3a MEDITAZIONE
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Tenete presente che, per capire il testo, donna è detto in questo caso in ebraico ʼishsha e uomo è ʼish. Sono evidentemente termini che si richiamano, uno sembra il femminile dellʼaltro. In realtà gli studiosi dicono che la questione è più complicata; però dal punto di vista del suono e della percezione di uno che legge, ʼishsha è il femminile di ʼish e quindi quando si dice: la si chiamerà ʼishsha perché da ʼish è stata tolta questa, si capisce immediatamente quello che si vuole dire. Si vuole dire che lʼuomo e la donna sono fatti con lo stesso materiale, sono forme diverse ma della stessa realtà, complementari uno con lʼaltro, uno per lʼaltro, in questo rapporto che è un rapporto di vicinanza, di comunione e di dono di sé.
“Per questo lʼuomo abbandonerà suo padre e sua madre e aderirà a sua moglie e i due saranno una carne sola.”
Dove viene data la risposta a quella domanda sorprendente che dicevo allʼinizio: Da dove viene questa forza che spinge lʼuomo ad incontrare la donna e che è così forte da tagliare i legami con la famiglia di origine? Legami che evidentemente sono profondissimi, sono ampi, ma questo ci introduce dentro a un tema che credo sia fondamentale per capire lʼesistenza dellʼuomo, che è il tema del distacco.
La vita dellʼuomo si realizza attraverso un distacco progressivo. Se il feto non si distacca dalla madre, questo è motivo di morte per lʼuno e per lʼaltro. È vero che quel distacco è doloroso, è vero che il bambino che deve cominciare a respirare in modo autonomo patisce un trauma: ce lo diceva Leopardi ieri, che nasce a fatica e la prima cosa che fa è piangere. Piange per questo trauma che è un trauma inevitabile: il passaggio da una situazione di totale dipendenza a quella di una parziale autonomia; deve respirare per conto suo e questo è un distacco doloroso, come tutti i distacchi. Non esistono distacchi non dolorosi; eppure il distacco fa parte della vita dellʼuomo. Dove il distacco non è conosciuto e vissuto, la vita dellʼuomo isterilisce, muore.
Quel distacco che avviene al momento della nascita continua con il cammino della vita. Il Vangelo di Luca ricorda quellʼepisodio di Gesù a dodici anni, nel tempio di Gerusalemme, che in qualche modo è il segno del distacco dellʼadolescenza, quando i figli incominciano ad avere consapevolezza della loro differenza rispetto ai genitori. Lo fanno anche in modo esagerato, nella cultura contemporanea.
Lʼadolescenza, per certi aspetti, è una invenzione contemporanea, nellʼantichità non cʼera. Ma il senso di questo distacco e del trauma che questo comporta cʼè ed è fortissimo nei figli, che sono costretti ad affrontare la vita con paura e, dallʼaltra parte, con aggressività, tentando addirittura di esagerare il distacco dai genitori, per cui fanno fatica a tenerli per mano in certi momenti della fase della loro crescita.
Ma questo è inevitabile fino a quel distacco che è il distacco del matrimonio: “Lʼuomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola”.
Il significato è proprio quello di una maturazione dove la propria identità comporta una alterità. La fusione non è possibile: il cammino dellʼuomo non è un cammino che va verso la fusione con qualcuno, ma verso lʼamore. Mentre la fusione toglie la propria individualità, lʼamore la sviluppa come unʼidentità relazionale: sono me stesso “insieme con”, anzi, “in vista di”, “per”, per il rapporto con unʼaltra persona. Tanto che addirittura dice: “Si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola.”
Nonostante quello che sembra a prima vista, il riferimento non è allʼunione sessuale, ma è a tutto quel complesso di relazioni, di conoscenza, di affetto, sʼintende anche di unione sessuale, a tutta la gamma dellʼesperienza coniugale come una relazione che è la più forte che lʼuomo possa sperimentare con qualcun altro. È a questa dinamica di amore che tende alla globalità, alla pienezza, che fa riferimento il Libro della Genesi.
Potete pensare al significato dellʼinnamoramento come superamento della barriera che separa dallʼaltro. Quello che cʼè di affascinante nellʼinnamorarsi sembra essere proprio questo: la percezione che le barriere siano cancellate. Mentre nei confronti di tutti sono costretto ad avere delle maschere, mi sembra di non riuscire ad esprimermi e mi sembra di non riuscire a capire del tutto quello che ho davanti. Quando mi innamoro lʼimpressione è di capire benissimo, che ci sia una luce, una trasmissione, una comunicazione perfetta. Il ché, naturalmente, è illusione; poco alla volta appaiono cose nellʼaltra persona che al momento dellʼinnamoramento non sono chiare, non si percepiscono: si imparano a conoscere le doti, i difetti, i limiti dellʼaltra persona; ci si rende conto che lʼaltra persona è unʼaltra, quindi deve essere riconosciuta e accettata nella sua alterità.
Qui cʼè la grande crisi del cammino della crescita e della maturazione di un rapporto di amore.
Quando mi rendo conto che tu sei unʼaltra, devo prendere posizione: o ti rifiuto, ti abbandono, perché non sei quello che volevo; e lʼaltra non è mai quello che volevo io, ma è quello che è lei. Posso avere lʼimpressione che sia la principessa che avevo sognato, però dopo mi devo rendere conto che principessa lo è, ma che non è quella che avevo sognato, perché ha la sua esperienza, ha la sua famiglia, ha le sue relazioni, ha il suo modo di agire, di pensare, di costruirsi che non è il mio, non può essere il mio, o cʼè il passaggio a un tipo di rapporto diverso, che è quello dellʼimparare a prendersi cura uno dellʼaltro e a essere contento di prendersi cura uno dellʼaltro.
È il superamento di quellʼamore narcisista che alla fine cerca sempre e solo se stesso, cerca sempre e solo la propria immagine per sentirsi bello e per affermarsi bello, per cui lʼaltro è semplicemente uno specchio, uno specchio in cui voglio vedere me, mi voglio vedere usando la percezione dellʼaltro. Ma questo è amore sterile: il mito di Narciso termina con la sua morte, con lʼannegamento. Perché quello che fa vivere lʼuomo è lʼalterità, è il rapporto con lʼaltro: questo rende la vita dellʼuomo feconda, feconda di futuro e feconda di speranza.
Si tratta ancora di superare quellʼamore che è fondamentalmente amore di consumo, dove lʼaltro diventa lʼoccasione o lo strumento per sperimentare una emozione o una gratificazione o qualche cosa che interessa a me. Cʼè evidentemente anche questo, lʼemozione cʼè, eccome! Ma quando il rapporto di amore diventa un rapporto di consumo, lʼaltro è evidentemente uno strumento.
Rapporto di consumo vuol dire: (ricordate, lo dicevamo lʼanno scorso) sembra che lʼottica con cui noi siamo portati a sperimentare la vita sia, nella gran parte dei casi, unʼottica di consumo. Come se la vita e il mondo fosse un enorme supermercato dove andiamo a comperare i prodotti che ci interessano, i prodotti che servono per rendermi bello, o contento, o mi permettono di avere quelle emozioni e quelle gioie che mi sembrano irrinunciabili nella vita. E questi consumi sono evidentemente i consumi materiali ma sono anche i consumi psicologici, sono anche i consumi relazionali, sociali, politici: anche la politica può essere considerata come una merce di consumo, come uno strumento per riuscire ad ottenere quello che voglio per me.
Ora, quando lʼamore è valutato e sperimentato così, evidentemente lʼaltro viene percepito come prezioso solo fino a quando risponde ai miei bisogni: ho bisogno di compagnia, ho bisogno di gioia, di una spalla su cui piangere. Fino a che ho questi bisogni e tu me li soddisfi il rapporto funziona, stiamo bene insieme, siamo contenti, affrontiamo meglio la vita.
Ma quando questo viene meno, quando è noioso il rapporto, non è più quello che sognavo, non mi dà più quelle emozioni che mi aveva dato nellʼadolescenza, non mi fa più sognare quello che sognavo qualche anno fa, allora evidentemente il rapporto infiacchisce, perché quello che teneva insieme era semplicemente la quantità di gratificazioni che dal punto di vista sessuale, psicologico, umano, il rapporto mi dava.
Se invece lʼamore diventa il prendersi cura uno dellʼaltro con la scelta di costruire insieme un progetto di vita, – per cui non ho più un progetto di vita individuale – e ne abbiamo costruito uno di coppia. Può accadere evidentemente che questo progetto di coppia vada in crisi, che non riusciamo a realizzarlo, che ci scontriamo con un ostacolo che impedisce di proceder., Ma se abbiamo il progetto non molliamo mica la presa. Quando uno ha un progetto e ha delle difficoltà, cerca di analizzare le difficoltà e di superarle in qualche modo, o di orientare il progetto in una direzione che diventi realisticamente possibile nella situazione concreta che ha davanti, ma non molla mica il progetto, non ricomincia daccapo, come se niente fosse.
Il cambiamento, lʼottica, è questa qui: “lʼuomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola”. Cʼè un unico progetto di vita che realizziamo in due, stando attento uno allʼaltro, prendendosi cura uno dellʼaltro, attraverso un cammino di amore che va verso la maturità.
Perfettamente maturo sarà difficile, ma un rapporto dʼamore narcisista, in cui ciascuno cerca solo se stesso nellʼaltro, è immaturo; un rapporto dʼamore consumista in cui uno cerca nellʼaltro solo la soddisfazione di bisogni o desideri suoi, è ancora immaturo. Quellʼamore che invece gioisce per la vita e per il bene dellʼaltro, questo va verso il senso di responsabilità: ci sentiamo responsabili uno per lʼaltro e tutti e due insieme per la famiglia che abbiamo costruito. Per la famiglia che abbiamo costruito vuol dire per i figli e per tutto quello che sta dentro alla costruzione della nostra vita insieme. Il senso della sessualità nellʼottica biblica è quello.
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S.E. Mons. LUCIANO MONARI
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