ROSARIO
nella eloquenza di
VIEIRA
ESTOLLENS VOCEM
Passando alla seconda parte del nostro discorso, vediamo ora come anche la voce o la preghiera vocale del Rosario non sia meno alta e altissima per le petizioni che in esso formuliamo. Quelle del Padre Nostro, prima di arrivare all'Ave Maria (in cui ne facciamo una sola), sono sette; e le tre con cui iniziamo (per poterle meditare insieme) sono molto significative. La prima, “sanctificetur nomen tuum”, in cui chiediamo a Dio la santificazione del suo nome; la seconda, “adveniat regnum tuum”, in cui chiediamo la diffusione universale del suo regno; la terza, "fiat voluntas tua, sicut in coelo, et it• terra", in cui chiediamo l'esecuzione della sua volontà così completamente sulla terra come in cielo. Ma queste richieste, se ben considerate, sembrano non esserlo. Chi chiede a Dio (come ben argomenta qui S. Gregorio Nisseno) o chiede il rimedio alle sue necessità, o il soccorso alle sue fatiche, o l'aumento e la conservazione dei suoi beni, o qualcos'altro suo, e per sé. Ma in queste richieste nulla è nostro, né ci appartiene: tutto è dello stesso Dio, al quale chiediamo: “Nomen tuum”, il tuo nome: “regnum tuum”, il tuo regno: “voluntas tua”, la tua volontà. Poiché se tutto questo è suo, e non nostro, se tutto appartiene a Dio, e non a noi, perché lo chiediamo a lui? Perché questa è l'altissima altezza della preghiera vocale del Rosario: “Extollens vocem”. Il punto più alto a cui può elevarsi e salire la preghiera umana non è chiedere a Dio per noi, è chiedere a Dio per Dio.
Quando Cristo nostro Signore aggiunse ai settantadue discepoli il numero degli apostoli, disse loro così: “Messis quidem multa, operariiautem pauci: rogate ergo Dominum messis, ut mittat operarias in roessem suam” (24). Il raccolto che vi mando a coltivare è grande, ma gli operai o i contadini sono pochi: pregate dunque il Signore del raccolto, affinché mandi più operai al suo raccolto, o al suo raccolto: «ln messem suam». Questo suam e quel ergo sembrano non avere una buona conseguenza. Se Cristo è il Signore della messe, “Dominum messis”; se la messe è sua, “ln messem suam”, come ci comanda di pregare e chiedere a lui di mandare operai?
Non è forse lo stesso Signore quel Padre vigile delle famiglie che si è alzato molto presto e in ogni ora del giorno è uscito di persona nella piazza per chiamare e assumere operai per la vigna, non per altro motivo se non perché era sua: “lte et vos in vhieam meam”? (25) Se la coltivazione e il raccolto del suo campo dipendono dalla sua provvidenza e dalla sua cura, perché ci incarica nelle nostre preghiere: “Rogate Dominum messis”? Se il raccolto fosse nostro, allora spetterebbe a noi pregare e chiedere a Dio di darci i mezzi per ottenerlo: ma essendo il raccolto di Dio, dobbiamo pregare Dio stesso, affinché si ricordi della coltivazione del suo raccolto, “Ut mittat operarias in messem suam”? È evidente che lo stesso autore del Padre Nostro è il maestro di questa dottrina. Egli ci comanda che, essendo il campo di Dio e non nostro, siamo noi a pregare per esso: perché la preghiera perfetta e perfettissima non è chiedere per noi stessi, ma chiedere a Dio per Dio. Chiedere per noi stessi significa cercare i nostri interessi; chiedere a Dio per Dio significa chiedere la sua gloria. E questo è ciò che facciamo nelle prime tre richieste del Rosario. Se diciamo sanctificetur; per la gloria di Dio nomen tuum·.se diciamo advenit; per la gloria di Dio ancora una volta, regnum tum: se diciamo fiat; per la gloria di Dio allo stesso modo, voluntas tua.
C'era un re nel mondo così superbo e folle che voleva tutto questo per sé.
Voleva l'esaltazione del proprio nome, facendosi chiamare Dio; voleva l'espansione del proprio regno, cercando di estenderlo a tutto il mondo; voleva l'esecuzione universale della propria volontà, ordinando che solo essa fosse obbedita e nessun'altra. Sapete già che parlo di Nabucodonosor, più brutale quando entrava in questo pensiero che quando pascolava nei campi. Aveva circondato la città di Betulia, più stretta già dalla sua stessa posizione; Giuditta pregò Dio: ma come pregò? È un peccato che non lo facesse con un rosario tra le mani. Ma per questo san Paolo disse che tutto ciò che si faceva nella vecchia legge era figura della nuova: «Omnia in figura eontingebant illis» (26). La preghiera che fece dopo aver lodato le meraviglie di Dio a favore e in difesa del suo popolo, fu questa: «Erige brachiumtuum sicut ab initio, et allide virtutem illorum in virtute tua, cadat virtuscorum in iracundia tua» (27). Alza, Signore, il tuo braccio onnipotente come un tempo, spezza il potere dei nostri nemici con la tua forza, e fa' che l'orgoglio e la violenza dei loro eserciti subiscano il giusto rigore della tua ira. Questo è ciò che chiede la preghiera di Giuditta; ora seguono i motivi che ella adduce a Dio: «Qui promittunt se violare sancta tua, et polluere tabernaculum nominisi tui, et deficere gladio suo cornu altaris tui» (28): Perché promettono e minacciano di violare il sacro del tuo santuario, di profanare il tabernacolo del tuo santissimo nome, di distruggere e radere al suolo i tuoi altari con il ferro delle loro armi.
Ebbene, Signora, è questo che voi invocate a Dio? Molto di più è ciò che promette, molto di più è ciò che minaccia il nemico, che ha circondato e stretto d'assalto BetuliE.. Minaccia di assalire la città e di conquistarla con la forza; minaccia che a quanti vorranno difenderla non sarà risparmiata la vita, ma saranno tutti passati a fil di spada; minaccia che il sacco e il bottino saranno ricca preda dei suoi soldati, in cui la vostra casa avrà più da rubare: minaccia che i pochi che sfuggiranno alla prima furia, grandi, piccoli, uomini, donne, bambini, rimarranno prigionieri (o non rimarranno) perché tutti saranno portati in catene al remoto esilio della terra degli Assiri. Poiché se questo, e molto altro, è ciò che minaccia l'esercito di Oloferne, e la fama e il terrore del suo nome; come potete voi addebitare a Dio solo i sacrilegi del suo Santuario, le ingiurie del suo Tabernacolo, la desolazione dei suoi altari? Ecco perché nella preghiera di Giuditta, e in queste tre azioni che compie davanti a Dio, sono rappresentate le tre richieste del Rosario. Non chiede nulla a Dio per sé, teme tutto e chiede tutto a Dio per Dio. Proprio come noi diciamo: «Nomen tuum, regnum tuum, voluntas tua». Così Giuditta non dice né rappresenta altro a Dio se non: “Sancta tua, tabernaculum nominis tui, cornu altaris tui”.
E se qualcuno mi dice che siamo umani e non divini: di carne e non di spirito; che soffriamo fatiche, necessità, malattie; e che così come chiediamo a Dio per Dio, dobbiamo anche chiedere a Dio per noi: rispondo che è vero, ma che per questo non dobbiamo perdere la devozione al Rosario, né la pietà verso il Padre nostro. Lasciata la quarta petizione per un posto migliore, così come nelle prime tre, chiediamo solo a Dio, così nelle ultime tre chiediamo solo per noi. Nelle prime tre tutto per Dio; “Nomen tuum, regnum tuum, voluntas tua”: nelle ultime tre, tutto per noi: “Dimitte nobis, ne nos inducas, libera nos”.
P. Antônio Vieira
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