Testimonianze
… Trascorsi quelle due settimane in totale
stato di shock. Alternavo momenti di rancore
spietato nei confronti di Marco e delle sue ultime
parole, ad altri di dolore profondo. Provavo
disprezzo e pena per me stessa, dispiacere e
cordoglio immenso per quel piccolo essere
innocente. Avevo stabilito che doveva tornare
indietro lì, da dove era venuto, perché senz’altro lì
sarebbe stato più felice che con me, visto l’inferno
in cui stavo vivendo, e da cui credevo non sarei
mai più uscita.
Spesso gli parlavo, di notte, piangendo. Gli
dicevo, avendo una nitida sensazione che fosse un
maschietto: “Amore mio, perdonami, so che puoi
comprendere le ragioni del mio gesto, perché tu
sei ancora in cielo, e lì resterai per sempre. Da lì
potrai vedere e capire molte più cose di quanto
non potresti mai fare qui, tra noi poveri esseri
umani, infimi e disperati. Non pensare mai che io
non ti ami, perché io ti adoro e ti porterò sempre
nel mio cuore. Se faccio questo è solo per
proteggerti, per evitarti mille sofferenze atroci,
quelle sensazioni di rifiuto che proveresti se
venissi al mondo in una situazione disastrosa
come questa… Sono certa che proveresti un
enorme senso di colpa, che ti sentiresti
responsabile della mia infelicità. Forse mi
odieresti profondamente, e ti chiederesti ogni
giorno perché la tua mamma ti ha fatto nascere…
Per farti stare male? Per umiliarti? Per
colpevolizzarti dei suoi fallimenti? Perdonami, ti
prego, e cerca di capirmi, se puoi, amore mio…”.
Andavo avanti così tutta la notte, ogni notte per
quelle due atroci, incancellabili settimane.
Di giorno non parlavo con mia madre. Ero troppo
amareggiata e disincantata, e poi mi vergognavo
di ciò che stavo per fare, malgrado non fossi del
tutto cosciente della gravità della mia decisione.
Se uscivo per fare delle commissioni o per andare
al lavoro, indossavo una maschera, un sorriso
disperato che tentava di nascondere la tragedia che
stavo vivendo, ma non riuscivo mai a smettere di
pensarci…
In quei giorni Marco mi cercò spesso, mi
telefonava ogni giorno, ma io non gli risposi più,
neppure una volta. Oramai avevo deciso. Ci avevo
riflettuto abbastanza, ed ero così arrabbiata,
lacerata dal dolore, mi sentivo talmente umiliata
che qualunque cosa mi avesse detto, io non avrei
mai cambiato idea.
Perlomeno era ciò che pensavo in quei momenti,
quando leggevo il suo nome che appariva
intermittente sul display del mio cellulare…
La sensazione più atroce che mi è rimasta dentro è
l’incertezza sui macabri pensieri di quei giorni: è
il dubbio su come le cose sarebbero potute andare,
se solo avessi calpestato per un attimo il mio
orgoglio, la mia dignità, e lo avessi ascoltato…
perdonato.
Ora ammetto che mi sarebbe di grande aiuto poter
scaricare ogni mio senso di colpa su di lui, su mia
madre, sul “destino”… ma non posso sfuggire alle
mie schiaccianti responsabilità in tutta la vicenda.
Avrei dovuto ascoltare Marco, rispondere alle sue
innumerevoli chiamate, magari sentirmi
ulteriormente umiliata dalle sue cattiverie, e avrei
dovuto scegliere di sacrificare la MIA vita, e non
quella del mio angelo.
Non è giusto neppure dar la colpa al destino…
cos’è? Chi è il destino? In fondo credo che l’unico
essere che potrebbe dipingere l’essenza del
destino sia Dio, e certamente non è stato Lui a
spingermi a compiere un gesto così atroce…
La verità è che la colpa è solo mia.
Arrivò purtroppo il giorno in cui la mia decisione
doveva concretizzarsi.
Quelle due settimane erano volate via, e io non
potevo più rimandare.
Avevo deciso.
Ed ero anche convinta che avrei dovuto farlo il
prima possibile, perché così anche il mio piccolo
avrebbe sofferto di meno. Era un feto di otto
settimane, non potevo attendere che crescesse
ancora. Dovevo trovarmi in clinica di buon’ora,
per fare gli ultimi esami, e per aspettare il mio
turno. Purtroppo non ero l’unica ragazza che
aveva deciso di interrompere la propria
gravidanza.
Ci andai con mia madre, mio padre non venne mai
a conoscenza di nulla (almeno questo mi consola:
non avergli dato questo dolore). Avevo un
incredibile vuoto nella mente. Rifiutavo di
pensare, di capire, di credere che quello che stavo
per fare era un gigantesco errore, un peccato
imperdonabile.
Non ero lucida, non ero io. Desideravo solo che
tutto avvenisse in fretta, perché prima sarebbe
finita e prima avrei potuto cercare di dimenticare.
Pensare questo fu un altro madornale errore:
finché avrò vita non dimenticherò.
Non ricordo bene la successione cronologica degli
eventi, i miei ricordi sono confusi, oscurati dal
dolore, e indicibilmente strazianti.
Dovevo trovarmi in clinica alle sette del mattino,
per fare alcuni accertamenti, un’ecografia veloce,
e firmare una sorta di liberatoria per svincolare la
struttura da ogni responsabilità. Nessuno mi chiese
perché avessi preso tale orribile decisione.
Nessuno se ne dispiacque. Erano maledettamente
abituati a quella ignobile routine…
Durante l'ecografia non riuscii a dire neppure una
parola, tanto meno a chiedere spiegazioni
sull’immagine che stavo vedendo. Istintivamente
avrei voluto informarmi sullo stato di salute di
quella creatura innocente, ma non lo feci poiché
mi sembrava profondamente cinico da parte mia.
Dopo questo esame fui accompagnata in una
stanza, nella quale trovai anche un’altra ragazza,
che aveva un paio d’anni più di me, e con cui
iniziai a parlare, per cercare di non pensare al
momento che stavo vivendo.
Ci confidammo un po’ sulle ragioni che ci
avevano spinto ad arrivare in quella camera. Lei
mi disse che era venuta insieme al suo ragazzo,
perché avevano deciso, di comune accordo, che
era troppo presto per avere un bambino, e che non
avrebbero potuto trascorrere molto tempo con lui,
perché troppo impegnati nel lavoro. Disse che le
dispiaceva che quel bambino crescesse con i
nonni, e che quindi preferiva “non tenerlo” e
rimandare la sua maternità…
Era amareggiata, ma paradossalmente serena che
anche il suo fidanzato fosse d’accordo con lei. Si
vantava addirittura del fatto che lui le fosse vicino
in quel momento, non si aspettava tanto calore da
parte sua.
Io ero stravolta, non parlavo più. Provavo
vergogna per il fatto di essere lì da sola, con mia
madre in sala d’attesa, e il padre del mio bambino
chissà dove.
Allo stesso tempo, pur non essendo affatto nelle
condizioni di criticare quella ragazza, trovavo
profondamente ingiusto e immotivato il suo gesto.
Pensavo che se fossi stata io al suo posto, se avessi
avuto ancora accanto il mio ragazzo, non avrei
certo deciso di interrompere la gravidanza per
delle banalissime, insignificanti questioni
“pratiche”. Sono certa che anche lei si sia pentita
amaramente della sua decisione, forse anche più di
me…
Un’infermiera ci fece spogliare ed indossare un
camice verde, ci disse di togliere gli ori e di
attendere.
Dopo circa un quarto d’ora ci portarono, una alla
volta, in sala pre-operatoria, dove io scoppiai in
lacrime, finché arrivò l’altra ragazza, e mi chiese,
con una voce triste, se mi stessi pentendo di quella
decisione. Non riesco a pensare a quel momento
senza ricominciare a piangere…
Non le risposi in quel momento, non riuscivo a
parlare, ma sentivo che non potevo tornare
indietro.
E’ questo il momento in cui i ricordi mi portano
ad odiare mia madre. Era l’unica persona che
sapeva, l’unica che avrebbe potuto fermarmi,
l’unica che aveva acconsentito ad accompagnarmi
in quell’inferno, e ad aspettarmi quasi con
disinvoltura, come se stessi facendo un banale
esame del sangue. Mia madre è stata un mostro, e
non lo ha mai capito.
Quando fu il mio turno mi trasportarono con una
barella in sala operatoria.
Ricordo le facce sorridenti, persino dolci,
benevole, di quei mostri dei medici, che mi
spiegarono quale posizione avrei dovuto assumere
e poi, avvicinandomi una maschera con dentro
dell’anestetico, mi chiesero di inspirare e contare
fino a dieci.
Mi addormentai all’istante, in quell’istante in cui
avrei dovuto fermare tutto, scendere da quel
lettino maledetto, e scappare via. Avrei dovuto …
ma non lo feci. In quel momento stavo
distruggendo due vite, senza riuscire a rendermene
conto.
Quando mi svegliai provai un forte dolore al
ventre, non riuscivo quasi a muovermi, e perdevo
sangue.
Nel mio cuore ero infinitamente triste, disperata,
azzittita dal dolore fisico e morale che stavo
provando, mentre il mondo lì fuori non si
accorgeva di nulla. Mi riportarono nella camera in
cui avevo atteso il mio turno. Lì trovai l’altra
ragazza al telefono con il fidanzato che l’aspettava
al piano di sotto. Gli spiegava che stava bene, che
era tutto a posto, che era andato tutto bene, che
aveva un po’ di dolore, niente di grave, e che poco
dopo sarebbe scesa.
Io non parlavo con nessuno, non avevo nessuno a
cui poter dire come mi sentivo, anche perché ero
così sconvolta che non sarei riuscita a parlare in
ogni caso, tanto era grande il mio dolore, e il mio
senso di colpa.
Stavo zitta, e cercavo di non pensare a quello che
era accaduto. Provai a non pensare a niente e a
nessuno. Tentavo di dimenticare quella sensazione
orrenda, quel vuoto incolmabile che provavo
dentro, e che in realtà non mi hai MAI
abbandonato. Mi accompagna tuttora.
Quando ripresi un po’ di energie, l’infermiera mi
accompagnò giù, dove c’era mia madre, che si
preoccupava solo del mio stato fisico.
Mi chiese se avessi la forza di camminare o meno,
se riuscivo ad arrivare alla macchina, e nient’altro.
Il ritorno a casa fu di un silenzio assordante, che
mi scoppia tuttora nelle orecchie, silenzio in cui
cercavo di sfuggire al ricordo, così terribilmente
vicino di quell’esperienza, misto al torpore
dell’anestetico.
Arrivammo a casa. Mi misi a letto perché non
avevo la forza di restare in piedi.
Era ora di pranzo, mio padre arrivò dal lavoro,
chiese di me, e mia madre disse che avevo rimesso
e non mi sentivo bene, per cui stavo cercando di
riposare un po’.
Quando arrivi a prendere una decisione
così dolorosa, così tragica, così crudele, non c’è
nessuna giustificazione, nessuna spiegazione.
Non sai quello che stai facendo.
Non capisci l’importanza vitale che ha quel gesto
così brutale e impulsivo. Non ti rendi conto del
dolore immenso che andrà ad insediarsi, in
maniera indelebile, nel tuo cuore. Né capisci
quanto questa scelta, presa in pochi giorni,
sconvolgerà tutto il corso della tua vita, intorno a
te, e soprattutto dentro di te.
La disgrazia più grande che ti può capitare, in una
situazione di per sé già tanto delicata, è non avere
accanto la persona giusta, alla quale basterebbe
semplicemente spendere due parole, dettate dal
cuore, per salvarti per sempre dall’inferno… per
rendere la tua vita felice, senza rimpianti, senza
rimorsi indicibili, che ti ruberanno il sonno per
sempre e distruggeranno tutti i tuoi sogni.
Quelle parole potrebbero avere il potere supremo
di proteggerti dalla tua follia, dalla tua
incoscienza, da quel mostro che si nasconde in
ognuno di noi (anche se a volte non ne abbiamo la
consapevolezza).
Quella persona, in quel momento, avrebbe la
facoltà di trasformare ogni tua lacrima in un
sorriso. Potrebbe farti percepire la grandezza di un
gesto d’amore, di un crudele atto di egoismo che
muta in dedizione. Potrebbe trasformarlo in
splendente generosità, in calore umano, in amore
grande e profondo, permettendo che una
situazione apparentemente insostenibile, come per
incanto, diventi un sogno: quel sogno che facevi
da bambina, giocando con le bambole…
Allo stesso modo però, le sue parole potrebbero
essere così fatalmente crudeli, così indifferenti al
tuo dolore, all'atrocità del gesto che stai per
compiere (ma di cui purtroppo non sei
consapevole), da dilaniarti l’anima per sempre…
Da lacerarti il cuore con una ferita così profonda
che il tempo non riuscirà in alcun modo a
cancellare. Anzi, ogni giorno che verrà, sarà per te
motivo di angoscia, di afflizione, di sofferenza, di
rimorso… E sarà ogni giorno più difficile
continuare la tua vita, nel cercare di convincerti di
poter vivere anche tu come gli altri, e che a poco a
poco resterà solo un triste, lontano ricordo di ciò
che è successo.
Quale errore imperdonabile non sai di commettere
formulando questi pensieri “fatalistici”, distaccati
persino, come non appartenessero a te. Come se
quello non fosse tuo figlio, non fosse una parte di
te, come se non stessi negando l'esistenza ad un
essere umano, ma semplicemente facendo una
scelta difficile di vita… Quella non è una scelta di
vita ma, se mai, una scelta di morte!
Quelle riflessioni misere, circoscritte allo stato
d’animo di quei giorni, così insignificanti rispetto
a tutti gli anni che verranno, ti indurranno a vivere
senza entusiasmo, senza alcuna gioia, con la
voglia di piangere sempre, di morire una volta per
tutte, finalmente…
Ogni mattina, al tuo risveglio, desidererai con tutta
te stessa che arrivi presto sera, così che tu possa
infilarti nel letto per chiudere gli occhi e cercare di
dormire il più a lungo possibile, per non pensare,
per scacciare i pensieri tristi, i ricordi e il
rimpianto per la scelta che hai fatto, e di cui ti
pentirai per sempre.
Ma non servirà a nulla neanche questo. Restare
sola con te stessa ti farà ancora più male. Crederai
di poterti sentire più libera, lontana da sguardi
curiosi e indiscreti incrociati durante il giorno. Ma
non sarà così.
La solitudine e il vuoto in quei momenti terribili ti
assalgono, i pensieri malinconici si
ingigantiscono. Il dolore diventa disperazione, non
riesci a dormire, perché la colpa è solo tua.
Vorresti gridare, ma non puoi farlo perché non
puoi farti sentire, non avresti il coraggio di
spiegarne la ragione… Vorresti che le tue lacrime
ti riportassero indietro nel tempo, che il
pentimento sincero abbia il potere di darti una
seconda possibilità… Ma sai che non è così.
L’esperienza dell’aborto è un incubo
agghiacciante, che spero tanto possa non ripetersi
mai, possa non essere mai più vissuto da
nessun’altra donna sulla faccia della terra.
Purtroppo però, mi sento impotente al pensiero di
non poter fare altro che scrivere, scrivere parole su
parole, per cercare di far comprendere la
disperazione più profonda attraverso la
descrizione della mia dolorosissima esperienza,
ma chissà se serviranno mai a qualcuno… a
proteggerlo da una tragedia così grande, a salvare
non una, ma due vite… Almeno questo spero: che
questo mio infernale tormento possa aiutare
qualcun altro a non provarlo mai. Mai.
Perché da quel giorno in poi, vivere sarà la tua
pena più grande, ma in quel momento non potrai
capirlo.
Quando non riesci ad avere uno sguardo ampio
sulla tua vita, non riesci ad uscire fuori da te
stessa, dal tuo infimo egoismo. Non riesci a
vedere quanto sia ingiusto, sbagliato, riprovevole
e indegno il tuo gesto. Tutto diventa “normale”,
viene banalizzato dal contesto, come fosse una
scelta pari a qualunque altra…
In realtà è la scelta più importante della tua vita.
Non potrai dimenticare mai.
Ad essere onesta non percepii fino in
fondo la reale, atroce gravità del mio gesto finché
non passò qualche mese, durante il quale ero
persino convinta di aver fatto la scelta giusta per
me, per il piccolo e per il mio ex-ragazzo, che
speravo di non rivedere mai più.
Decisi di voltare pagina, cercai di farmi dei nuovi
amici e mi iscrissi all’Università, con l’intenzione
di prendere una seconda laurea: qualunque cosa
pur di non fermarmi a riflettere…
Fu tutto inutile, e patetico.
Durante le lezioni, a contatto con i miei nuovi
compagni, diciottenni, mi sentivo estremamente
sola, e diversa... Loro avevano una freschezza e
una sfrontatezza tipiche della loro età e della loro
condizione di studenti alla prese con i primi studi
veramente impegnativi e piacevolmente
stimolanti.
Nei loro occhi si leggeva chiaramente il senso di
onnipotenza che erano convinti di possedere.
Credevano di aver capito tutto, ormai, della vita,
che niente e nessuno avrebbe potuto ridestarli dal
sogno che stavano vivendo, che quegli anni
meravigliosi non avrebbero mai avuto fine.
Ed io, seduta insieme a loro, intenta a nascondere
il senso di spaesamento che mi assaliva ogni volta
che prendevo posto in aula, li osservavo con
un’infinita tristezza. Pensavo a quanto fossero (in
realtà) ancora ingenui, talmente immaturi da non
riuscire a vedere, a capire quanto la vita possa
essere ostile, crudele, e ti si possa rivoltare contro
in un istante, distruggendo ogni tuo più piccolo
entusiasmo di essere al mondo.
Dopo qualche tempo, i miei pensieri divennero
altri, poiché i rimorsi di coscienza cominciavano a
profilarsi nella mia mente, piano piano, giorno per
giorno, diventando sempre più dolorosi. Fino a
che non fu tutto improvvisamente chiaro e
devastante. Fino a che non mi resi conto, fino in
fondo, di ciò che ero stata capace di fare.
Allora non ci fu più spazio per alcuna riflessione
lucida. Piangevo, piangevo e deliravo, soprattutto
di notte, quando nessuno poteva sentirmi, quando
nessuno poteva intuire il mio dolore, il motivo
delle mie lacrime, della vergogna e dei rimorsi che
mi consumavano senza pietà.
Mi tiravo i capelli, e mi davo dei pugni violenti
sulla fronte, guardandomi allo specchio per capire
che razza di persona riflettesse, per capire chi io
fossi veramente. Il mio intento era di riuscire a
piangere più forte, di fare uscire fuori tutta la mia
disperazione, della quale mi sentivo incapace di
disfarmi.
Cercavo un pretesto, una ragione per patire,
perché in fondo desideravo solo espiare la mia
colpa, pagare, soffrire fino al giorno della mia
morte, che speravo imminente. Ma ogni giorno,
puntualmente, dovevo svegliarmi la mattina,
dovevo aprire gli occhi e cercare di far finta di
nulla.
Desideravo solo restare a letto, ed era un sacrificio
enorme uscire di casa e tentare di condurre una
vita normale. Io non ero normale. Mi ero
macchiata di una colpa che mi strappava ogni
diritto di considerarmi una persona “normale”; mi
sentivo un mostro.
E’ passato un anno e mezzo da quel
maledettissimo giorno, ma non è cambiato niente.
Non ho più sentito Marco, qualche volta mi è
capitato di incontrarlo per caso… ma ormai era
divenuto un estraneo. Sono rimasta sola.
Ho tanti amici, ma mi sento ugualmente sola…
Il dolore è sempre lì, a volte sembra assopirsi, per
qualche istante, ma poi ritorna, sempre più
lacerante. Non mi dà tregua, mi perseguita. Il
senso di colpa, misto alla pena che provo per
quell’Angelo cui ho negato TUTTO, è una
sensazione terribile, che spero non provi mai
nessuno nella propria vita.
Il tempo non è in grado di cancellare quella
sensazione d'impotenza, di crudeltà,
d’indescrivibile rimpianto che ti attanaglia ogni
giorno; al contrario, ti tiene lucida per ricordarti
costantemente il tuo imperdonabile errore.
Quando vivi un’esperienza dolorosa come la mia,
andando avanti nel percorso della vita, quella
tristissima scelta ti apparirà sempre più nitida, in
tutta la sua disumana essenza.
Avrai tanto, troppo tempo per riflettere e per
capire fino in fondo l’entità del disastro cui hai
dato luogo. Capirai solo allora che valeva la pena
di aspettare ancora un giorno, di confidare il tuo
stato d’animo ad una persona in grado di aiutarti,
magari ad un sacerdote, se pur con un po’ di
vergogna; di non agire d'impulso, in un momento
di rabbia, ma di sforzarti ad andare oltre quegli
attimi di smarrimento. Perché c’è sempre un
motivo per salvare un bambino dalla morte.
Perché non spetta a te decidere quale debba essere
il suo destino.
Perché tu sei qui, lui non c’è e non ci sarà mai, e la
colpa è solo tua. E’ un fardello troppo pesante da
sopportare per la tua coscienza.
Poter guardare i suoi occhietti resterà il tuo sogno
più grande, disperatamente cercherai un volto da
dare a tuo figlio, un profilo, un sorriso…
Ma resteranno tutte malinconiche illusioni bagnate
da lacrime amare.
Quel bimbo che hai rifiutato non potrà tornare più.
Mai più.
Conclusione
Rivolgo a te queste parole, come tutto il
senso di queste dolorose pagine raccontate con le
lacrime agli occhi. A te, piccola donna, che forse
in questo momento ti trovi nella mia stessa
condizione di allora, a te che forse sei ancora in
tempo… Me lo auguro tanto, con tutto il cuore, e
mi auguro che il sacrificio enorme che ho fatto per
raccontarti la mia storia, possa servirti a capire
quanto sia ingiusto negare una vita, quanto dolore
possa portare con sé una scelta così drastica, e che
senso di morte conserverà il tuo cuore dopo tale
esperienza.
Non farlo, non farlo mai, in nessun caso.
Pensa sempre alla tua creatura come ad un
miracolo, in qualunque modo sia giunta fino a te.
Anche se tutto il resto fosse buio e triste, lui sarà
la tua stella, lui ti salverà da te stessa.
Ama immensamente il tuo Angelo, sacrifica tutto
per lui o per lei. Non te ne pentirai neppure per un
istante.
E soprattutto, non credere a coloro che ti diranno
che quello non è ancora un bambino, che si tratta
semplicemente di “cellule” in trasformazione…
Ognuno di noi è stato questo a suo tempo, ma ad
ognuno di noi è stata data l’opportunità di
crescere, lentamente, fino a diventare adulto… E
anche noi siamo stati bambini, dei bambini
stupendi che, come dei piccoli angeli, hanno
portato tanta gioia intorno a loro.
Pensa a questo, a quanto amore potrà darti tuo
figlio, pensa che la sua vita dipende
esclusivamente da te, che lui sta vivendo solo
grazie a te, e che di questo ti sarà grato per
sempre.
Il suo destino è nelle tue mani, non negarglielo …
almeno tu.