martedì 3 dicembre 2019

“Il sacerdote non si appartiene”



[…] Le lacrime di rimorso, anziché di contrizione, sono inutili come lo furono quelle versate da Saul sulla perdita della regalità, da Giuda sulla perdita dell’apostolato, da Esaù sulla perdita del diritto di primogenitura. 

[…] Sia Pietro che Giuda misero in atto il tradimento che Cristo aveva predetto. Pietro, davanti alle parole di una serva nella notte del processo; Giuda con la sua azione nefanda nell’Orto, quando consegnò il Signore ai soldati. Nostro Signore si adoperò per salvarli ambedue dalla loro stessa debolezza. Con Pietro si trattò di uno sguardo: Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro… (Lc 22, 61). 
A Giuda si rivolse come «amico» e accettò il suo bacio. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?» (Lc 22,48). Con Pietro si limitò a uno sguardo, ma a Giuda parlò. Gli occhi per Pietro, le labbra per Giuda. Non vi è nulla che il Signore non faccia per salvare i suoi Sacerdoti. Sia Pietro che Giuda si pentirono, sebbene in maniera del tutto diversa. E, uscito, pianse amaramente (Lc 22, 62). Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente» (Mt 27, 3-4). Per quale ragione uno è in testa e l’altro in coda alla lista? Perché Pietro si pentì nel Signore, mentre Giuda si pentì in se stesso. La differenza era enorme, come quella che vi può essere tra il deferire una causa all’autorità divina e il deferirla a se stessi; tra la Croce e il lettino dello psicanalista. Giuda riconobbe di avere tradito il «sangue innocente» ma non volle mai esserne lavato. Pietro sapeva di aver peccato e cercò la Redenzione. Giuda sapeva di aver commesso un errore e cercò l’evasione, diventando il capolista di una lunga serie di fuggitivi che voltano le spalle alla Croce. Il perdono divino ha in sé il presupposto della libertà umana, mai quello della sua distruzione. Chissà se Giuda, fermo sotto l’albero dal quale gli sarebbe venuta la morte, abbia guardato, attraverso la vallata, l’albero dal quale gli sarebbe potuta venire la vita. La differenza tra il pentirsi nel Signore e il pentirsi in se stessi, come fecero rispettivamente Pietro e Giuda, fu più tardi commentata da Paolo con queste parole: perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte (2Cor 7, 10). Ambedue vivevano nello stesso ambiente religioso, udivano dal Verbo le stesse parole, erano investiti dallo stesso vento della grazia. Eppure, la loro reazione interiore li fece tanto diversi: Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata (Mt 24, 40-41). Giuda era il tipo che dice: «Sono un cretino!»; Pietro quello che dice: «Sono un peccatore!». È paradossale, ma noi cominciamo a essere buoni soltanto quando ci accorgiamo di essere cattivi. Giuda sentì il disgusto di sé, che è una specie d’orgoglio. Pietro non aveva avuto esperienze deplorevoli e la sua fu metànoia, un mutamento del cuore. La conversione della mente non è necessariamente la conversione della volontà. Giuda andò al confessionale del padrone che l’aveva pagato; Pietro a quello di Dio. Giuda si addolorò per le conseguenze del suo peccato come una donna nubile si addolora per la sua gravidanza. Pietro soffriva per il peccato in sé, perché aveva ferito l’Amore. La colpa non accompagnata dalla speranza in Cristo è disperazione e suicidio. La colpa accompagnata dalla speranza in Cristo è misericordia e gioia. Giuda riportò il denaro ai sacerdoti del tempio. È sempre così, quando disertiamo il Signore per cose terrene, prima o poi ci prende il disgusto: quelle cose non le vogliamo più. Avendo amato quanto vi è di meglio, nient’altro ci può appagare. Il tradimento ai danni della divinità, anche se minimo, è sempre eccessivo nei confronti del valore di ciò che è divino. Il tragico è che quell’uomo avrebbe potuto essere san Giuda. Pietro e Giuda illustrano il modo in cui due uomini chiamati al sacerdozio, attraverso la stessa esperienza spirituale di defezione e avendo quindi entrambi la coda di paglia, possano finire in maniera totalmente diversa a seconda della risposta che danno alla grazia. Talvolta, la riconciliazione è più dolce dell’amicizia ininterrotta. Pietro fu sempre grato di avere avuto la Grazia. La si vede sfavillare nelle sue Epistole. Ogni lettera rispecchia il carattere di chi la scrive. Le Epistole di Paolo a Timoteo sono esortazioni alla santità nel sacerdozio. Le Epistole di Giovanni sono un appello alla fratellanza. Quella di Giacomo prende le difese di una religione eminentemente pratica. Quale è la nota dominante delle Epistole di Pietro? È il valore del perdono che aveva ricevuto e tutte stanno a ricordarci che fummo riscattati «… non a prezzo di beni corruttibili, con oro e argento… ma a prezzo del Sangue prezioso dell’Agnello illibato e immacolato, Cristo» (1Pt 1, 18-19). 

Pietro traboccava di pentimento, come Giuda, poche ore dopo, avrebbe traboccato di rimorso. Il dolore di Pietro era causato dal pensiero del peccato in sé, o della ferita inferta alla Persona di Dio. Il pentimento non s’interessa delle conseguenze. È questo che lo distingue dal rimorso, che è essenzialmente ispirato dalla paura di conseguenze spiacevoli. La stessa misericordia accordata da Gesù Cristo a colui che lo aveva rinnegato si sarebbe poi estesa a quelli che lo avrebbero inchiodato sulla Croce e al ladrone pentito che avrebbe chiesto perdono. In realtà, Pietro non negò che Cristo fosse il Figlio di Dio. Negò di conoscere «l’uomo», lui che era uno dei suoi discepoli. Non abiurò la sua fede, ma peccò. Tradì il Maestro. Ciò malgrado, come roccia sulla quale costruire la sua Chiesa, Egli non scelse Giovanni, che era il suo prediletto, ma scelse Pietro che conosceva il peccato, affinché i deboli e i peccatori non avessero mai la scusa per disperare. 

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Tratto da “Il sacerdote non si appartiene” del Venerabile Fulton J. Sheen

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