LA DIVOZIONE AL S. CUORE DI N. S. GESÙ CRISTO
Siccome la santità e il merito delle nostre azioni dipendono dai motivi e dallo spirito con cui sono fatte, così la pratica della devozione al S. Cuore di Gesù, per quanto santa, sarebbe poco utile, se non fosse animata da questo spirito e da questo motivo che devono costituirne tutto il valore. Il motivo, conte già si è detto, consiste nel riparare con adorazioni e ossequi d’ogni maniera le indegnità e gli oltraggi che Gesù ha ricevuto e riceve ogni giorno nel Santo Sacramento.
Con questa intenzione dunque e con questi sentimenti si devono adempire le pratiche che siamo per proporre.
Però, siccome non sempre possiamo rileggere ciò che si è detto intorno a quest’argomento in più punti di questo libro, né è sempre facile rammentarsi ciò che si è letto, abbiamo creduto opportuno raccogliere qui, al principio della parte terza, le riflessioni principali, capaci d’ispirarci questo spirito e questi sentimenti. Dovremo forse ripetere parecchie cose già dette, ma tali ripetizioni ci son parse necessarie allo scopo di rendere più utile e facile l’uso di questa devozione.
Per entrare dunque, nei sentimenti che si devono avere nella pratica di questa devozione, consideriamo seriamente e attentamente come Gesù Crisi o ci tratti nell’adorabile Eucaristia, e come Egli vi è trattato. Richiamiamo la premura con la quale ci offre questo nutrimento celeste e la nausea con la quale lo riceviamo. Se l’amore di Lui è eccessivo, illimitato, non è anche vero che l’ingratitudine con cui gli uomini ripagano le prove più grandi di questo amore, non potrebbe spingersi più in là? Se ci fosse stato concesso di chiedere a Gesù il contrassegno più splendido dell’amore che ci porta, ci sarebbe mai venuto in mente un prodigio come questo? E se anche ci fosse venuto in mente avremmo mai osato di chiederlo o di sperarlo?
Intanto questo miracolo è avvenuto, e Gesù, per darci una prova dell’eccesso dell’amor suo, non ha scelto altro modo che compiere questo prodigio. Dopo aver fatto tutto, dopo averci dato tutto, per dimostrare fino a che punto ci ami, ci dà il suo stesso Corpo e il suo stesso Sangue; dà tutto se stesso nel SS. Sacramento dell’altare, e se avesse avuto altro di meglio e di più prezioso ce l’avrebbe pure dato. Per Lui non c’è luogo che lo respinga, uomo per quanto miserabile che gli faccia ripugnanza, né tempo che lo costringa a differire.
Eppure una così meravigliosa condiscendenza, un beneficio, un amore così prodigioso, non sono riusciti a difenderlo dall’ingratitudine e dalle offese di questi stessi uomini. La prima di tutte le Comunioni fu disonorata dal più orribile di tutti i sacrilegi, e questo sacrilegio orribile è stato seguito da tutti gli oltraggi e profanazioni che l’Inferno abbia potuto inventare.
Non soltanto, hanno perduto completamente ogni rispetto Gesù Sacramentato, non solo l’hanno trattato da re da burla C’ da divinità ridicola, non solo hanno saccheggiate, distrutte, bruciate le Chiese, dov’Egli aveva voluto abitare continuamente per amore degli uomini, gli altari sui quali s’immola ogni giorno per loro; non solo hanno spezzato, fuso, profanato i vasi sacri che mille volte erano serviti per il tremendo Sacrificio della Messa, ma anche hanno trascinato al suolo, pestato coi piedi il Corpo stesso di Lui nelle Ostie consacrate, e, cosa che dovrebbe far inorridire gli stessi demoni, dei mostri peggiori di questi hanno trafitto con mille colpi quelle Ostie divine! Il Sangue miracoloso che n’è spesso uscito non ha fatto che aumentarne il furore e la ferocia: ora le hanno fatte in pezzi, ora le hanno gettate nel fuoco, ora, quasi che le 1e mani sacrileghe e il loro petto abominevole non fossero stati luoghi abbastanza impuri, le hanno buttale innanzi agli animali più immondi; finalmente se ne sono serviti per usi esecrabili, che tu, Dio mio, hai tollerato, e il cui solo pensiero fa fremere.
Ecco a che l’amore ha esposto Gesù, ecco la gratitudine umana per un prodigio sì grande: l’uomo più vile ed abbietto sarebbe stato trattato con meno disprezzo, il più scellerato avrebbe avuto meno insulti, e chissà quanti avrebbe mosso a compassione, se l’avessero visto maltrattato. Gesù dunque sarà l’unico alle cui offese resteremo insensibili?
Che torto ci ha fatto amandoci con tanto eccesso? Se è un delitto (perdonami, o mio Dio, questa parola!), se è un delitto averci amato troppo, sì, Gesù è colpevole; ma quest’eccesso d’amore deve forse attirargli l’odio di chi non vuol comprendere fino a che punto egli ci ami? E questo deve darci occasione di dimenticarlo, di star senza rispetto alla sua presenza, di provar meno sentimento delle ingiurie che gli si fanno?
È vero che il numero maggiore di questi sacrilegi orribili sono conseguenze della rabbia degli eretici, ma, o Salvatore mio, quanti cattolici non ti trattano diversamente! L’abominazione penetra ancora ogni giorno fino nel luogo santo, e io non saprei dire chi dei due tratti Gesù Cristo con maggior empietà e ingratitudine, se l’eretico che profana le nostre chiese dove non crede che Gesù stia realmente, o il cattolico che, professando la sua fede, sta innanzi a Gesù con sì poco rispetto. Si discorre di notizie e d’affari fin presso gli altari e, dobbiamo confessarlo, mio Dio, a vergogna dei cristiani dei tempi nostri, vi si fanno anche discorsi abominevoli, infami, empi. Si sta meno immodesti alla presenza d’una persona civile, che innanzi a Gesù Cristo, e in chiesa si permette ai figli ciò che non, si permetterebbe loro in casa.
I paramenti destinati al servizio di Gesù Sacramentato sono forse sempre puliti e ricchi come i vestiti di molti fedeli? Basta dare un’occhiata a centinaia di chiese, per vedere quanto la negligenza degli incaricati le renda meno decenti degli appartamenti meno considerabili del più modesto signore.
Si sta alla messa come ad uno spettacolo, seppure alle rappresentazioni profane non ci si stia con più attenzione e meno inquieti che alla celebrazione dei nostri Misteri. Dopo aver piegato un ginocchio, dopo aver fatto quel tanto che basti a dimostrare che non siamo immodesti per inavvertenza o per mancanza di fede, si sta seduti o in piedi e si ciarla.
Ecco gli omaggi, il contraccambio d’amore e la gratitudine che Gesù riceve dalla maggior parte dei cristiani.
I sacerdoti sono elevati dalla loro sublime dignità sopra ali altri uomini; lo stato e la dignità loro li obbligano a trovarsi con più frequenza vicino a Gesù Cristo, da cui sono amati in modo più speciale. Ma si può affermare che tutti i sacerdoti amino veramente Gesù, ed essendo essi innalzati per via del loro carattere al di sopra degli angeli stessi, siano perfettamente riconoscenti? La loro vita corrisponde alla perfezione sublime del loro stato? Gesù Cristo li ha distinti per sua misericordia dagli altri fedeli, ma essi poi si distinguono dal rimanente dei fedeli indolenti, con la loro virtù e soprattutto con la vita di fede?
Ahimè! Osservando alcuni sacerdoti all’Altare si direbbe che il Corpo prezioso di Gesù che trattano con le loro mani sia un vile strumento, di cui si servono per compiere delle fredde cerimonie. E siccome siamo spesso indifferenti verso Gesù Cristo, così ci sembra lungo il tempo che occupiamo in questo Sacramento augusto. Passiamo da una occupazione profana all’altare, e spesso dall’altare ai divertimenti e alle occupazioni profane, come se la Messa fosse un impiego o un ufficio qualunque, che s’impara ad adempierlo alla meglio, quasi senza pensarci e per abitudine a forza di ripeterlo spesso
Nel toccare il Corpo di Gesù Cristo restiamo freddi, appunto come toccando il Messale. Questa negligenza, freddezza e insensibilità dimostrano a sufficienza il poco conto del Corpo adorabile o almeno l’accecamento incomprensibile in cui si vive.
Se dai ministri di Dio passiamo poi a resto dei fedeli è diamo un’occhiata alla massa del mondo cristiano, non abbiamo meno motivo di piangere l’ingratitudine e la comune poca fede. Alcuni certo si comunicano spesso, ma quanto pochi fra questi sono veri servi di Gesù Cristo! A prescindere dal poco frutto che ricavano dalle Comunioni, chiaro segno della cattiva disposizione con la quale si comunicano, come si può pensare senza commozione e indignazione, alla poca devozione con cui ricevono Gesù Cristo? Ai molti disprezzi verso di quelli che non lo amano quasi punto, si aggiungano l’indifferenza e la dimenticanza dell’amabile Salvatore nell’adorábile, Eucaristia di quelli ancora che dicono d’amarlo. Non c’è visita che si faccia con più noia e meno premura di quelle fatte a nostro Signore nell’augusto Sacramento. Se lo Spirito Santo con le sue ispirazioni c’invita a queste visite, subito si trovano cento falsi motivi per esimercene; se il nostro stato ci impone di esentarci meno spesso da una pratica così santa, ecco l’abitudine a farle con meno riverenza: per non dire poi del modo con cui alcuni entrano in chiesa: come se entrassero in una sala, e vanno innanzi al Santissimo come davanti a un’immagine qualunque, con un’aria sì poco modesta, l’atteggiamento irriverente e con gli occhi in giro, da far troppo chiaramente vedere che per la maggior parte di loro la visita al SS. Sacramento non è che pura affettazione. Quel poco rispetto indica che c’è poca fede, e l’uno e l’altra impediscono tutto il frutto.
Ecco, o Signore, come si ripaga il maggiore dei benefici, ecco la nostra riconoscenza! Ripetiamolo ancora: Se Gesù Cristo ci avesse amato di meno, lo tratteremmo con più rispetto. Se almeno in questa condizione avesse conservato quella maestà che lo rende terribile ai demoni stessi, oppure se punisse sul fatto i suoi oltraggiatori, chi non vede che sarebbe più rispettato e anche più temuto? Ma Gesù a ciò non può risolversi: piuttosto si espone alle irriverenze degli empi, anziché allontanare da sé uno solo dei suoi figli col non perdonare niente; preferisce soffrire, per dir così, gli oltraggi di quelli, alla mancanza di fiducia che produrrebbe in questi il terrore ispirato dai castighi. Questo eccesso di bontà che solo dovrebbe conciliargli l’amore e la riverenza di tutti gli uomini è appunto quello che l’espone ogni giorno a nuovi disprezzi, e lo fa sempre meno amare.
Qual cosa ci potrà commuovere se non ci commuove questa? Sentiamo tanta compassione dei cattivi trattamenti fatti a uno sconosciuto, a uno straniero; si sente compassione per uno sciagurato che si vede maltrattato, e saremo insensibili soltanto agli oltraggi fatti a Gesù Cristo, a quel Gesù che nel SS. Sacramento vediamo disprezzato, oltraggiato, maltrattato da tutti, e intanto ce ne stiamo freddi a osservare? Trovatemi un’offesa che non gli sia stata fatta, un’ingiuria che non abbia sofferta, un luogo nel mondo dove sia stato rispettato! E tutto ciò per essersi reso troppo amabile, per averci troppo amato.
È evidente ch’Egli ci ha amato fino all’eccesso, ma quest’eccesso d’amore deve appunto rendere di ghiaccio il cuore di tutti quelli ch’Egli ha amato tanto? E veramente, se ci resta alcun sentimento d’umanità, come possiamo noi riflettere alla condotta di tanti empi, di tanti ingrati, di cui forse noi stessi accresciamo il numero, senza sentirci, stringere il cuore dal dolore nel vedere Gesù a tal punto dimenticato, cosi poco amato, e così indegnamente trattato? È possibile che abbiamo solo dei sentimenti mediocri di gratitudine? E come non tenteremo con tutti i mezzi possibili di riparare, per quanto sta in noi, a tutti quei cattivi trattamenti con profonde adorazioni, col nostro amore e coi nostri ossequi?
Sì, la Chiesa ha istituto a questo scopo una festa fra le più solenni, in cui essa porta in trionfo Gesù Cristo, con molta pompa, a fine di rendergli una riparazione onorevole per le tante offese che gli si fanno nell’adorabile Eucaristia. Ma questa festa non si cambia anch’essa, per l’empietà dei cattivi cristiani, in un’occasione di nuove offese a causa del poco rispetto e delle irriverenze che si commettono durante tutta l’ottava dinanzi al SS. Sacramento? Per questo appunto il nostro amabile Salvatore ha scelto Egli stesso il venerdì dopo l’ottava, come una seconda festa speciale, in cui il suo S. Cuore possa trovare dei veri adoratori nella persona dei suoi perfetti amici. La prima è la festa del suo Corpo prezioso, quest’altra è la festa del suo S. Cuore. Nella prima trionfa l’amore suo verso di noi, nella seconda deve trionfare l’amor nostro verso di Lui. In quella la Chiesa ci fa vedere solennemente fin dove giunge l’amore di Gesù per noi, in questa dobbiamo protestare innanzi al cielo e alla terra quanto sinceramente amiamo Gesù Cristo.
A questo fine è necessario che quelli che sentono della tenerezza verso Gesù celebrino con grande solennità e cura questa seconda festa del S. Cuore, nella quale Egli vuole, per così dire, che si distinguano i suoi amici più cari, che l’amano con generosità, gratitudine e tenerezza maggiore di quelli che lo fanno solo in apparenza e con tanta viltà. Egli vuole dunque che essi, pieni di rincrescimento per tutti i trattamenti cattivi ricevuti nel SS. Sacramento, e mossi da vero, dolore per tante ingratitudini, gli facciano ammenda onorevole, sforzandosi di ripagarne l’amore e di attestargli il proprio con qualche atto di riconoscenza, consacrando quel giorno intero in onore del suo S. Cuore.
Questi devono essere i loro sentimenti in tutte le pratiche di questa devozione, con i quali ci si deve comunicare, far visita al SS. Sacramento, e compiere ogni altra opera buona, se vogliamo ricevere la pienezza di quelle grazie grandi che son premio della pratica di questa grande devozione.
P. GIOVANNI CROISET S.J.
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