EPISTOLARIO
Le sempre nuove e più meravigliose scoperte che l'anima, alla luce di questa intima contemplazione, va facendo di Dio, dei suoi misteri e dei suoi attributi, la riempiono d'ammirazione profonda e d'incontenibile gioia, d'una felicità di paradiso e la inondano di una "quasi continua indigestione di consolazioni".
Ci sono, è vero, parentesi dolorose, ma l'anima non le rimpiange come abbandoni di Dio, ma come "scherzi d'amore", "squisitezza del suo finissimo amore". Le gioie e le consolazioni non escludono il dolore, ma lo rendono tollerabile, desiderabile e amabile. Amore e dolore seguono una via parallela; l'uno e l'altro esercitano un'azione congiunta di purificazione e di trasformazione:
"Gesù non lascia di tratto in tratto di raddolcire le mie sofferenze in altro modo, cioè col parlarmi al cuore. Oh si, padre mio, quanto è buono Gesù con me! Oh che preziosi momenti sono questi; è una felicità che non so a che paragonarla; è una felicità che quasi solo nelle afflizioni il Signore mi dà a gustare. In questi momenti, più che mai, nel mondo tutto mi annoia e mi pesa; niente desiderio fuorché amare e soffrire. Si, padre mio, anche in mezzo a tante sofferenze, sono felice perché sembrami di sentire il mio cuore palpitare con quello di Gesù. Ora s'immagini quanta consolazione deve infondere in un cuore il sapere di possedere, quasi con certezza, Gesù [...]. E' anche vero che Gesù spesso spesso si nasconde, ma che importa, io cercherò col suo aiuto di stargli sempre intorno, avendomi lei assicurato che non sono abbandoni, ma scherzi di amore. Oh! quanto bramerei in questi momenti aver qualcuno che mi aiutasse a temperare le ansietà e le fiamme da cui il mio cuore è agitato" (4 9 1910; cf. anche 29 11 1910; 20 12 1910).
"Ho osservato da vari giorni in qua una gioia spirituale da non potersi spiegare. La causa di ciò l'ignoro. Non sento più quelle tante difficoltà che sentivo una volta nel rassegnarmi ai divini voleri. Anzi respingo le calunniose insidie del tentatore con una facilità tale, da non sentirne né noia né stanchezza" (10 8 1911; cf. anche 13 1 1912; 16 3 1912; 25 3 1912).
"Questa notte scorsa poi l'ho passata tutta intiera con Gesù appassionato. Ho sofferto anche assai; ma in un modo ben diverso da quello della notte precedente. Questo è stato un dolore che non mi ha fatto male alcuno; aumentava sempre più in me la fiducia in Dio; mi sentivo sempre più attratto verso Gesù; senza nessun fuoco vicino, mi sentivo internamente tutto bruciare; senza lacci addosso, mi sentivo a Gesù stretto e legato; da mille fiamme mi sentivo bruciare, che mi facevano vivere e mi facevano morire. Quindi soffrivo, vivevo e morivo continuamente. Padre mio, se potessi volare, vorrei parlare forte, a tutti vorrei gridare con quanta voce terrei in gola: amate Gesù che è degno di amore" (28 6 1912).
"In questi giorni tanto solenni per me, perché feste del celeste Bambino, spesso sono stato preso da quegli eccessi d'amore divino, che tanto fanno languire il mio povero cuore. Compreso tutto della degnazione di Gesù verso di me, gli ho rivolto la solita preghiera con più confidenza: Oh Gesù, potessi amarti, potessi patire quanto vorrei e farti contento e riparare in un certo modo alle ingratitudini degli uomini verso di te!" (29 12 1912; cf. anche 17 10 1915; 14 10 1917; 29 1 1919).
"L'anima mia da più tempo si trova immersa giorno e notte nell'alta notte dello spirito [...]. Addio le delizie delle quali l'aveva inebriata il suo Signore! Dov'è quel gusto di cui ella godeva dell'adorabile divina presenza?" (lett. 314).
"In questo stato per la povera anima tutto è tormento. La poverina è posta di continuo in una contemplazione tormentosissima in cui Dio, con mirabile notizia, facendosi a lei vedere lontano, le sveglia un dolore sì acuto da ridurla alle agonie di morte" (9 5 1915; cf. anche 6 9 1916).
PADRE PIO DA PIETRELCINA
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