venerdì 2 agosto 2019

COLUI CHE PARLA DAL FUOCO



IL CUORE APERTO DI GESÙ  

Per tutto quello che mi dai,  
Io ti do il mio Cuore!  
(Nostro Signore a Josefa, 15 luglio 1920). 


Nella sua posizione soleggiata sulle pendici degli ameni colli da cui Poitiers domina la valle del Clain, il vecchio monastero dei Feuillants sembra una di quelle terre privilegiate, fatte per l'incontro dei fervori umani coi favori divini.  
Nel 1618 una colonia cistercense di Foglianti vi si era stabilita, ma venne dispersa dalla Rivoluzione. Passata la tempesta, Santa Maddalena Sofia Barat riaccese fra le rovine la fiamma dell'amore impiantandovi il primo noviziato della Società del Sacro Cuore.  
Vi soggiornava spesso e in quel vecchio convento ricevette favori celesti così insigni, che la casa, i chiostri, il giardino divennero per la sua famiglia religiosa come un reliquiario e un memoriale della Fondatrice. Proprio tra quelle mura benedette Gesù volle nascondere la sua prediletta, amorosamente coltivarla come un fiore d'elezione, aprirle il Cuore, associarla alla Sua sete di anime, e compiere in lei e per mezzo di lei, la Sua Opera di Amore. Tuttavia, all'arrivo di Josefa a Poitiers, nessuno avrebbe potuto sospettare il grande disegno divino che incominciava ad attuarsi.  
Come apparve all'inizio del postulato, semplice, silenziosa, assidua al lavoro, scomparendo tra le consorelle, così Josefa rimase nei quattro anni di vita religiosa. Niente all'esterno la distingueva dalle altre: la sua fisionomia seria lasciava talvolta trasparire la sofferenza, ma si illuminava di un dolce sorriso, quando le si rivolgeva la parola o le si chiedeva un servizio. I grandi occhi neri, pieni di espressione, parlavano per lei e a sua insaputa. Tutta la sua vita si rispecchiava nello sguardo limpido rivelatore dell'interna fiamma e del profondo raccoglimento.  
Josefa possedeva doni non comuni di natura. Intelligente, attiva, a tutto si adattava e riusciva in tutto. Il buon senso illuminato, congiunto al giudizio retto, assicuravano in lei un fondamento serio ed equilibrato sul quale la grazia poteva lavorare a suo agio.  
Il cuore tenero e generoso, fortificato nella prova, sapeva custodirsi, pur donandosi interamente, e, come coloro che hanno molto sofferto, essa era buona di quella bontà che solo la piena dimenticanza di sé può insegnare.  
Josefa portò, entrando in religione, uno spirito maturato nel sacrificio, una comprensione soprannaturale della vocazione, una vita interiore già profonda ed un amore illimitato al Cuore di Gesù. Questi doni rimasero nascosti a chi la circondava, come agli stessi suoi occhi, e dal suo arrivo fino alla morte, passò inosservata nell'oscurità di una vita fedelissima.  
Il noviziato delle Sorelle coadiutrici dei Feuillants non contava da principio che qualche recluta, venuta da case diverse. Josefa fu la prima postulante e, dopo poco, la decana delle novizie. Fin dall'inizio quella vita umile e laboriosa così simile alla vita di Nazaret, rapì il suo cuore ed ella trovò la risposta alle sue più intime aspirazioni nell'ideale concepito dalla Santa Fondatrice del Sacro Cuore: molto lavoro nascosto, per aiutare l'Opera del Cuore di Gesù nell'educazione giovanile: lavoro tutto permeato di amore, di silenzio, di preghiera cui l'unione al Cuore adorabile dà tutta la ricchezza divina e il valore apostolico. Josefa abbracciò con intenso ardore questa nuova vita così luminosa per la sua fede e così cara al suo cuore.  
Per narrare ciò che fu esternamente il suo postulato, il noviziato, e i 18 mesi che conclusero la sua breve vita terrena, basterebbero poche righe. Gesù di Nazaret non ci ha forse insegnato che gli apprezzamenti divini non sono quelli del mondo? E il Vangelo non riassume forse la storia di trent'anni di vita nascosta con la breve espressione: «stava loro sottomesso»? Così la santità delle Sorelle coadiutrici del Sacro Cuore è tanto più reale, quanto più avvolta nel silenzio, tanto più profonda quanto meno appariscente. Josefa doveva essere una di quelle anime ignorate sulla terra, che appena si vedono, parlano poco, e la cui storia si racconta in alcune parole.  
Ma sotto il velo che nasconde la sua breve vita religiosa non tardò a rifulgere un'aurora splendente, quella delle grazie di elezione di cui il Cuore di Gesù l'ha fatta depositaria.  
Giorno per giorno, i disegni dell'Amore infinito si delinearono nella trama di quella vita, senza che all'esterno nulla apparisse del segreto custodito da Dio stesso. Le meraviglie della storia che stiamo narrando consistono appunto nel contrasto tra le apparenze esteriori e le realtà interne, tra il visibile e l'invisibile. Josefa è simile in tutto alle consorelle nella vita giornaliera, e, tuttavia, porta nell'anima il peso della divina predilezione che, a volte, l'abbandona a tutti gli assalti del dolore, a volte la soggioga davanti alla faccia di Dio! D'ora innanzi una doppia corrente di amore si stabilisce tra Gesù e Josefa: Amore divino di cui nulla può frenare lo slancio: amore fragile ma infuocato, quello di Josefa, che si sforza senza posa di offrirsi a tutte le esigenze del Disegno divino e di rimanere fedele all'offerta.  
Le seguenti pagine vorrebbero esporre qualcosa del mistero di questa vita. Pur sottomettendosi interamente al parere della Santa Chiesa, sola giudice in tale materia, si direbbe che il silenzio e l'ombra in cui si svolse la storia di Josefa presentino l'impronta dello spirito di Dio, e non sembra temerario scoprire la Sua Azione divina nella prudenza che, al di sopra di tutte le possibilità umane, dispose che restasse inviolato il segreto di questa esistenza. 
Infatti, all'infuori delle Superiore, nessuno nella grande casa dei Feuillants seppe mai le meraviglie che si svolgevano tra quelle mura.  
Un altro segno divino, e non minore, fu la cura gelosa con cui Gesù mantenne il Suo strumento piccolo agli occhi propri e altrui.  
 
«Non per quello che sei ti ho scelta, - non cesserà di dirle - ma per quello che non sei. 
Così ho trovato dove collocare la mia Potenza e il mio Amore».  
 
Non era forse necessario che il Dio di ogni sapienza cominciasse con lo scavare in quell'anima una capacità abissale, per deporvi poi le predilezioni del suo Cuore? Josefa, arrivata al porto della vita religiosa, piena di speranza, doveva ben presto sperimentare venti e tempeste molto più pericolose di quelle che l'avevano sconvolta nel mare del mondo.  
 
«Quindici giorni di pace deliziosa - ella scrive - seguirono il mio ingresso al noviziato».  
 
Ben presto fece conoscenza con le Madri, le Sorelle, la casa, il giardino. Ai Feuillants si ricorda ancora l'arrivo della piccola spagnola dagli occhi neri, che non sapeva come esprimere la sua immensa gioia e la sua riconoscenza. Semplice e amabile seppe subito ambientarsi nella grande famiglia. La Madre Assistente e molte sorelle anziane, che in parecchi anni vissuti nella Spagna si erano familiarizzate con quella lingua, le procurarono la gioia inattesa di udire e parlare ancora il caro linguaggio castigliano. Qualche giorno le bastò per rimettersi dalle emozioni della partenza, e poi fu data come aiuto in cucina, lavoro inusitato per lei. Vi si applicò con tutto il cuore e il suo viso raggiante diceva quanto poco le importasse la forma del dono, purché potesse darsi interamente a Colui che solo aveva il suo amore. Si sarebbe detto che nulla dovesse turbare quella felicità. Ma il nemico di ogni bene prevedendo a quali altezze di virtù sarebbe giunta la giovane principiante, nell'ombra preparava i suoi agguati. Si avvicinava l'ora in cui Dio avrebbe permesso all'avversario di entrare in scena. Josefa ad un tratto si trovò avvolta di tenebre.  
 
«Ben presto - ella scrive - cominciai a turbarmi al pensiero della mamma, di mia sorella, della patria lontana e della lingua che non comprendevo. Durante i primi mesi la tentazione fu così violenta che credetti non mi sarebbe stato possibile di resistere. 
Soprattutto mi riusciva insopportabile il pensiero che mia sorella dovesse tanto soffrire per causa mia. Tuttavia mi decisi ad abbandonare al Cuore di Gesù tutte e due, affinché Egli ne prendesse cura, e seguendo un consiglio che mi era stato dato, tutte le volte che il ricordo della patria, o della mamma, o della sorella, mi si affacciava al pensiero, rinnovavo un atto di amore e di fiducia.  
«Una sera, al principio di aprile, la tentazione di andarmene mi assalì più violenta. 
Durante l'intera giornata non avevo fatto che ripetere: Dio mio, Ti amo, risoluta come ero di essergli fedele. Nel coricarmi misi il Crocifisso, come sempre, sotto il guanciale. Verso mezzanotte mi svegliai e, baciandolo, dissi con tutto il cuore: "da questo momento Ti amerò sempre di più". In quell'istante stesso mi trovai afferrata da una forza invisibile e sentii una tale carica di colpi, come di pugni, che credetti morirne. Quel supplizio durò tutta la notte e continuò durante la meditazione e la Messa. Ero così spaventata che non potevo staccarmi dal mio Crocifisso; ero sfinita e non osavo fare alcun movimento. 
Finalmente, al momento dell'Elevazione, vidi passare presso di me un bagliore, come un lampo, e sentii un rumore simile a un forte soffio. Tutto cessò all'improvviso, ma restai indolenzita per parecchi giorni».  
 
In tal modo Josefa iniziò quella lotta che sosterrà tutta la vita contro il nemico delle anime. 
Però resta calma ed ugualmente fedele al suo dovere giornaliero e alla regola. La sua confidenza e l'obbedienza verso la Maestra delle novizie aumenta e presso di lei trova pace e forza per soffrire maggiormente.  
 
«Il venerdì 7 maggio - ella scrive - non potendone più, supplicai che mi lasciassero partire. Allora la Madre Assistente mi mostrò il biglietto scritto da me in cui domandavo per l'amore di Dio, della Santissima Vergine, del mio Patrono San Giuseppe e della Beata Madre Fondatrice che, se mille volte chiedessi di partire, mille volte mi si ricordasse che, nelle ore di luce ero stata convinta essere volontà di Dio che rimanessi al noviziato. Da quel giorno non ebbi più un momento di pace, e Dio solo sa quel che ho sofferto!».  
 
Cinque settimane trascorsero in queste lotte così eccezionali e Josefa ripeté ad ogni istante la parola dell'obbedienza:  
 
«Sì, Gesù, resterò al Tuo servizio, e voglio amarti coll'obbedire. Non vedo niente, ma, malgrado le tenebre, ti sarò fedele!»  
 
Una sera, dello stesso mese di maggio, lo sforzo diabolico fu ancora più tangibile.  

«Ero in Cappella durante l'adorazione - scriveva più tardi - e, ad un tratto, fui attorniata da una folla furiosa. Vedevo ceffi orrendi, udivo grida acute e nello stesso tempo tutto il mio corpo era percosso furiosamente... non riuscivo neppure a chiedere aiuto. Mi sentii così male che dovetti sedermi e,senza poter pregare, fissavo il tabernacolo. All'improvviso mi sentii afferrare per un braccio, come se mi si volesse trascinare fuori di Cappella: provai a resistere, ma fui strappata da una forza irresistibile. Non sapendo che fare né dove andare, perché temevo di incontrare qualcuno, salii alla cappellina della beata Madre. Là fui raggiunta dalla Madre Assistente che mi chiese che cosa fosse successo. Non potevo parlare ma interiormente dicevo a me stessa: "anche se mi uccidono, andrò da lei e dirò tutto"».  
«Uscii di là, ma subito mi vidi attorniata dalla stessa folla furibonda che gridava orribilmente. Giunta alla porta della camera della Madre, tutto disparve come un lampo. 
Mi trovai in perfetta pace e non avrei più voluto uscire di là. La stessa cosa mi accadde più volte in seguito, - aggiunge Josefa -, ma sempre, quando mi decidevo a parlare, tutto scompariva appena giunta alla porta della Madre Assistente. Osservai specialmente la rabbia del demonio quando ella mi faceva il segno della Croce sulla fronte, pestava i piedi rabbiosamente e, se alle volte la Madre dimenticava di farlo, udivo sghignazzare orribilmente».  

Attraverso queste prove si svolse il postulato di Josefa. Il 16 luglio doveva portarle la grande grazia della vestizione. Però, tante inattese sofferenze la gettavano in perplessità dolorose e la prospettiva di tali patimenti si ergeva davanti a lei come un ostacolo insormontabile. 
Talvolta era pronta ad abbracciare la volontà di Dio, a qualunque costo, tal altra si sentiva così paralizzata da non saper consentire a sopportare croci tanto pesanti.  

«Continuai - così ella scrive - fino al giorno in cui Gesù volle farmi sperimentare la Sua presenza divina e, d'allora in poi, infondermi tanta luce e consolazione».  

Il sabato 5 giugno 1920, dopo un più formidabile assalto infernale, Josefa, decisa a partire, entrava con le consorelle in Cappella per l'Adorazione Eucaristica pomeridiana. Gesù l'attendeva. Essa sotto l'azione diabolica dice:  

«No, non vestirò l'abito, voglio tornare a casa! Per cinque volte dissi così - scriveva più tardi - ma non potei ripeterlo di più. O Gesù, quanto sei stato buono con me!».  

Ad un tratto Josefa, avvolta da quello che ella chiamava ingenuamente «placido sonno», si risveglia nella ferita del Cuore divino.  

«Non posso spiegare ciò che avvenne in me. Altro non ti chiedo, Gesù - ella scrive - che di amarti e rimanere fedele alla mia vocazione!».  

Nella luce da cui è circondata, vede i peccati del mondo e si offre di dare la vita per consolare il Cuore trafitto di Gesù. Un desiderio veemente di unirsi a Lui la consuma e nessun sacrificio le sembra troppo arduo per restar fedele alla propria vocazione. Le tenebre dello spirito si sono dissipate nella luce divina e la desolazione è scomparsa dando luogo a una felicità indicibile.  

«Dio ha fatto questo cambiamento - ella osserva negli appunti scritti per obbedienza - mi sento confusa per tanta bontà! Vorrei amarlo pazzamente e non Gli chiedo che due cose: amore e riconoscenza verso il suo Cuore adorabile! Conosco più che mai quanto sono debole, ma più che mai aspetto da Lui forza e coraggio... Non avevo mai riposato in quella divina ferita... ora so dove andare a rifugiarmi nei momenti della tribolazione; ho trovato il luogo del riposo e dell'amore!  
«Ora sento vivamente quanto abbia resistito alla grazia e misuro tutta la mia infedeltà, ma tale conoscenza mi spinge a maggior fiducia e mi fa sperare ch'Egli non mi mancherà mai, anche quando mi sentirò abbandonata. Ciò che mi torturava finora era il timore di non essere fedele, sentendomi sola. Ma mi accorgo che Gesù, a mia insaputa, mi sosteneva. 
Oh! quanto vorrei amarlo!».  
 
Quando Josefa esce dalla Cappella ancor tutta impregnata del contatto divino, si può facilmente rilevare quale cambiamento, in pochi istanti, sia avvenuto in lei.  
 
«Non so proprio di che si tratta - scrive due giorni dopo - ma credo che Gesù voglia scoprirmi un altro segreto perché alla meditazione di ieri, lunedì 7 giugno, mi ha fatto entrare nuovamente nella ferita del Suo Costato. Gesù mio, quanto mi ami! Non potrò mai corrispondere a tanta bontà! In quella ferita del Cuore mi è sembrato scorgere una piccola apertura e avrei voluto sapere come fare per penetrarvi..., ma mi fece capire che l'avrei saputo un'altra volta.  
«... Dodici giorni sono trascorsi - scrive il 17 giugno, dacché il Signore mi ha concesso una grazia tanto grande. Durante questo tempo ho avuto immense consolazioni e, soprattutto, ho potuto approfondire gli insegnamenti del Cuore divino. Mi ha mostrato chiaramente che ciò che più Gli piace sono i piccoli atti compiuti per obbedienza. Ho capito che a questo devo applicarmi per imparare la rinunzia totale a me stessa. Per piccolo che sia l'atto compiuto piacerà moltissimo al Cuore di Gesù. Voglio consumarmi d'amore. Che Cuore è quello di Gesù!».  
 
Schiacciata dal cumulo di tante grazie Josefa continua a trascrivere tutta la piena dei suoi affetti.  
 
«Oggi, mercoledì 23 giugno, ho meditato sulla bontà del Cuore di Gesù, riflettendo che questo Cuore così pieno d'Amore per le anime e per la mia, diverrà il mio Sposo, se Gli sarò fedele! Non sapevo che dire, né come ringraziare. Mio Gesù, non posso ripagarti che servendomi di Te, poiché se io sono Tua, Tu sei mio; mi abbandono a Te! Bisogna che la mia vita sia soltanto in Dio e di Dio... che io mi dia interamente, finché tutto in me sia consumato e scompaia e tutto quello che sono e faccio non venga che da Lui!  
«Dopo averlo ricevuto nella santa Comunione Gli ho detto come sempre quanto L'ami e quanto brami di amarlo, e allora Egli mi ha introdotta nel divino Rifugio. E’ già la terza volta che riposo nel suo Cuore! Non so dire ciò che avviene in me, se non che mi sento troppo piccola per tante grazie. Mio Dio, questo Cuore ricolma di amore colui che Lo cerca e Lo ama!  
«Nei momenti di paradiso che trascorro nella ferita del Suo Costato, Gesù mi fa conoscere come contraccambia quel poco che faccio per essergli fedele. Non voglio più cercare in nulla il mio interesse, ma, in tutto, la sua gloria. Procurerò di essere molto obbediente e generosa nelle minime cose, perché credo che la perfezione consista in questo, e che sia un mezzo per andare a Lui».  
 
Di fronte al Cuore di Gesù che le si apre così meravigliosamente Josefa non sa più come dimostrare i sentimenti che prova.  

«Oggi, giovedì 24 giugno, ho visto, in modo inesprimibile, ciò che è il Cuore di Gesù... 
L'ho supplicato di darmi sete di Lui! non so spiegare ciò che ho visto... ma era Lui! In Lui era tutto il cielo... Mio Dio! non reggo a tanta felicità! Vorrei offrire qualcosa... dare a Colui che tanto mi dà! Ma sono così piccola!... Gli ho promesso di nuovo di essere fedele e di lasciarmi guidare in tutto per andare con più sicurezza al Suo Cuore divino».  

Senza lasciarsi tuttavia trasportare dallo slancio dell'anima, Josefa si ferma. Cerca di penetrare in fondo al Cuore di Gesù per scoprire ciò che aspetta da lei e misurarne l'infinita bontà.  

«Osservo due cose: prima di tutto, una maggior conoscenza della bontà divina, poiché, se ho sempre creduto che Dio ama pazzamente le anime, ora vedo chiaramente ciò che è questo Cuore amantissimo. La sua pena più grande è di non trovare corrispondenza al Suo Amore, mentre se un'anima Gli si abbandona, può essere sicura che Egli la ricolmerà di grazie e farà di lei un cielo per fissarvi la Sua dimora. Perciò ho promesso in modo speciale: fedeltà e obbedienza, fiducia e abbandono.  
«La seconda cosa che osservo è una conoscenza più chiara di me stessa. Mi vedo (e non so se proprio fino in fondo) quale sono: fredda, distratta, immortificata, poco generosa! O Dio! perché amarmi tanto, mentre sai ciò che sono?... Signore, non perderò però fiducia! 
Ciò che non potrò fare, lo farai Tu e con la Tua Grazia e il Tuo Amore andrò avanti».  

E Gesù la conduce sempre più addentro nel suo Cuore. Le grazie di cui l'ha colmata in questo mese di giugno non sono che un preludio. Infatti Josefa scrive la sera del martedì 29 giugno:  

«Oggi la meditazione era sulle tre negazioni di S. Pietro e, confrontando la mia debolezza, con la sua, presi la risoluzione di piangere le mie colpe e di imparare ad amare come lui. Quante volte anch'io ho promesso fedeltà! Ma oggi l'ho fatto con più forza e con più decisione. Si, o Signore, ti sarò fedele! Ti prometto non solo di non ricusarti niente, ma di andare incontro a ciò che saprò esserti più gradito.  
«Mentre stavo così conversando col mio Dio, Egli mi introdusse nella divina ferita del Suo Costato. Ho visto aprirsi la piccola apertura in cui non avevo potuto penetrare qualche giorno fa, e mi ha fatto capire la felicità che mi aspetta, se sarò fedele a tutte le grazie che mi ha preparato.  
«Non posso dire ciò che ho scorto: era come una voragine di fiamma in cui il mio cuore si consumava. Impossibile vedere il fondo di questo abisso, perché era immenso e pieno di luce. Mi trovavo talmente immersa in quel che vedevo da non poter né parlare; né domandare... La meditazione e una parte delia S. Messa sono trascorse così, ma poco prima dell'Elevazione, i miei occhi, questi poveri occhi!... hanno visto Gesù, l'unico bene dell'anima mia, il mio Signore e Dio in mezzo ad una grandissima fiamma. Non so ridire ciò che sia accaduto, perché non posso!... Vorrei però che il mondo intero conoscesse il segreto della felicità. Non consiste che nell'amare e nell'abbandonarsi: il resto lo fa Gesù.  
«Ero come annientata davanti a tanta luce e a tanta bellezza, allorché Egli mi ha detto con voce dolce e solenne insieme: «Nello stesso modo in cui Io m'immolo, vittima di Amore, così voglio che tu sia vittima: l'amore nulla rifiuta».  
«Così passò questo momento di paradiso, giacché non posso chiamarlo altrimenti. Non ero capace di dire che queste parole: mio Dio che vuoi ch'io faccia? Domanda e disponi, poiché non sono più mia, ma Tua! Poi Egli disparve».  

Al ricordo di questa ineffabile visita, Josefa non può trattenere il suo ardente amore.  
 
«O Gesù, - ella scrive - non desidero che una cosa, che il mondo intero Ti conosca, ma soprattutto le anime scelte ad essere le spose del Tuo Cuore adorabile! Se Ti conoscono, Ti ameranno perché sei l'unico Bene. Infiammami del Tuo amore e mi basta... infiamma tutte le anime e non Ti chiedo di più, poiché l'amore ci conduce a Te per il sentiero più breve. Per me non bramo altro che amarti e sempre di più, Te solo! Tutto il resto non mi sarà che un mezzo per giungere a Te. Se potessi, anche a prezzo della vita, condurrei tutti a questa divina fornace!  
«Gesù mi ha dato il desiderio ardente che tutte le anime Lo amino. Perciò offrirò tutto, andrò incontro a ciò che più mi costa per piacergli e ottenere che molti cuori Lo conoscano e Lo amino.  
«Gli ho anche promesso di non far nulla, se non guidata dall'obbedienza e ho capito quanto sarà contento di vedermi semplice, aperta, pronta a lasciarmi condurre come un fanciullino».  
 
Dopo qualche giorno da «quel gran momento di paradiso» Nostro Signore mostra a Josefa ciò che esigerà da lei: la sete delle anime che Egli ha cominciato a comunicarle. Ella scrive il sabato 3 luglio:  
 
«Oggi lavoravo al noviziato e pensavo alla felicità di dimorare con Lui sotto lo stesso tetto, e di averlo per compagno in ogni occupazione. Non so più quel che Gli dicevo quando, ad un tratto, mi ha mostrato il Cuore avvolto in una fiamma luminosa, circondato da una corona di spine, e quali spine! Erano lunghe, penetranti e da ognuna sgorgava molto sangue... Avrei voluto togliergliele, ma in quel momento il cuore mi è stato strappato per così dire, con immenso dolore, e messo accanto alla ferita del Costato sotto le spine. 
Ma solo sei si conficcarono nel mio, perché è assai piccolo. Passò un momento e non potei dire niente, eppure Egli sapeva quanto desiderassi avere un cuore più grande per togliergli più spine! Allora la Sua dolce voce dolorosamente mi disse: 
 «- Questo e molto più ha sofferto il mio Cuore: ma trovo anime che si uniscono a Me e Mi consolano, in compenso di quelle che se ne allontanano!»  
«Oh! quanto Gesù ha sofferto! Compresi che alcune spine Lo feriscono più di altre e avrei voluto sapere che cosa dovevo fare per consolarlo, perché io ho soltanto delle piccolezze da offrirgli, e sono troppo poco per tante sofferenze, ma non me lo ha detto!»  
 
La domenica 4 luglio, Josefa assiste alla S. Messa come al solito, associandosi ai divini Misteri.  
 
«E per dire la verità ella scrive - non sapendo che cosa dire né che cosa fare cercavo di umiliarmi, poiché ogni giorno più conosco la mia piccolezza e la mia miseria, quando, davanti a me, vidi quel Cuore adorabile! Era trapassato da una grossa spina, che doveva essere molto lunga perché il sangue scorreva abbondante. O Gesù mio! chi ti ferisce così? 
Forse sono io? Che sofferenza vedere quel Sangue divino! E’ un dolore che non posso esprimere... Signore mio, prendimi e fa' di me ciò che vuoi, ma che questa spina non rimanga conficcata così nel Tuo Cuore! Allora ho visto uscire come un lungo chiodo che lasciò una ferita così profonda da poter scorgere l'interno di quell'ardente fornace, e Gesù mi ha risposto:  
« - Questo grosso chiodo è la freddezza delle mie spose. Voglio che tu lo comprenda per infiammarti di amore e consolare il mio Cuore». «Il martedì 6 luglio, - continua Josefa - durante la meditazione, mi ha di nuovo mostrato il Cuore, trafitto da sei spine. Ne provo un immensa pena, tanto per quello che soffre, quanto per la mia piccolezza incapace a sollevare e consolare il Suo dolore. Mi ha fatto comprendere che le sei spine sono anime che attualmente L'offendono in modo speciale, e mi ha detto:  
« - Sono queste le spine che ti chiedo di togliermi con il tuo amore e i tuoi desideri». 
«Allora fece cadere qualche goccia del Suo Sangue sul mio cuore. O Signore! il mio cuore è troppo piccolo per tanto Amore, ma è tutto Tuo!».  
 
Il giorno dopo, 7 luglio, Gesù introducendola ancora una volta nel suo Cuore ferito le lascia questa parola d'ordine:  
 
« - Amami nella tua piccolezza, così Mi consolerai». «Di tutte le grazie che ricevo - ella conclude il giorno stesso - due cose rimangono profondamente scolpite nell'anima mia:  
1° Un desiderio sconfinato di amare e di soffrire per corrispondere al Suo Amore e questo lo realizzerò con la fedeltà alla mia vocazione;  
2° Una sete bruciante che molte anime Lo conoscano e Lo amino, soprattutto quelle che Egli sceglie per Sue spose. Credo che questa sia la mia vita: nulla risparmiare a tal fine, cercare le occasioni di offrire molti piccoli atti a Gesù, a Colui che amo pazzamente o meglio, che desidero amare tanto!»  
 
Con queste disposizioni ella si avvicina al giorno della vestizione. Il mercoledì 7 luglio 1920 si aprì infatti il ritiro che doveva condurla, non senza combattimenti, al giorno ansiosamente atteso.  
 
«Ardente desiderio di darmi interamente a Dio, senza tralasciare o rifiutare nulla di ciò che conosco essere la Sua Volontà. Essere attentissima alla voce di Gesù, in modo che questo ritiro sia come il fondamento di tutto il mio noviziato. Soprattutto chiedere un grande amore alla mia vocazione che è per me il mezzo di unione e di conformità al Cuore di Gesù».  
 
Così cominciano gli appunti del ritiro sul quadernino di Josefa. Ogni giorno ella scrive fedelmente il risultato dei suoi sforzi e, da queste righe assai semplici, scritte per sé sola, traspare la burrasca delle tentazioni che ad un tratto sorgono nel cielo dell'anima sua.  
 
«Fino al terzo giorno del mio ritiro, 10 luglio, - ella scrive - ero in grande consolazione, ma nella meditazione del giudizio mi sentii ad un tratto sola dinanzi a Dio giudice. Allora l'anima mia fu presa da un timore tale che perdetti la pace che godevo fin dal 5 giugno. 
Vidi davanti a me tutte le grazie ricevute che mi accuseranno un giorno, e mi trovai nello stesso tempo immersa in tanta solitudine e desolazione che mi sembrò preferibile non avere tali favori per non dovere renderne conto.  
«Passarono così parecchi giorni e decisi di partire. Ma, mio Dio, quale notte trascorsi e quante sofferenze! La mamma e mia sorella stavano per giungere e questo pensiero accresceva la tentazione, risvegliando più forte in me la tenerezza per quegli esseri cari e per la patria.  
«Fin da principio avevo detto tutto alla Madre Assistente e non cessavo di ripetere per obbedienza la preghiera di offerta che essa mi aveva insegnato e che altre volte mi aveva fatto tanto bene; giacché prima di tutto volevo restar fedele e, in certi momenti, capivo che era una tentazione. Ma niente mi sollevava, anzi!  
«La vigilia della Vestizione, 15 luglio, la lotta fu così forte che non trovai altra cosa da offrire che questa tentazione stessa. O Signore! ciò che amo di più, la libertà, la famiglia, la patria, in una parola, tutto ciò che ora mi tenta, Te lo offro, e non voglio che esserti fedele o morire!... Allora Gesù si degnò consolarmi nel modo che dirò».  
 
Ma, prima di cominciare il racconto delle grazie straordinarie, Josefa, sempre fedele agli inviti di Nostro Signore, espone la sua risposta d'amore. Ella scrive:  
 
«Risultato pratico delle tre prime settimane del ritiro e «Ho visto come Dio mi chiama a una grande perfezione ossia a una totale conformità al Suo Cuore.  
«Mezzi: la mia vocazione, le sante regole.  
«Dio mi invita all'intimità con Lui. Vuole che viva immolata come vittima. Egli s'incarica della mia croce: non debbo né domandarla né sceglierla. Me la darà di Suo gusto. Vuole che trascorra la mia vita nel Suo Cuore e devo comprendere che le spine e la croce vi sono confitte. Ecco la mia vita: così deve essere e così adempirò la volontà di Dio.  
«Nella contemplazione per ottenere il Suo Amore non so se riuscirò ad esprimere ciò che mi è accaduto. Avevo un tal desiderio di dargli tutto ciò che mi domanda che ripetevo con tutto il cuore: Prendi Signore, e ricevi tutta la mia volontà: Ti offro ciò che amo di più al mondo... Se vuoi ancora di più, Te lo sacrificherò con gioia! Prendi le mie miserie e consumale, prendi il cuore e l'anima, prendimi, Signore!»  
 
Nostro Signore non aspettava che questa offerta per ricolmarla delle sue divine liberalità. 
Allora, lasciando scorrere dal suo costato un rivolo di Sangue nel quale il cuore di Josefa fu sommerso:  
 
«- Per tutto ciò che mi dai - Egli disse - Io ti do il mio Cuore!»  
«Ho creduto di non essere più su questa terra! Oggi, Egli era rivestito della tunica candidissima che fa risaltare il Suo Cuore in maniera ineffabile... Il Suo Volto è un sole... 
Dio mio! che bellezza! Tu rapisci i cuori che Ti conoscono!»  
 
Ingenuamente Josefa spiega, nelle righe seguenti, come per meditare sul cielo non le occorresse il libro.  
 
«Poiché il cielo stesso era nel mio cuore - ella scrive - altro non desidero che l'Amore e sempre l'Amore!».  
 
Ancora una volta, prima dell'alba di quel gran giorno Nostro Signore le mostra qual è la via in cui il Suo Amore vuole introdurla. Venuta la sera, Josefa, che ha il permesso di fare l'ora santa, la incomincia con un atto di profonda umiltà.  
 
«Adorai la Maestà divina - ella scrive - quindi riflettei sulle grazie ricevute da Dio, con un desiderio sempre più vivo di consolare il Suo Cuore.  
«Ad un tratto me Lo vidi davanti, con la tunica sfolgorante di candore e il Cuore che sembrava volesse uscirgli dal petto. Siccome ero sola mi prostrai con la fronte a terra, umiliandomi quanto potevo, incapace di parlare. Dopo un momento di silenzio, mostrandomi le sei spine mi disse con quella voce che penetra l'anima. 
«- Figlia mia, toglimi queste spine».  
«Il venerdì 16 luglio, giorno della mia Vestizione, nel momento di ricevere il velo bianco, e dopo, fino alla fine della Messa, Gesù mi apparve e mi fece entrare nella ferita del costato. Non potei pronunziare che queste parole: Mio Dio, sono Tua per sempre!».  

SUOR JOSEFA MENENDEZ 

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