ciò che devono al Figlio, e che solo per rispetto a Lui onorano la Madre.  Tutti infatti riconoscono che per amore del Figlio si onora la Madre, o,  meglio, che nella Madre si onora il Figlio, il quale anzi farà severa vendetta  di chi offende l’onore della Madre. I Santi spesso ce lo dicono, e la caduta  deplorevole di alcuni cristiani ci mostra chiaramente che quando uno si  rallenta nella devozione alla Madre, a poco a poco gli scema la devozione al  Figlio, che finalmente viene ad estinguersi affatto. 

«Lo zelo di S. Carlo Borromeo nel diffondere la devozione alla  S. Vergine, gli statuti composti per onorarla, si manifestano nei vari Concili  tenuti a Milano sotto la cura e l’autorità di Lui; ché non ce n’è quasi  nessuno dove questo santo Prelato non faccia spiccare con le parole e i  monumenti stabili e sodi l’ardente affetto che sentiva per la Regina del  Cielo. 

«I libri del santo Vescovo di Ginevra son pieni degli stessi sentimenti e  la sua vita abbonda di fatti che documentano questa devozione. In un certo  luogo Egli si gloria d’essere ascritto alla confraternita del S. Rosario come  tutta la città. Tralascio S. Anselmo, S. Bernardo, S. Norberto, ecc… 

«I Pastori ascoltino questi Santi, li prendano come esempio, li  propongano anche al loro gregge come modelli eccellenti da imitare».  (Lettera pastorale di Mons. Humber Guillaume, arciv. di Malines). 

Veramente si trovano di rado delle anime poco tenere e poco inclinate  all’amore e al culto che si deve avere a Maria. Si può asserire che oggi la  devozione alla S. Vergine è universale, e sarà sempre, vero che la devozione  alla Madre non sarà mai screditata se non dai nemici del Figlio. In quanto  a noi, che bramiamo di amare ardentissimamente il Figlio, non tralasciamo  nulla per amare teneramente la Madre, e persuadiamoci che soltanto per  mezzo della Madre potremo avere un più facile accesso a Gesù e saremo  ricevuti nel suo Cuore. 

Ma per la stessa ragione dobbiamo essere devoti in modo, speciale  anche della S. Famiglia, cioè di S. Giuseppe, di S. Anna e di S. Gioacchino,  che, avendo amato naturalmente con più ardore e tenerezza di ogni altra  persona Gesù Cristo, ci possono aiutare maggiormente a conseguire questo  stesso amore, e procurarci l’ingresso, per dir così, al S. Cuore, sul quale  essi hanno tanta autorità. 

 

§ 6. Una devozione speciale a S. Luigi Gonzaga 

Il sesto mezzo che proponiamo, e che Dio ha già fatto conoscere con  segni sicuri come molto adatto ad acquistare un tenero amore verso Nostro  Signore Gesù Cristo, è la devozione a S. Luigi Gonzaga d. C. d. G., illustre più per l’innocenza e la perfezione sublime della vita che per l’alta  condizione che gli aveva dato la sua nascita nel mondo. 

È certo che i Santi in cielo si curano molto di tutti coloro che, in modo  particolare li amano e onorano in terra, e che la grazia più comune che loro  ottengano è la virtù in cui essi furono eccellenti e che in certo qual modo fu  loro caratteristica. Questo è ciò che diceva il Santo stesso, in uno scritto di  proprio pugno che si trovò dopo la sua morte, con queste parole: 

«Siccome gli uomini in terra sono più portati naturalmente a prestar  servigio a quelli che hanno le stesse loro inclinazioni… così pure in Cielo i  Santi, che spiccarono per qualche virtù speciale, adoperano con piacere il  loro credito presso Dio in favore di quelli che si sentono inclinati in modo  particolare verso la stessa virtù, e lavorano efficacemente a conseguirla».  Ora, siccome la devozione al S. Cuore di Gesù nella pratica della vita  interiore e dell’unione continua con Dio fu la caratteristica di S. Luigi  Gonzaga, non c’è dubbio ch’Egli non s’interessi, in modo speciale, di quelli  a cui questa devozione sta sommamente a cuore. Molte persone hanno già  felicemente provato l’effetto potente della sua intercessione su questo  punto. Si direbbe che ad essere veramente suo devoto si venga subito a  sentire una verta tenerezza verso Gesù. La sua devozione ispira non so  quale profonda stima e amore per la vita interna, e ci sono pochi Santi che  sembra possano proporsi a ogni qualità di persone più universalmente di  Lui, come modello per giungere facilmente, mediante la pratica d’una vita  ordinaria, ad una virtù soda e profonda. 

A giudicare dalle azioni esterne di Lui non si trova nulla che apparisca  come molto straordinario nella sua vita, perché, essendo morto da giovane,  non ebbe grandi uffici né poté diventar celebre per opere assai strepitose,  ma ebbe sempre somma cura di starsene nascosto. Tuttavia il grado  altissimo di gloria a cui fu elevato non può non essere che il premio d’un  merito grande, come questo stesso non può essere in Lui che frutto di  somma purezza di cuore, di vita interna, di presenza continua di Dio,  d’amore ardentissimo e tenerissimo di Gesù, e finalmente di perfezione  consumata, a cui giunse in pochissimi anni per mezzo d’un amore  ‘eccessivo e d’una devozione tenerissima, che nutri sempre verso il  S. Cuore di Gesù nel Santo Sacramento.  

Non senza speciale provvidenza di Dio questo Servo fedele di Gesù  Cristo mori, come aveva predetto e bramato, nel giorno in modo particolare  consacrato alla festa del S. Cuore di Gesù, di cui fu sempre devoto. Proprio  in questo Cuore adorabile ricevette, per dir così, fin da bambino il dono di  altissima contemplazione e il dono continuo delle lacrime così abbondanti,  specialmente durante la Messa dopo la Consacrazione, che i suoi vestiti  n’erano tutti inzuppati. Dalla stessa fonte derivava la somma pace del  cuore che mantenne imperturbata in tutte le contingenze e le occupazioni  della vita.  

Dal S. Cuore finalmente, dice lo scrittore della vita di Lui, lo Spirito  Santo riempiva l’anima sua di un ardore così vivo e di consolazioni così  soavi, che la sua faccia appariva tutta infuocata, mentre il cuore per, la  straordinaria violenza pareva volesse balzargli fuori dal petto. Qui Egli  s’univa così intimamente a Dio che se per qualche motivo era costretto a distrarsene, sentiva nel cuore quel dolore che si prova quando si sloga un  membro del corpo, come asseriva Egli stesso. 

«Io non so perché, diceva una volta, mi si proibisca di concentrarmi in  Dio per timore che questa applicazione non mi faccia male al capo; eppure  lo sforzo che devo fare per non applicarmi mi nuoce più della stessa  applicazione, perché a questa ci ho fatto l’abitudine, tanto che non è più  per me uno sforzo, ma soavità e quiete. Tuttavia farò di tutto per ubbidire  meglio che posso».  

Ma per avere qualche idea della gloria sublime che gode in cielo, e che  si può dire è il frutto della sua vita interna e dell’amore ardentissimo e  tenerissimo che sempre nutrì verso il cuore adorabile dì Gesù, basta  leggere la testimonianza che ne ha data S. Maria Maddalena dei Pazzi. Ecco  il racconto fattone dall’autore della vita di questa Santa. 

«Nell’anno 1600, ai quattro d’aprile, trovandosi la Santa in uno dei  soliti rapimenti, vide in Paradiso la gloria del B. Luigi Gonzaga d. C. d. G., e  sorpresa da una cosa che le appariva straordinaria, cominciò a parlare con  pause e a intervalli tra una frase e l’altra: 

«Oh che gloria ha Luigi figliuolo d’Ignazio! Non mai l’avrei creduto, se  tu non me l’avessi mostrato, Gesù mio… Mi pare che non abbia da essere  tanta gloria in cielo quanta ne vedo avere Luigi… Io dico che Luigi è un  gran Santo… Noi abbiamo dei Santi in Chiesa (intendeva le sacre reliquie  della Chiesa del monastero) i quali non credo abbiano tanta gloria… Io  vorrei poter andare per tutto il mondo e dire che Luigi figliuolo d’Ignazio è  un gran Santo, e vorrei poterne mostrare ad ognuno la gloria perché Dio  fosse glorificato… Ha tanta gloria perché operò con l’interno… Chi potrebbe  mai narrare il valore e la virtù delle opere interne? Non c’è comparazione  alcuna dall’interno all’esterno… Luigi stando quaggiù in terra tenne la  bocca aperta verso il Verbo (cioè amava le ispirazioni interne che il Verbo  mandava al suo cuore)… Luigi fu martire nascosto, perché chi ama te, mio  Dio, ti conosce tanto grande e infinitamente amabile, che gli è gran  martirio il vedere che non t’ama quanto desidera amarti, e che non sei  amato, dalle creature, anzi offeso… Si fece ancora martire da se stesso…  Oh, quanto amò in terra! E però ora gode in cielo gran pienezza d’amore…  Saettava il cuore del Verbo quando era mortale, ora ch’é in cielo quelle  saette si riposano nel cuor suo; perché quelle comunicazioni che meritava  con gli atti d’amore e d’unione che faceva, i quali erano come saette, ora le  intende e gode». 

Fin qui le parole stesse della Santa. Da questo carattere si conosce  facilmente il giusto ritratto del vero e perfetto devoto del S. Cuore di Gesù,  e, perciò chi desidera davvero di divenirlo, e d’avere amore tenero verso  Gesù, il dono della vita interna e della presenza continua di Dio, deve  essere teneramente devoto di questo gran Santo, che gli farà ben presto  provare i dolci effetti della sua intercessione presso Gesù e Maria, amati da  Lui con tanto ardore e tenerezza, e dai quali fu teneramente amato. 

Per questo le Religiose del convento degli Angeli di Firenze oltre agli  atti devoti giornalieri tributati al gran Santo, celebrano ogni anno nel loro  monastero la sua festa in modo solennissimo per ottenere per sua  intercessione il raccoglimento interno, l’unione continua con Dio, l’amore ardentissimo e tenerissimo di Gesù e la devozione perfetta verso il  S. Cuore8.  

 

§ 7. Il giorno del ritiro mensile 

Il settimo ed ultimo mezzo per acquistare e conservare questo amore  ardente verso G. Cristo è così utile e necessario, da potersi affermare che,  senza di questo, gli altri che abbiamo proposto sono di debole aiuto. Per  quanto sia sincera la volontà di amare ardentemente Gesù, abbiamo  bisogno di tanto in tanto di tornare a riflettere sui motivi che la fanno  nascere, e sembra, difficile trovare altro mezzo migliore per rinfrescare le  riflessioni salutari, e con esse il fervore, che n’è l’effetto ordinario, quanto il  fare un giorno di ritiro ogni mese. 

Non è qui necessario allegare tutti i vantaggi che si ricavano da una  pratica tanto cristiana e atta ad ispirare sempre più orrore al vizio, e a farci  amare sempre più ardentemente Gesù Cristo. In un libro composto  recentemente su questo argomento, si potranno vedere la necessità e i  vantaggi che si ricavano dalla pratica di questa devozione, tanto utile e  facile, che non si può raccomandare abbastanza a ogni sorta di persone,  sia per conservarsi innocenti, quanto per fare nuovi progressi nella virtù9.  Mentre ci si persuade facilmente che Gesù Cristo è infinitamente  amabile, e ci dispiace, ci si vergogna, ci rincresce di non averlo amato,  perché dunque l’amiamo sì poco? Forse perché discordiamo dagli obblighi  infiniti che abbiamo verso di Lui? No davvero, ma è perché ci  dimentichiamo dei suoi benefici. Il tumulto dei mondo, la confusione degli  affari mondani, la dissipazione dell’anima che si diffonde troppo all’esterno,  queste sono le cose che spesso e’impediscono di pensare ai grandi misteri  ispiratori dei buoni sentimenti di gratitudine. Bisognerebbe, a imitazione  del divin Salvatore, che di tanto in tanto ci ritirassimo dal mondo per  qualche ora nella solitudine, onde riaccendere con serie riflessioni l’amore  di Gesù quasi estinto. Questo appunto è lo scopo che ci si propone e il  frutto che di solito si ricava da un tal giorno di ritiro in ciascun Mese. 

Non è necessario che si vada a cercare altrove la solitudine; basta la  propria casa, ché questo ritiro si può fare anche senza interrompere i  propri affari e senza esimersi dai minimi doveri del proprio stato. Basta  sottrarsi per un giorno a qualche divertimento, a qualche visita poco  necessaria, per esaminarsi se ci sia qualche tiepidezza nella pratica della  virtù, se si compiono con esattezza i più piccoli obblighi del proprio stato,  se si nutre verso Gesù più amore e più riconoscenza, se c’è progresso nella  virtù e qual profitto si ricava dall’uso dei Sacramenti. 

Nel libro citato si troverà la maniera di far bene questo ritiro; le  meditazioni sulle verità più importanti della fede, divise per ciascun mese,  vi sono svolte assai diffusamente con le considerazioni da farsi ogni giorno.  Mi pare che non si possa proporre mezzo più efficace per fare sempre più  nuovi progressi nella virtù, non si chiede che un giorno al mese, lasciando  la libertà di scegliersi quello che faccia più comodo. E veramente è segno  che amiamo poco Gesù se ci rifiutiamo di spendere per Lui un giorno solo  ogni mese. 

P. GIOVANNI CROISET S.J. 

Nessun commento:

Posta un commento