venerdì 22 maggio 2020

L'ultimo Papa canonizzato



IL PESO DELLA PARROCCHIA 

Ma la sacra predicazione non era la sola occupazione, a cui si applicasse il  nostro Don Giuseppe. Anche senza di questa le sue giornate erano piene ed  intense, le quali divennero ancora più intense di lavoro quando, circa il 1863,  Don Costantini, per una ostinata malattia di petto che lo tormentava da tempo  era costretto a rimanere inoperoso per una buona parte dell'anno. 
Allora il giovane Cappellano sentì gravare sopra le sue spalle tutto il peso  della Parrocchia. 
Amministrava con premura i Sacramenti. Nei giorni festivi e alla Domenica,  specialmente, confessava senza contare le ore, spiegava il Catechismo ai  fanciulli, la Dottrina Cristiana agli adulti. 
Ogni giorno attendeva a consolare miserie, a richiamare al dovere, a  comporre dissidi, ad alimentare la pace nelle famiglie, ad incitare tutti al  bene. E pensava anche alla scuola di canto sacro che egli aveva istituito per un maggiore decoro delle sacre funzioni, a dare lezioni di grammatica a quei  giovanotti che sentivano inclinazione allo stato sacerdotale (76) a farsi  sapientemente fanciullo con i fanciulli per tenerli lontani dal male, e, come se  non avesse altre occupazioni, non ricusava di sostituire perfino il maestro  della scuola elementare del villaggio (77). 
E poi venivano le giornate ardenti di sacrificio e di fede, nelle quali si  consumava nel preparare i fanciulli alla prima Comunione, nel promuovere la 
Comunione frequente, nell'eccitare il popolo ad una più intensa devozione  verso la SS.ma Eucaristia, di cui egli stesso dava continuo esempio non solo  per il modo, con il quale celebrava la Santa Messa, ma anche tutte le volte  che esponeva solennemente alla adorazione dei Parrocchiani il SS.mo  Sacramento. 
 “In quei momenti — testimoniava un vecchio del paese — assumeva un  espressione quasi sovrumana. Con le mani congiunte a preghiera, teneva gli  occhi sempre fissi nel SS.mo Sacramento, e, quando dava la Benedizione, da  tutta la sua persona spirava un sentimento di fede così viva che edificava e  stupiva. Vi era in lui qualche cosa di straordinario” (78). 

Vi erano ancora gli ammalati, gli infermi, i moribondi. 
Premuroso, perché questi non mancassero di nulla, specialmente se poveri, li  visitava anche più volte al giorno, e, chiamato di notte, accorreva al loro letto  come se avesse le ali ai piedi. Non badava a stenti, non curava strapazzi, non  guardava ad inclemenza di stagioni, a strade impervie, ne a distanze di luoghi  (79): si sacrificava sino all’esaurimento delle sue forze. I Tombolani  ricordano di averlo veduto qualche volta cadere in deliquio (80). 
— “Guarda qui — diceva un giorno ad una giovane popolana, indicando con  l'indice della mano le proprie scarpe — Ho le suole tutte consumate a forza  di andare a visitare il tuo vecchio nonno infermo” (81). 
E con quanta passione, con quanta commovente tenerezza assisteva e  confortava i moribondi! Li incoraggiava al passo estremo con parole che  avevano la dolcezza della rassegnazione cristiana, ne calmava le ansie, li  consolava con la visione delle speranze immortali e non si distaccava dal loro  fianco se non quando li avesse veduti morire sotto i propri occhi e non li  avesse accompagnati con la sua preghiera fino sulle soglie dell'eternità (82). 

Tutta la responsabilità della Parrocchia gravava sopra di lui, ma nessun'ombra di abbattimento o di tristezza sopra il suo volto. Nei suoi occhi  brillava sempre una vivida luce di gioia, di letizia e di felicità, perché sapeva  di lavorare non per una gloria terrena, ma per una gloria ben più alta: la  conquista delle anime (83). 
I Tombolani erano meravigliati della sorprendente attività del loro  Cappellano e si domandavano come potesse resistere sotto il peso di una  fatica così continua, così spossante e senza respiro. 
Non sapevano che il loro giovane Cappellano aveva nel cuore la potenza di  quelle divine energie che moltiplicano le forze per il lavoro. 

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c.

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