Il diavolo, nemico di Dio e dell’uomo, cerca sempre di togliere l’onore a Dio e di allontanare da lui
l’uomo inducendolo al male. San Tommaso d’Aquino afferma che il compito specifico del demonio
è quello di tentare l’uomo23, anche se d’altra parte si deve tener presente — e san Tommaso lo dice
espressamente — che non tutte le tentazioni che assalgono l’uomo vengono dal demonio.
L’uomo, che porta in sé le conseguenze del peccato originale, è spesso vittima della sua
concupiscenza e delle sue passioni «che lo attraggono e lo seducono» (Gc 1,14). Tuttavia è sempre
vero che la maggior parte delle tentazioni derivano dal diavolo: «Non abbiamo da lottare contro la
carne e il sangue — scrive san Paolo — ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di
questo mondo tenebroso, contro gli spiriti maligni sparsi nell’aria» (Ef 6,11-12). E san Pietro
paragona il diavolo a un leone ruggente sempre in agguato cercando chi divorare (1 Pt 5,8).
Che il demonio tenti è fuori dubbio. Il suo nome stesso è «tentatore», in greco peiràzon, e la sua
attività principale è questa. E il «tentatore» per eccellenza — diceva Paolo VI — e fin da principio
non ha cercato altro che uccidere l’uomo. «Non è stato mai dalla parte della verità — afferma
ancora Gesù — perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso esprime veramente se stesso
perché è bugiardo e padre di menzogna» (Gv 8,44).
Non sempre è facile discernere quando la tentazione deriva dal demonio o da altra causa. Ci sono
tuttavia alcuni criteri e segni che ne fanno costatare con relativa certezza l’origine diabolica: quando
essa è repentina, violenta e tenace; quando non è stata posta nessuna causa prossima o remota, o
occasione volontaria capace di suscitarla; quando turba profondamente l’anima; quando finalmente
spinge a tenere segreta la propria pena anche, e soprattutto, a coloro che hanno una responsabilità e
il loro intervento sarebbe utile a superare la prova.
La tentazione, quando deriva dallo spirito del male, ha sempre l’impronta della violenza perché
viene da una forza esterna, perciò si impone con veemenza e le si resiste con maggiore difficoltà.
Ha pure l’impronta dell’improvvisazione in quanto si presenta il più delle volte senza farsi
annunziare da altri fatti e da altre circostanze che la favoriscano.
E interessante per noi vedere la genesi e lo svolgimento della tentazione, ossia quella che è
chiamata dagli specialisti la psicologia della tentazione. Ma prima sarà bene richiamare alcuni punti
importanti.
1) La tentazione non viene mai da Dio. Dio non tenta nessuno incitandolo al male. Se talvolta nella
Bibbia si dice che Dio «tenta», come è avvenuto per Abramo e per Giobbe, il termine «tentazione»
deve essere inteso in senso largo, come prova o esperimento, non allo scopo di aumentare la scienza
e la conoscenza di Dio, ma solo per accrescere la conoscenza dell’uomo.
Una difficoltà potrebbe nascere dal perché Dio, che lo potrebbe impedire facilmente, permetta al
demonio di tentare l’uomo con tutte le conseguenze disastrose che ne derivano, anzi perché
permetta al demonio di esistere potendolo distruggere, ed eliminare così alla radice il male da lui
prodotto. Si risponde che Dio ha creato tutte le cose buone e lascia sussistere tutto quello che ha
creato perché tutto deve, a un certo momento, servire all’esecuzione dei suoi fini misteriosi. Per
questo non distrugge nulla di ciò che ha fatto per non contraddire a se stesso e alle sue perfezioni, e
non distrugge neppure il diavolo e non lo priva della sua libertà di azione, pur conservandola entro
limiti invalicabili, per lo stesso motivo. Dio poi, nella sua sapienza infinita, sa far derivare il bene
anche dal male. Anche il demonio entra — contro voglia magari — in quest’ordine di idee. Anche
la tentazione, come vedremo, può avere effetti buoni.
2) Dio non permette mai che la tentazione sia superiore alla capacità di resistenza dell’uomo. Ogni
tentazione può essere vinta e superata quando sono adottati i mezzi che Dio non manca di dare a
coloro che li cercano: i sacramenti, la preghiera, la vigilanza e la mortificazione. Il demonio è più
astuto dell’uomo, ma è meno forte e può sempre essere vinto e reso innocuo quando la volontà di
resistere è reale e costante.
3) La tentazione, presa in se stessa, non costituisce una colpa. Anche Gesù Cristo è stato tentato. E
quando la tentazione è superata e vinta diventa un motivo di merito davanti a Dio, come ogni
vittoria riportata sul campo di battaglia è un motivo di promozione e di premio.
4) Tutti gli uomini, anche i più santi e i più perfetti, sono soggetti alle tentazioni: «La vita dell’uomo
è tentazione sopra la terra» si legge nel libro di Giobbe (Gb 7,1). L’anima sperimenta la tentazione
in tutte le fasi della vita spirituale. Nessuno può sfuggire, perciò nessuno se ne deve meravigliare, o
scandalizzarsi, o pensare di esser stato abbandonato a una triste sorte perché si vede oggetto di tante
difficoltà.
5) Tutti sono tentati, ma non tutti allo stesso modo e nella stessa misura e intensità. Vi sono i tentati
con molta violenza, e altri meno, i tentati con frequenza e altri di rado. Ciò può dipendere,
prescindendo dalla permissione di Dio, o dal temperamento e carattere dell’individuo, o
dall’educazione e formazione ricevuta, o dall’ambiente frequentato.
6) La tentazione può presentare spesso dei vantaggi non solo per la vittoria che ne segue e per il
merito che ne deriva, ma anche per la purificazione interiore e la miglior conoscenza di se stesso,
della propria incapacità e debolezza. Questi risultati provvidenziali e pratici della tentazione però
non derivano certo dal diavolo, che persegue sempre obiettivi del tutto diversi.
Lo studio psicologico della tentazione ci fa vedere nel suo complesso, cioè nella sua origine, nel suo
decorso e nel suo termine, tre fasi successive che, dopo sant’Agostino, gli specialisti in materia
chiamano: suggestione, dilettazione e consenso.
— Il primo passo è la suggestione. Suggestione vuol dire suggerimento, cioè influsso esercitato
sulla volontà di un altro fino a indurlo a fare ciò che, da sè, non sarebbe disposto a fare. Di solito la
suggestione è intesa in senso negativo come istigazione al male, e per questo viene di solito
attribuita al demonio.
Il procedimento della tentazione diabolica nelle sue tre fasi non è visibile, forse, con tanta evidenza
quanto nella strategia usata dal demonio nella tentazione della prima donna quale risulta dalle
pagine di Genesi. Il serpente, cioè il demonio, induce Eva alla disobbedienza appunto attraverso tre
fasi: l’insinuazione generica di mangiare tutti i frutti del giardino senza escluderne nessuno, perché
tutti dati all’uomo che se ne può servire senza nessuna limitazione. In un secondo tempo ecco
un’altra insinuazione più concreta: perché è stata data la proibizione di mangiare il frutto di quella
determinata pianta del paradiso? Una proibizione strana — egli dice — che a prima vista non trova
una spiegazione adeguata. Il discorso scivola, quasi inavvertitamente, su un terreno più scabroso, su
un tema più delicato che preparerà meglio la seconda fase, la dilettazione del senso, e, infine, la
terza, il consenso della volontà e la caduta. Eva, accortasi del tranello, avrebbe dovuto allontanarsi
subito dal pericolo e troncare la conversazione per salvarsi. Invece rimase là e continuò a parlare e
ascoltare ad ignorando che il diavolo, in fatto di «logica», supera sempre l’uomo:
Forse tu non pensavi ch’io loico fossi
(Inf. 2,123)
dice trionfante il diavoletto a Guido di Montefeltro. Nel terzo tempo ecco la proposta diretta del
peccato. Eva ha ceduto troppo terreno al nemico ed ora è troppo tardi per resistere al colpo: «Iddio
sa che quando mangerete del frutto proibito si apriranno i vostri occhi e diventerete come lui,
conoscendo il bene e il male». Dietro il peccato si nasconde la felicità — insinua il demonio — il
peccato è un bene, segna un progresso per l’uomo, è la manifestazione della sua libertà e della sua
personalità.
— Siamo così alla seconda fase, la dilettazione. La parte inferiore dell’uomo si piega istintivamente
verso il male e ne prova in certo senso diletto. La tentazione non è ancora accettata dalla volontà,
ma piace già e in certo senso è desiderata. Sono i desideri della carne contro i desideri dello spirito
di cui parla san Paolo. Finché la dilettazione rimane tale, senza il consenso, non è ancora peccato,
ma il pericolo è gravissimo. È come camminare a occhi bendati sull’orlo di un precipizio col
pericolo di cadervi a ogni istante.
Eva, sentendo la proposta del serpente, commette una seconda grave imprudenza. Alza gli occhi
verso l’albero proibito e «osservò che il frutto dell’albero era buono a mangiare e piacevole a
vedere e appetibile per acquistare conoscenza». La tentazione porta sempre con sè un conflitto
interiore, la lotta tra il bene il male, l’esitazione, la paura, e nello stesso tempo l’inclinazione a fare
la nuova esperienza per vedere che cosa capiterà dopo, e, eventualmente, chissà, tornare poi indietro
e domandare perdono a Dio. Dio è tanto buono e misericordioso che non rigetta mai chi si rivolge a
lui.
— Ma la lotta a questo punto dura poco e arriva presto alla terza fase conclusiva, il consenso, il sì
della volontà, l’accettazione in pieno del male proposto dal tentatore. «Eva — dice il sacro testo —
ne colse un frutto e ne mangiò e ne diede al suo marito insieme con lei, ed egli pure ne mangiò».
Quello che avvenne dopo il peccato è noto: la disillusione, la scoperta della propria nudità, la paura
di Dio, la vergogna, il rimorso, il castigo, la vita raminga sulla terra diventata nemica, i dolori, le
malattie, la morte.
Se la tentazione a un certo momento tocca tutti senza eccezione e nessuno la può sfuggire, possa
almeno la conoscenza della tattica usata dal nemico — che è sempre più o meno la stessa in tutti i
casi — mettere sull’allarme e aiutare alla difesa dai suoi assalti. Un proverbio inglese, condito
dell’abituale umorismo di quel popolo, dice che quando si pranza col diavolo bisogna prendere un
cucchiaio col manico molto lungo. E somma prudenza conservarsi a debita distanza da certi
individui. Chi vuol giocare col diavolo a chi è più furbo ha già perduto la partita prima di
cominciarla.
Caolo Calliari