IL CARDINALE
Se il Ghislieri godeva la fiducia del Pontefice, se l'era guadagnata senza bassezze.
Simile a quei negozi, che, come afferma Montluc, non hanno retro bottega, egli parlava al Pontefice con una franchezza, capace di fargli perdere ogni influenza. Si dice che al Concilio di Trento un prelato di santa vita, libero e franco, il B. Bartolomeo dei Martiri vescovo di Braga, nel Portogallo, rivolgendosi ai cardinali, abbia pronunziate queste famose parole: “Questi illustrissimi signori avrebbero bisogno di un'illustrissima riforma”. Senza esprimere in una maniera casi aperta la propria opinione, il cardo Alessandrino non era punto lontano dal sottoscrivere tali parole.
Quando perciò, all'uscita da un banchetto, Pio IV manifestò l'idea di conferire la porpora ai giovani principi Ferdinando de' Medici e Federico Gonzaga, il primo di tredici anni, il secondo di ventuno, mentre il S. Collegio o esplicitamente o tacitamente non rifuggi dall' approvare la proposta, solo l'Alessandrino osò contraddire. Pieno di deferenza, ma con quella energia che lo rendeva inaccessibile a ogni timore, fece presenta al Papa che una tale nomina era contraria ai recenti decreti del Concilio, che il governo della Chiesa non doveva mettersi in mano a dei ragazzi, e che l'ora e il luogo sembravano poco propizi a una decisione di tanta importanza.
Questa franchezza impressionò il Pontefice; ma purtroppo le istanze importune dei Medici resero inutile la resistenza dell'Alessandrino. L’avvenire giustifico i suoi timori, perché il troppo giovane card. de' Medici, alla morte del fratello, mutò il capello cardinalizio con la corona di Toscana.
Ma l'Alessandrino poté almeno aver il conforto che le ragioni per le quali aveva posto il suo veto a tale elezione erano fondate. E all'ambasciatore fiorentino, il quale in una visita di protocollo lo ringraziò insieme al S. Collegio di aver aderito ai voleri del Papa, rispose con fierezza: “Signor ambasciatore, dispenso Vostra Eccellenza da qualsiasi atto di gratitudine, perché io sono stato l'avversario di questa promozione”. Poco dopo il Ghislieri essendo di nuovo stato consultato dal Papa per un altro affare, gli si mostrò contrario. Il re di Francia Carlo IX desiderava che il cardo Farnese, legato della S. Sede in Avignone, cedesse la sua carica al card. Carlo di Barbone. Pio IV sarebbe stato favorevole; ma il Ghislieri gli espose i pericoli che ne sarebbero seguiti, e ne ottenne un vero bene per la Chiesa.
Per quanto uno possa rassegnarsi ad accettare le ragioni perentorie di chi lo contraddice, tuttavia quando è troppo contraddetto, finisce di irritarsi. Il Papa, pur riconoscendo che le osservazioni dell' Alessandrino erano ben fondate, veduto sì spesso contrariato nei suoi disegni, perdette la pazienza. Ma il Ghislieri, che non faceva alcun conto delle considerazioni umane, ed era sempre veritiero, continuava a dare degli avvisi che a certi suoi colleghi parevano fin troppo liberi.
Pio IV dimostrava per i suoi nipoti una grandissima sollecitudine. Nessuno senza dubbio la meritava tanto quanto S. Carlo Borromeo, la cui virtù imponeva silenzio alle critiche dei censori. Molti però le provocavano.
Il S. Padre s'era mostrato implacabile contro i parenti di Paolo IV. Temeva forse che il suo successore nutrisse poca benevolenza verso i suoi? Volle perciò assicurare almeno la loro fortuna con l'adesione del S. Collegio. Convocati in concistoro i cardinali, espresse il desiderio che si assegnasse a suo nipote Annibale Altemps, cognato di S. Cado Borromeo, la somma di 100.000 ducati. La Camera Apostolica avrebbe provvisoriamente pagati gli interessi, e a tempo opportuno fornito il capitale.
Pio IV aveva creati quarantacinque cardinali. Come si diportarono essi in questa occasione? Il desiderio del Papa sarebbe stato soddisfatto, se l'Alessandrino con parole ben ponderate e calme, che davano peso a quanto diceva, non avesse manifestata la sua meraviglia e proposti i motivi per cui non vi poteva acconsentire. A suo avviso il tesoro pontificio, gravato di debiti, non poteva sopportare un simile peso, e quand'anche l'avesse potuto, non conveniva alienare una tale somma a danno delle opere pie e dei poveri.
Il disinteresse manifestato dal cardinale dava maggior peso alla causa ch'egli difendeva; ma il suo ardire fu giudicato temerità. Si dice che Pio IV in quell' occasione si sia lasciato andare a parole di biasimo, e che per Roma corresse che l'Alessandrino fosse caduto in disgrazia. Anzi c'era chi diceva sottovoce che fosse stato dato ordine di chiuderlo in Castel S. Angelo. La calma e l'influenza moderatrice di S. Carlo impedirono questa ingiustizia. Però, in segno della sua disapprovazione, il Papa ordinò che il Grande Inquisitore lasciasse gli appartamenti del Quirinale, e che gli venissero limitati i suoi ampi poteri.
Queste disposizioni del Pontefice non facevano alcuna impressione sull'animo retto e disinteressato dell' Alessandrino, il quale trovava nella sua coscienza pura un conforto, per avere adempito il proprio dovere. E questo gli bastava. Non era uomo da fomentare partiti e mescolarsi cogli spiriti caparbi, che si rallegrano pili di contraddire che di convincere, o che godono nel recar dei dispiaceri. Per sottrarsi agli intrighi di corte, risolse di ritornare nella sua diocesi di Mondovì; ma la nave che trasportava la sua roba e i suoi libri fu catturata da pirati algerini che infestavano le coste della Toscana.
Era questa una disposizione della Divina Provvidenza, che l'avvertiva di non abbandonare Roma? Anche i membri del S. Ufficio erano intervenuti presso il Papa, perché impedisse la partenza del loro eminente prefetto, in circostanze tanto difficili. Un violento attacco del male, che doveva un giorno condurlo al sepolcro, fece credere al cardinale che la sua ultima ora fosse vicina, ed egli stesso volle comporre il suo epitaffio da porsi nella chiesa della Minerva.
Mentre l'Alessandrino si riaveva dalla sua malattia, Pio IV caduto gravemente infermo, terminava piamente tra le mani di San Carlo Borromeo e di San Filippo Neri un pontificato oscurato bensì da difetti, ma al quale la felice conclusione del Concilio di Trento conferiscono una certa aureola di grandezza 7 .
Per l'Alessandrino era passata definitivamente l'ora di lasciar Roma, e senza ch'egli lo potesse prevedere, Dio disponeva che non se ne allontanasse mai più.
Del Card. GIORGIO GRENTE
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