sabato 7 dicembre 2019

La vocazione di Geremia



Il Vangelo non è solo questione di belle attività, di grandi manifestazioni … cose tutte necessarie perché abbiamo anche bisogno di stimoli che ci prendono, che ci entusiasmano, ci accendono il desiderio di condividere con altri il cammino di discepoli di Cristo; ma il Vangelo ha il suo “zoccolo duro” (A.Manenti), cioè porta con sé valori che non cadono direttamente sotto il nostro naso, che non sono subito comprensibili perché non rispondono alle nostre inclinazioni naturali (perdonare, perdere per acquistare …). Alcune cose del Vangelo non si capiscono perché ci ragiono, ma perché mi lascio amare, mi apro alla meraviglia, allo stupore di un Dio che sale sulla croce per me.
Per apprendere questa follia della Croce, la follia di Dio per ciascuno di noi, abbiamo bisogno di seguire la “via dell’oltre”, quella che mi apre e mi fa amare la “logica di Cristo”.
Pensando a quella che potrebbe essere la tua esperienza “su strada”, del tuo entusiasmo ma anche del tuo timore, delle difficoltà, vorrei proporti la vocazione, la chiamata di un giovane profeta: Geremia.
 Chiamata- Vocazione: binomio da temere o indice di una verità essenziale … Noi siamo dei chiamati. Esistiamo e sappiamo di esserci perché qualcuno ci chiama per nome.La nostra vita non è un caso; la nostra vita entra in un progetto più grande che è il sogno di Dio per ciascuno di noi.
Geremia è un giovane (circa 25 anni). Il testo ci offre coordinate storiche e geografiche ben precise (vv. 1-2). Appartiene a una famiglia sacerdotale, respira dell’aria cultuale, della preghiera, i sacrifici, etc. Forse come te, Geremia non è totalmente all’oscuro in materia di religione!
E’ importante notare che a questo giovane, in una data ben precisa –tredicesimo anno del regno di Giosia , v.2 – viene rivolta la parola del Signore (v.4).L’azione di Dio non si realizza in uno spazio astratto, ma all’interno di un quadro storico reale. Un luogo, un contesto storico, una persona: Dio entra sempre nella storia e ci raggiunge nella nostra quotidianità, lì dove siamo.Ricorda la chiamata dei discepoli: Matteo al banco delle imposte (Mt 9,9); i discepoli sulle loro barche (Lc 5,2-11); Maria nella sua quotidianità (Lc 1,26-38).
Dio entra nella concretezza della nostra storia, se ne fa carico e aiuta anche noi a fare altrettanto: con Lui non esiste alienazione dalla realtà. Dentro una storia ci raggiunge e attraverso la storia ci invia per raggiungere i nostri fratelli. E questo può costare fatica, derisione, disillusione soprattutto nei riguardi di quelle manìe di grandezza che continuamente riformuliamo. Geremia tutto ciò l’ha vissuto nella sua esperienza profetica, ad un certo punto si è sentito anche preso in giro da Dio <>(Ger 20,7), e il Signore gli ha dovuto ricordare che Egli non è venuto meno alla promessa, che tutto gli era stato preannunziato al momento della chiamata.
Il Signore non ci prende per il naso, ci prende sul serio! Non promette nulla che poi non mantenga, ma ti mette nella verità del cammino … <(Mc 10,30).Il testo può essere diviso in due sezioni principali: la chiamata (vv.1-4) e l’invio (vv.17-19).
Al centro abbiamo le due visioni del mandorlo e della pentola (vv.11-16).
“Mi fu rivolta questa parola del Signore: <>”(vv.4-5)
                        TI HO CONOSCIUTO – TI HO CONSACRATO – TI HO STABILITO
E’ innanzitutto l’azione di Dio che fonda la missione del profeta.
E’ Dio che irrompe nella tua vita e la inserisce in un orizzonte più ampio.
C’è un inizio che anticipa la stessa esistenza terrena – “prima di formarti nel grembo”-  ed evidenzia che la chiamata ha origine là dove ha origine la vita stessa dell’uomo, cioè in Dio. Geremia apprende che se egli è profeta, lo è non perché qualcosa si è aggiunta alla sua storia, ma perché lui è stato concepito ed è nato per quella missione che Dio gli rivela (cf. Is 49,5; Lc 1,41).
“Ti ho consacrato”, cioè ti ho scelto, separato dalla folla. Questo termine non ha nulla a che vedere con l’assenza di peccato quanto piuttosto a un nuovo modo di entrare in relazione con Dio. Già inserito in un  contesto sacerdotale, Geremia riceve il sigillo di una consacrazione più profonda, cioè più antica … “Prima ancora che tu vivessi questa esperienza ecclesiale o prima ancora che tu ti accorgessi di Me … Io avevo già pronunciato il tuo nome … non sei qui per caso”.
Da qui la nomina “Ti ho stabilito profeta delle nazioni”, quali? Storicamente per Geremia poteva essere Giuda, stato vassallo dell’Assiria, ma universalmente chi entra al servizio di Dio è chiamato ad allargare il campo di azione perché quel Dio che dirige la storia è Signore del mondo e a questo sei inviato come voce di Dio.
Ricordalo! Il profeta non porta sé stesso, né il suo messaggio ma Dio e la Sua Parola.
Questo deve farci riflettere su quanto le nostre scelte siano fondate su un vero discernimento di quella che è la volontà di Dio per noi.Sono nato e cresciuto in parrocchia o forse mi sto riavvicinando adesso o sono alle prime armi in un cammino di fede. Bene! Ma vedo nel momento che vivo la scelta originaria di un Dio che dal grembo materno mi ha chiamato a quest’oggi? Ho coscienza che il mio cammino, il mio servizio è risposta alla sua chiamata? Che non è solo una mia iniziativa che mi fa stare bene con me stesso e con gli altri?
 <> (v. 6)
Geremia non sembra essere dello stesso parere di Dio; aveva altro per la testa; aveva anche lui un progetto. Geremia si oppone, mette avanti delle difficoltà oggettive. Il profeta è l’uomo della parola e lui è giovane e i giovani nelle assemblee devono mantenere il silenzio o parlare solo se interpellati. Lui non si sente del calibro di Elia, Isaia … E’ giovane, inesperto, “non sa parlare”.
Riecheggia l’obiezione di Mosé al Signore quando lo invia al Faraone: <> (Es 4,10).
L’impresa è grande, è difficile: chi può mostrare di essere all’altezza della missione che Dio gli affida? Solo chi si fida e si mette in cammino, giorno dopo giorno. Ecco l’imperativo di Dio:<> (vv. 7.8)
 “La scelta di realizzarsi nel progetto di Dio si fonda sulla indefettibile fedeltà di quest’ultimo all’uomo attuata definitivamente in Cristo” (C. Corbella)
 Dio ci stana dalle nostre tranquille sicurezze e ci lancia nella lotta, innanzitutto con noi stessi. Ma l’esempio di Geremia ci dice che Dio può trasformare l’uomo chiuso in se stesso, può lavorarlo e farne lo strumento adatto.Quante delusioni, amarezze, batoste … perché abbiamo confidato solo nelle nostre capacità! Quanti “no” detti per paura, vergogna, timore della delusione!
Ripercorriamo la storia:
  • Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto? … Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato … (Es 3,12)
  • Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te … Non temere Maria … concepirai un figlio … (Lc 1.28.30.31)
  • Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20)
 Davanti a Dio non vige la logica del successo o dell’idoneità – guarda ai pescatori di Galilea-  non è sulle tue capacità ma sulla Sua promessa che bisogna camminare:
<> (Lc 5,5)  e non sulla logica del mio mestiere!
Dio non chiede senza dare. Non nasconde le difficoltà, parla infatti di protezione (Ger 1,8) ma promette il Suo aiuto e la Sua vicinanza.
“Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca” (v.9): questa scena riprende le grandi teofanie delle vocazioni di Isaia e Ezechiele.
Isaia viene toccato, purificato nelle labbra attraverso dei carboni presi dal fuoco dell’altare (Is 6,6-7); Ezechiele viene invitato a mangiare il rotolo della Parola di Dio, rotolo dolce come il miele in bocca (Ez 2,9;3,3); l’autore dell’Apocalisse invitato anch’egli a mangiare il “piccolo libro” lo troverà dolce alla bocca ma amaro alle viscere (Ap 10,9): il profeta è l’uomo della parola, ma di quella parola che egli stesso deve lavorare, fare sua per poi donarla. La Parola sarà sempre l’unica forza del profeta, “spada a doppio taglio”, con la quale si presenterà al mondo, e sarà parola “possente” perché “io metto le mie parole sulla tua bocca”(v.9): è Parola di Dio.
“Sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia … non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt 10,20).
Ma … se questa Parola è fatta propria dal profeta, se è ascoltata, meditata, pregata, vissuta.
E’ Parola donata per “sradicare e demolire, distruggere e abbattere, edificare e piantare” (v.10). E’ Parola che mette nella verità aiutandoci a sradicare, demolire ciò che non è ad immagine di Dio; e proprio perché demolisce il falso, può formare l’immagine vera, “edifica, pianta”.
Il profeta non è uno scomodo banditore di sventure, ma colui che avendo fatta sua la Parola che ha ricevuto, può donarla ai fratelli nella condivisione gioiosa delle meraviglie che Dio ha compiuto in lui per primo, abbattendo ed edificando, sradicando e piantando.
Gesù dice di non “essere venuto a portare pace ma una spada” “separare” (Mt 10,34-35); davanti a lui, Parola di verità, entriamo in lotta con noi stessi e siamo costretti a separare ciò che non è conforme a questa Parola. Davanti a Lui si fa verità perché la casa della nostra vita possa essere costruita sulla roccia salda che è Lui (Mt 7,21-27).
Nelle immagini del “ramo di mandorlo”(v.11) e della “pentola inclinata”(v.13), Geremia scorgerà i segni di un Dio che non dorme ma che “vigila” sulla storia e che non teme di additare all’uomo il suo peccato: l’idolatria, la perversità dell’uomo che eliminando Dio si fabbrica egli stesso i “suoi”déi e li adora condannandosi all’infelicità e all’insoddisfazione.
“Ti faranno guerra ma non ti vinceranno perché io sono con te per salvarti”(v.19).
Dio esige il coraggio di una fiducia illimitata quando promette ciò che sembra impossibile: fare di un uomo fragile “una città fortificata, una colonna di ferro, un muro di bronzo”(v.18). La vicenda di Geremia ci mostrerà che questa promessa si realizzerà: la capitale crollerà, si apriranno brecce nelle sue mura e le sue colonne crolleranno.
Ma il profeta resterà!
Tutte le ideologie sono crollate e ne sono nate di nuove; solo Dio è rimasto sempre lo stesso, ancora capace di dare “fastidio”.
Abbi un’unica paura: quella di mancare di fedeltà a Dio. Paura non perché Lui ti possa “segare” con un fulmine a sorpresa ma paura di ferirlo perché Lui si fida di te.
La vocazione è una cosa bella, ma è esigente ed è vero. Ma rimane una cosa bella perché Dio è Bellezza, Lui è il Pastore Bello (kalòs) che tii chiama (kalèo) alla Bellezza.

Carmelitane

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