VITA GIOVANILE DI CRISTO
Betlemme
Il Figlio di Dio fatto uomo era stato invitato a entrare nel Proprio mondo per un uscio secondario. Esiliato dalla terra, Egli nacque sotto il livello della terra: in un certo senso, fu il primo Uomo delle Caverne registrato dalla storia. E di là scrollò la terra fin dalle fondamenta. E siccome era nato in una caverna, tutti quelli che volevano vederLo dovevano abbassarsi. Abbassarsi è segno di umiltà. Gli orgogliosi rifiutano di abbassarsi e, quindi, non riescono a trovare la Divinità; mentre coloro che sottomettono il proprio ego ed entrano si accorgono di trovarsi non già in una caverna ma in un nuovo universo, nel quale un Bambino siede in grembo alla madre reggendo sulle dita il mondo. La greppia e la Croce sono dunque situate alle due estremità della vita del Salvatore! Il quale aveva accettato la greppia perché non c'era posto nella locanda, e la Croce perché gli uomini avevano detto: «Non vogliamo quest'uomo per nostro re».
Sconfessato al momento di cominciare, respinto al momento di terminare, giacque al principio nella stalla d'un paese straniero, e alla fine nella tomba d'un paese straniero.
Un bue e un asino erano ai due lati della Sua greppia in Betlemme, due ladri dovevano fiancheggiare la Sua Croce sul Calvario. Dove nacque fu avvolto in fasce, e di nuovo in fasce fu avvolto nella tomba: fasce simboleggianti le limitazioni imposte alla Sua Divinità allorché aveva assunto forma umana.
Ai pastori che custodivano le greggi nelle vicinanze, gli angeli dissero:
«Questo vi sia di segnale: troverete un bambino avvolto nelle fasce e coricato in una mangiatoia» (Luca 2: 12).
Stava già portando la Sua Croce: la sola croce che un Bimbo potesse portare, una croce di povertà, di esilio e di limitazioni. Già il Suo intento d'immolarsi rifulgeva nel messaggio che gli angeli andavano cantando sopra i colli di Betlemme:
«Oggi, nella città di Davide, è nato a voi un Salvatore, ch'è il Cristo Signore» (Luca 2: 11)
Già la cupidigia veniva sfidata dalla Sua povertà, mentre l'orgoglio cozzava contro l'umiltà di una stalla. Il fatto che sia avvolto in fasce il potere divino, il quale può ben fare a meno di accettare limiti di sorta, significa il più delle volte uno sforzo troppo intenso per quelle menti che ambiscono solo il potere e che non possono intendere il concetto della condiscendenza divina, ossia come «il ricco abbia a diventar povero affinché attraverso la povertà Sua noi possiamo diventare ricchi». Il maggior segno con cui la Divinità potesse palesarsi agli uomini era appunto l'assenza di potere (al modo com'essi lo intendono), e cioè la vista di un Bambino che aveva detto che quaggiù sarebbe venuto circondato dalle nuvole del cielo e che ora invece appariva avvolto in fasce terrene.
Colui che gli angeli chiamano il «Figlio dell’Altissimo» si era calato nella terra rossa dalla quale noi tutti siamo nati, per essere in tutto simile, fuor che nel peccato, agli uomini fragili e decaduti. E sono appunto tali fasce che costituiscono il Suo «segno».
Se Colui che è l'Onnipotenza stessa fosse venuto accompagnato dai fulmini, non si potrebbe parlare di «segno».
Non c'è «segno» ove non avvenga alcunché di contrario all'ordine naturale delle cose; talché, per esempio, «segno» non è lo splendore del sole, ma l'eclisse. Egli disse che, l'ultimo giorno, la Sua seconda venuta sarebbe stata preannunziata da «segni nel sole», con ciò intendendo forse che un gran buio si sarebbe fatto sulla terra: a Betlemme il Figlio di Dio venne in un’eclisse, così che solo gli umili di spirito potessero riconoscerLo.
Solo due specie di persone trovarono il Bambino: i pastori e i Re Magi, cioè i semplici e i dotti, quelli che sapevano di non saper nulla e quelli che sapevano di non saper tutto. Non riuscirà mai a vederLo l'uomo d'un solo libro; non riuscirà mai a vederLo l'uomo che presume di sapere. Neppure Dio può rivelare checchessia agli orgogliosi! Soltanto gli umili possono trovare Dio!
Per dirla con Caryll Houselander, «Betlemme racchiude in sé il Calvario, allo stesso modo che il fiocco di neve racchiude in sé l'universo». Il medesimo concetto fu espresso dal poeta che disse che se avesse conosciuto in tutti i suoi aspetti il fiore cresciuto nel muro screpolato avrebbe conosciuto «l'essenza di Dio e l'essenza dell'uomo». Analogamente, gli scienziati ci dicono che l'atomo racchiude in sé il mistero del sistema solare.
Non fu la Sua nascita a proiettare un'ombra sulla Sua vita e a menarLo quindi a morte; fin dal principio era la Croce, e proiettò la propria ombra contro la Sua nascita. Di solito i mortali passano da una realtà nota a una realtà ignota, vittime di forze che non riescono a controllare; talché possiamo parlare di «tragedie».
Egli invece visse tra due realtà conosciute, passando dalla realtà della Sua venuta, cioè dalla Sua condizione di «Gesù» o «Salvatore», al compimento della Sua venuta, cioè alla morte sulla Croce. Nella Sua vita, pertanto, non ci fu tragedia, poiché la tragedia implica l'imprevedibile, l'incontrollabile, ciò che è soggetto al fato.
La vita dell'uomo moderno è tragica ove si abbiano l'oscurità spirituale ed una colpa irredimibile. Ma non vi furono, nel caso di Cristo Bambino, forze ch'Egli non riuscisse a controllare; non vi fu, da parte Sua, sottomissione alcuna a catene fatali e inevitabili: vi fu, invece, un «adombramento», ché la microcosmica greppia, al pari di un atomo, riassume la macrocosmica Croce sul Golgota.
Nel Suo Primo Avvento, Egli prese il nome di Gesù, cioè «Salvatore»; e solo in occasione del Secondo Avvento prenderà il nome di «Giudice». Prima di assumere natura umana non aveva nome Gesù: esso si riferisce propriamente a ciò che venne ad unirsi alla Sua condizione divina, non già a ciò che esisteva fin dall'eternità. Taluni dicono: «Gesù ha insegnato», come direbbero: «Platone ha insegnato», senza mai pensare che il Suo nome significa «Colui che salva dal peccato».
Dopo ch'Egli ebbe ricevuto questo nome, il Calvario divenne, in senso assoluto, parte di Lui: l'Ombra della Croce che cadde sulla Sua greppia copri anche il Suo nome. Era questa «l 'opera del Padre Suo»: qualsiasi altra cosa le sarebbe stata estranea.
Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN
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