sabato 14 marzo 2020

Santi Martiri del I – II e III Secolo



Il martirio dei SS. Pietro e Paolo. Istoria della morte dei SS. Pietro e Paolo 
Dal libro: Gerarchia Cardinalizia di Carlo Bartolomeo Piazza 

Se dall’arena di color di oro, della quale è abbondante questo erto,  ameno, e delizioso Monte, non annoverato fra‘ sette colli di Roma; ma con un’ambizioso risalto di  tutti, dominante ad essi; overo  dalla vicina Porta Aurelia con  guasto22, e più spedito vocabolo,  habbia havuto il suo nome di Montorio l’hanno ancora da decidere i Scrittori delle Romane  antichità. Ben nulladimeno il descrisse con l’eloquenza arguta della sua nobil penna Marziale;  celebrandolo per il più alto, e bello nel lodare, ch’egli fece il superbo Palazzo, e gli ameni  Giardini, che quivi vi hebbe l’amico suo Tullio Marziale, ove  oggidì è la famosa e deliziosissima Villa, e Giardino della nobilissima  Famiglia Lonti. Di quà, disse egli  con poetica discrizione, non  solamente si dominano le altre  sette Colline, che nel suo seno  rinchiude Roma; ma tutti li Monti  vicini, che le fanno corona. Di quà  vedesi Albano, e Tuscoli. Quì non danno molestia ne lo strepito de’  Cocchi; né il rumore de’ manuali nelle botteghe, né le grida importune de’ barcaroli del Tevere; ed (661) haverebbe potuto aggiungervi; nè le risse de’ litiganti  ne’ Tribunali, nè l’importunità de’ poveri sù le Porte de’ Templi, le strida de’ Vivandieri nelle Piazze, nè le donnesche contese nelle contrade, nè le strepitose baratterie  nelle botteghe della città. […]  
Dal sudetto dirsi di Marziale, che  questo Giardino, e delizioso recesso fosse vicino al Ponte  Milujo, alcuni hanno creduto, che  questo luogo fosse ove hora è il Palazzo de’ Mellini a Monte Mario; dove dovette ritirarsi il  medesimo Marziale, per villeggiare, se forse non fossero due i Giardini, de’ quali esso favella,  uno dell’amico Tullio Marziale;  l’altro suo proprio; ambedue su la  costa del Monte Gianicolo.  Chiamossi questo Monte dagli  Antichi, come pure oggidì,  Gianicolo, perché fù dedicato a  Giano Dio sommamente venerato,  perché creduto ingegnoso, e benefico inventore dell’arte, di fare il vino, e d’haver cura delle Porte, le quali perciò chiamansi  nel vocabolo Latino, Ianue; e quivi  dicono, essere stato sepolto, e  posto trà i Dei; perché edificò  questa parte di Roma a fronte del  Campidoglio, abitato nel tempo  stesso da Saturno, come accenna  Virgilio. […]. 
Chiamossi ancora questo  Monte, Antipoli, e Vaticano, onde sono nati gli equivoci nell’opinioni  del luogo della crocifissione di S.  Pietro, perché talvolta dicasi,  essere quella seguita nel Monte  Gianicolo, overo nel Vaticano,  come appresso più chiaramente  diremo. Hora il Gianicolo termina a S. Spirito in Saffia, e di là  solamente incomincia a chiamarsi  Vaticano. Sù questo Monte fù,  secondo che scrive Dionigi, il  sepolcro di Numa, se bene ciò  viene, con sode ragioni impugnato  dal Nardino. 
Ma più prezioso, e tutto d’oro  divenne questo sagro Monte,  quando fù santificato con la morte, e co’l sangue, e co’l trionfo del Prencipe degli Apostoli, quivi con  i piedi in sù crocifisso, acciò fosse  ugualmente spettacolo al Cielo, ed  alla Terra. Condannati, che  furono dal crudel Nerone i due  SS. Apostoli, fù deputato il luogo,  ove si troncasse il Capo a S. Paolo all’Acque Salvie, detto, per lo miracoloso scaturir di trè Fonti,  alle trè Fontane, e dentro le mura  si crocifiggesse S. Pietro; peròche  ad un Cittadino Romano, com’era, S. Paolo, era vietata tale  obbrobriosa morte; e se bene, come, che’egli era di Tarso di Cilicia, come narrano gli Atti  Apostolici, godeva nulla di tal  privilegio; fù questa Città  sublimata alle prerogative della  Cittadinanza Romana da Cesare  Augusto secondo la Legge Valeria,  e Porzia, per essere stata fedele  nelle guerre fin nel tempo di  Giulio Cesare; onde si chiamò Giuliopoli. S. Pietro poi fù quivi  crocifisso, perche era puramente  Ebbreo; gente in Roma all’hora 
ancora stimata vile: onde con  queste due morti fù felicemente santificata l’una, e l’altra banda del  Tevere, che ne godono l’Apo- stolico patrocinio. 
Non mette punto in dubbio il Cardinal Baronio con l’autorità di molti Scrittori, e con le  tradizioni immemorabili della  Chiesa, che sù questo Monte  Gianicolo, che Vaticano ancora  indifferentemente, come si è detto, si chiamò, e dove fin’hora  è l’antichissima memoria, e Cappella ristorata, ed ornata con  regia pietà, e magnificenza da  Filippo III Monarca delle Spagne co’l disegno del celebre Architetto Bramante, fosse  crocifisso S. Pietro, se bene fù  sepolto poi nel Vaticano, parte  del medesimo Monte, come  chiaramente si cava dalle parole  del Martirologio Romano: Romæ  natalis SS. Apostolorum Petri et  Pauli, qui eodem anno eodenque  die passi sunt sub Nerone Imper.  quorum prior in eadem Urbe  Capite ad terram verso Cruci (662)  affixus, et in Vaticano juxtà Viam  Triunphalem sepultus, totius  Orbis veneratione celebratur: Alter verò gladio animadversus, et  Via Ostiensi sepultus, pari habetur 24 honore.
Patì dunque il supplicio della  croce in quella sommità del monte  Gianicolo, o Vaticano, che  sovrastava alla Naumarchia, situata  al basso appresso il Tevere; e fù sepolto nell’estrema parte del Vaticano, vicino la quale erano gli  Orti di Nerone; il Circo fabbricato  da esso per maneggiare i Cavalli, e l’Obelisco; nel cui sito furono  d’ordine del medesimo Impe- ratore fatti morire crudelissimamente moltissimi Martiri;  come riferì con Romana, se bene  gentile pietà, e compassione  Tacito, di cui habbiamo poco avanti scritto. L’occasione della  sentenza di morte data da Nerone  ad ambidue i SS. Apostoli; come  la riferisce il Baronio, degna di  registrarsi, fù che essendo tornato  Nerone da Acaja a Roma con la pompa trionfale, narrata da  Svetonio, per le accuse havute  contro di loro, come riferisce S.  Ambrogio, che essi havessero  convertito, diverse donne, e  persuase a vivere castamente (il  che con grande sollecitudine  procuravano gli Apostoli, cioè che  le novellamente convertite alla  fede sopra ogni altra cosa vivessero  caste, stimando, che un gran sdrucciolo per ricadere fosse la  disonestà) in tempo appunto,  come scrivono Tacito, Svetonio, Dione, ed altri la sfrenata, e  sfacciatissima lussuria di Nerone  non portava rispetto alcuno; ne  anche alle nobilissime Matrone.  Persuasero quei buoni, e ferventi Cristiani prima, che si eseguisse la  sentenza iniqua, di persuadere con  amor filiale, e con istantissime  preghiere; anzi quasi lo  violentarono ad uscire di prigione;  non mancando la commodità di  ciò fare; peròche i Custodi di essa  Processo, e Martiniano eran pur  Cristiani. Uscì egli di priggione, e  di Roma; e nel fuggire, che fece  incontrò fuor della porta della  Città il Signore, ed interrogato da 25 lui: Domine quo vadis ; rispose il  Salvatore: Venio Romam iterum crucifigi . Onde il Santo Apostolo  comprendendo, che egli voleva in  lui essere crocifisso; ritornò  indietro, alcuni dissero nella  medesima prigione. Avanti di  morire, furono entrambi flagellati  nel Foro secondo l'uso de’  Romani; e se bene ne veniva S.  Paolo fatto esente in virtù della  legge Porzia, e Valeria, come  Cittadino Romano; nulladimeno a  questa pena ignominiosa li  destinava la Legge Sagra, e quella  delle 12 Tavole, trattandosi di  delitto di Religione, che appresso  di essi era stimato atroce, con  questa differenza dagli altri, che i  Cittadini Romani dovevano esser  condennati prima ne’ Centuriati Comizi, e poi flagellati, e  decapitati. 
Furono i Santi Apostoli  ambidue condotti fuori della Porta  trigemina, overo Ostiense come  asserisce Plauto e Plinio,  habitavano i mendichi, e le  persone vili; l'abitazione de’ quali  si trasferì poi nel Vaticano da  Lampadio Prefetto di Roma Cristiano, il quale haveva dato à  poveri li denari soliti spendersi dagli altri ne’ pubblici donativi ne’ più giocondi spettacoli, non senza  concitazione sì grave d'odio del  popolaccio, in modo che poco vi  mancò, che non gli abbruciassero  il Palazzo, che era vicino al  Battistero di Costantino . Onde  non è inverisimile la congiettura  (dice il medesimo Baronio) che  essendo i Cristiani assai molestati  da Nerone, fossero, come persone  vili, costretti a vivere fuor di  Roma, come fù assegnato Trastevere a’ Giudei e perciò  fosser condotti insieme fuor della  porta Trigemina; ma che poi  gl'iniqui Ministri dell'empietà, li  separassero, volendo che S. Pietro  in grazia degli Ebbrei, da’ quali ne  ricavavano grosse mancie, e  proventi, fosse Crocifisso in Trastevere, e S. Paolo fosse fatto  morire tra’ Cristiani. Separatisi  dunque quivi li SS. Apostoli,  salutandosi co’l santo bacio di  pace, secondo il Rito Cristiano,  andarono ambidue a’ luoghi  accennati de’ loro Martirî, de’  quali ancora più diffusamente altrove si è detto. È venerato con  molta divozione da’ fedeli il luogo,  ov'è eretta una piccol Cappella  poco lungi da Porta S. Paolo, detta  anticamente la Trigemina; in cui  seguì questo memorabil fatto della  loro separazione, per andare al Martirio, che fù un fortunato  Trionfo di Roma Cristiana, e  Santa; e fù il più celebre, e felice giorno, che giammai co’l bianco  de’ suoi fasti segnasse, da che  Romolo il Gentile fabbricata  l'haveva, e superbamente inalzata  dal fasto, e grandezza degl'Imperatori Romani. 

A cura di Mario Ignoffo 

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