Non si può pensare alla perfezione senza l’aiuto che ci può dare il sacramento della Penitenza.
Nelle cadute, negli insuccessi morali e nelle crisi che possono assalirci, la nostra «carne debole» si rivela in modo più evidente (Mc 14, 38). Il pentimento è già un porsi dalla parte di Dio. Riconoscere i nostri sbagli è la prima vittoria, è un ritrovare la verità. Per non ripiegarsi sulla propria miseria, bisogna esporla alla misericordia di Dio. Niente esalta tanto il nostro cuore quanto il saperci sorretti dalla bontà di Dio. Nulla porta più gioia che il conoscere nei nostri confronti la tenerezza di Dio.
Senza lo sguardo di compassione e di perdono che proviene da Dio, questa umanità a volte così debole e cattiva, farebbe paura. Capace di slanci e di ideali sublimi, si ritrova troppo spesso umiliata, affondata nel suo fango, incapace di trovare un motivo valido per affrontare quei combattimenti e quei sacrifici che sono indispensabili per raggiungere le vette. Il cuore dell’uomo fa paura (anche a se stesso) quando non è sorretto dal timore del Signore, quando non è guidato dalla sua parola, educato e innalzato dalla sua misericordia. Il sacramento della Riconciliazione ci inonda della vita nuova che è sgorgata dal sepolcro il mattino di Pasqua. È la festa del Perdono, della serenità ritrovata, dell’amicizia riscoperta. La Grazia che ci viene donata ci fa sentire di casa con Lui, ci ridona la serenità e la fiducia dei figli. Abbiamo sentito più volte persone che si rallegravano per aver ritrovato un amico, per aver concluso felicemente una vertenza, una controversia che poteva “far rompere i ponti...”. Ci sono persone che vengono cercate usando tutti i mezzi della comunicazione sociale, giornali e televisioni, per avere la gioia di ritrovarsi, di godere della familiarità e dell’affetto che le lega fra di loro. Non sarà così, moltiplicato all’indescrivibile, tra noi e Dio? Il Sacramento del Perdono ci fa ritrovare Dio e noi stessi, la speranza in Dio e la fiducia in noi stessi. Tutto questo se non recitiamo commedie, se siamo leali con noi stessi e con Dio. Non si può dare se non quello che abbiamo ricevuto. Se si fa la sublime esperienza del perdono, si sarà capaci di offrire perdono. Non è perché hanno sperimentato questo conforto che i santi hanno cercato di gustare la stessa gioia di Colui che largamente perdona? L’intercessione per i peccatori è diventata per gli amici di Dio una mèta cui non vogliono e non possono più rinunciare. Scrivendo il suo estremo saluto a Don Belliére, ormai alla fine della sua breve esistenza, santa Teresa di Lisieux si esprimeva così: «Le confesso, fratello mio, che noi non intendiamo il cielo nello stesso modo. A lei sembra che, partecipando alla giustizia e alla santità di Dio, non potrò più scusare come sulla terra le sue mancanze. Dimentica dunque che parteciperò anche alla misericordia infinita del Signore? Io credo che i beati hanno una grande compassione delle nostre miserie; si ricordano che, essendo fragili e mortali come noi, hanno commesso le medesime colpe, hanno sostenuto le stesse lotte, e la loro tenerezza fraterna diventa ancora più grande di quella che non fosse sulla terra. Per questo, non cessano di pregare per noi» (Lettere, 235).
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