Immagini eucaristiche dell'Antico Testamento
In quali immagini dell'Antico Testamento, la tradizione cristiana raffigura il futuro mistero eucaristico?
A) L'ALBERO DELLA VITA
Nel libro della Genesi si legge: "Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male" (Gn 2,8-9).
Secondo i Padri e i Dottori della Chiesa, l'albero della vita è la prima immagine dell'Eucaristia.
L'albero della vita, posto nel giardino dell'Eden, è donato ai nostri progenitori. L'Eucaristia, posta nel giardino della Chiesa, è donata a noi, figli di Adamo ed Eva.
L'albero della vita è in mezzo al giardino. L'Eucaristia sta al centro della vita della Chiesa.
L'albero della vita dà frutti di vita eterna, l'albero proibito dà frutti di morte. L'Eucaristia dà la vita eterna; starne senza è procurarsi la morte.
Gli altri alberi del paradiso terrestre, eccetto quello proibito, danno frutti buoni da mangiare, ma solo i frutti dell'albero della vita mantengono nell'uomo la vita eterna. Tutti i Sacramenti della Chiesa sono frutti preziosi di grazia, ma solo l'Eucaristia dona l'Autore stesso della grazia.
Dei frutti dell'albero della vita bisogna mangiarne non una sola volta. Così è per l'Eucaristia: spesso, anche tutti i giorni, perché se si vuol vivere è necessario mangiare e bere di continuo.
B) I VARI SACRIFICI
Molti sono i sacrifici cruenti ed incruenti offerti a Dio dall'antico popolo d'Israele.
I sacrifici cruenti hanno forme diverse: l'olocausto (in cui la vittima, dopo averne fatto scorrere il sangue, è bruciata e totalmente offerta a Dio); e il sacrificio di comunione o di ringraziamento (in cui una parte della vittima viene distrutta e l'altra parte mangiata dai partecipanti alla cerimonia).
Quest'ultimo tipo di sacrificio, dove i convitati mangiano le carni offerte a Dio, esprime simbolicamente la partecipazione degli uomini alla mensa di Dio e ai suoi stessi beni.
È quello che avverrà nell'Ultima Cena, dove l'Uomo-Dio offrirà la sua carne e il suo sangue come cibo e bevanda, per condividere, con i partecipanti al banchetto, i beni della vita eterna.
C) MELCHISEDEK
Quando Abramo, il padre dei credenti, ritorna vittorioso sui quattro re d'Oriente, Melchisedek offre in sacrificio pane e vino; gli va incontro e lo benedice. A lui, Abramo lascia la decima del suo bottino (Cfr. Gn 14,18 ss).
Ricordando questo fatto, San Paolo precisa che il nome Melchisedek "tradotto significa re di giustizia, inoltre è anche re di Salem, cioè re di pace. Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote in eterno" (Eb 7,2-3).
Interpretando l'episodio biblico, San Paolo collega la figura di Melchisedek a Cristo:
1) Melchisedek non è sacerdote per discendenza carnale. Anche questa è la condizione di Gesù, che appartiene alla tribù di Giuda e non a quella sacerdotale di Levi.
2) Melchisedek offre al Signore pane e vino, gli stessi elementi pasquali che Gesù sceglie per indicarvi il suo corpo donato e il suo sangue versato sull'altare della croce.
3) Il nome di Melchisedek, che richiama i simboli della pace e della giustizia, preannuncia la vera pace e la vera giustizia portate da Gesù.
Queste analogie presentano la figura di Melchisedek come profezia di Cristo, sommo ed eterno sacerdote; ed il sacrificio di Melchisedek come profezia del vero e perfetto sacrificio compiuto da Cristo.
Per questo motivo il salmista rende testimonianza al Figlio di Dio con le parole: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek" (Sal 110,4).
D) IL SACRIFICIO D'ABRAMO
Nel sacrificio di cui Isacco doveva essere vittima per mano di suo padre Abramo, si legge il futuro sacrificio di Cristo: un giorno il Figlio di Dio offrirà se stesso al Padre, abbandonandosi completamente alla sua volontà.
Il gesto di Abramo (fermato mentre stava col braccio alzato sferrando il colpo mortale sul proprio figlioletto, poi sostituito con un ariete rimasto impigliato con le corna in un cespuglio) trova spiegazione nelle parole di San Paolo: "Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: in Isacco avrai una tua discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo" (Eb 11,17-19).
Isacco, l'unigenito figlio di Abramo, è restituito alla vita. Gesù, l'unigenito Figlio di Dio, è ritornato in vita.
Però, mentre il primo è un sacrificio intenzionale, il secorndo è un sacrificio reale: consumato in modo cruento sulla croce ed incruento sui nostri altari.
E) L'AUGURIO D'ISACCO
Isacco benedice il figlio Giacobbe e gli augura: "Dio ti conceda rugiada del cielo e terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto" (Gn 27,28).
È il preannuncio del grano e dell'uva che verranno raccolti in abbondanza per il sacramento eucaristico.
F) LA PROFEZIA DI GIACOBBE
Giacobbe raduna i suoi figli e annunzia a ciascuno di loro il destino futuro.
Giuda sarà colui che "lava nel vino la veste e nel sangue dell'uva il manto" (Gn 49,11).
Secondo i Padri della Chiesa, la veste lavata nel vino indica sia la carne di Cristo bagnata nel sangue della sua passione, sia la Chiesa lavata dal medesimo sangue. Il manto simboleggia tutta l'umanità che Cristo ha congiunto al suo corpo e lavato nel sangue della croce.
Si noti come viene rimarcata la relazione tra il sangue eucaristico e il sangue di Cristo crocifisso.
G) L'AGNELLO PASQUALE
Nella notte in cui l'Angelo sterminatore semina la morte fra i primogeniti egizi, gli Ebrei consumano il pasto prescritto da Dio: un agnello "con la testa, le gambe e le viscere" (Es 12,9), cioè per intero, senza alcun osso spezzato (Cfr. Es 12,46), mangiato arrostito al fuoco, con pane azzimo (per l'imminente partenza, non c'è tempo di preparare pane lievitato), erbe aromatiche (per ricordare l'amarezza della schiavitù), ed un intingolo denso e rossiccio (a ricordo dei mattoni fabbricati).
Il sangue di questo agnello - che segna le porte delle loro case - impedisce alla morte di entrare, perché l'Angelo del Signore 'passa oltre': è la Pasqua, che in ebraico, come si è già visto, vuol dire 'passare oltre'.
Anche al Cristo-Agnello non vengono spezzate le gambe, come invece succede ai due ladroni crocifissi con lui.
Sono il suo corpo e il suo sangue ad essere consumati nell'Ultima Cena, ch'è il primo banchetto eucaristico, il nuovo ed ultimo banchetto pasquale.
L'evento eucaristico è, come la Pasqua, un passaggio: il pane e il vino della tradizione ebraica diventano il sacramento del corpo e del sangue di Gesù Cristo; è il mutamento della materia nella sua essenza, è l'origine di un nuovo stato di vita.
La Pasqua giudaica viene riletta da San Paolo come preparazione alla Pasqua cristiana: "Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità" (1 Cor 5,7-8).
Come gli Ebrei (che distruggono ogni traccia di pane lievitato, prima della Pasqua, per mangiare in questo giorno solo pane azzimo), così anche l'apostolo invita i cristiani a far sparire il pane lievitato, simbolo di corruzione, e mangiare il pane azzimo, simbolo di purezza. Ed è Cristo il pane azzimo vero, l'agnello pasquale definitivo.
H) LA MANNA
Gli Ebrei, usciti dall'Egitto, si mettono in cammino per attraversare il deserto e raggiungere la terra promessa. Quando il cibo incomincia a scarseggiare, se ne lamentano con Mosè, accusato di averli condotti fuori dall'Egitto a morir di fame.
Ma il Signore non abbandona il suo popolo, e dice a Mosè che "sta per piovere pane dal cielo" (Es 16,4). E così accade.
"[ ...] al mattino c'era uno strato di rugiada intorno all'accampamento. Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco sulla superficie del deserto c'era una cosa minuta e granulosa, minuta com'è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l'un l'altro: «Man hu: che cos'è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: « È il pane che il Signore vi ha dato in cibo»" (Es 16,13-15).
Secondo le prescrizioni date da Dio a Mosè, gli Ebrei ne raccolgono ogni mattina, prima che sia sciolta dal calore del sole, quanto basta a ciascuno per sfamarsi, senza farne avanzare fino al mattino successivo. Solo nel sesto giorno raccolgono una doppia razione, utile anche per il sabato: il giorno dedicato al riposo.
"La casa d'Israele la chiamò manna. Era simile al seme del coriandolo e bianca; aveva il sapore di una focaccia con miele" (Es 16,31).
Iddio nutrirà il suo popolo con questo cibo per quarant'anni, fino al suo arrivo in una terra abitata, ai confini del paese di Canaan.
Gesù, riferendosi a questa vicenda, predica alla folla: "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero, il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo. [...] Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (Gv 6,32 ss).
La manna del deserto, dunque, è figura della Parola di Dio: divenuta visibile, e pure carne da mangiare e sangue da bere nella persona di Gesù Cristo, per i cristiani, impolverati e stanchi, nel loro pellegrinaggio terrestre.
I) L'ACQUA SGORGATA DALLA ROCCIA
Nel deserto manca anche l'acqua, e gli Ebrei se ne lamentano con Mosè. Egli invoca l'aiuto del Signore e, seguendo le sue istruzioni, batte col bastone la roccia indicata, e miracolosamente sgorga acqua in abbondanza che disseta la comunità e tutto il bestiame (Cfr. Es 17,1 ss; Nm 20,1 ss).
"Si chiamò quel luogo Massa e Meriba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?»" (Es 17,7). Massa e Meriba, infatti, significano 'prova' e 'protesta'. Una leggenda rabbinica racconta che questa roccia, da cui era scaturita l'acqua, abbia accompagnato Israele nel suo pellegrinaggio nel deserto.
San Paolo, riprendendo questi fatti, scrive: "tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo" (1 Cor 10,3-4).
La manna e l'acqua della roccia sono spirituali perché simboleggiano l'Eucaristia: il pane e la bevanda, il corpo e il sangue di Cristo.
L) LA TENDA SANTA
Ad ogni sosta, durante il cammino degli Ebrei nel deserto, Mosè, dietro indicazione di Dio, pianta una tenda fuori dall'accampamento. È chiamata "tenda del convegno", dove "si recava chiunque volesse consultare il Signore" (Es 33,7). Un velo separa una zona detta Santo dei Santi dal resto dell'ambiente. Vi si custodisce l'arca dell'alleanza che contiene la manna, la verga germogliata di Aronne e le tavole della Legge. L'accesso in questo luogo santo è consentito solo al sommo sacerdote, una volta all'anno, portando del sangue ch'egli offre per se stesso e per il popolo (Cfr. Eb 9,17).
Il futuro tempio di Gerusalemme, progettato da Davide, preparato e costruito da Salomone, sarà "un'imitazione della tenda santa" (Sap 9,8).
Questa tenda, che esprime l'amicizia e l'incontro tra Dio e il suo popolo in cammino, raffigura la tenda fra le tende e la tenda eterna: Cristo e la Chiesa, suo corpo e tempio vivo dello Spirito. È ora lui il sommo Sacerdote che, dopo averci dato la redenzione col proprio sangue, ci farà entrare in una tenda non più terrena, per la celebrazione dell'Eucaristia celeste.
M) IL SANGUE DELL'ALLEANZA
Nella frase pronunciata da Gesù nell'Ultima Cena: "questo è il mio sangue dell'alleanza" (Mt 26,28; Mc 14,24), "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue" (Lc 22,20; 1 Cor 11,25), riecheggia l'espressione di Mosè: "Ecco il sangue dell'alleanza" (Es 24,8), quando versa sull'altare e sul popolo il sangue di giovani tori sacrificati. Tutt'e due, la vecchia e la nuova alleanza, sono stabilite nel sangue.
Non bisogna pensare che Dio è un giustiziere vendicativo da lasciarsi placare solo alla vista del sangue! Vediamone il perché.
Il legame di sangue contraddistingue un legame di parentela. Tra i consanguinei di un gruppo, nelle antiche civiltà, è forte la solidarietà reciproca. Quando tra gruppi diversi si vuol stringere un patto d'amicizia, nei riti praticati scorre il sangue, che sta appunto a significare la creazione di un legame, come quello esistente fra parenti.
Dal piano sociale al piano divino, il passo è breve. Questo tipo di amicizia si può stringere non solo fra uomini, ma anche fra gli uomini e Dio. Ed è quello che avverrà fra il popolo d'Israele e il suo Signore.
Vincolo di sangue è vincolo di parentela, di amicizia, d'amore; e non solo. Questo elemento si identifica, infatti, con la vita stessa. L'effusione del sangue sull'altare (=che rappresenta Dio), non è un'offerta del sangue a Dio, perché a Dio non si offre ciò che già gli appartiene, ma è un atto di riconoscimento che Dio è l'unico padrone della vita. Lo stretto legame che unisce il sangue alla vita, spiega il suo valore come mezzo di espiazione: il peccato è rottura con Dio, ch'è la vera vita per l'uomo, e il sangue, tramite il quale la vita fluisce, versato nel sacrificio, vuole essere l'espressione della comunione ristabilita, dell'alleanza stipulata.
Con la vecchia alleanza Iddio, tramite Mosè, ai piedi della santa montagna, comunica la vita alle dodici tribù d'Israele. Con la nuova alleanza Iddio, tramite Gesù, nell'Ultima Cena, comunica la vita ai dodici apostoli e, con essi, all'umanità tutta, in ogni tempo.
Il sangue di Cristo, dunque, che viene non solo sparso sulla croce, ma anche assunto eucaristicamente, realizza la perfetta alleanza, ossia la perfetta comunione con Dio, nella quale Dio e l'uomo sono legati da un vincolo di reciproca appartenenza.
Verso il Cielo, è il sangue di Cristo che implora per l'umanità il perdono dei peccati, al contrario del sangue di Abele che gridava vendetta.
N) IL GRAPPOLO D'UVA APPESO AD UNA STANGA
Mosè, obbediente al comando di Dio, manda degli uomini ad esplorare il paese di Canaan, la terra che il Signore sta per dare agli Ebrei accampati nel deserto di Paran.
Durante la ricognizione "tagliarono un tralcio con un grappolo d'uva, che portarono in due con una stanga..." (Nm 13,23). La tradizione patristica vede in questo grappolo d'uva appeso ad una stanga, la figura di Cristo appeso al legno della croce, e l'immagine del suo sangue effuso.
O) LA STOFFA SCARLATTA
Il Signore ordina a Mosè e ad Aronne di sacrificare "una giovenca rossa, senza macchia, senza difetti, e che non abbia mai portato il giogo" (Nm 19,2). Il sacerdote Eleazaro, dopo aver preso col dito il sangue, ne fa sette volte l'aspersione davanti alla tenda santa. Poi getta legno di cedro, issopo e stoffa di colore scarlatto nel fuoco che sta consumando la giovenca. Compiuto il sacrificio, il sacerdote si lava il corpo e le vesti nell'acqua, per purificarsi.
Anche in questo passo biblico, la tradizione patristica scorge una prefigurazione eucaristica.
Legno di cedro, issopo e stoffa scarlatta rappresentano i tre elementi cristiani relativi alla purificazione dei peccati: il legno di cedro è la croce; l'issopo è il battesimo; la stoffa scarlatta è il sacramento del sangue di Cristo.
Si ricorda che la pianta d'issopo è il simbolo dell'umiltà. Nella tradizione ebraica il suo legno viene usato come aspersorio: "Purificami con issopo e sarò mondato; lavami e sarò più bianco della neve" (Sal 50,9), chiede Davide al Signore.
P) LA PASQUA CELEBRATA DA GIOSUÈ
Dopo la morte di Mosè, è Giosuè che guida gli Israeliti ad occupare la terra promessa, oltre il Giordano.
Quando il popolo si mette in cammino, lasciandosi alle spalle il deserto, a precederlo sono i sacerdoti che portano l'arca dell'alleanza. È in questo modo che giungono sulle sponde del Giordano, dove si manifesta nuovamente la presenza di Dio in mezzo a loro.
Infatti, quando i piedi dei sacerdoti s'immergono nel fiume, le acque si dividono: quelle che fluiscono dall'alto si fermano come in un argine, mentre quelle del basso si staccano completamente e scorrono via. Le due parti del fiume risultano, così, separate dai sacerdoti fermi in mezzo al Giordano, e tutta la gente può passare sull'asciutto.
Compiuta la traversata, il popolo si accampa nella steppa di Gerico. E qui che Giosuè circoncide tutti i maschi (la circoncisione, infatti, non era stata praticata durante i quarant'anni del deserto, e tutti gli uomini circoncisi usciti dall'Egitto erano morti), e celebra la prima Pasqua nella nuova terra, che segna la fine del tempo trascorso nel deserto e l'ingresso nella terra promessa.
"Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della regione, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. La manna cessò il giorno seguente, come essi ebbero mangiato i prodotti della terra e non ci fu più manna per gli Israeliti; in quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan" (Gs 5,11-12).
I Padri della Chiesa, in questa vicenda, vedono la prefigurazione del battesimo e dell'Eucaristia: gli Ebrei, dopo aver attraversato il fiume Giordano e ricevuta la circoncisione, celebrano la Pasqua e mangiano nel giorno successivo i prodotti della fertile regione; così è per i cristiani che, purificati dal battesimo, celebrano la Pasqua di Cristo e dopo si nutrono con l'Eucaristia.
Q) IL CIBO CHE NUTRE ELIA
Elia è minacciato di morte dalla regina Gezabele, devota all'idolo sanguinario Baal. Tutti gli altri profeti di Dio sono stati uccisi, gli altari demoliti, l'alleanza di Israele col Signore abbandonata.
Impaurito, Elia scappa per salvarsi. Giunge fino a Bersabea di Giuda; poi s'inoltra nel deserto e, dopo una giornata di cammino, stanco, si va a sedere sotto un ginepro. Desideroso di morire, implora: "Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri" (1 Re 19,4). E si addormenta.
Viene svegliato da un angelo che, scuotendolo, gli dice di alzarsi e mangiare. Elia, sorpreso, si guarda attorno: vicino alla sua testa, vede una focaccia cotta su pietre roventi e un vaso d'acqua.
Dopo aver mangiato e bevuto, ancora stanco, si riaddormenta. L'angelo del Signore nuovamente lo sveglia: "Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino" (1 Re 19,7). Elia obbedisce: si alza, mangia, beve e riprende il viaggio.
"Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, 1'Oreb" (1 Re 19,8). Qui, come con Mosè, Dio parla con Elia e gli affida una nuova missione.
Nel cibo che nutre Elia, la tradizione cristiana vede il cibo eucaristico, perché entrambi producono gli stessi effetti: sostegno nel cammino, forza per vincere le avversità, conforto della presenza divina.
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