STORIA DEL PROBLEMA
LA PREISTORIA
Per seguire in tutte le sue trasformazioni il problema del male, nelle civiltà e allo stesso tempo nelle opere, dovremmo esaurire il contenuto della letteratura universale. Non è questo, come è naturale, il nostro intento.
Non cercheremo nemmeno di stabilire un equilibrio fittizio tra i diversi titoli dei nostri commenti. In alcuni luoghi esiste molto; in altri, meno. Certi aspetti della questione sono sfuggiti del tutto a gruppi interi o a pensatori che hanno urtato e trattengono altre considerazioni. Non ci registreremo, per simmetria, nei loro documenti per estrarre da essi, mediante la forza, considerazioni che abbondano in altri. Maggiore ragione non ci arresteremo in mere ipotesi dove certezze a priori sembrano imporsi non appena si pensa a esse. Tale è il caso del problema del male nella preistoria.
La storia inizia con l'invenzione della scrittura. Prima di questo, cioè, per migliaia e migliaia di anni, nessun popolo né gruppo possedeva annali, e attraverso tutto il paesaggio umano scorreva il fiume dell'oblio. Esistono ancora oggi popoli simili. Non sono evoluti. I loro ricordi si riducono a una memoria umana. Dietro a ciò, che c'è riguardo alla questione attuale? Forse molta complessità, forse anche, guardando dall'alto, cose molto semplici e abbastanza facili da assicurare.
La natura, all'inizio, doveva apparire sempre «agli uomini come una mescolanza confusa di beni e mali. Il male in sé non può essere sicuramente afferrato: è una nozione troppo astratta; ma il male, per noi, l'essere o il fatto ostile, aveva ancora più di oggi la sua evidenza e il suo potere terribile.
Si rappresenta l'uomo nudo o sommariamente nudo, avanzando passo dopo passo, senza difesa proporzionata al pericolo, tra mostri accanto ai quali la sua statura era minuscola, cacciando, cacciato, dormendo nella caverna, avventurandosi per i boschi, temendo gli animali che forse lo temevano, e affrontando i enormi orsi per impadronirsi della loro pelle, con pericolo di morte. Che sentimento non doveva avere quell'uomo del male minaccioso, della natura crudele?
L'oscurità, le tempeste, gli eclissi, così come i enormi sauri e le bestie selvagge, inquietavano il suo animo. Potenze immaginarie popolavano davanti ai suoi occhi le acque, le selve, le rocce, l'atmosfera, e da esse si attendevano beni e anche mali. Lo stesso accadeva con i loro morti, che si apparivano in sogni e potevano dare testimonianza di favore o di ostilità.
Per quanto riguarda il male morale, l'oscurità della coscienza primitiva offuscava senza dubbio la sua nozione; ma quello non saprebbe essere assente là dove sussistesse il minore fulgore di ragione, e già si ode dire all'anziano di quei tempi, come oggi si dice e si dirà sempre: «Vivere è male, figli; questa età è molto triste».
L'idea di tabù e quella di impurità, comuni nelle razze primitive, non sono già schizzi di concezioni morali? È ciò che non conviene toccare, ciò che macchia, chi suggerisce all'istante l'idea di ciò che è male. Conviene aggiungere a questo ciò che non si deve, in ragione di precetti nati dall'esperienza e notificati dai capi o fissati dalla tradizione. Le terribili necessità di vite così esposte dovevano mantenere le violenze. Ai primi schemi del commercio e dei cambi benevoli si mescolava la rapina e l'assassinio con vista a essa. Oggi ancora, le tribù dei deserti sudanesi e altre in numero considerevole, non si consegnano a lotte selvagge per dei pozzi o per dei depositi di sale? Questo non poteva legittimarsi se non per la passione; il rispetto per l'altro e per il bene dell'altro si trova nella stessa natura.
Quando la vita errante dei primi uomini lasciò spazio alla vita sedentaria con vista a un'appropriazione regolare dei prodotti del suolo, coloro che si stabilivano così, insediati mediante questo fatto sotto un regime di proprietà, dovettero difendersi allo stesso tempo dai proprietari concorrenti e dalle incursioni di genti erranti e nomadi. Da qui la sicurezza di grandi mali come di grandi ingiustizie.
Un altro tanto diremo della guerra organizzata, che deve essere stata contemporanea delle prime formazioni sociali. Infatti, se la storia propriamente detta registra gli scontri dei popoli come l'evento principale delle sue cronache, con maggior ragione deve esserlo stata quando la vita era meno stabilizzata e più irregolare, più dipendente dalle influenze climatiche e dalle risorse alimentari dei vari ambienti. Il godimento di migliori luoghi e regioni più favorevoli era l'equivalente di ciò che per i nostri civilizzati di oggi è il possesso di miniere d'oro o di giacimenti petroliferi! Quali scontri non dobbiamo supporre; quali domesticazioni reciproche o estinzioni delle bande per privazione violenta delle condizioni elementari della vita! Il turbamento nel lavoro, modificando continuamente le possibilità della sua esistenza qui o là, doveva moltiplicare anche le cause dei conflitti.
È molto probabile che la lotta per la vita o per il prestigio regnasse tra gli esseri umani per lunghi periodi di tempo, come la vediamo regnare tra le bestie. Non potevano sorgere costumi più civilizzati se non dopo esperienze di vita sociale lente a prodursi e, soprattutto, a stabilizzarsi. L'antropofagia, in queste condizioni, deve essere stata comune. In essa non si percepiva alcun male, anche se, forse, solo la passione poteva far dimenticare agli esseri umani che atri simili non sapevano essere una preda per loro. L'umanità non sarà una teoria se non dopo lunghi millenni; ma potrebbe essere, in ogni tempo, un felice istinto.
Dubbiamo collocare sotto il segno del male i sacrifici umani che furono tradizionali in tutte le popolazioni che ci permette di sospettare la storia. Quelle ecatombi terribili, orribili in sé stesse, erano perpetrate pietosamente. Si trattava di un bene superiore le cui condizioni sconosciute lasciavano spazio a superstizioni sanguinose. Quanto più lontano si risale nella preistoria, nelle epoche paleolitica e archeolitica, si trovano tracce del culto ai morti, e quindi, di una credenza nella sopravvivenza in qualsiasi modo venga rappresentata. A questa idea si mescolava quella di una retribuzione postuma per le buone e le cattive azioni della vita, che non si può affermare con certezza, anche se le tradizioni più lontane dell'Egitto, per esempio, possiedono tracce di essa.
Nelle stesse epoche, più specialmente nell'epoca neolitica, vediamo praticato il sacrificio delle donne sulla tomba dei loro mariti, come oggi avviene in India, essendo anche una falsa pietà quella che lì si esercita. Con le loro donne si procura ai morti un complemento di vita, allo stesso modo in cui si forniscono loro cibo e utensili e si tingono i loro resti, come essi coloravano i loro corpi.
Sopravvivenza sempre, e resistenza dei poveri viventi al male supremo della loro condizione temporale, che è la morte. Non bisogna chiedere a questi primi esseri umani di riferire il bene e il male a una fonte prima, rispetto alla quale il bene sarebbe una derivazione, e il male un limite o un avversario. Il Bene-Unico di Platone non è di questi tempi! Il Dio unico, santo e autore di santità, dovrà manifestarsi lui stesso, e questa non era la sua ora. Tutte le religioni preistoriche sono politeiste. Quando apparve, più tardi, il monoteismo, come in Egitto, solo i sacerdoti e alcuni fedeli vi si unirono completamente; la plebe rimase legata alle antiche credenze. Il popolo ebraico è il primo popolo monoteista in generale e come comunità nazionale. Ancora si ignorano le sue costanti infedeltà.
Quanto è lontana la vita umana normale da quest'altra vita primitiva, e come il piano della creazione appare lì coperto di ombre! È necessaria al contemplatore una visione del futuro animata di fiducia per non ignorare e disprezzare questo piano. «La fede in Dio—scrive Amiel—, in un Dio santo e misericordioso» paterno è il raggio divino che accende questa fiamma. Oh, come sento—aggiunge—la profonda e terribile poesia dei terrori primitivi che hanno originato le teologie! In che modo la storia delle forze scatenate, del caos selvaggio e del mondo nascente, è diventata completamente la mia vita e la mia sostanza! Come si chiarisce tutto e si trasforma nel simbolo del profondo pensiero immutabile, del pensiero di Dio sull'universo! Come mi si presenta l'unità di tutte le cose, in modo sensibile dentro la coscienza! Mi sembra di intravedere il motivo sublime che, nelle sfere infinite dell'esistenza, sotto tutti i modi dello spazio e del tempo, tutte le forme create riproducono e cantano nel seno dell'eterna armonia.
A . D . S E R T I L L A N G E S

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