(26/12/2003)
Nell'ultimo lavoro di questa serie – lo prometto – porterò al lettore una lettera scritta da una donna eternamente perduta. Fu costretta da Dio a raccontare la realtà del suo inferno a un'amica, spiegando le ragioni della sua perdizione. È un altro racconto toccante, un URLO DALLE TENEBRE, che cerca di risvegliare questa umanità incauta, che non crede più in nulla, nemmeno in Dio, tanto meno nella terrificante e spaventosa realtà dell'inferno. Ho trovato questo testo su internet, dove è liberamente accessibile, e ne ho solo riformulato i paragrafi. Il libro originale ha l'"Imprimatur" della nostra Chiesa e non contiene nulla contro la fede! Che ciascuno legga attentamente come dice San Paolo e ritenga ciò che è buono!
LETTERA DALL'ALDILA':
Impressionante resoconto di un'anima condannata all'Inferno! Imprimatur dell'originale tedesco; Brief aus dem Jenseits: Treves, 9/11/1953. N. 4/53. Approvazione ecclesiastica di questo opuscolo: Taubaté - stato di San Paolo - 2/11/1955. A cura del Teologale Bernhardin Krempel, CP.
A mo' di prefazione al libro: Dio comunica con gli uomini in molti modi. Oltre ad essere la Sacra Scrittura stessa, la Magna Charta di Dio agli uomini, scritta e trasmessa da uomini autorizzati, narra molte comunicazioni divine avvenute attraverso visioni, inclusi i sogni. Dio continua ad avvertire, anche attraverso i sogni. Perché i sogni non sono sempre semplici sogni senza fondamento.
La Lettera dall'Aldilà trascritta di seguito racconta la storia della dannazione eterna di una giovane donna. A prima vista sembra una storia piuttosto romanzata. Tuttavia, considerate le circostanze, si conclude che essa ha una sua base storica, che funge da fondamento del suo senso morale e della sua portata trascendentale. La lettera in questione è stata trovata così com'è tra le carte di una suora defunta, amica della giovane condannata. La suora racconta gli eventi della vita della sua compagna come fatti storici noti e verificati, e il suo destino eterno comunicato in sogno. La Curia diocesana di Treviri (Germania) ne ha autorizzato la pubblicazione in quanto estremamente istruttiva.
La Lettera dall'Aldilà apparve per la prima volta in un libro di rivelazioni e profezie, insieme ad altre narrazioni. Fu Padre Bernhardin Krempel CP, dottore in teologia, a pubblicarla separatamente e a conferirle ulteriore autorevolezza, dimostrando, nelle annotazioni, la sua assoluta concordanza con la dottrina della Chiesa cattolica sull'argomento. L'Appendice fornisce alcuni chiarimenti complementari sull'Inferno. Il primo punto evidenzia due opere letterarie che, attraverso percorsi diversi, giungono alla stessa conclusione: che l'Inferno deve esistere e che di fatto esiste. I punti seguenti spiegano brevemente chi è sulla strada per l'Inferno e quali mezzi abbiamo a disposizione per salvarci dal più grande pericolo della vita: cadere all'Inferno.
Informazioni preliminari: Tra le carte lasciate da Clara, una giovane donna morta in convento come suora, è stata trovata la seguente testimonianza personale: "Avevo un'amica. Cioè, eravamo molto vicine come compagne e vicine di lavoro nello stesso ufficio, M. Quando Âni si sposò in seguito, non la vidi mai più. Da quando ci siamo conosciute, c'era stata, in fondo, più gentilezza che amicizia tra noi. Per questo mi è mancata poco quando, dopo il suo matrimonio, andò a vivere nell'elegante quartiere delle ville, lontano dalla mia casetta."
Quando trascorsi le vacanze sul Lago di Garda nell'autunno del 1937, mia madre mi scrisse a metà settembre: "Immaginate, Âni N. è morta. Ha perso la vita in un incidente d'auto. Ieri è stata sepolta nel cimitero di Mato". Questa notizia mi scosse. Sapevo che Âni non era mai stata veramente religiosa. Era preparata quando Dio l'aveva chiamata all'improvviso?
La mattina dopo partecipai alla Santa Messa in sua memoria nella cappella della pensione delle suore dove alloggiavo. Pregai fervidamente per il suo riposo eterno e le offrii anche la Santa Comunione per la stessa intenzione. Ma per tutto il giorno provai un certo disagio, che aumentò ulteriormente nel pomeriggio. Dormii inquieto. Mi svegliai all'improvviso, sentendo come se la porta della camera da letto venisse scossa. Accesi la luce. L'orologio sul comodino segnava mezzanotte e dieci. Ma non riuscivo a vedere nulla. Non c'era alcun rumore in casa. Solo le onde del Lago di Garda si infrangevano, monotone, contro il muro del giardino della pensione. Non sentii nulla del vento.
Tuttavia, ebbi l'impressione di aver percepito al risveglio, oltre al bussare alla porta, un rumore simile a quello del mio capo ufficio quando, di cattivo umore, mi lanciava una lettera fastidiosa sulla scrivania. Riflettei per un attimo se dovessi alzarmi o meno. Ah! È tutto frutto della mia immaginazione, mi dissi risolutamente. Non è altro che un prodotto della mia immaginazione, scossa dalla notizia della morte. Mi voltai, recitai qualche Padre Nostro per le anime e mi riaddormentai.
Poi sognai di essermi alzato la mattina alle 6, andando alla cappella di casa. Quando aprii la porta della camera da letto, mi ritrovai con il piede in un fascio di fogli. Sollevarli, riconoscere la calligrafia di Âni ed emettere un grido mi richiese solo un secondo. Tremando, tenevo i fogli tra le mani. Confesso che ero così terrorizzato che non riuscivo nemmeno a pronunciare il Padre Nostro. Ero intrappolato in un soffocamento quasi totale. Niente di meglio che scappare da lì e uscire all'aria aperta. Mi sistemai i capelli alla rinfusa, infilai la lettera nella borsa e uscii di corsa di casa. Fuori, mi inerpicai lungo il sentiero tortuoso che saliva, tra ulivi, allori e fattorie del villaggio, fino a oltrepassare la famosa strada Gardesana.
Il mattino spuntò radioso. In altri giorni mi fermavo ogni cento passi, incantato dalla magnifica vista offerta dal lago e dalla magnifica isola del Garda. Il tenue azzurro dell'acqua mi rinfrescava; e come un bambino che guarda con stupore il nonno, così guardavo sempre con stupore il grigio Monte Baldo che si erge sulla sponda opposta del lago, passando da 64 metri sul livello del mare a 2.200 metri di altezza. Oggi non avevo occhi per tutto ciò. Dopo aver camminato per un quarto d'ora, mi lasciai cadere meccanicamente su una panchina appoggiata a due cipressi, dove, il giorno prima, avevo letto con piacere "La fanciulla Teresa". Per la prima volta vidi simboli di morte nei cipressi, qualcosa che non avevo mai notato in loro al Sud, dove sono così frequenti.
Presi la lettera. Non aveva firma. Senza il minimo dubbio era la calligrafia di Âni. Non le mancava nemmeno la grande "S" a volute, né la "T" francese, che si era abituata a usare in ufficio per irritare il signor G. Lo stile non era il suo. Almeno non parlava come al solito. Sapeva conversare e ridere in modo così amabile con i suoi occhi azzurri e il naso aggraziato. Solo quando discutevamo di questioni religiose diventava pungente e adottava il tono rude della sua lettera. (Anch'io ho ormai adottato la sua cadenza eccitata).
Ecco la lettera di Ani dall'aldilà, parola per parola, proprio come l'ho letta nel sogno:
"Clara! Non pregare per me. Sono condannata. Se ti dico questo e ti do informazioni dettagliate su alcune circostanze della mia condanna, non credere che lo faccia per amicizia. Qui non amiamo più nessuno. Lo faccio come "Parte di quella Potenza che vuole sempre il Male e produce sempre il Bene".
In verità, anch'io desideravo vederti qui, dove sono venuto a stare per sempre. [San Tommaso d'Aquino, Summa Theologica (S. Th.) Supplementum (Suppl.) q. 98, a. 4: "I reprobi vogliono che tutto il bene sia condannato."] Non sorprenderti di questa mia intenzione. [S. Th. Suppl. q. 98, a. Ridicolo... Il tuo aiuto è venuto per pura ostentazione, come, del resto, già sospettavo. ]
Conoscevi la mia giovinezza. È necessario colmare alcune lacune. Secondo il piano dei miei genitori, non sarei mai esistito. Sono stati negligenti, la sfortuna del mio concepimento. Le mie due sorelle avevano già 15 e 14 anni quando sono venuto al mondo. Se solo non fossi mai nato! Se solo potessi ora annientarmi, sfuggire a questi tormenti! Non c'è piacere paragonabile al porre fine alla mia esistenza, come un indumento ridotto in cenere, senza nemmeno lasciare traccia. [S. Th. Suppl. q. 98, a. 3, r. ib. ad 3: "Mentre la non-esistenza libera da una vita di terribili punizioni, sarebbe per i condannati un bene maggiore della loro miserabile esistenza... Così desiderano la non-esistenza."] Ma è necessario che io esista; è necessario che io sia come mi sono fatto: con il totale fallimento dello scopo della mia esistenza.
Quando i miei genitori, ancora celibi, si trasferirono dalla campagna alla città, persero i contatti con la Chiesa. Fu per il meglio. Mantennero rapporti con persone distaccate dalla religione. Si incontrarono a un ballo e furono "obbligati" a sposarsi sei mesi dopo. Alla cerimonia nuziale, ricevettero solo poche gocce di acqua santa, sufficienti solo per indurre mia madre a partecipare alla messa domenicale molto raramente ogni anno. Non mi insegnò mai a pregare correttamente. Si esauriva nelle preoccupazioni quotidiane, anche se la nostra situazione non era male. Scrivo solo parole come pregare, messa, acqua santa, chiesa, con intima ripugnanza, con incomparabile disgusto. Odio profondamente chi va in chiesa, così come tutti gli uomini e le cose in generale.
Tutto diventa tormento per noi. Ogni conoscenza ricevuta in punto di morte, ogni ricordo della vita e di ciò che sappiamo, si trasforma in una fiamma incandescente. [S. Th. Suppl. q. 98, a.] 7, r.: "Non c'è nulla nei reprobi che non sia materia e causa di dolore... Dirigendo così la loro attenzione a cose note."] E tutti questi ricordi ci mostrano quel lato terribile che era una grazia che disprezzavamo. Come ci tormenta! Non mangiamo, non dormiamo, né camminiamo sulle nostre gambe. Spiritualmente incatenati, noi reprobi, guardiamo con orrore le nostre vite fallite, urlando e digrignando i denti, tormentati e pieni di odio.
Sentite? Beviamo l'odio come acqua qui. Ci odiamo a vicenda. [S. Th. Suppl. q. 98, a. 4, r.: "Nei reprobi, domina un odio totale."] Più di ogni altra cosa, odiamo Dio. Cerco di farvelo capire. I beati in Cielo devono amarlo. Perché lo vedono svelato nella sua bellezza mozzafiato. Questo li rende indescrivibilmente felici. Lo sappiamo, ed è questa consapevolezza che ci rende furiosi. [S. Th. Suppl. q. 98, a. 9, r.: "Prima del giorno del giudizio universale, i reprobi sanno che i beati sono in una gloria ineffabile."] Gli uomini sulla terra che conoscono Dio attraverso la creazione e la rivelazione possono amarlo; non sono costretti a farlo.
Il credente – ve lo dico con furia – che contempla, meditando, Cristo disteso sulla croce, lo amerà. Ma l'anima a cui Dio si avvicina, fulminando, come un vendicatore e un punitore, come Uno che è stato respinto, quell'anima lo odia, come lo odiamo noi. [S. Th. Suppl. q. 98, a. 8, ad 1, ib. ad 5, r.: "I reprobi vedono in Dio solo il punitore e colui che impedisce (del male che ancora desiderano fare). Ma poiché lo vedono solo nella punizione, l'effetto della sua giustizia, lo odiano."] Lo odia con tutta la forza della sua volontà malvagia. Lo odia eternamente. In virtù della deliberata risoluzione di rimanere separata da Dio, con cui ha concluso la sua vita terrena. E questa volontà perversa, non possiamo più revocarla, né vorremo mai revocarla.
Capite ora perché l'Inferno deve essere eterno? Perché la nostra ostinazione non si scioglie mai, non finisce mai. Aggiungo, per necessità, che Dio è davvero ancora misericordioso verso di noi. Ho detto "per necessità". Il motivo è questo: anche se scrivo volontariamente questa lettera, non mi è possibile mentire, come vorrei. Ho messo nero su bianco molte informazioni contro la mia volontà. Persino il fiume di insulti che avrei voluto scatenare, devo ingoiarlo di nuovo. Dio fu misericordioso con noi allora, quindi non permise alla nostra volontà di produrre e attuare sulla Terra tutto il male che desideravamo fare. Se ci avesse lasciati a noi stessi, avremmo aumentato notevolmente la nostra colpa e la nostra punizione. Ci ha permesso di morire prematuramente – come ho fatto io – o ha introdotto circostanze attenuanti.
Ora diventa misericordioso con noi perché non ci costringe ad avvicinarci a Lui, ma a rimanere in questo luogo lontano dall'Inferno, attenuando il nostro tormento. [S. Th. I, q. 21, a. ad. 1.: «Nella condanna dei reprobi appare la misericordia di Dio... , in quanto li punisce meno di quanto meritino."] Altrove, il santo dottore della Chiesa nota che questo è particolarmente vero per coloro che in questo mondo furono misericordiosi con gli altri (S. Th. Suppl. q. 99, a. 5, ad 1.)] Ogni passo più vicino a Dio mi darebbe più sofferenza di quanto ne darebbe a te un passo più vicino a un falò.
Un giorno, durante una passeggiata, ti raccontai quello che mio padre mi aveva detto qualche giorno prima della mia prima comunione: "Attenta, Anita, a procurarti un bel vestito; tutto il resto è solo uno scherzo". Mi sarei quasi vergognata del tuo stupore. Ora ci rido sopra. La parte migliore di tutta questa farsa era permettere la comunione solo a 12 anni. Ero già allora completamente posseduta dai piaceri del mondo, che rimandavano facilmente tutto ciò che riguardava la religione, e non prendevo sul serio la comunione. La nuova usanza di far ricevere la comunione ai bambini a 7 anni ci fa infuriare. Usiamo ogni mezzo per aggirarla, facendo credere alla gente che per ricevere la comunione bisogna avere intelligenza. I bambini devono aver già commesso qualche peccato mortale in precedenza. Il Dio "bianco" sarà allora meno dannoso di quando lo si riceve quando la fede, la speranza e l'amore, frutti del battesimo – uno sputo su tutto questo – sono ancora vivi nel cuore del bambino. Ricordi che avevo questo stesso punto di vista sulla Terra?
Tornerò da mio padre. Litigava molto con mia madre. Te l'ho fatto notare raramente: si vergognava. Oh! Che vergogna? Una cosa assurda! Per noi tutto è indifferente. I miei genitori non dormivano più nella stessa stanza. Io dormivo con mia madre, mio padre nella stanza accanto alla nostra, dove poteva tornare a qualsiasi ora della notte. Beveva molto e sperperava la nostra fortuna. Le mie sorelle lavoravano e avevano bisogno dei loro soldi, come dicevano. Mia madre iniziò a lavorare. Nell'ultimo anno della sua vita amareggiata, mio padre picchiava spesso mia madre quando non voleva darle dei soldi. Con me, era sempre gentile. Un giorno, te l'ho detto e ti sei scandalizzato del mio capriccio – e cosa non ti ha scandalizzato in me? Un giorno, quindi, mi ha restituito due scarpe nuove perché la forma dei tacchi non era abbastanza moderna per me. [I dettagli annotati sul padre di Âni e gli eventi successivi sono fatti.]
La notte in cui un ictus ferì mortalmente mio padre, accadde qualcosa che non ti ho mai confidato, per paura di una spiacevole interpretazione da parte tua. Oggi, tuttavia, devi saperlo. Questo vestito è memorabile perché fu la prima volta che il mio attuale spirito tormentatore si avvicinò a me. Dormivo nella stanza di mia madre. Il suo respiro regolare indicava un sonno profondo. Improvvisamente sentii chiamare il mio nome. Una voce sconosciuta mormorò: "Cosa succederà se tuo padre muore?". Non amavo più mio padre da quando aveva iniziato a maltrattare mia madre. Non amavo più nessuno: mi aggrappavo solo a pochi che erano buoni con me. - L'amore senza intenzione naturale esiste quasi solo nelle anime che vivono in stato di grazia. Io non ci dimoravo.
Rispose al misterioso interlocutore così: "Non morirà di certo". Dopo una breve pausa, sentii la stessa domanda perfettamente comprensibile, senza preoccuparmi di capire da dove provenisse. "Che sciocchezze! Non sta morendo!", sbottai ostinatamente. Per la terza volta mi chiesero: "Cosa succederà se tuo padre muore?". Mi balenò in mente quante volte mio padre tornava a casa mezzo ubriaco, rimproverando e litigando con la mamma, e quanto ci mettesse in imbarazzo davanti a vicini e conoscenti! Allora gridai, con rabbia: "Beh, questo è quello che si merita! Lasciatelo morire!". Dopodiché, tutto tacque.
La mattina dopo, quando la mamma andò a riordinare la stanza di papà, trovò la porta chiusa. A mezzogiorno la forzarono. Papà era mezzo vestito sul letto: morto, un cadavere. "Cercando la birra in cantina, devi aver preso un raffreddore. Sei malata da molto tempo." (Potrebbe essere che Dio abbia fatto dipendere dalla volontà di una bambina, verso la quale l'uomo ha mostrato gentilezza, il concederle più tempo e opportunità per convertirsi?)
Marta K. e tu mi avete fatto iscrivere all'associazione femminile. Non ti ho mai nascosto di trovare le istruzioni delle due direttrici, due signore X., piuttosto ingannevoli. Trovavo i giochi molto divertenti. Come sai, presto ho iniziato a svolgere un ruolo da protagonista. Era questo che mi lusingava. Mi piacevano anche le escursioni. Mi sono persino lasciata condurre qualche volta alla confessione e alla comunione. A dire il vero, non avevo nulla da confessare. Pensieri e sentimenti non mi importavano. Non ero ancora abbastanza matura per cose peggiori.
Un giorno mi hai sorpresa: "Ani, se non preghi di più, sarai perduta". In realtà pregavo molto poco; e solo con riluttanza, controvoglia. Avevi senza dubbio ragione. Tutti coloro che bruciano all'Inferno non hanno pregato, o non hanno pregato abbastanza. La preghiera è il primo passo verso Dio. Sempre decisiva. Soprattutto la preghiera a Colei che è la Madre di Cristo, il cui nome non ci è permesso pronunciare. La devozione a Lei strappa innumerevoli anime al diavolo, anime che i peccati avrebbero infallibilmente gettato nelle sue mani.
Continuo a essere furioso – per essere costretto: pregare è la cosa più facile che si possa fare sulla Terra. È proprio a questa facilità che Dio ha legato la salvezza. A coloro che pregano assiduamente, Dio dona gradualmente tanta luce e li rafforza così tanto che anche il capro espiatorio del peccatore può risorgere definitivamente attraverso la preghiera, anche se immerso nel fango fino al collo. Negli ultimi anni della mia vita non ho più pregato veramente e mi sono così privato delle grazie, senza le quali nessuno può essere salvato. Qui non riceviamo più grazia. Anche se la ricevessimo, la rifiuteremmo con disprezzo. Tutte le oscillazioni dell'esistenza terrena finiscono nell'aldilà.
Nella vita terrena, l'uomo può passare da uno stato di peccato a uno stato di grazia. Dalla grazia, si può cadere nel peccato. Sono spesso caduto per debolezza; raramente per malvagità. Con la morte, questa incostanza di sì e no finisce, di cadere e rialzarsi. Attraverso la morte, ognuno entra nello stato finale, fisso e immutabile. Con l'avanzare dell'età, i salti si fanno più piccoli. È vero che, fino alla morte, ci si può convertire a Dio o voltargli le spalle. Nel morire, tuttavia, l'uomo decide, con gli ultimi sussulti della volontà, meccanicamente, proprio come si era abituato in vita.
L'abitudine, buona o cattiva, è diventata una seconda natura. Questo lo trascina nell'ultimo istante. Così ha trascinato anche me. Per anni ho vissuto lontano da Dio. Di conseguenza, nell'ultima chiamata della grazia, ho deciso contro Dio. Non che aver peccato molte volte fosse una fatalità per me, ma perché non volevo più rialzarmi. Mi hai ripetutamente ammonito di assistere ai sermoni e di leggere libri di devozione. Mi scusavo regolarmente con la scusa della mancanza di tempo. Avrei dovuto accrescere ulteriormente la mia incertezza interiore?
Inoltre, devo dire: quando raggiunsi quel punto critico, poco prima di lasciare l'associazione delle giovani donne, mi sarebbe stato molto difficile intraprendere un'altra strada. Mi sentivo insicura e infelice. Prima della mia conversione, si ergeva un muro. Devi averlo perso. L'avevi immaginato così facile quando una volta mi hai detto: "Fai una buona confessione, Ani, e tutto andrà bene". Sospettavo che sarebbe stato così. Ma il mondo, il diavolo e la carne mi tenevano già nelle loro grinfie.
Non ho mai creduto all'influenza del diavolo. Ora attesto che, su persone come me allora, il diavolo ha un'influenza potente. [L'influenza degli spiriti maligni è racchiusa nei termini "diavolo" o "demone"]. Due testi della Sacra Scrittura bastano a provarne l'esistenza: "Fratelli, siate sobri e vigilanti! Il vostro nemico, il diavolo, si aggira come un leone ruggente cercando chi divorare". (1 Pietro 5:8). Il ruggito non si riferisce al grande allarme che Satana provoca con le sue tentazioni, ma all'avidità con cui cerca di distruggerci. - San Paolo scrive agli Efesini (*, 12): "Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro sangue e carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti".
Solo molte preghiere altrui e mie, insieme a sacrifici e sofferenze, avrebbero potuto liberarmi da lui. E anche allora, solo gradualmente. Pochi posseduti. Il diavolo non può togliere il libero arbitrio a coloro che si arrendono alla sua influenza. Tuttavia, come punizione per la loro quasi totale apostasia da Dio, Egli permette al "Male" di annidarsi in loro. Anch'io odio il diavolo. Eppure mi piace, perché cerca di distruggervi: lui e i suoi aiutanti, gli angeli caduti con lui dall'inizio dei tempi. Sono miriadi. Vagano sulla terra in numero incalcolabile come sciami di mosche, senza essere sospettati. [S. Th. Suppl. q. 98, a. 6, ad 2: "Non è compito dei condannati distruggere e tentare gli altri, ma dei demoni"].
Non spetta a noi uomini reprobi tentarvi; questo è il compito degli spiriti caduti. Essi infatti aumentano i loro tormenti ancora di più ogni volta che trascinano un'anima umana all'Inferno. Ma di cosa non è capace l'odio! [San Tommaso d'Aquino, q. 98, a. 4, ad 3: "Il crescente numero dei reprobi accresce ulteriormente le sofferenze di tutti. Ma sono così pieni di odio e invidia che preferiscono soffrire di più con molti che di meno da soli."] Anche se ho camminato per sentieri tortuosi, Dio mi ha cercato. Ho preparato la via alla grazia attraverso atti di carità naturale, che, per inclinazione della mia natura, ho spesso compiuto.
A volte Dio mi ha attirato in una chiesa. Lì ho provato una certa nostalgia. Quando mi sono preso cura di mia madre malata, nonostante il mio lavoro in ufficio durante il giorno, e mi sono davvero sacrificato un po', queste attrattive di Dio hanno agito potentemente su di me. Una volta – era nella cappella dell'ospedale, dove mi hai portato durante il mio tempo libero a mezzogiorno – sono rimasto così impressionato che mi sono trovato a un passo dalla mia conversione. Ho pianto. Poi, tuttavia, è arrivato il piacere del mondo che si riversa, come un torrente, sulla grazia. Le spine hanno vinto sul grano. Con la spiegazione che la religione è sentimentalismo, come si diceva sempre in ufficio, ho gettato anche questa grazia, come altri, sotto il tavolo.
Un giorno mi hai rimproverato per aver fatto un leggero inchino del capo in chiesa invece di genuflettermi. L'hai preso per pigrizia e non hai sembrato sospettare che, anche allora, non credevo più nella presenza di Cristo nel Sacramento. Ora ci credo, ma solo naturalmente, come si crede a una tempesta, i cui segni ed effetti si percepiscono. Nel frattempo, avevo acquisito anch'io una religione. Mi piaceva l'opinione generale in ufficio che, dopo la morte, l'anima sarebbe tornata in questo mondo in un altro essere e sarebbe passata attraverso altri esseri, in una successione infinita. Con questo, ho risolto l'angosciante problema dell'aldilà e ho immaginato di averlo reso innocuo.
Perché non mi hai ricordato la parabola del ricco stolto e del povero Lazzaro, in cui il narratore, Cristo, subito dopo la morte, mandò uno all'Inferno e l'altro in Paradiso? Ma cosa avresti ottenuto? Niente di più delle tue altre pie parole. A poco a poco, ho acquisito anch'io un dio: abbastanza privilegiato da essere chiamato dio; abbastanza lontano da me da non obbligarmi ad alcun rapporto con lui; troppo confuso per trasformarsi, a piacimento e senza cambiare religione, in un dio panteista o persino per farmi diventare un orgoglioso deista. Questo "dio" non aveva né un paradiso di cui vantarsi né un inferno di cui spaventarmi. Lo lasciavo in pace. Questa era l'essenza della mia adorazione per lui. Ciò che si ama, si crede facilmente. Nel corso degli anni ero diventato abbastanza convinto della mia religione. Ci convivevo bene, senza che mi turbasse. Solo una cosa mi avrebbe spezzato il cuore: un dolore profondo e prolungato. Ma quella sofferenza non arrivò. Ora capisci: "Chi Dio ama, punisce!"
Era un giorno d'estate di luglio, quando l'associazione delle ragazze stava organizzando un'escursione ad A. Mi piacevano le escursioni. Ma non il fervore religioso che le accompagnava! Un'altra immagine, diversa da quella della Madonna delle Grazie ad A., era stata da poco sull'altare del mio cuore. L'alta società di Max N., del negozio accanto. Avevamo chiacchierato piacevolmente un paio di volte prima. In quell'occasione mi aveva invitato a fare un'escursione quella domenica stessa. L'altra ragazza con cui andavo di solito era in ospedale.
Aveva notato, sì, che gli avevo lanciato un'occhiata. Ma non pensavo ancora di sposarlo. Era fortunato, ma troppo gentile con molte e qualsiasi signorina; fino ad allora desideravo un uomo che mi appartenesse esclusivamente, come la mia unica donna. Una certa distanza era sempre stata mia. [Questo era vero. Con tutta la sua indifferenza religiosa, Âni aveva qualcosa di nobile nel suo essere.] Mi stupisce che anche le persone "oneste" possano cadere all'Inferno, se sono abbastanza disoneste da evitare di incontrare Dio. In quella gita, Max mi ha ricoperto di ogni sorta di gentilezza. Non abbiamo avuto conversazioni meschine, a differenza tua.
L'altro giorno, in ufficio, mi hai rimproverato per non averti accompagnato ad A. Ti ho raccontato i miei divertimenti domenicali. La tua prima domanda è stata: "Eri a Messa?" Pazzesco! Come potevo andare a Messa, visto che avevamo concordato di partire alle 18! Ricordi anche che ho aggiunto con entusiasmo: "Il buon Dio non è meschino come i tuoi pretini?". Ora, devo confessarti che, nonostante la sua infinita bontà, Dio prende tutto più sul serio dei preti. Dopo quella prima uscita con Max, ho partecipato di nuovo al tuo incontro. Il giorno di Natale. Certe cose mi attraevano. Ma interiormente, mi ero già allontanato da te. Film, balli, gite, seguivano. Max e io litigavamo a volte, ma sapevo come tenerlo sempre vicino a me.
Trovavo molto spiacevole vedere la mia rivale, di ritorno dall'ospedale, comportarsi in modo furioso. Proprio a mio favore. La mia spiccata calma fece una grande impressione su Max e alla fine lo costrinse a scegliere me. Sapevo come denigrarla, come sminuirla. Parlando con calma: esteriormente, realtà oggettive; interiormente, vomitando veleno. Tali sentimenti e insinuazioni conducono rapidamente all'Inferno. Sono diabolici, nel vero senso della parola.
Perché vi dico questo? Per mostrarvi quanto fossi definitivamente libera da Dio. Questa separazione non richiedeva che raggiungessi più volte il punto di intimità con Max. Capivo che mi sarei abbassata ai suoi occhi se mi fossi lasciata svuotare prima del tempo. Ecco perché mi trattenevo, mi schermavo. In verità, ero sempre pronta a tutto ciò che ritenevo utile. Era mio dovere conquistare Max. Per questo, non consideravo nulla troppo costoso. Ci innamorammo gradualmente, perché entrambi possedevamo qualità preziose che potevamo apprezzare reciprocamente. Ero talentuosa e divenni abile e loquace. Riuscii, in questo modo, a tenere Max tra le mani, certa di possederlo solo io, almeno negli ultimi mesi prima del matrimonio. Questa fu la mia apostasia da Dio, fare di una creatura il mio dio. In nessun luogo questo può essere realizzato così pienamente come tra persone di sesso diverso, se l'amore è annegato nella materia. Questa ne diventa il fascino, il pungiglione e il veleno. L'"adorazione" che tributavo a Max mi trasformò in una religione viva.
Fu durante il periodo in cui, in ufficio, attaccai con tanta virulenza la corsa in chiesa, i preti, il mormorio dei rosari e altre cianfrusaglie del genere. Tu, più o meno intelligentemente, ti concentrasti sulla protezione di tutto questo; apparentemente senza sospettare che per me, in definitiva, non si trattava di queste cose, ma piuttosto di un punto di appoggio contro la mia coscienza che cercavo – ne avevo ancora bisogno – per giustificare razionalmente la mia apostasia. Nel profondo, vivevo in rivolta contro Dio. Non te ne rendevi conto. Mi hai sempre considerata cattolica. In quanto tale, anch'io volevo essere chiamata; ho persino pagato la quota della chiesa. Una certa "riserva" non poteva farmi male, pensavo.
Per quanto giuste fossero a volte le tue risposte, mi colpivano perché non dovevi aver ragione. Di fronte alla nostra relazione tesa, il dolore della nostra separazione era minimo quando il mio matrimonio ci aveva allontanati. Prima del mio matrimonio, mi sono confessata e ho ricevuto la comunione quell'ultima volta. Era una formalità. Mio marito la pensava come me. D'altronde, perché non avremmo dovuto adempierla? L'abbiamo adempiuta come qualsiasi altra formalità. Lo chiami "indegno". Dopo quella comunione "indegna", ho avuto più serenità. Quella è stata l'ultima.
La nostra vita matrimoniale procedeva generalmente in buona armonia. Condividevamo quasi ogni opinione. Anche questa: non volevamo imporci il peso dei figli. In fondo, mio marito ne voleva uno – naturalmente, non più. Alla fine sono riuscita a dissuaderlo da quell'idea. Preferivo abiti e mobili raffinati, ricevimenti per il tè, gite in macchina e divertimenti simili. Fu un anno di piaceri terreni tra il nostro matrimonio e la mia morte improvvisa.
Ogni domenica andavamo a fare un giro in macchina o a trovare i parenti di mio marito. (Allora mi vergognavo di mia madre). Nuotavano bene quanto noi, sulla superficie dell'esistenza. Interiormente, però, non mi sono mai sentita veramente felice. Qualcosa mi rodeva sempre l'anima. Desideravo che con la morte, che senza dubbio sarebbe stata ancora lontana, tutto finisse. Ma è come quando da bambina ho sentito una volta in un sermone che Dio ricompensa le buone azioni in questo mondo. Se non puoi ricompensarlo nell'aldilà, lo fai sulla Terra. Inaspettatamente, ricevetti un'eredità (da zia Lote). Mio marito ebbe la fortuna di vedere il suo stipendio considerevolmente aumentato. Così, potei arredare la nostra nuova casa con stile.
La mia religione era agli sgoccioli, come uno scorcio di tramonto nel firmamento lontano. I bar e i caffè della città, e i ristoranti che frequentavamo durante i nostri viaggi, non ci avvicinavano a Dio. Tutti coloro che li frequentavano vivevano come noi: dall'esterno verso l'interno, non dall'interno verso l'esterno. Visitando una famosa cattedrale in vacanza, cercavamo di deliziarci del valore artistico dei capolavori. Sapevo come neutralizzare il fervore religioso che irradiavano, soprattutto quelli medievali, scandalizzandomi in ogni circostanza della visita. Così, criticai un fratello laico che ci faceva da guida, accusandolo di essere un po' sporco e goffo; criticai il mestiere dei pii monaci che producevano e vendevano liquori; criticai l'eterno suono delle campane che chiamavano la gente alle chiese, dove tutto ruotava intorno al denaro.
Fu così che riuscii a respingere la grazia ogni volta che bussava alla mia porta. Lasciavo che il mio malumore si riversasse liberamente su qualsiasi cosa avesse a che fare con antiche rappresentazioni dell'Inferno in libri, cimiteri e altri luoghi, dove si vedevano demoni friggere anime nel fuoco rosso o giallo, e i loro complici dalla lunga coda procurare loro sempre più vittime. Clara, l'Inferno può essere disegnato male, ma non dovrebbe mai essere esagerato. Soprattutto, ho sempre deriso l'immagine dell'Inferno. Ricorda come, in una conversazione a riguardo, ti ho messo un fiammifero acceso sotto il naso, prendendoti in giro: "Ecco che odore!"
Hai spento la fiamma il prima possibile. Qui, nessuno può spegnerla. Ti dico di più: il fuoco di cui parla la Bibbia non significa tormento di coscienza. Fuoco significa fuoco. Deve essere inteso nel suo vero senso, quando Egli dichiarò: "Allontanatevi da me, maledetti, nel fuoco eterno". Letteralmente! Come può lo spirito essere toccato dal fuoco materiale? Ti chiedi. Come può allora la tua anima soffrire sulla Terra, tenendo il dito nella fiamma? Nemmeno la tua anima è bruciata, ma quale dolore deve sopportare l'uomo intero! Allo stesso modo, noi siamo qui legati al fuoco nel nostro essere, nelle nostre facoltà. La nostra anima è privata del suo volo naturale; non possiamo pensare o volere ciò che vogliamo. [S. Th. Suppl. q. 70, a. 3, r.: "Il fuoco dell'Inferno tormenta lo spirito con ciò che gli impedisce di fare ciò che vuole; non può agire dove vuole e quanto vuole."]
Non cercare di chiarire il mistero contrario alle leggi della natura materiale: il fuoco dell'Inferno arde senza consumare. Il nostro più grande tormento sta nel sapere con esattezza che non vedremo mai Dio. Quanta tortura può derivare da ciò che ci è stato indifferente sulla terra! Mentre il coltello è sul tavolo, ti lascia indifferente. Ne vedi il filo, ma non lo senti. Ma lascia che il coltello tocchi la tua carne e griderai di dolore. Ora sentiamo la perdita di Dio; prima la vedevamo solo. ["La separazione da Dio è un tormento grande quanto Dio stesso" (Frase attribuita a Sant'Agostino).
Non tutte le anime soffrono allo stesso modo. Quanto più qualcuno è stato frivolo, malvagio e determinato nel peccare, tanto più la perdita di Dio pesa su di lui e tanto più si sente torturato per la creatura abusata. I cattolici condannati soffrono più di quelli di altre fedi perché generalmente hanno ricevuto e sprecato più luce e grazia. Chi sapeva di più soffre di più di chi aveva meno conoscenza. Chi ha peccato per malizia soffre di più di chi è caduto per debolezza. Ma nessuno soffre più di quanto merita. Vorrei che questo non fosse vero, così avrei motivo di odiare!]
Una volta mi hai detto: nessuno cade all'Inferno senza saperlo. Questo è stato rivelato a un santo. Ho riso, eppure mi sono trincerato in questa riflessione: in tal caso, avrei avuto abbastanza tempo per convertirmi – questo è quello che ho pensato tra me e me. L'affermazione è appropriata. Prima della mia fine improvvisa, certamente non conoscevo l'Inferno per come è veramente. Nessun essere umano lo conosce. Ma ero perfettamente consapevole di questo: se muori, entrerai nell'eternità come uno che si è ribellato a Dio. Ne subirai le conseguenze.
Come ho già detto, non sono tornata indietro, ma ho perseverato nella stessa direzione, spinta dall'abitudine, con cui gli uomini agiscono tanto più calcolatamente e regolarmente quanto più invecchiano. La mia morte è avvenuta nel modo seguente: una settimana fa – parlo secondo il tuo conteggio, perché calcolando i dolori, avrei potuto bruciare all'Inferno già da dieci anni – è trascorsa una settimana da quando io e mio marito abbiamo fatto un'escursione di domenica, che è stata la mia ultima. Il giorno era spuntato radioso. Mi sentivo bene, come raramente accade. Tuttavia, un sinistro presentimento mi attraversò la mente... Inaspettatamente, durante il viaggio di ritorno, io e mio marito, che era alla guida dell'auto, siamo stati accecati dalla luce di un'auto che proveniva nella direzione opposta a grande velocità. Mio marito ha perso il controllo.
Gesù! Ho rabbrividito. Non come una preghiera, ma come un urlo. Ho sentito un dolore lancinante da compressione – una sciocchezza rispetto al tormento attuale. Poi ho perso conoscenza. Strano! Quella stessa mattina, inspiegabilmente, mi venne in mente un'idea: finalmente potevi andare a Messa ancora una volta. Mi sembrò una supplica. Il mio "No" chiaro e deciso recise il filo di quell'idea. Dovevo porre fine a tutto questo definitivamente. Ne assumo tutte le conseguenze. Ora le sopporto. Sai cosa è successo dopo la mia morte. Il destino di mio marito, di mia madre, del mio cadavere e della mia sepoltura, tutto ti è noto fin nei minimi dettagli, come io lo so per un'intuizione naturale che tutti possediamo.
Del resto, che accade nel mondo, abbiamo solo una conoscenza confusa. Ma ciò che ci ha toccato da vicino, lo sappiamo. Così so anche dove ti trovi. ["Le anime dei defunti non hanno una conoscenza certa dei dettagli, ma solo una vaga conoscenza generale della natura materiale." (S. Th. Suppl. q. 98, a. 3).]
Mi sono svegliata dall'oscurità al momento della mia morte. Mi sono improvvisamente trovata avvolta da una luce accecante. Era nello stesso luogo in cui si trovava il mio cadavere. Accadde come a teatro, quando all'improvviso le luci si spengono, il sipario si apre rumorosamente e appare la scena tragicamente illuminata: la scena della mia vita. Come in uno specchio, vidi la mia anima. Vidi grazie calpestate, dalla giovinezza fino all'ultimo "No" dato a Dio. Fui colto dall'impressione di un assassino condotto in tribunale davanti alla sua vittima senza vita. - Pentirsi? Mai! [St. Th. Suppl. q. 98, a. 2, r.: "I malvagi non si pentono propriamente dei loro peccati, perché vi sono maliziosamente attaccati. Si pentono, tuttavia, mentre vengono puniti con le pene del peccato."]
Vergogna? Mai! Eppure non mi era nemmeno possibile rimanere al cospetto di Dio, rinnegato e riprovato da me stesso. Una sola cosa mi rimaneva: la fuga. Come Caino fuggì dal cadavere di Abele, così la mia anima si gettò lontano da quella vista orribile. Questo fu il Giudizio particolare. Il giudice invisibile parlò: "Vattene!". Immediatamente la mia anima cadde, come un'ombra sulfurea, nel luogo del tormento eterno. ["È certo che l'Inferno è un luogo determinato. Ma dove si trovi quel luogo, nessuno lo sa."
L'eternità delle pene dell'Inferno è un dogma: sicuramente il più terribile di tutti. Ha le sue radici nella Sacra Scrittura. Cfr. Mt 25,41 e 46; 2 Tess 1,9; Gd 13; Ap 14,11 e 20,10; [Sono tutti testi inconfutabili, in cui "eterno" non può essere scambiato e interpretato come "lungo".] Se non fosse stato opportuno illustrare questo dogma in un caso particolare, nemmeno Nostro Signore stesso avrebbe chiesto di farlo nella parabola del ricco stolto e del povero Lazzaro. Lì ha fatto lo stesso che ha fatto qui: ha raffigurato l'Inferno e come si può cadere in esso. Non lo ha fatto per piacere sensazionale, ma spinto dalla stessa intenzione che ha dato origine a questa pubblicazione.
L'eternità delle pene dell'Inferno è un dogma: sicuramente il più terribile di tutti. Ha le sue radici nella Sacra Scrittura. Cfr. Mt 25,41 e 46; 2 Tess 1,9; Gd 13; Ap 14,11 e 20,10; sono tutti testi inconfutabili, in cui "eterno" non può essere scambiato o interpretato come "lungo". Se non fosse stato opportuno illustrare questo dogma in un caso particolare, nemmeno Nostro Signore stesso avrebbe chiesto di farlo nella parabola del ricco stolto e del povero Lazzaro. Lì fece la stessa cosa che ha fatto qui: descrisse l'Inferno e come si possa precipitarvi. Non lo fece per un piacere sensazionale, ma spinto dalla stessa intenzione che ha dato origine a questa pubblicazione.
Lo scopo di questo opuscolo trova la sua espressione nel seguente consiglio: "Scendiamo all'Inferno mentre siamo ancora vivi, affinché morendo non vi cadiamo". Questo consiglio rivolto a ciascuno non è altro che una parafrasi del Salmo 54: "Descendant in infernum viventes, videlicet, ne descendant morientes", che si trova in un'opera (erroneamente) attribuita a San Bernardo (Patr. Lat. Migne, vol. 184, Col. 314 b).]
Le ultime informazioni di Clara:
"Così terminava la lettera di Âni sull'Inferno. Le ultime parole erano quasi illeggibili, tanto erano storte le lettere. Quando ebbi finito di leggere l'ultima parola, l'intera lettera si trasformò in cenere. Cosa sento lì?"
Mai avevo provato tanta consolazione nel Saluto Angelico come dopo quel sogno. Recitai lentamente le tre Ave Maria. Allora mi divenne chiaro, cristallino: deve tenerti stretto, alla beata Madre del Signore, venerare Maria filialmente, se non vuoi subire la stessa sorte che ti ha predetto un'anima che non vedrà mai Dio, nemmeno in sogno. Spaventata e ancora tremante per la visione notturna, mi alzai, mi vestii in fretta e corsi nella cappella della casa. Il mio cuore batteva violentemente e irregolarmente. Gli ospiti, inginocchiati più vicini a me, mi guardavano preoccupati. Forse pensavano che, essendo scesa di corsa, fossi così agitata e rossa in viso.
Una gentile signora di Budapest, una grande sofferente, fragile come una bambina, miope, ma fervente nel servizio di Dio e di grande portata spirituale, mi disse in giardino quel pomeriggio: "Signorina, Nostro Signore non desidera essere servito sul treno espresso". Ma poi si rese conto che qualcos'altro mi aveva eccitato e mi preoccupava ancora. Aggiunse gentilmente: "Nulla ti turbi – conosci il consiglio di Santa Teresa – nulla ti spaventi. Tutto passa. La pazienza ottiene tutto! Chi possiede Dio non manca di nulla. Dio solo basta."
Quando sussurrò questo, senza alcun tono da insegnante, sembrò leggermi nell'anima. "Dio solo basta." Sì, Lui mi basterà, in questo mondo e nell'altro. Voglio possederlo un giorno, non importa quali sacrifici dovrò ancora fare qui per superarlo. "Non voglio cadere all'Inferno." Conclude Clara la sua spiegazione!
Ma noi, in perenne vigilanza contro le tenebre, sentiamo che il nostro lavoro non è ancora del tutto finito. In verità, il diavolo è astuto, subdolo, persistente e pieno di idee malvagie. E quindi, ogni suo nuovo trucco, ogni mossa che tenta di ingannare i figli della Luce, dobbiamo essere tutti pronti a denunciarlo.
L'Inferno esiste! L'Inferno è eterno! L'Inferno è terribile!
Caro lettore, credo che per oggi basti!
Aaron!
FINE

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