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Ricordò, Giuda, quell’altra Pasqua nella quale il Signore aveva promesso l’Eucaristia? Parimenti significativa per Giuda, anche se questi lo ignorava, fu l’accentuazione sull’umiltà proprio nel momento solenne in cui Cristo istituiva l’Eucaristia. Nostro Signore ribadì il concetto che, in un certo senso, i suoi Apostoli erano dei re. Egli non negò la loro capacità istintiva d’essere aristocratici, ma disse che la loro sarebbe stata l’aristocrazia dell’umiltà, la nobiltà dei primi divenuti gli ultimi. Affinché comprendessero la lezione, rammentò la posizione ch’Egli occupava in mezzo a loro come Maestro e Signore, conservandosi ciò malgrado privo della minima traccia di superiorità. Molte volte ripeté di essere venuto non per essere servito, ma per servire. Portare il fardello altrui, e soprattutto i loro peccati, era il motivo per cui si era fatto il «servitore sofferente» profetizzato da Isaia (52, 13; 53, 11). E non accontentandosi delle parole, Egli le rafforzò con un esempio: … si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. (Gv 13, 4-5). La descrizione di Giovanni è di una minuziosità sorprendente. Elenca ben sette azioni diverse: il levarsi, il deporre le vesti, il prendere un panno, il cingersene, il versare l’acqua, il lavare i piedi, l’asciugarli con il panno. Possiamo immaginare che un re di questa terra, prima di far ritorno da una regione lontana, renda un umile servizio a uno dei suoi sudditi, ma non diremmo che lo fa perché sta per tornare alla sua capitale. Eppure, Nostro Signore ci è descritto intento a lavare i piedi dei discepoli perché sta per fare ritorno al Padre. Egli ha insegnato l’umiltà con il precetto: «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14, 11); con la parabola, mediante l’episodio del pubblicano e del fariseo; con l’esempio, prendendo un bimbo tra le braccia; e ora l’insegna con la condiscendenza. La scena fu come una ripetizione della sua Incarnazione. Levandosi dal banchetto celeste nell’intima unione della natura con il Padre, depose le vesti della sua gloria; cinse la sua divinità con il panno della natura umana, preso da Maria; versò il lavacro della rigenerazione che è il Sangue sparso sulla Croce per redimere gli uomini; e cominciò a lavare le anime dei discepoli e dei seguaci con i meriti della sua Morte, della sua Risurrezione e della sua Ascensione. In proposito, san Paolo si espresse in modo mirabile: il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2, 6-8). Placatesi le proteste di Pietro, gli altri discepoli se ne stanno immobili, perduti in muto stupore. Quando l’umiltà proviene dall’Uomo-Dio, come qui accade, ovviamente sarà mediante l’umiltà che gli uomini torneranno a Dio. Ognuno di essi avrebbe ritirato i piedi dal catino se non fosse stato per l’amore che gli pervadeva il cuore. Nostro Signore, però, non voleva abbandonare Giuda, e una volta ancora cercò di suscitare in lui la consapevolezza di ciò che stava tramando. «… e voi siete mondi, ma non tutti» (Gv 13, 10). Una cosa era l’essere scelto come Apostolo, un’altra essere eletto alla salvezza mediante l’osservanza degli obblighi relativi. E affinché gli Apostoli si rendessero conto che nelle loro file l’eresia, o lo scisma o il tradimento non erano inattesi, Gesù citò il salmo 40 per dimostrare che i profeti già l’avevano annunciato: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono (Gv 13, 18-19). Le parole si riferivano alle sofferenze di Davide per mano di Akhitofel, slealtà in cui viene prefigurato ciò che il regale Figlio di Davide avrebbe sofferto. Anche in un altro esempio la ferita era inflitta con l’estremità inferiore del corpo. In Genesi (3, 14) Dio disse al serpente che la donna l’avrebbe schiacciato mentre se ne stava in agguato ai suoi piedi. Pareva che ora il demonio si dovesse prendere una momentanea rivincita nell’usare il tallone per infliggere una ferita al seme della donna, il Signore. In altra occasione Nostro Signore disse: … e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa (Mt 10, 36). Soltanto chi abbia sofferto un simile tradimento da parte di qualcuno della sua casa può avere una pallida idea della tristezza che quella notte pervase l’anima del Salvatore. Qualunque esempio, consiglio, amicizia è senza frutto per chi intende fare il male. Una delle più cocenti espressioni di dolore che siano mai uscite dalle labbra di Gesù fu pronunciata per esprimere il suo amore per Giuda e per lamentare la decisione presa dall’apostolo rinnegato di peccare con tutta libertà. … Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà» (Gv 13, 21). Come reazione vi furono dodici domande. Dieci degli Apostoli chiesero: «Sono forse io, Signore?». Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?» (Mt 26, 22) Tuttavia, uno chiese: «Signore, chi è?» (Gv 13, 25). Questi fu lo stesso Giovanni. Il dodicesimo non aveva scelta: doveva continuare la simulazione: Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?» (Mt 26, 25). Vediamo dunque che undici Lo chiamarono «Signore», Giuda invece lo chiamò «Rabbi». Ed è questa una perfetta prova dell’affermazione di Paolo che «nessuno può dire “Gesù è Signore!” se non per ispirazione dello Spirito Santo» (1Cor 12, 3). Siccome lo spirito di cui Giuda era pervaso era satanico, egli Lo chiamò «Maestro»; gli altri Lo chiamarono «Signore», professandone pienamente la divinità. Durante la prima parte di quella cena pasquale, tanto il Signore quanto Giuda avevano attinto al medesimo piatto. Il fatto stesso che Nostro Signore scegliesse il pane come simbolo del tradimento può avere richiamato alla mente di Giuda il pane promesso a Cafarnao. Umanamente parlando, può sembrare che Nostro Signore avrebbe dovuto, con voce tonante, denunciare Giuda; al contrario, in un ultimo tentativo per salvarlo, Egli usò il pane dell’amicizia. Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!» (Mt 26, 23-24). Alla presenza della divinità, chi può essere sicuro della propria innocenza? Era ragionevole che ciascuno dei discepoli chiedesse se non fosse stato lui. L’uomo è un mistero persino per se stesso. Egli sa di avere nel cuore dei serpenti assopiti che in qualunque momento possono svolgere le spire e scattare, pungendo e iniettando il loro veleno in chi sta loro accanto, fosse anche Dio. Nessuno di loro poteva avere la certezza di non essere il traditore, anche se nessuno era conscio di un’eventuale intenzione di tradirLo. Solo Giuda sapeva come stavano le cose. Persino quando Nostro Signore rivelò di conoscere il tradimento, Giuda non recedette dalla decisione di compiere il male. Sebbene il suo crimine fosse stato scoperto e il male messo a nudo, non sentì la vergogna che avrebbe dovuto farlo desistere. Alcuni si ritraggono inorriditi quando vengono messi di punto in bianco davanti ai loro peccati, ma per quanto Giuda vedesse la propria perfidia descritta in tutta la sua bruttura, all’atto pratico egli dichiarò, nel linguaggio di Nietzsche: «Male, sii tu il mio bene». Il Signore gli diede un avvertimento. In risposta alla domanda degli Apostoli: «Sono forse io, Signore?», Egli dichiarò: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone (Gv 13, 26). Che Giuda abbia commesso liberamente il peccato è dimostrato dal susseguente rimorso. Altrettanto libero era il Cristo di fare del tradimento la condizione della sua Croce. Gli uomini malvagi sembrano opporsi all’economia divina, sembrano essere fili sbagliati nell’arazzo della vita; eppure, tutti quanti hanno il loro posto nel piano divino. Se il vento di tempesta ulula irrompendo in basso dai cieli neri, da qualche parte vi è una vela che lo fermerà e lo piegherà al servizio e all’utilità dell’uomo. Quando il Signore disse: «È colui al quale porgerò il boccone che sto per intingere», Egli stava compiendo un gesto di amicizia. Sembra che porgere un boccone sia stato un gesto tradizionale tanto presso i Greci quanto presso i Semiti. Socrate disse ch’era sempre un segno di favore offrire un boccone al commensale. Nostro Signore spalancò a Giuda la porta del pentimento offrendogliene l’opportunità con il boccone, come più tardi avrebbe fatto nuovamente nell’Orto degli Ulivi. Ma benché il Signore tenesse spalancata la porta, Giuda non volle entrare. Anzi, fu piuttosto Satana a entrare in lui. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: «Quello che devi fare fallo al più presto» (Gv 13, 27). Satana non possiede che le vittime volontarie. I segni di misericordia e d’amicizia offerti dalla Vittima avrebbero dovuto muovere Giuda al pentimento. Quel pane dovette bruciargli le labbra, come più tardi i trenta denari gli avrebbero bruciato le mani. Soltanto qualche minuto prima, le mani del Figlio di Dio gli avevano lavato i piedi; ora, quelle stesse mani divine gli toccano le labbra con un boccone; e nel volgere di poche ore, le labbra di Giuda avrebbero baciato quelle di Nostro Signore nell’atto finale del tradimento. Il Mediatore divino, ben sapendo qual sorte Gli sarebbe toccata, ordinò a Giuda di aprire maggiormente il sipario sulla tragedia del Golgota. Quel che Giuda aveva da fare, lo facesse in fretta. L’Agnello di Dio era pronto al sacrificio. La Misericordia divina non smascherò il delatore. Nostro Signore, infatti, tenne celata agli altri l’identità di chi lo tradiva. La norma vigente nel mondo, che ama spargere ai quattro venti gli scandali, anche quelli non veri, è qui applicata alla rovescia per nascondere la verità. Nel vedere che Giuda si alzava, gli altri supposero che uscisse per una missione di carità. Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri (Gv 13, 28-29). Ma Giuda era uscito per vendere, non per comprare. Sarebbe andato non in soccorso ai poveri, ma ai ricchi che custodivano il tesoro del tempio. Pur conoscendo le malvagie intenzioni di Giuda, Nostro Signore continuò a comportarsi con gentilezza. Avrebbe sopportato l’ignominia da solo. In molti casi Gesù agì come se gli effetti delle azioni altrui gli fossero ignoti. Sapeva che avrebbe risuscitato Lazzaro anche mentre piangeva. Sapeva chi credeva in Lui e chi lo avrebbe tradito, ma ciò non indurì il suo Sacratissimo Cuore. Giuda respinse il suo ultimo appello e così la disperazione gli rimase nel cuore. Appena preso il boccone, Giuda uscì. «Era notte» (Gv 13, 30), condizione appropriata per un’azione così tenebrosa. Forse era un sollievo trovarsi lontano dalla Luce del mondo. A volte la natura si accorda con le nostre gioie e i nostri dolori; a volte discorda. Il cielo è plumbeo se in noi vi è malinconia. La natura si stava adeguando all’azione malvagia di Giuda. Quando uscì, non trovò il sorriso del sole di Dio, ma la stigea oscurità della notte e la tenebra sarebbe scesa anche in pieno giorno all’atto della crocifissione del Cristo. Giuda è intelligibile unicamente in relazione al Corpo e al Sangue di Cristo. Il fatto che volesse arraffare denaro fu l’effetto, non la causa che portò alla rovina il suo sacerdozio.
Ricordò, Giuda, quell’altra Pasqua nella quale il Signore aveva promesso l’Eucaristia? Parimenti significativa per Giuda, anche se questi lo ignorava, fu l’accentuazione sull’umiltà proprio nel momento solenne in cui Cristo istituiva l’Eucaristia. Nostro Signore ribadì il concetto che, in un certo senso, i suoi Apostoli erano dei re. Egli non negò la loro capacità istintiva d’essere aristocratici, ma disse che la loro sarebbe stata l’aristocrazia dell’umiltà, la nobiltà dei primi divenuti gli ultimi. Affinché comprendessero la lezione, rammentò la posizione ch’Egli occupava in mezzo a loro come Maestro e Signore, conservandosi ciò malgrado privo della minima traccia di superiorità. Molte volte ripeté di essere venuto non per essere servito, ma per servire. Portare il fardello altrui, e soprattutto i loro peccati, era il motivo per cui si era fatto il «servitore sofferente» profetizzato da Isaia (52, 13; 53, 11). E non accontentandosi delle parole, Egli le rafforzò con un esempio: … si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. (Gv 13, 4-5). La descrizione di Giovanni è di una minuziosità sorprendente. Elenca ben sette azioni diverse: il levarsi, il deporre le vesti, il prendere un panno, il cingersene, il versare l’acqua, il lavare i piedi, l’asciugarli con il panno. Possiamo immaginare che un re di questa terra, prima di far ritorno da una regione lontana, renda un umile servizio a uno dei suoi sudditi, ma non diremmo che lo fa perché sta per tornare alla sua capitale. Eppure, Nostro Signore ci è descritto intento a lavare i piedi dei discepoli perché sta per fare ritorno al Padre. Egli ha insegnato l’umiltà con il precetto: «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14, 11); con la parabola, mediante l’episodio del pubblicano e del fariseo; con l’esempio, prendendo un bimbo tra le braccia; e ora l’insegna con la condiscendenza. La scena fu come una ripetizione della sua Incarnazione. Levandosi dal banchetto celeste nell’intima unione della natura con il Padre, depose le vesti della sua gloria; cinse la sua divinità con il panno della natura umana, preso da Maria; versò il lavacro della rigenerazione che è il Sangue sparso sulla Croce per redimere gli uomini; e cominciò a lavare le anime dei discepoli e dei seguaci con i meriti della sua Morte, della sua Risurrezione e della sua Ascensione. In proposito, san Paolo si espresse in modo mirabile: il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2, 6-8). Placatesi le proteste di Pietro, gli altri discepoli se ne stanno immobili, perduti in muto stupore. Quando l’umiltà proviene dall’Uomo-Dio, come qui accade, ovviamente sarà mediante l’umiltà che gli uomini torneranno a Dio. Ognuno di essi avrebbe ritirato i piedi dal catino se non fosse stato per l’amore che gli pervadeva il cuore. Nostro Signore, però, non voleva abbandonare Giuda, e una volta ancora cercò di suscitare in lui la consapevolezza di ciò che stava tramando. «… e voi siete mondi, ma non tutti» (Gv 13, 10). Una cosa era l’essere scelto come Apostolo, un’altra essere eletto alla salvezza mediante l’osservanza degli obblighi relativi. E affinché gli Apostoli si rendessero conto che nelle loro file l’eresia, o lo scisma o il tradimento non erano inattesi, Gesù citò il salmo 40 per dimostrare che i profeti già l’avevano annunciato: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono (Gv 13, 18-19). Le parole si riferivano alle sofferenze di Davide per mano di Akhitofel, slealtà in cui viene prefigurato ciò che il regale Figlio di Davide avrebbe sofferto. Anche in un altro esempio la ferita era inflitta con l’estremità inferiore del corpo. In Genesi (3, 14) Dio disse al serpente che la donna l’avrebbe schiacciato mentre se ne stava in agguato ai suoi piedi. Pareva che ora il demonio si dovesse prendere una momentanea rivincita nell’usare il tallone per infliggere una ferita al seme della donna, il Signore. In altra occasione Nostro Signore disse: … e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa (Mt 10, 36). Soltanto chi abbia sofferto un simile tradimento da parte di qualcuno della sua casa può avere una pallida idea della tristezza che quella notte pervase l’anima del Salvatore. Qualunque esempio, consiglio, amicizia è senza frutto per chi intende fare il male. Una delle più cocenti espressioni di dolore che siano mai uscite dalle labbra di Gesù fu pronunciata per esprimere il suo amore per Giuda e per lamentare la decisione presa dall’apostolo rinnegato di peccare con tutta libertà. … Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà» (Gv 13, 21). Come reazione vi furono dodici domande. Dieci degli Apostoli chiesero: «Sono forse io, Signore?». Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?» (Mt 26, 22) Tuttavia, uno chiese: «Signore, chi è?» (Gv 13, 25). Questi fu lo stesso Giovanni. Il dodicesimo non aveva scelta: doveva continuare la simulazione: Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?» (Mt 26, 25). Vediamo dunque che undici Lo chiamarono «Signore», Giuda invece lo chiamò «Rabbi». Ed è questa una perfetta prova dell’affermazione di Paolo che «nessuno può dire “Gesù è Signore!” se non per ispirazione dello Spirito Santo» (1Cor 12, 3). Siccome lo spirito di cui Giuda era pervaso era satanico, egli Lo chiamò «Maestro»; gli altri Lo chiamarono «Signore», professandone pienamente la divinità. Durante la prima parte di quella cena pasquale, tanto il Signore quanto Giuda avevano attinto al medesimo piatto. Il fatto stesso che Nostro Signore scegliesse il pane come simbolo del tradimento può avere richiamato alla mente di Giuda il pane promesso a Cafarnao. Umanamente parlando, può sembrare che Nostro Signore avrebbe dovuto, con voce tonante, denunciare Giuda; al contrario, in un ultimo tentativo per salvarlo, Egli usò il pane dell’amicizia. Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!» (Mt 26, 23-24). Alla presenza della divinità, chi può essere sicuro della propria innocenza? Era ragionevole che ciascuno dei discepoli chiedesse se non fosse stato lui. L’uomo è un mistero persino per se stesso. Egli sa di avere nel cuore dei serpenti assopiti che in qualunque momento possono svolgere le spire e scattare, pungendo e iniettando il loro veleno in chi sta loro accanto, fosse anche Dio. Nessuno di loro poteva avere la certezza di non essere il traditore, anche se nessuno era conscio di un’eventuale intenzione di tradirLo. Solo Giuda sapeva come stavano le cose. Persino quando Nostro Signore rivelò di conoscere il tradimento, Giuda non recedette dalla decisione di compiere il male. Sebbene il suo crimine fosse stato scoperto e il male messo a nudo, non sentì la vergogna che avrebbe dovuto farlo desistere. Alcuni si ritraggono inorriditi quando vengono messi di punto in bianco davanti ai loro peccati, ma per quanto Giuda vedesse la propria perfidia descritta in tutta la sua bruttura, all’atto pratico egli dichiarò, nel linguaggio di Nietzsche: «Male, sii tu il mio bene». Il Signore gli diede un avvertimento. In risposta alla domanda degli Apostoli: «Sono forse io, Signore?», Egli dichiarò: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone (Gv 13, 26). Che Giuda abbia commesso liberamente il peccato è dimostrato dal susseguente rimorso. Altrettanto libero era il Cristo di fare del tradimento la condizione della sua Croce. Gli uomini malvagi sembrano opporsi all’economia divina, sembrano essere fili sbagliati nell’arazzo della vita; eppure, tutti quanti hanno il loro posto nel piano divino. Se il vento di tempesta ulula irrompendo in basso dai cieli neri, da qualche parte vi è una vela che lo fermerà e lo piegherà al servizio e all’utilità dell’uomo. Quando il Signore disse: «È colui al quale porgerò il boccone che sto per intingere», Egli stava compiendo un gesto di amicizia. Sembra che porgere un boccone sia stato un gesto tradizionale tanto presso i Greci quanto presso i Semiti. Socrate disse ch’era sempre un segno di favore offrire un boccone al commensale. Nostro Signore spalancò a Giuda la porta del pentimento offrendogliene l’opportunità con il boccone, come più tardi avrebbe fatto nuovamente nell’Orto degli Ulivi. Ma benché il Signore tenesse spalancata la porta, Giuda non volle entrare. Anzi, fu piuttosto Satana a entrare in lui. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: «Quello che devi fare fallo al più presto» (Gv 13, 27). Satana non possiede che le vittime volontarie. I segni di misericordia e d’amicizia offerti dalla Vittima avrebbero dovuto muovere Giuda al pentimento. Quel pane dovette bruciargli le labbra, come più tardi i trenta denari gli avrebbero bruciato le mani. Soltanto qualche minuto prima, le mani del Figlio di Dio gli avevano lavato i piedi; ora, quelle stesse mani divine gli toccano le labbra con un boccone; e nel volgere di poche ore, le labbra di Giuda avrebbero baciato quelle di Nostro Signore nell’atto finale del tradimento. Il Mediatore divino, ben sapendo qual sorte Gli sarebbe toccata, ordinò a Giuda di aprire maggiormente il sipario sulla tragedia del Golgota. Quel che Giuda aveva da fare, lo facesse in fretta. L’Agnello di Dio era pronto al sacrificio. La Misericordia divina non smascherò il delatore. Nostro Signore, infatti, tenne celata agli altri l’identità di chi lo tradiva. La norma vigente nel mondo, che ama spargere ai quattro venti gli scandali, anche quelli non veri, è qui applicata alla rovescia per nascondere la verità. Nel vedere che Giuda si alzava, gli altri supposero che uscisse per una missione di carità. Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri (Gv 13, 28-29). Ma Giuda era uscito per vendere, non per comprare. Sarebbe andato non in soccorso ai poveri, ma ai ricchi che custodivano il tesoro del tempio. Pur conoscendo le malvagie intenzioni di Giuda, Nostro Signore continuò a comportarsi con gentilezza. Avrebbe sopportato l’ignominia da solo. In molti casi Gesù agì come se gli effetti delle azioni altrui gli fossero ignoti. Sapeva che avrebbe risuscitato Lazzaro anche mentre piangeva. Sapeva chi credeva in Lui e chi lo avrebbe tradito, ma ciò non indurì il suo Sacratissimo Cuore. Giuda respinse il suo ultimo appello e così la disperazione gli rimase nel cuore. Appena preso il boccone, Giuda uscì. «Era notte» (Gv 13, 30), condizione appropriata per un’azione così tenebrosa. Forse era un sollievo trovarsi lontano dalla Luce del mondo. A volte la natura si accorda con le nostre gioie e i nostri dolori; a volte discorda. Il cielo è plumbeo se in noi vi è malinconia. La natura si stava adeguando all’azione malvagia di Giuda. Quando uscì, non trovò il sorriso del sole di Dio, ma la stigea oscurità della notte e la tenebra sarebbe scesa anche in pieno giorno all’atto della crocifissione del Cristo. Giuda è intelligibile unicamente in relazione al Corpo e al Sangue di Cristo. Il fatto che volesse arraffare denaro fu l’effetto, non la causa che portò alla rovina il suo sacerdozio.
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Tratto da “Il sacerdote non si appartiene” del Venerabile Fulton J. Sheen
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