mercoledì 9 gennaio 2019

Vita interna di Gesù Cristo



rivelata alla serva di Dio Maria Cecilia Baij


Dell’andata di Gesù in Bethania dove risuscitò Lazzaro e di ciò che in tale occasione operò
 nel suo interno sino al ritorno in Gerusalemme, dove fu ricevuto con rami di olivo e con gran festa della turba.

MALATTIA E MORTE DI LAZZARO 

Mentre stavo con i miei discepoli nelle terre e nei castelli intorno a Gerusalemme, predicando 
ed istruendo quelle popolazioni, con maggior sollecitudine ed amore, onde prepararle a soffrire 
il gran colpo per la mia perdita, s infermò Lazzaro, fratello di Marta e di. Maddalena, mie 
discepole ed amorevoli albergatrici. Avendo esse inteso che io stavo non molto lontano, mi 
fecero avvisato  dell’infermità  del  loro fratello,  col  dirmi,  che  colui  che  io  armavo si  era 
infermato. Esse non avevano ardire di mandarmi a chiamare, perché sapevano che gli Scribi e i 
Farisei mi perseguitavano a morte; quindi temevano che io potessi cadere nelle loro mani. 
Inoltre avevano ferma fiducia che io anche da lontano avrei potuto guarire Lazzaro dalla sua 
grave infermità, col comandare a quella che lo lasciasse libero. Pensavano anche che per 
l’amore che gli portavo, sarei andato in persona a vederlo e a rendergli la salute, perché 
sapevano che, volendolo, io avrei potuto sempre liberarmi dalle mani dei miei nemici, pur 
trovandomi fra di loro. Ricevuto pertanto l’avviso, mandai a dir loro che sarei andato. Ma mi 
trattenni  coni  miei  apostoli  per  altri  dure  giorni,  seguitando  ad  istruirli.  Volli  in  questa 
circostanza operare non solo il miracolo della resurrezione di Lazzaro, ma dare anche una prova 
dell’amore che a me portavano le due sorelle, restando forti nel travaglio, e dando esempio a 
tutti i miei seguaci sul comportamento che debbono tenere nei travagli, quando sembri che io li 
abbia abbandonati e mi sia di loro scordato. Mi stavano ad aspettare con gran desiderio le due 
sorelle, ed io pur udendo i loro gemiti e le loro suppliche, mi trattenevo di andarle a consolare. 
Sentivo però una grande compassione di esse, e pregavo il divin Padre di consolarle. Morì 
Lazzaro, ed io, conoscendo il travaglio grande di Marta e Maria, intesi pena nel vederle in tanta 
afflizione, ma godevo nel saperle tanto rassegnate, incapaci di un minimo lamento verso di me, 
pur non ignare che poteva consolarle, col liberare il fratello dalla morte. Tutte rimesse alla 
divina volontà, dicevano fra di loro: il nostro buon Maestro non ci ha consolate col dar la salute 
al nostro fratello, perché non l’abbiamo meritato, o perché questa sarà stata la volontà del suo 
divin Padre. Desideravano però tanto di vedermi, di parlarmi e di essere da me consolate, 
massime la Maddalena, che sì ardentemente mi amava.

OPERA DEL DEMONIO ASSISTENZA DI GESÙ 

Né vi mancò in tale occasione chi loro rinfacciasse la molta cordialità e carità usate verso di me 
e dei miei apostoli, dicendo che nel maggior loro bisogno io le avevo abbandonate, che mentre 
davo a tutti La salute, solo al loro fratello l’avevo negata, che io le ripagavo con ingratitudine, e 
non ero quello che esse mi ritenevano. Varie altre cose dicevano ad esse per mettermi in loro 
disgrazia. Il nemico infernale si adoprava, quanto poteva, per turbare quelle anime con le 
suggestioni, istigando i miei avversari a parlare contro di me, acciò le due sorelle non avessero 
in  conto  alcuno  la  persona  mia,  e  si  ritirassero  dal  bene  incominciato,  specialmente  la 
Maddalena, per la quale egli molto fremeva, perché a causa della di lei conversione aveva fatuo 
perdita di tante altre anime, che, per il suo esempio, avevano incominciato a vivere bene, 
essendosi ritirate dal male. Tutto ciò io vedevo ed udivo, e non mancavo di porgere suppliche al 
divin Padre per le due sorelle, acciò le assistesse con la sua divina grazia, le illuminasse e 
fortificasse nella fede. E difatti non mancò il divin Padre, di consolarle con la sua grazia, di 
illuminarle e di confortarle, ed esse, sempre forti e costanti nell’amore e nella fede verso di me, 
stavano con speranza certa che io sarei andato a consolarle. In questa circostanza, non mancai 
di pregare il divin Padre per tutti i miei fratelli, massime per i miei seguaci, perché desse loro la 
sua grazia, i suoi aiuti ed i suoi divini lumi in tali occasioni. E vidi che molti sarebbero stati 
travagliati in vari modi e dalla gente perversa rimproverati per gli ossequi e le servitù prestate al 
Padre mio ed a me, mentre, in tempo di bisogno, restano da noi abbandonati, e non vengono 
esaudite le loro suppliche. Vedevo che si sarebbe molto affaticato in questo officio il demonio, 
per farli, con le sue suggestioni, cadere In diffidenza, e mancar di fede nella divina bontà e 
misericordia. E vidi che in tale occasione, il nemico infernale procurerebbe di mettere l’odio 
contro di me nell’animo di coloro che mi servono e mi imitano, tacciandomi di crudele, di 
spietato. Vedendo allora tutto questo, orai al divin Padre, e lo supplicai del suo aiuto e della 
grazia per tutti quelli che sarebbero stati in tal modo travagliati e tentati. Vidi, che il divin Padre 
non avrebbe mancato di dare a tutti il lume, le grazie e gli aiuti particolari, perché possano 
vincere il tentatore, e rimettersi, in tutto e per tutto, a ciò che il divin Padre dispone e permette. 
Vidi ancora, come molti si sarebbero approfittati e ben serviti della suddetta grazia, lasciando 
confusa il nemico infernale. Io di ciò molto godetti e resi grazie al divin Padre. Intesi però 
dell’amarezza vedendo che molti si sarebbero lasciati vincere dal nemico infernale e dagli 
uomini perversi, non ascoltando le divine ispirazioni, non servendosi dellaa grazia che il divin 
Padre loro dà, lasciandosi trasportare dalla passione, per dare .più udienza ai suoi nemici, che ai 
lumi ed alla grazia dell’amoroso Padre. Ed io, allora, pregai di nuovo per essi ed offri al Padre i 
miei meriti, impetrando loro una maggior grazia. Vidi allora, che, per questa, molti si sarebbero 
ravveduti, e, pentiti, si sarebbero rimessi, in tutto e per tutto, alla divina disposizione. Di ciò mi 
rallegrai  rendendo  grazie  al  divin  Padre,  benché  poi  non  mancasse  a  me  da  soffrire 
dell’amarezza nel vedere il gran numero di quelli, che si sarebbero abusati anche di questa 
maggior grazia. Ottenuto questo dal divin Padre, lo ringraziai a nome di tutti i miei fratelli che le 
avrebbero ricevute ed avrebbero corrisposto, pregandolo di consolarli con la sua divina grazia. 
Vidi, che il Padre l’avrebbe fatto, e di tutto lo lodai, benedii e ringraziai.

VERSO BETHANIA 

Essendo già seguita la morte di Lazzaro, mi avviai con i miei apostoli, verso Bethania, per 
operare il miracolo: Vedevo che per questo fatto, i Farisei si sarebbero più che mai infuriati, ed 
avrebbero procurato in tutti i, modi di darmi la morte, perché la gente credeva in me, e molti mi 
acclamavano. Con tutto ciò andai per eseguire la volontà del Padre, perché era arrivata l’ora di 
dar principio calla mia acerbissima passione. Rimiravo per la strada il discepolo traditore, che in 
breve mi doveva tradire, ed oh! quanta pena soffriva il mio Cuore! Non lasciai però di tirarlo in 
disparte ed avvertirlo che stesse bene attento, perché il demonio e la sua passione l’avrebbero 
vinto. Ma il discepolo non diede udienza alle mie parole, anzi, si offese, con dire, che solo a lui 
davo quegli avvertimenti. lo risposi che solo lui mi sarebbe stato traditore. E di nuovo con 
parole amorose l’avvertii. Ma lui, vantandosi di essere persona fedele, diceva che mai sarebbe 
caduto in quel mancamento di cui tanto lo avvertivo. Il vedere, come Giuda stava forte nel suo 
pensiero, e che tanto di sé presumeva, mi era di una più dura pena. Volli tuttavia fare con 
questo traditore tutte le parti, perché stesse attento e non si lasciasse vincere. Ma niente 
giovò, perché da principio incominciò a non dar credito alle mie parole. Vedevo, nella persona 
di Giuda, tutti coloro che non ascoltano, anzi disprezzano chi li ammonisce; e li avverte a stare 
attenti, acciò non cadano in errore. Ed anche di questi sentivo pena e supplicai il divin Padre ad 
illuminarli, onde conoscano chi li avverte per loro bene e diano orecchio e credito alla loro 
ammonizione, affinché venendo assaliti dalla passione che li predomina e dalla tentazione, 
stiano ben preparati, e non si facciano vincere. E vidi che molti si sarebbero prevalsi dei lumi 
che loro avrebbe dato il Padre mio, restando vincitori dei loro nemici e delle loro passioni: e che 
altri si sarebbero arresi ad udire volentieri coloro che, per loro bene, li,ammoniscono. Perciò 
pregai il divin Padre ad ispirare alle persone dabbene, che si applichino nel santo esercizio, di 
ammonire i delinquenti e di non desistere, quantunque vedano che essi non danno orecchio 
alle loro ammonizioni, perché col perseverare, avranno buon esito le loro esortazioni, o almeno 
potranno acquistare molto merito per la carità usata al loro prossimo errante. E vidi che il divin 
Padre l’avrebbe fatto. Ne intesi consolazione e lo ringraziai. Seguitando pertanto il viaggio 
verso Bethania, dissi ai miei discepoli, che io andavo a svegliar Lazzaro dal sonno Ed essi non 
avrebbero voluto, dicendomi, che per questo non occorreva che io andassi in Bethania, né mai 
conveniva farlo, sapendo che gli Scribi e i Farisei mi volevano uccidere. Non capirono essi il mio 
parlare, perciò dissi loro chiaramente, che Lazzaro era morto. Si stupirono; avendo io detto 
prima, che non sarebbe morto, non essendo quell’infermità per dargli la morte, ma perché il 
Figlio di Dio doveva restar glorificato per mezzo di essa. Solevo chiamar sonno quella morte, 
perché è la morte dei giusti; infatti se muore il corpo, vive l’anima vita di grazia. Seguitando 
pertanto a ragionare con i miei apostoli ed istruirli sopra di questo, mi avvicinai a Bethania.

IN BETHANIA 

Entrato, fui da molti riconosciuto, e fu dato avviso a Marta del mio arrivo. Tutti dicevano, che 
pero venuto quando non potevo più consolare le due afflitte sorelle, con rendere la sanità al 
fratello, perché già era putrefatto nel monumento. Con tutto ciò, vi furono molti che si 
rallegrarono del mio arrivo, per il desiderio che avevano di udire la mia predicazione e di vedere 
i  miei  miracoli.  Inteso  Marta  del  mio  arrivo,  si  licenziò  subito,  e  venne  ad  incontrarmi, 
facendone  dare  avviso  anche  a  Maddalena,  la  quale  si  tratteneva  con  molte  persone 
ragguardevoli, che erano venute da Gerusalemme, a visitarla e condolersi della morte del 
fratello. Arrivata Marta alla mia presenza, dolente mi disse, che il suo fratello era morto, e che 
se ci fossi stato io non sarebbe morto. Io le risposi: Vostro fratello risusciterà. Ed ella, credendo 
che parlassi della risurrezione generale, mi rispose: « lo so che risusciterà nella generale 
risurrezione ». Dissi a lei: « Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, vivrà, quand’anche 
fosse morto, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno ». E le chiesi se ciò credeva. 
Rispose che aveva già creduto che io ero il vero Figlio di Dio vivente, venuto al mondo. Intanto 
fu avvisata Maddalena, che si tratteneva con quelli che erano venuti da Gerusalemme per 
consolarla. Le dissero che io ero venuto, ed ella subito si alzò, e corse veloce a trovarmi. Le 
persone che erano con lei la seguirono. Arrivata alla mia presenza, si gettò ai miei piedi, 
conforme era solita, e li baciò. A questo fatto rimasero ammirati coloro che la seguivano. Tutta 
dolente  per  la  morte  del  fratello,  piangeva  con  Marta  sua  sorella;  ed  anche  gli  astanti 
piangevano per compassione.

GESÙ PIANGE E VA AL SEPOLCRO 

Vedendo il loro dolore, versai lacrime, lasciando che la mia umanità facesse testimonianza 
dell’amore che portavo loro, per cui molto le compativo, benché le mie lacrime non fossero 
senza mistero, come sentirai. Riavutasi Maddalena alquanto dal piangere, mi disse: Maestro se 
voi foste stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Io le risposi che si consolasse, perché in tal 
fatto  Iddio  voleva  restare  glorificato.  Tutti  i  presenti,  nel  vedermi  lacrimare,  unitamente 
dicevano: «Guardate fino a qual segno l’amava, sino a sparger lacrime per la morte di lui e per 
compassione delle due sorelle». Apportarono grande ammirazione le mine lacrime anche gai 
miei apostoli, perché non ero salito versarle. E perciò dicevano: «Quanto il nostro Maestro 
amava Lazzaro! Anche lui piange con le sorelle! ». Tutto io penetravo. Intanto, stando tutti quivi 
dolenti, chiesi dove stesse Lazzaro e che mi conducessero da lui, al suo sepolcro. Le sorelle e gli 
altri mi consigliarono di andare prima a prendere qualche riposo, essendo arrivato molto stanco 
ed afflitto con i miei discepoli. Ma io volli andare subito al luogo dove stava il defunto. Mi 
condussero al sepolcro, Seguendomi tutti gli astanti, per vedere che cosa io avrei operato. 
Secondo il mio solito. nell’andare dava loro vari documenti, con la mia solita sapienza, per la 
quale restavano tutti ammaestrati. Frattanto rivolsi le mise suppliche al Padre, pregandolo e 
volersi degnare di restituire il fratello defunto alle due afflitte sorelle, facendo sì che al mio 
comando, l’anima si riunisse al corpo del defunto; onde restasse glorificato Lui, ed io, per sua 
gloria; ed ognuno conoscesse, che io pero il vero Messia da Lui mandato, e che la vita e la 
morte stavano in mio potere, come aveva Egli voluto; che infine per il detto miracolo, si fossero 
convertiti molti dei presenti. Mi compiacque il divin Padre di quanto richiesi. Nella morte di 
Lazzaro, vidi tutti coloro che sarebbero morti alla grazia per il peccato, e che poi sarebbero 
risorti a vita di grazia per la penitenza. E nel vedere la morte di tante anime, versai lacrime, per il 
dolore grande che ne intesi, ed offri le mie lacrime al divin Padre. E perché erano di valore 
infinito, il Padre si degnò di concedermi quanto per esse gli domandai, di essere cioè liberale nel 
dare la sua grazia al peccatore contrito, affinché si convertisse, ed il lume per conoscere i suoi 
errori. Vidi che il Padre l’avrebbe eseguito fedelmente, in virtù delle offerte che gli feci, le quali 
furono a Lui molto gradite. Vedendo allora tutte le anime che sarebbero risorte a vita di grazia, 
ne intesi molta consolazione, e ne lodai e ringraziai il divin Padre. Intesi però dell’amarezza nel 
vedere, che molti avrebbero abusato della detta grazia, rimanendo sepolti nelle loro iniquità. 
Pier il che io di nuovo sparsi lacrime che offri al Padre, supplicandolo di una maggior grazia per 
tutti quelli che non avrebbero voluto convertirsi. E vidi, che il Padre avrebbe dato la suddetta 
grazia agli ostinati, e che per la medesima grazia molti si sarebbero ravveduti tornando a vivere 
con Dio. Io ne godei moltissimo e ne resi grazie al divin Padre; restando però in me l’amarezza 
nel vedere che un gran numero sarebbero rimasti sepolti nella loro iniquità, senza mai risorgere 
a vita di grazia. Conobbi ancora che per la risurrezione dl Lazzaro, gli Scribi, i Farisei, i Sacerdoti 
e gli Anziani si sarebbero molto più infuriati contro di me, che avrebbero radunato un gran 
concilio, determinando in tutti i modi di darmi la morte. Con tutto ciò non lasciai di fare il 
miracolo, sebbene sapessi che i malvagi ne avrebbero preso motivo per levarmi la vita. Pregai il 
divin Padre a dare virtù e grazia ai miei fratelli e seguaci, ad operare il bene ed a beneficare i 
loro prossimi, pur conoscendo che per far questo, dovranno soffrire persecuzioni e travagli, e 
forse  anche  perdere  la  vita;  grazia  ancora  per  fior  ciò  costantemente,  sicuri  dell’eterna 
retribuzione nel Regno dei cieli. Vidi allora tutti coloro che avrebbero sostenuto travagli, 
:persecuzioni ed anche la morte dagli iniqui, per beneficare i prossimi, sia nello spirituale che nel 
temporale. Per gessi pregai di nuovo il Padre ad abbondare con la sua grazia e con gli aiuti 
divini. E vidi, che il Padre l’avrebbe fatto con grande amore, ed io gliene resi grazie a nome di 
tutti.

RISURREZIONE DI LAZZARO 
Arrivati pertanto al sepolcro, dove giaceva il defunto, ordinai che si levasse la lapide, che lo 
copriva. A quest’ordine risposero, che il cadavere era già putrido, per essere passati già quattro 
giorni. Con tutto ciò ubbidirono al mio comando. Levata la lapide, alzai gli occhi al cielo, 
invocando di nuovo l’aiuto del divin Padre. Feci questo, non già perché non avessi il dominio 
sopra la vita e la morte, essendo come Dio uguale al .Padre, ma per mostrarmi in tutto e per 
tutto Figlio a Lui soggetto. Lo ringraziai della potestà che mi aveva dato, e con voce imperiosa, 
dissi: Lazzaro vieni fuori! ordinando nello stesso tempo all’anima di ritornare a ravvivare quel 
putrido corpo, ed al corpo di riprendere il suo primo vigore (1). Detta la parola, subito il defunto 
si alzò, ed uscì dal sepolcro perfettamente sano. Ordinai che fosse sciolto dai legami ed altro 
con cui solevano coprire i morti; e subito cominciò a camminare ed a lodare la persona mia, e il 
divin Padre, che mi aveva mandato nel mondo. A questo fatto restarono tutti ammirati, pieni di 
stupore, ed unitamente lodavano la persona mia, restando il divin Padre glorificato in me. Le 
due  sorelle,  ripiene  di  consolazione,  magnificavano  il  divin  Padre  e  la  persona  mia, 
dichiarandomi  pubblicamente  per  vero  Messia  e  vero  Figlio  di  Dio.  Molti  degli  astanti 
credettero in me, e tutti glorificavano e lodavano il Padre che mi aveva mandato loro, dicendo: 
Veramente questi è il Messia promesso: le opere sue mirabili ce lo dimostrano chiaramente! 
Resi pio le grazie al divin Padre e parti con tutti gli astanti, tornando tutti a casa di Marta e di 
Maddalena con il loro fratello. Per il cammino andavo loro narrando le grandezze del mio Padre 
celeste: la potenza, la sapienza, 1a bontà, e tutti gli altri suoi attributi. Corse tutta la gente del 
paese, per vedere Lazzaro risuscitato, ché si era divulgata la fama e tutti restavano attoniti e 
stupiti, chiamandomi gran Profeta e Messia promesso.

CONCILIABOLO DEI FARISEI 

Corse subito avviso di ciò, in Gerusalemme, e inteso il fatto, gli Scribi e i Farisei, si adunarono 
tutti, e presi dal timore, nel vedere che molti credevano in me, per le opere stupende e 
prodigiose che facevo, dicevano fra di loro: Cosa facciamo noi? Qui non si deve prender riposo. 
Quest uomo fa molti prodigi. Ecco, tutti crederanno in Lui, e verranno i Romani e ci leveranno i 
nostri posti. Bisogna in tutti i modi procurare di levarlo dal mondo. Tutto ciò dicevano fra di 
loro, ma intanto non sapevano come fare per avermi nelle loro mani. Dicevano: Costui è un 
grande incantatore, perché non vi è alcuno cui basti l’animo di porgli le mani addosso. A noi non 
è giovato di metter la taglia a chi ce lo avesse dato in mano. È un gran seduttore, che seduce 
tutto il popolo. Dove va, perverte tutti. Ciò dicevano infuriati, fremendo, quasi leoni affamati 
per divorarmi. Io vedevo e sentivo tutto ciò, e molta era l’angustia del mio Cuore, per tanta 
malignità e durezza. Sentivano parlare delle opere mie meravigliose, avevano udito la mia 
divina sapienza, sapevano che quasi tutti credevano in me, avevano chiari segni della mia 
Divinità, eppure sempre più si facevano accecare dalla loro rea passione. E per i lumi divini, che 
lo impetravo loro dal Padre, capivano chiaramente la mia santità, la mia innocenza ed anche la 
mia Divinità, e si fermavano alquanto in queste riflessioni; ma usciva subito la loro passione 
dominante, e scacciava via tutti i lumi e le riflessioni buone. Allora dicevano Non sia mai, che noi 
ci abbiamo da soggettare a costui, vile, malnato, vagabondo, indemoniato, che sempre è stato 
contrario alle nostre opere, e si ritira dalle nostre azioni, e le biasima come pessime. Costui è 
superbo, e pieno di malizia; si chiama Figlio di Dio, si gloria di avere la scienza divina. Che 
facciamo noi, scocchi, che non tentiamo tutte le vie per opprimerlo e levarlo dal mondo? E 
quivi, uniti insieme, facevano a gara, a chi più mi poteva ingiuriare e conculcare. E con atti di 
disprezzo battevano i piedi in terra, e dicevano: Se arriviamo ad averlo nelle mani, ha da essere 
da noi conculcato, e ha da star sotto ai nostri piedi. E fin d allora andavano premeditando di 
farmi tutti i disprezzi ed affronti, che poi mi fecero, per mezzo dei loro ministri, nel tempo della 
mia Passione.

CONSIGLIO E DECRETO DI MORTE 

Si accordarono tutti insieme, ed andarono in casa dei Caifa, pontefice d allora, in Gerusalemme. 
Gli raccontarono tutto, mascherando la loro passione con titolo di zelo, e quivi, in presenza del 
Pontefice , si fece il consiglio, e si determinò di darmi la morte, dicendo loro Caifa: è espediente, 
che quest’uomo muoia, acciò non perisca tutta la gente. A queste parole, tutti quelli del 
consiglio si rallegrarono, ed acclamarono con voci di giubilo il decreto. E così fu stabilito che io 
dovessi morire, e con questa, tutti partirono a dar ordine, che chi mi avesse trovato, mi avesse 
preso, e chi sapeva dove io dimoravo, l’avesse loro avvisato (1). Vidi ed intesi il consiglio e il 
decreto fatto contro di me; Vidi che il divin Padre aveva ciò decretato, e fatto dire al pontefice, 
quantunque iniquo, l’oracolo che io morissi, acciò non fosse perita la gente, e con la mia morte 
si fosse salvato il mondo. Sebbene il pontefice dicesse queste parole con altro senso, con tutto 
ciò fu profezia, che il divin Padre fece pronunziare a lui, benché nessuno degli astanti la capisse 
e l’interpretasse nel giusto significato. Chinai la testa all’udire detto decreto, e mi offri tutto al 
Padre, pronto a dar la vita per la salute del mondo, dicendo: Eccomi pronto, o mio divin Padre, a 
dar la vita, per la salute di quelli che la vorranno, anche se fosse per uno solo, pur sono pronto a 
morire per la di lui salute, e per eseguire in tutto il vostro divino volere. Perciò accetto volentieri 
la morte più ignominiosa, che mi sarà data dai miei, crudeli nemici, per la salute dei quali muoio 
volentieri, non escludendo neppur uno solo dal beneficio della redenzione, bramando che tutti 
si salvino. Perciò, vi prego, o mio divin Padre, a fare che tutti si valgano del beneficio, e se, per 
la salute delle anime, volete altro da me, eccomi pronto, sino a star penando per tutto il tempo 
che durerà il mondo, perché io mi soggetto in tutto al vostro divino volere. Gradì il divin Padre 
l’offerta; e dimostrandomi il sommo compiacimento che aveva in me, mi promise che avrebbe 
fatto tutto ciò che fosse stato necessario, onde tutti si fossero salvati; rammaricandosi però 
che molti non si sarebbero voluti approfittare del beneficio, ed avrebbero prese vane le molte 
grazie, ch Egli per amor mio, avrebbe loro compartito. Difatti allora vidi la moltitudine di coloro 
che si sarebbero perduti, e ne intesi grande amarezza. Ringraziai il Padre per tutte le grazie che 
avrebbe ad essi compartito, e gli offri i miei meriti, la mia pronta obbedienza al suo volere, in 
supplemento di tutte le loro mancanze, perché restasse soddisfatta e glorificata la sua divina 
bontà e misericordia. Mentre tutto ciò si faceva in Gerusalemme, io mi trattenevo in casa di 
Lazzaro con le due sorelle, predicando ed insegnando a tutto il popolo, che concorreva per 
udirmi. Venivano molti da Gerusalemme per udire la mia predicazione, e molto più per vedere 
Lazzaro risuscitato, i quali poi credevano nella mia dottrina.

FURORE DEGLI SCRIBI E FARISEI 

Ciò risaputa dagli Scribi e Farisei, determinarono anche di far dare la morte a Lazzaro (1). Molte 
cose determinarono, ma non poté loro riuscire cosa alcuna, perché non era ancora giunta l’ora 
del mio morire. Per quanto venisse della gente per farmi prigioniero, non poterono mai 
appressarsi alla persona mia, perché la maestà del mio aspetto li atterriva e li riempiva di 
timore, in modo che nemmeno si potevano trattenere alla mia presenza. Sapendo ciò gli Scribi 
e i Farisei, ne fremevano; come leoni non trovavano riposo né dì, né notte, ed andavano per la 
città come impazziti. Tanto arrivò a dominarli la passione e l’odio che mi portavano, che 
neppure si potevano cibare. Erano anche istigati molto dal demonio, il quale ruggiva e non 
poteva più soffrire di vedermi al mondo, per le continue perdite che subiva, e per la forza che 
gli faceva sentire ovunque 1a mia presenza. Per ciò anche i demoni facevano dei conciliaboli, 
per intendere se veramente fossi io il Figlio di Dio, ma non poté mai riuscire loro di saperlo; 
perciò istigavano i Farisei contro di me, e trovavano tutte le arti immaginabili, perché io fossi 
maltrattato, disonorato, perseguitato, acciò avessi dato in qualche atto di collera o di ira. Nel 
vedere la mia mansuetudine, l’umiltà, la pazienza, la carità verso tutti, restavano più che mai 
privi di forze ed avviliti, e perciò più infuriavano, non potendo capire donde venisse da me tanta 
virtù. E si affaticavano ad istigare i Farisei, perché mi avessero levato presto dal mondo. Io 
vedevo tutto, e pregavo il divin Padre a dar fortezza da quelli che credevano in me, perché egra 
tempo di tanta tribolazione per tutti i miei seguaci, i quali venivano maltrattati dai Farisei e dai 
loro aderenti, e guardati con sdegno e rancore. Vedevo che il Padre non mancava fidi fidare a 
tutti la sua grazia ed i suoi aiuti particolari. E di ciò godevo, pur nell’afflizione immensa che 
sentiva il mio cuore. Essendomi trattenuto qualche tempo in casa fidi Lazzaro, non lasciai di 
andare per i villaggi vicini a predicare e convertire quei popoli che si erano pervertiti per le 
minacce degli Scribi e idei Farisei. Era grande il frutto della mia parola.

CON MARIA 

Avvicinandosi perciò la Pasqua, nella quale dovevo morire, volli fare la mia solenne entrata in 
Gerusalemme. Prima però di partire fida Bethania, volli parlare con la mia diletta Madre, la 
quale con spirito profetico, tutto sapeva e vedeva. Bramavano anche le due sorelle, cioè, Marta 
e Maddalena, di vederla e di parlarle, come pure i più intimi miei apostoli e discepoli, perché 
avevano più volte sperimentato quanta consolazione provava il cuore loro nel vederla e nel 
sentirla; particolarmente Giovanni, da lei molto amato, per il privilegio singolare di purità che 
aveva. Invitai pertanto la diletta Madre a venire qualche giorno, prima che si celebrasse la 
Pasqua. Venne accompagnata dalle altre devote donne. Arrivata in casa delle suddette sorelle, 
e trattenutasi per qualche tempo con esse e con i miei apostoli in santi discorsi, si ritirò da sola 
a sola con me. Allora diede qualche sfogo al suo dolore ed al suo grande amore. Oh, quanto si 
doleva nel vedermi così afflitto nel miro interno, e sì affaticato e strapazzato nell’esterno, per i 
patimenti sofferti nella lunga predicazione! Spesso mi andava replicando: Amato Figlio, a qual 
segno vi ha ridotto l’amore, che portate al genere umano ! Oh, se potessi io sola soffrir tutti i 
vostri patimenti, quanto sarei contenta, purché non li soffriste voi, vita mia, mio vero bene, mio 
tesoro, mio Figlio e mio Dio! le rispondevo con grande amore, e la ringraziavo dell’amore 
inesplicabile che mi portava, e di quanto per me pativa nel suo interno: essendomi compagna 
fedelissima in tutte le mie pene. lo l’animavo e la incoraggiavo, dicendole: Preparatevi pure 
Madre mia diletta, a soffrire il gran martirio della mia passione, perché vedete che si avvicina il 
tempo della mia morte. Ah, cara Madre ! Consolatevi fra tante pene e martiri, perché voi sola 
non avete colpa alcuna. Tutti i figli di Adamo hanno qualche parte nella mia morte, benché chi 
più e chi meno; ma per la colpa originale tutti vi sono. Voi sola siete l’immune e la privilegiata fra 
tutte! Voi l’unica, la bella, la singolare! Voi sapete, che nessuno, benché santo, può entrare in 
cielo, se io, con la mia morte, non gli apra la porta. Perciò, consolatevi, cara Madre: per la mia 
morte resterà riscattato il mondo, e si riempiranno i seggi che, per tanti secoli, sono rimasti 
vuoti. Consolatevi, anche, perché così vuole il divin Padre! Ma, o mia cara Madre, nel vedere le 
vostre  pene,  si  accresce  l’angustia  del  mio  Cuore.  Voi,  colomba  innocente,  siete  tanto 
addolorata per i miei patimenti, e coloro che ne sono la causa, neppure vi riflettono. Anche 
questo accresce la pena del mio Cuore. Infatti, o Madre, ora è per noi tempo di patire molto. 
Ma consolatevi, che le nostre pene saranno di sommo gaudio a noti ed a tutti quelli che si 
varranno del beneficio della redenzione. Così consolavo la mia diletta  Madre, e l’andavo 
animando e preparando a più patire.

LASCIA BETHANIA 
Essendoci trattenuti per qualche tempo in detti colloqui, giunta l’ora in cui dovevo andare a 
Gerusalemme, per farvi la solenne entrata, lasciai la diletta Madre raccomandata alle due 
sorelle, e dando a tutti la benedizione, come ero solito nel partire, parti con i miei apostoli. 
Rivolto al Padre, lo pregai a volersi degnare di consolare tutti i miei fratelli afflitti, con le sue 
vinte interne, specialmente quelli che patiscono innocentemente, come pativa la mia diletta 
Madre, la quale, essendo senza colpa, soffriva per le colpe di tutti. Allora vidi tutti i fratelli che 
avrebbero patito innocentemente, e pregai il Padre di consolarli. Vidi, che il Padre l’avrebbe 
fatto con grande amore, e vidi anche ciò che loro teneva preparato. Del che molto godei, e resi 
grazie a nonne di tutti.

LUNGO LA VIA ISTRUISCE I SUOI 

Mentre mi avviavo con i miei apostoli verso un castello vicino a Gerusalemme (1), li andavo 
istruendo  sempre  più,  dicendo che  poco  più tempo mi  restava  da  star  con  essi,  quindi 
apprendessero bene quanto loro insegnavo, perché poi sarebbe venuto il momento in cui 
l’avrebbero dovuto manifestare al mondo. Si affliggevano molto i miei apostoli, e dicevano 
Maestro, anche noi vogliamo morire. Non ci basta il cuore di restar privi di voi, che siete tutta la 
nostra consolazione. Come avrete cuore di lasciarci così afflitti e derelitti? Li animavo con dir 
loro, che stessero di buon animo, e che sarei andato a preparare loro il luogo: e che sarebbe 
venuto il tempo, in cui dove stavo io sarebbero ancor essi; ma che prima dovevano patir molto 
come vedevano che pativo io loro capo e Maestro. Seguitando pertanto il viaggio in detti 
discorsi, essendo, sì io, come essi, stanchi e bisognosi di qualche refezione, trovando un albero 
di fichi, mi appressai ad esso per cogliere i frutti, mia non trovandone, lo maledissi, e l’albero si 
seccò (2). Di qui presi motivo di avvertire i miei apostoli, a star bene attenti a produrre frutti di 
sante operazioni, affinché non succedesse anche a loro una tale disgrazia. E parlando ad essi, 
intendevo di parlare anche a tutti i miei fratelli, onde tutti stiano vigilanti e solleciti a praticare 
atti di virtù e di sante opere, perché volendo il Padre divino cogliere da essi buoni frutti, non li 
trovi sprovvisti, e così restino da Lui abbandonati. Volli inoltre far conoscere il rigore della divina 
giustizia, acciocché stessero in. timore, e fossero solleciti della loro eterna salute. Essendo 
giunti al detto castello, mandai due miei discepoli a prendere un asina ed un puledro, che 
avrebbero trovato attaccai alla porta di un villaggio, avvertendoli che se alcuno avesse detto 
loro qualche cosa, gli avessero risposto che il Signore ne aveva bisogno. Ciò successe là ai miei 
due apostoli. Conducendo a me l’asina ed il puledro, spiegai il mistero: dovevo entrare in 
Gerusalemme in trionfo, perché si adempisse ciò che di me stava scritto (1).

L’INGRESSO TRIONFALE 

Pertanto i miei apostoli posero le loro sopravesti sopra l’asina, su cui mi posi a sedere (2); ed 
avviandomi verso la città, si sparse subito la voce che andavo a Gerusalemme. Ciò lo permise il 
divin Padre, ispirando alla turba di venire ad incontrarmi. Difatti, corrisposero all’ispirazione, e 
molti, cogliendo devi rami di olivo, ed altri spandendo i loro vestimenti in terra, cantavano 
unitamente l’osanna. Mentre la turba, con molti fanciulli degli Ebrei, cantava, benedicendo 
Iddio che avesse mandato loro il Re d Israele, anche i miei apostoli e discepoli, lodavano Iddio 
ad alta voce (1). Trovandosi presenti alcuni dei Farisei, mi dicevano, che almeno avessi fatto 
tacere i miei apostoli. Ai quali risposi che li avessero lasciati fare, perché se non l’avessero fatto 
essi, l’avrebbero fatto le stesse pietre (2). Nell’entrare in Gerusalemme, vennero a vedermi 
molti Ebrei, che credevano in me; e perché già si era sparsa la  fama del miracolo della 
resurrezione di Lazzaro, quasi tutta la turba, anche ebrea, mi lodava con voci e parole di giubilo, 
non facendo allora alcun conto del bando che avevano mandato gli Scribi e i Farisei con i 
magistrati contro di me. Tutto permise il mio divin Padre, perché si doveva adempire ciò che di 
me era scritto. Me ne andai quindi al Tempio, trattenendomi ad orare al Padre divino. Prima, gli 
offri l’umiltà con la quale avevo fatto la solenne entrata in Gerusalemme, in supplemento della 
superbia  mondana,  che  non  sa  mai  accomodarsi  alle  cose  vili  e  basse.  Vedevo  tutte  le 
grandezze delle persone, anche dedicate al culto divino ed il fasto della superbia; ne intesi 
pena, e pregai il divin Padre ad illuminare tutti e fame conoscere che la vera gloria consiste 
nell’umiltà, non nel fasto. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di darmi il detto lume e che 
alcuni se ne sarebbero approfittati, disprezzando il fasto e la superbia mondana. Di ciò mi 
rallegrai, benché intesi dell’amarezza nel vedere altri che se ne sarebbero abusati, perdendosi 
dietro al fasto e alla superbia mondana, e mostrando orrore all’umiltà e alla bassezza da mie 
praticata ed insegnata. Nell’entrare così in trionfo nella città di Gerusalemme, vidi la mistica 
Gerusalemme, cioè, le anime in cui sarebbe entrato trionfante il divin Padre con la sua divina 
grazia: perché, mentre le anime confessandolo per loro vero Dio, si rendono a Lui, il Padre 
torna a loro con la sua grazia. Di ciò intesi molta allegrezza, benché non mi mancò di soffrire 
dell’amarezza, nel vedere il gran numero di quelle che poi di nuovo l’avrebbero scacciato da sé 
per mezzo della colpa. E questa amarezza fu sì grande, che anche nella festa, che mi veniva 
fatta, mi tenevo molto afflitto. Mentre pregavo in tal modo il Padre supplicandolo della sua 
grazia per tutti i miei fratelli, si adunarono al Tempio molti ciechi e zoppi per essere sanati: i 
quali furono infatti da me graziati, benché vedessi che molti di essi si sarebbero voltati contro 
dei me, gridando a Pilato che mi facesse morire. Con tutto ciò, non lasciai di beneficare tutti 
quelli che venivano a me. Essendo andati alcuni gentili dai miei apostoli, onde li avessero 
condotti da me, perché bramavano parlarmi, li feci venire e li istruii con amore come ero solito 
fare con tutti (1). Dissi molte parabole: del frumento, che se non cade in terra e muore, non 
produce frutto, ma resta solo (2); del Re, che fece le nozze al figlio, ed altre (3). Trovandosi 
presenti alcuni Scribi e ministri del Tempio, dissi anche quella del buon Pastore, facendo loro 
conoscere che io ero il vero e buon Pastore, venuto a dare la vita per salvare il mio gregge, e 
che essi erano mercenari ipocriti e falsi (4). Dal che, infuriati, uscirono dal Tempio.

RIUNIONE DEL SINEDRIO 

Mentre stavo al Tempio, si sparse la voce del solenne ricevimento. Ciò inteso, gli Scribi e i Farisei 
si radunarono di nuovo tutti in casa di Caifa pontefice, fremendo di rabbia contro di me ed 
anche contro la turba e la plebe. Ma i consigliarono che non era bene che allora mi facessero 
prendere e mi uccidessero, perché era già vicina la solennità della Pasqua, e la turba ed il 
popolo avrebbero fatto gran tumulto, e forse mi avrebbero tolto dalle loro mani : non volevano 
essi darmi una morte ordinaria, perché non appagava la loro rea passione, ma mi volevamo 
dare la morte più ignominiosa che vi fosse; però temettero che in tal tempo non potesse loro 
riuscire, perciò risolvettero di soffrire sinché fosse passata la Pasqua, nella quale si immolava 
l’agnello (1). Ma era tanto il rancore che avevano contro di me, che contavano le ore, nonché i 
giorni che vi mancavano, e vomitavano contro di mie sempre nuove bestemmie e maledizioni, 
soffrendo perciò il mio Cuore una grande pena.

SI PORTA A BETHANIA 

Terminato d insegnare al Tempio, e data la salute a tutti quelli che erano venuti a me, lodato di 
nuovo il divin Padre, usci, che l’ora era già tarda. Ed andando con i miei apostoli, non vi fu 
neppure uno che ci offrisse un sorso d acqua; eppur vedevano quanto eravamo stanchi ed 
afflitti. Intesi gran dispiacere per tanta Ingratitudine, e l’offri al divin Padre in supplemento di 
tutte le ingratitudini, che i miei fratelli usano verso i loro prossimi bisognosi. E perché tale 
ingratitudine dispiace molto al divin Padre, lo pregai a dare a tutti i miei fratelli uno spirito di 
vera carità e viscere di compassione verso i loro prossimi bisognosi. E vidi, che il Padre mio 
l’avrebbe  fatto,  e  che  molti  se  ne  sarebbero  approfittati.  Di  ciò  godei,  benché  intesi 
dell’amarezza nel vedere che molti se ne sarebbero abusati. Non trovando nella città alcuno 
che ci desse alloggio, la sera andai a Bethania, in casa di Marta e di Maddalena, dove si trovava 
la mia diletta Madre, che si tratteneva con Lazzaro risuscitato e faceva loro da maestra, 
istruendoli nei divini misteri e consolando tutta la gente che accorreva, per vederla e parlarle. 
Tutti erano bramosi di essere istruiti da una tal Madre, che apportava somma consolazione a 
tutti coloro che la miravano e l’udivano, accendendo nel cuore di tutti 1 amore verso Dio, ed il 
desiderio delle virtù che insegnava.

ESORTAZIONE ALLA SPOSA 

Hai inteso, dunque, sposa mia, quanto grande fu la carità che usavo con i prossimi, e come 
facevo bene a tutti non escludendo dal beneficio nemmeno coloro che mi perseguitavano, e 
che avrebbero bramata e chiesta la mia morte al Presidente Pilato curando le loro infermità. 
Vedi che cuore amoroso era il mio verso di tutti! Perciò, tu mi devi imitare, come sposa fedele, 
facendo bene a tutti, rimirando tutti con amore. Non aver avversione verso chi ti perseguita, 
anzi, prega molto per essi. Si anche pietosa verso i prossimi bisognosi. Abbi un cuore tutto 
compassionevole, e fa a tutti la carità che ti è permessa. Si umile, abbraccia volentieri le 
umiliazioni, e fuggi ed abbi in orrore la vanità ed il fasto mondana, a mio esempio.



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