giovedì 29 ottobre 2020

Padre Pio di Pietrelcina, il primo Sacerdote stigmatizzato

 


L'avvocato Alberto Del Fante, bolognese, ex grado 33 della massoneria, scrisse questo libro dopo essersi convertito al confessionale di Padre Pio. 


Sempre sul Resto del Carlino di Bologna, dell'8 aprile 1926, si leggeva questo articolo:  


L'EREMO DI PADRE PIO 

Per una tortuosa e mal battuta strada vicinale - aperta attraverso campi, popolati di mandorli e di enormi massi distaccatisi, chi sa quando, dai fianchi della montagna - si giunge al convento dei Cappuccini, che supera di 150 metri il livello di S. Giovanni Rotondo, e che dal 1917 ricovera Padre Pio. Quaranta minuti di cammino affrettato lo dividono dal paese.  

Quando mi muovo dall'albergo di Calogero Vinci guerra insieme con lui e con due occasionali compagni pugliesi - che hanno trascorso la notte nella camera vicina alla mia - è sempre buio. Piove: la luce elettrica è spenta e si sta in equilibrio sulla pietra sdrucciolevole delle vie come sopra il ghiaccio. Giù dalle anfrattuosità del Gargano scende e c'investe una tramontana così gelida, che ingentilisce, alla rievocazione, quelle rivierasche liguri e labroniche.  

Bisogna andare e si va. Ci precede con la sua alta figura, chiusa nel ferraiolo, Calogero Vinciguerra, poco loquace.  

Finalmente ci troviamo dinanzi alla porta della chiesa, donde accediamo alla sagrestia dietro l'altare maggiore e, da essa, per un corridoio e due rampe di scale, imbocchiamo un altro corridoio, su cui dànno gli uscioli di numerose celle.  

- Vedi! - mi dice Calogero Vinciguerra, indicandomene una.  

- Questa è di Padre Pio.  

E bussa. Nessuna risposta dall'interno. Passa, come un'ombra, un fraticello. Interpellato dalla nostra guida, risponde:  

- È in fondo a sinistra. Lo aspettino presso la finestra, laggiù.  

Quando esce potranno vederlo.  

D'un tratto il rumore di una porta, che si dischiude, e l'approssimarsi di passi, fanno acuire la sguardo a Calogero Vinci guerra.  

- È lui! - sussurra e con un rapido cenno ci chiama. Appena Padre Pio ci incontra, si ferma e tende, prima che gli altri, la destra o, meglio, le dita della destra a me. Sa ... donde vengo, poiché mi chiede di Roma, ride, e con gli occhi neri mobilissimi, di una dolcezza raramente còlta in altri occhi, mi scruta.  

Poi con la voce - che ha tutte le armonie della più squisita e raffinata seduzione - dice ai miei due compagni pugliesi:  

- Loro, che vogliono confessarsi e comunicarsi, possono precedermi in sagrestia. Li seguo ...  

Mentre si congeda, ripromettendosi di salutarmi a messa celebrata, constato la regolarità e la pienezza del nobile e bellissimo volto, su cui i capelli, la barba ed i baffi dai forti riflessi, cari al pennello di Tiziano, aggravano il perlaceo pallore; la statura media; le dita - pure bianchissime, femminee e ben curate - strette, alle radici, da mezzi guanti di maglia di lana nera. E, quando si discosta, noto il taglio elegante dell'abito monastico, l'incidere un po’ difficoltoso, sebbene abilmente dissimulato, dei piedi, chiusi in scarpe allacciate di panno nero, con le punte di cromo lucido - scarpe che, lo appresi accidentalmente più tardi - ebbe in regalo dalla Svizzera.  

Ricordo, per contrasto, le sue umili origini ed i suoi quasi trentasette anni di età. Eppure non sembra superi i cinque lustri e, quel che più sorprende, respiri da un polmone, avendo - mi si assicura - l'altro atrofizzato.  

Scendo in sacrestia. Dopo la confessione dei due pugliesi, Padre Pio veste i paramenti sacerdotali, aiutato da un giovane che vidi già e non rammento dove. Mi informo da Calogero Vinciguerra chi sia. 


Le Stigmate .  

- Ah! non sai? È il prof. Emanuele Pederzani. Ora ti racconto. L'anno scorso salì a S. Giovanni Rotondo come vi salgono tanti. Veniva dalla Romagna: da Rimini. Era un miscredente ed un viveur. Li chiamate così, è vero, quelli che pensano solo a soddisfare il corpo?  

- Aveva partecipato alla guerra col grado di capitano degli alpini, coprendosi di gloria. Lo accompagnava una sorella, che ha aperto una scuola frequentatissima di tagli per abiti femminili e la dirige da maestra provetta. - Che è, che non è, spinto dalla curiosità di visitare Padre Pio, un bel giorno si converte. Si spoglia dei vestiti eleganti, brucia i romanzi, si mortifica con i digiuni e da nove mesi ogni mattina, con qualunque tempo, s'arrampica quassù per servir la messa e comunicarsi. - Ed ora entra in chiesa con Padre Pio e mettiti di fianco all'altare, se vuoi vedere le stigmate. Io ritorno a San Giovanni.  

La funzione comincia. Oltre la balaustrata, molti fedeli - uomini e donne - pregano genuflessi. Padre Pio si volge con le palme alzate ad invocare che Iddio sia con quanti lo ascoltano. E le stigmate si rivelano, sotto i mezzi guanti, nella tinta particolare del sangue pesto.  

Mentre le osservo, il pensiero mi riconduce a ritroso verso le origini di quelle del «Serafico in ardore» come le narra nella sua Leggenda prima Tommaso da Celano, quasi contemporaneo del prodigioso avvenimento.  

«... Dimorando Francesco - scrive il biografo abruzzese - nell'eremo, che, dal luogo ove è situato, si chiama la Verna, due anni prima di morire, vide in una visione divina, stare sopra di lui un uomo con sei ali a guisa di serafino, con le mani distese e i piedi uniti, confitto alla croce: due ali si alzavano sul capo, due si stendevano per volare, le due ultime coprivano tutto il corpo.  

«A tale vista il beato servo dell'Altissimo rimaneva pieno d'ammirazione, ma non sapeva comprendere il significato della visione. Si sentiva acceso di gioia per la dolcezza amorosa dello sguardo del serafino bellissimo, ma era atterrito dalla considerazione di quella croce, cui era confitto e dell'amarezza della sua passione.  

«Si alzò, se può dirsi, così triste e lieto ad un tempo, e il gaudio ed il dolore si alternavano in lui. Intanto si sforzava di comprendere il significato della visione, e da questo sforzo era tutto agitato il suo spirito. Non riusciva a intendere nulla di preciso, e rimaneva preoccupato per le singolarità dell'apparizione, quando cominciarono a mostrarsi nelle sue mani e nei suoi piedi i segni dei chiodi, come nell'uomo che poc'anzi aveva visto crocifisso. Le mani ed i piedi erano trafitti nel mezzo da chiodi, le cui teste si vedevano nel palmo della mano e nella parte superiore del piede, mentre le punte uscivano dalla parte opposta. Erano rotondi nel palmo della mano e sul dorso lunghi, dove appariva un po' di carne, a guisa di punta di chiodi, ritorta e ribadita, sporgente sull'altra carne. Il lato destro, poi, era come trafitto dalla lancia, con una lunga cicatrice, e spesso mandava sangue, di cui molte volte si bagnavano la tonaca e le mutande.  

«Vedemmo questo, noi che questo diciamo, toccammo con le nostre mani ciò che con le nostre mani descriviamo; bagnammo con gli occhi lacrimosi ciò che confessiamo con le labbra; e quello che una volta giurammo sui santi Evangeli, ogni momento protestiamo per vero. Con noi molti frati questo videro, allorché era sempre vivo il Santo: e questo venerarono, nella sua morte, più di altri cinquanta insieme con innumerevoli secolari. Non resti, dunque, luogo ad incertezza, a nessuno resti dubbio questo gran dono dell'eterna Bontà».  

 

La Messa.  

La scorribanda anacronistica s'interrompe. Padre Pio - in un silenzio supremamente mistico - officia e concentra sul suo volto - ove affiorano, si intricano e si distendono le più strane vibrazioni nervo, e - il mio vigile sguardo. Avvicinandosi alla comunione, egli m'appare il sacerdote tipico - mai incontrato prima - che, secondo l'Ecclesiaste e deve essere come un vaso consacrato e santo e come un altare, degno di ricevere il sangue del Salvatore, poiché l'altare dell'olocausto indica la vita dei giusti, i quali ogni giorno crocifiggono la propria carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze, e la offrono, ostia palpitante, al Signore; poiché la devozione al preziosissimo sangue pasce l'anima intera con l'intelletto, la memoria, il volere, con le rose della carità, i gigli della castità, le viole dell'umiltà, e la dà in premio, nel terreno pellegrinaggio, il conforto e la quiete della grazia, preludio alla piena letizia del Cielo”.  

 

Le distrazioni conventuali.  

Intanto numerosi fedeli si comunicano e non meno numerosi sono quelli che, in sacrestia, aspettano di essere confessati.  

Padre Pio, liberato si dai paramenti, mi si approssima, mi offre, con atto amichevole, un'immagine sacra, l'accompagna con auguri gentili per me e per la mia famiglia e mi stringe con le dita, lisce e morbide, la mano. Ed entra nel confessionale, ove rimarrà - eccetto un breve intervallo dalle 13 alle 14, fino a sera.  

Tale è, del resto, la sua esistenza dal gennaio al 31 dicembre, in quanto dacché vi giunse sei anni or sono, non una volta è uscito dalla porta del convento,  

Unico svago - come la stagione lo permetta - qualche partita a bocce, che egli gioca, e bene, nell'orto, con gli altri sette monaci della comunità. Ama il conversare, specie nel natio vernacolo pietrelcinese, attraverso il quale - dichiara - assai meglio si possono esprimere i propri pensieri. Sempre di ottimo umore, a chi va a trovarlo, risponde a tono su qualunque argomento. Né si perita ad affrontare dibattiti intorno alla fede e ad esporre con franchezza un giudizio, che, spesso, contrasta gli asserti della Chiesa.  

Altro tema favorito nei colloqui con i fratelli e gli estranei, è la vita francescana, tramandataci dai Fioretti, che egli, però, riveste senza accorgersi della lontananza del tempo e dello spazio - d'un simpatico colore e sapore di modernità.  

G. CAVACIOCCHI  


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