ROSARIO
nella eloquenza di
VIEIRA
ESTOLLENS VOCEM
Ma passiamo anche alle ultime tre petizioni, perché la brevità non ci permette altro, e vedremo che, sebbene in tutte si parli di noi, la voce di ciascuna non è per questo meno forte e alta:
“Extollens vocem”. La prima è altissima nella fiducia, la seconda altissima nella generosità, la terza altissima nel giudizio, e tutte e tre altissime nell'importanza. “Dimite nobis (dice la prima) sicut et nos dimittimus debitoribu3 no:;tris”; perdona i nostri debiti, come noi perdoniamo ai nostri debitori. Chi può dire di parlare con Dio chi parla così? Esiste un modo simile di chiedere? Esiste una risoluzione simile? Esiste una fiducia simile? Questo significa porre noi stessi come esempio a Dio, significa dire a Dio di imitarci e di fare lo stesso che facciamo noi. Così lo nota con parole proprie S. Gregorio Nisseno: “Ut Deus facta nostra imitetur; ut d.icas, ego feci, Domine fac; solvi, solve: dimisi, dimitte”. Non si potrebbe argomentare né esporre meglio. Ma il santo e dottissimo Padre non dice questo per stupirsi della fiducia della richiesta, ma per dichiarare l'altezza a cui Dio ci eleva, comandandoci di pregare in questo modo.
Quando Cristo ci comanda di chiedergli perdono, sostenendo che anche noi abbiamo perdonato, pensavo che fosse lo stesso che fare una richiesta con foglio corso. Tuttavia i Santi che lo comprendono meglio, non vogliono che sia così poco.
San Pietro Crisologo, scrivendo su questa stessa richiesta, dice che quando perdoniamo le offese che ci fanno i nostri nemici, noi stessi ci concediamo il perdono delle offese che abbiamo fatto a Dio: «Homo, intellige, guia remittendo aliis, tu tibi veniam dedisti». Giustamente il Santo ha detto: «Homo intellige»: Uomo, comprendi: perché questo sembra incomprensibile. Dare il perdono dei peccati è giurisdizione, o prerogativa, solo di Dio: «Quis potest dimittere peccata, nisi solus Deus»? Come posso quindi concedere a me stesso il perdono dei miei peccati? «Tutibi veniam dedisti»? Questa frase si basa sulla promessa di Cristo: “Dimittite et demittemini”: perdonate e sarete perdonati. E poiché questa promessa è condizionata, e la condizione dipende da me, quando la soddisfo, sono io a perdonarmi. Dio non può perdonarmi le sue offese senza che io perdoni le mie; e se io perdono le mie, Dio non può non perdonarmi le sue. Da qui deriva che il perdono dipende più da me che da Dio, perché Dio è vincolato alla sua promessa, mentre io non sono vincolato alla condizione. Dio non può mancare al perdono, anche se lo volesse, e io non posso perdonare, anche se lo volessi. Tanto è vero che il cardinale Hugo non ha esitato a formulare una proposizione che non so come possa essere stata accettata dal giudizio di un teologo così dotto e illustre.
Dice che l'uomo che perdona, lo fa Dio suo Signore. Le parole sono queste: «Jubet remittere, ut conscientiam purget; promittit veniam, ut statuat in i-;pe: et facit Dominum suum». Dio ti comanda di perdonare, per purificare la tua coscienza; ti promette il perdono, per confermarti nella speranza: «Et te facit Dominum suum»: e Dio ti fa suo signore. Ma come si può capire, o difendere, che Dio in questo caso renda l'uomo suo signore? La ragione o la sottigliezza di questo pensiero è: che poiché Dio ha posto a se stesso quella legge di perdonare chi perdona, l'uomo rimane libero e Dio obbligato; l'uomo rimane signore della legge e Dio soggetto ad essa. E quando l'uomo è signore della legge, e Dio no, l'uomo diventa in questo modo signore dello stesso Dio: “Te facit Dominum suum” . Hugo spiega il suo detto, aggiungendo in nome di Dio: “Sicut decreveris de eo, et ego de te decernam”: come tu giudicherai chi ti ha offeso, così io giudicherò te. Questo privilegio sembra simile a quello delle chiavi di San Pietro: ma San Pietro giudicava come Vicario, e perdonava come signore, e come signore in questo caso, non di altri, ma dello stesso Dio:
«Te facit Dominum suum». Cioè, in una parola, renderlo Dio signore del suo potere, che non si distingue da lui. E come coloro che recitano il Rosario, dicendo tante volte: “Sicut et nos dimittimus”; rinunciano alla loro signoria che hanno su quella legge, e in questo modo su Dio stesso, vedete se è alto e altissimo il punto a cui sale e si alza la voce della supplica: “Extollens vocem”.
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