venerdì 23 ottobre 2020

TEMPO ED ETERNITÀ

 


Quanto sia efficace la considerazione dell'eternità .  

S. Agostino chiama quello dell’eternità un gran pensiero, (Enarratio in Ps. 76) perché la memoria essa è di grande gaudio ai santi, di grande orrore ai peccatori, agli uni e agli altri di gran giovamento; essa fa operare cose grandi e mostra la piccolezza delle cose passeggere e caduche di questa terra. Pertanto intendo dar principio con questo lume per scoprire il campo della meschinità, dell'inganno e della viltà delle cose temporali e raccomandare la considerazione delle cose eterne, essendo quella che dovrebbe essere maggiormente fissa nella nostra mente, come la riteneva sua propria Davide, al quale, quando era peccatore, cagionava orrore e spavento e, quando era santo, lo incoraggiava ad esserlo ancora di più, ricavando dalla meditazione di essa incomparabile vantaggio per il suo spirito. L'aveva così scolpito nella memoria che nei suoi Salmi ad ogni istante lo sentiamo ripetere; per sempre, ... eternamente. ... per i secoli dei secoli. 

Timore salutare . 

A questa eternità il Profeta pensava di giorno e la meditava di notte, questa lo forzava a gridare al cielo e ad invocare Dio; questa lo rendeva muto dinanzi agli uomini; l'intimoriva, al solo pensiero, fino allo spasimo, gli amareggiava tutte le gioie della vita, gli faceva conoscere la miseria dei beni temporali: e, costringendolo a rientrare in sé e ad esaminare la sua coscienza, lo indusse ad un  miracoloso mutamento di vita, cominciando a servire il Signore con più fervore. Tutti questi effetti della memoria dell'eternità si riscontrano già nel solo Salmo 76° dove Davide fra altre cose dice: I miei occhi prevennero le veglie; io fui turbato e non proferii parola. (Sal.76, 5) E la ragione di questo è indicata subito dopo: Ripensai ai giorni antichi ed ebbi in mente gli anni eterni (Sal.76, 6) Questo pensiero era la causa del suo frequente svegliarsi, perché all'eternità pensava prima che sorgesse il sole e ancora stava pensando ad essa per molte ore dopo il suo tramonto, con tanto stupore che gli mancava il respiro, come dice lui stesso, e si commuoveva per il vivo concetto che si formava al pensare che cosa voglia dire perdersi eternamente nell’inferno o godere della felicità per sempre. 

Non reca meraviglia che questo gran pensiero intimorisse un re tanto santo, poiché dice il profeta Abacuc, che coloro i quali sono collocati più in alto nel mondo, s'incurvano sul cammino verso l'eternità. Furono depressi i colli del mondo dai passi dell'eternità (Ab 3, 6). Il santo giovane Giosafat, quando gli si raffigurava l'eternità, posto da una parte l'inferno, dall'altra il cielo, restava attonito e senza forze, tanto da non poter alzarsi di letto, come se avesse una malattia mortale. 

I filosofi più barbari, con meno luce, si intimorivano alla stessa maniera, e per raffigurare l'eternità escogitavano cose spaventevoli. Gli uni la dipingevano in forma di basilisco, che è il serpente più da temersi, perché atterrisce già la sola vista di esso. Non ha infatti cosa che più deve spaventarci che l'eternità dei tormenti, nella quale uno può cadere. Conformemente a questo San Giovanni Damasceno rappresentò la durata eterna in forma di dragone feroce, che con la bocca aperta stava in agguato per inghiottire vivi gli uomini. 

Altri la dipingevano come una caverna orribile e profonda, alla cui entrata vi erano quattro gradini, uno di ferro, il secondo di bronzo, il terzo d'argento e il quarto d'oro. Su questi gradini stavano giocando in diverse maniere molti bambini, senza badare al pericolo di poter cadere in quella profondissima prigione. Finsero essi quest'ombra di eternità, non tanto perché era degna di timore e spavento, quanto piuttosto perché essi stessi erano spaventati dinanzi alla stoltezza degli uomini che ridono e si divertono con le cose di questa vita, senza ricordarsi che devono morire e che possono cadere nel profondo dell'inferno. Quei bambini che giocavano all'entrata della caverna orrenda ed oscura non erano altro infatti se non gli uomini, le cui occupazioni, mentre vivono in questo mondo, sono da bambini, e pur stando tanto vicini alla morte ed all’eternità, non provano né spavento, né preoccupazione, né lasciano i loro divertimenti, né le loro vane occupazioni della terra. 

Ed in verità è spaventoso davvero che attendendoci tali estremi, quali sono o la gloria eterna o i tormenti senza fine, viviamo tanto senza timore e senza preoccupazione delle cose eterne, cagione di questo è che gli uomini non si mettono a considerare ciò che è l'eternità, ciò che è l'inferno, mentre Dio è Dio e gloria senza fine. Per questo essi stanno tanto fermi ed ostinati nei loro beni passeggeri, quasi fossero immortali, ciò che appunto significavano quei durissimi gradini. 

A Davide però, la meditazione e il ricordo dell'eternità cagionò tale spavento e gli destò tale preoccupazione da deciderlo ad un radicale mutamento di vita, dicendo fra sé con grande  risoluzione: Ora incomincio: questa è una mutazione della destra dell'Altissimo. Ora incomincio, spiega San Dionigi, a vivere spiritualmente, a comprendere saviamente, a conoscere veramente, vedendo la vanità di questo mondo presente e la felicità del futuro, reputando per nulla tutta la mia vita passata, il mio profitto e la mia perfezione; prenderò a cuore con nuovo proposito, con più fervore, con studio più diligente, i sentieri di una vita migliore, entrando nelle vie del profitto spirituale e incominciando ogni giorno di nuovo. E conoscendo egli stesso quanto restio fosse il suo cuore, confessò che quella era una risoluzione miracolosa, dicendo: Questo è un mutamento della mano dell'Altissimo, (Sal.76, 11) come a dire, secondo San Dionigi: L'essermi cambiato di questa maniera, dalle tenebre dell'ignoranza allo splendore della sapienza, dai vizi alle virtù, dall'uomo carnale allo spirituale, si deve attribuire all'aiuto e alla misericordiosa assistenza di Dio, il quale per mezzo di questa conoscenza dell'eternità ha dato tanto notevole mutamento al mio cuore. Questo pensiero dell'eternità illumina fortemente e fa conoscere veramente le cose. 

Le due sorti. 

Coll'esperienza di ciò che passò nell'anima sua lo stesso Profeta esorta tutti a meditare con calma e tranquillità il carattere eterno delle due sorti che li aspettano, affinché non solo corrano, ma volino nel loro profitto e sopportino tutte le difficoltà delle virtù. Così, con profondo significato, egli promette da parte di Dio a coloro i quali dormono tra le due sorti (Sal.67,14), cioè a quelli che nella quiete dell'orazione meditano l'eternità della gloria e   dell'inferno, le ali di colombe argentate e spalle dorate, il che vorrebbe dire che la vita spirituale non solo consiste nel compimento delle opere buone proprie, ma altresì nella pazienza e nella sofferenza delle opere cattive altrui. Il levarsi dal fango della terra per camminare verso il cielo è operare atti di virtù molto eroiche e preziose senza lasciarsi opprimere da fatiche e pene, che ci pesino sopra. Quando ciò si fa con viva comprensione dell'eterno, tutto avviene con maggior merito, con più sollecitudine e perfezione. 

Per questo il Profeta lo spiegò con la similitudine delle cose che gli uomini apprezzano di più, ossia con l'oro e l'argento. Siccome però comunemente è più difficile, e quindi più meritorio, il soffrire che il fare, benché ambedue siano preziosissimi, per questo disse che le spalle saranno d'oro e le ali d'argento. 

Anche il Patriarca Giacobbe stimò ciò per un bene tanto singolare che lo diede per benedizione a suo figlio Issacar, dicendogli che riposerebbe fra due termini (Gen.. XLIX, 14), che avrebbe considerato cioè ponderatamente i due estremi della felicità o della miseria eterna, chiamandolo, per questo, giumento forte, per la fortezza d'animo che ha per vincere le difficoltà della virtù, per sopportare le fatiche e le incombenze di questa vita, per soffrire i disprezzi del mondo e far grandi penitenze. 

Però non solo nei santi, ma altresì nei filosofi la considerazione tranquilla e calma delle cose eterne, pur guardandole senza badare ai due estremi tanto diversi che ci propone la religione cristiana, cagionò particolare effetto e disprezzo delle cose temporali. Seneca si lagnò molto perché l'avevano disturbato nella meditazione dell'eternità, nella quale stava immerso come in dolce sogno, sospesi e legati i sensi, provando molto gusto in questa  considerazione: Mi piaceva, disse fra altre cose, di indagare nell'eternità delle anime e vi credeva in essa con certezza.- mi dava tutto a questa speranza e già mi nauseava di me stesso, disprezzava tutto ciò che restava dell'età, pur piena di salute, dovendo passare a quel tempo immenso e al possesso di tutti secoli (SENECA, Epist. .22). Tanto poté in questo filosofo la considerazione delle cose eterne, che gli fece disprezzare la cosa più preziosa di ciò ch'è temporale, cioè la vita. Nei cristiani essa deve produrre un effetto maggiore, perché sanno che non solo possono vivere eternamente, ma che possono pure godere o penare per sempre, conforme alle opere della loro vita. 

P. Gian Eusebio NIEREMBERG S. J. 

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