P E R R I M A N E R E B U O N C A T T O L I C O
O C C O R R E F A R S I P R O T E S T A N T E ?
* Questo testo fu composto nell'ottobre 1964, allorché pochi schemi del Concilio erano stati approvati. Per motivi del tutto estranei al testo stesso, esso non fu pubblicato. Pensiamo che questo grido d'allarme del 1964 resti più che mai attuale. Esso prova che, fin da quel momento, si potevano prevedere le conseguenze dello spirito neomodernista che regnava in Concilio, conseguenze delle quali noi siamo oggi gli spettatori atterriti.
«Guai a me se non predicassi
l'Evangelo!» (1 Cor. 9, 16).
Senza accennare alle vie inattese attraverso le quali i padri del Concilio si sono trovati dinanzi a certi schemi, privi di radici nel magistero della Chiesa, vorremmo, nelle pagine che seguono, far eco a quella parola che gli stessi padri del Concilio non possono avere dimenticato: «Caveamus!»: «Stiamo attenti!». Stiamo attenti a non lasciarci influenzare da uno spirito assolutamente inconciliabile con quello che i pontefici romani e i precedenti concili si sono instancabilmente studiati di diffondere fra i cristiani. Esso non è uno spirito di progresso, è uno spirito di rottura e di suicidio.
Le dichiarazioni di certi padri a questo proposito sono istruttive. Gli uni affermano che tra le dichiarazioni del passato e quelle degli autori di certi schemi non c'è contraddizione, perché le circostanze sono mutate. Ciò che il magistero della Chiesa affermava cento anni fa valeva per quei tempi e non per oggi.
Altri trovano rifugio nel mistero della Chiesa. Altri ancora pensano che un concilio abbia lo scopo di modificare la dottrina dei concili precedenti. Per altri, infine, un concilio è superiore al magistero ordinario, non deve tenerne conto e basta a se stesso.
Si ascolti, d'altronde, la voce della stampa liberale, la quale afferma che finalmente la Chiesa si è decisa ad ammettere l'evoluzione del dogma. È possibile discernere il motivo, almeno apparente, che ha consentito a tali tesi rivoluzionarie di attestarsi ufficialmente al timone del Concilio? Crediamo di poter dire che ciò è avvenuto sotto l'egida di un ecumenismo il quale, presentandosi a tutta prima come cattolico, è divenuto, nel corso stesso delle sessioni, un ecumenismo razionalista.
Tale spirito di ecumenismo non cattolico è stato l'ariete di cui mani misteriose si sono servite per tentar di smantellare e pervertire la dottrina insegnata nella Chiesa dai tempi evangelici sino ai nostri giorni, dottrina per la quale il sangue di tanti martiri fu versato e scorre ancor oggi. Per quanto ciò possa apparire inconcepibile, pure è avvenuto realmente: si parlerà sempre ormai, nella storia della Chiesa, di quelle tesi contrarie alla dottrina della Chiesa stessa, che, sotto colore di ecumenismo, furono presentate ai padri conciliari del Vaticano II. Così, su punti di dottrina specificamente cattolica, ci si è sforzati di comporre schemi che attenuano o addirittura vanificano ciò che può spiacere agli ortodossi e soprattutto ai protestanti. Tratteremo alcuni esempi delle nuove tesi proposte. Ci sembra inutile sviluppare le tesi cattoliche tradizionali su tali punti. È dottrina conosciuta da tutti, insegnata nei nostri catechismi; essa nutre la nostra liturgia, è stata oggetto degli insegnamenti più fermi e più luminosi dei Papi da un secolo a questa parte.9 Esprimere il dolore che i padri fermamente attaccati alla continuità della dottrina provarono nell'ascoltare l'esposizione delle nuove tesi fatte dai relatori ufficiali delle commissioni, è cosa impossibile. Noi pensavamo alle voci dei Papi i cui corpi sono custoditi nel luogo stesso ove ci trovavamo. Pensavamo all'immane scandalo che sarebbe stato consumato poco dopo grazie al modo con il quale la stampa avrebbe fatto eco a quelle dichiarazioni.
IL PRIMATO DI PIETRO
Cominciamo con il primato di Pietro, che si vuole svuotare per mezzo di una collegialità mal definita e mal compresa, una collegialità che si risolve in una sfida al semplice buonsenso. Sarebbe stato invece così bello e proficuo illustrare il compito del vescovo nella Chiesa, anzitutto nei confronti del suo gregge particolare e sotto la vigilanza di Pietro; poi, partendo da quel gregge verso il quale il vescovo ha doveri di giustizia, mostrare come egli abbia doveri di carità verso la Chiesa universale: prima verso le Chiese che gli sono vicine, poi verso le Chiese delle missioni, infine verso la Chiesa intera, ma in dipendenza immediata da Pietro che, lui solo, ha doveri di giustizia nei confronti di tutte le Chiese e di tutta la Chiesa.
Ma si giudichi la tesi nuova, che contiene due affermazioni: 1) tutto, assolutamente tutto il potere sulla Chiesa è dato al solo Pietro; 2) tutto quello stesso potere è dato anche collettivamente a Pietro e agli Apostoli. Se veramente tutto è dato al solo Pietro, ciò che gli altri possono avere insieme con lui possono averlo unicamente per mezzo di lui. Se i vescovi uniti a Pietro partecipano al governo universale - partecipazione che Pietro non può togliere loro o che aggiunge sia pur poco al potere che il solo Pietro possiede -, Pietro non ha più, lui solo, il potere. Non mi si parli di mistero! La contraddizione è flagrante. In tal caso Pietro non ha più se non la maggior parte del potere, affermazione condannata dal Concilio Vaticano I: «Chi afferma che il Pontefice romano possiede soltanto le potiores partes, ma non la pienezza intera del potere supremo, sia scomunicato». Dopo Pietro, si attacca la Curia, che viene considerata come il segretariato del Papa, mentre è la parte più nobile della Chiesa particolare di Roma, Chiesa la cui fede è indefettibile e che è madre e maestra di tutte le Chiese. Verso di essa debbono volgersi gli sguardi dei padri, poiché in essa saranno certi di trovare la verità. Ahimè, perché deve tacere, o poco meno, quella Chiesa che è maestra di verità? Da dove ci verrà la luce, se i padri conciliari della Chiesa di Roma restano muti? D'altronde, interporre istituzionalmente tra il Vescovo di Roma e la sua Chiesa il corpo episcopale della Chiesa universale, equivarrebbe a togliere alla Chiesa di Roma il suo titolo di Madre e Maestra di tutte le Chiese. Questo non significa per nulla negare che il Sommo Pontefice possa consultare più spesso i vescovi e modificare, se lo ritenga opportuno, talune forme o strutture della Curia. Ma coloro che vogliono creare una istituzione giuridica nuova, conformemente a una collegialità costantemente in esercizio, mirano probabilmente a trasformare questa nuova istituzione nel corpo elettorale del Sommo Pontefice. Ora, è inconcepibile che il papa non sia eletto dal suo clero, dato che egli dev'essere anzitutto vescovo di Roma per divenire il successore di Pietro.
Marcel Lefebver
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