A PROPOSITO DI ALCUNI FRUTTI DELLO SPIRITO
L'espressione "frutti dello Spirito" è dovuta all'apostolo Paolo che si sforza di far capire ai primi cristiani che devono vivere non più a partire dalla Legge bensì secondo lo Spirito che hanno appena ricevuto. Perciò avverte il bisogno di indicare i segni che permettono di riconoscere coloro che vivono mossi dallo Spirito santo. Questi frutti dello Spirito, come li chiama, appariranno in chiunque viva della libertà interiore originata dallo Spirito. La lettera ai Galati li elenca: "Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22).
La gioia
Il più grande desiderio di Gesù è che il nostro cuore si rallegri che nessuno possa rapirci questa gioia (cf. Gv 16,22-23). E’ questa l'intenzione della preghiera di domanda: "Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena" (Gv 16,24). E anche la ragione della venuta di Gesù: è venuto a portare la vita e la gioia. "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv 10,10). Già l'annuncio della sua nascita ai pastori fu una buona notizia e un messaggio di gioia: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo" (Lc 2,10). E’ davvero Gesù ci porta la gioia in pienezza: la sua venuta è la buona notizia per eccellenza, e lui stesso, durante tutta la sua vita, non cesserà mai di diffondere la gioia. In lui l'amore e la bontà di Dio sono apparsi sulla terra; secondo la testimonianza degli evangelisti ha fatto bene ogni cosa e ha diffuso ovunque il bene (cf. Mc 7,37). Gesù è straordinariamente mite in mezzo agli uomini: guarisce i malati, risuscita i morti, non fa del male a nessuno, è fonte di gioia e di consolazione per tutti quelli che incontra, soprattutto per i discepoli che aderiscono a lui senza difficoltà. E’ sempre vicino a loro, li rianima quando sono scoraggiati, li porta in un luogo tranquillo in disparte perché possano riprendere le forze. Non appena Gesù è presente, è festa, perché è lo Sposo che scaccia ogni tristezza. Ecco perché i discepoli non digiunano: "Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?" (Mc 2,19). La tristezza, o la penitenza che l'esprime, è il segno che Gesù non è, o non è più, presente. E’ questo il motivo per cui Gesù smette di digiunare dopo la resurrezione, come testimoniano i racconti della resurrezione: è impressionante notare come il pane sia continuamente spezzato e mangiato (cf. Lc 24,30.35; Gv 21,13). Lo Sposo è dunque tornato e il discepolo di Gesù ha immediatamente il diritto di ricevere il centuplo promesso da Gesù già al presente (cf. Mc 10,30). E perché no? Secondo le parole stesse di Gesù, i nostri nomi sono scritti nei cieli, per nostra grande gioia (cf. Lc 10,20). Dobbiamo però porci la domanda che, anche se avessimo voluto evitarla, si sarebbe inevitabilmente imposta: da dove viene questa gioia? Che legame c'è tra questa e la gioia che il mondo può dare? E difficile dare una risposta finché non si è sperimentata la gioia data da Gesù: perciò le opinioni sono molto divergenti, anche tra i teologi di professione. Gli uni insistono sul fatto che la gioia di questo mondo è già un riflesso e un'anticipazione della gioia futura del regno. Con questo vogliono dire che la gioia di questo mondo non può essere ignorata e che ha la sua importanza, contiene già la gioia futura. Altri invece mettono l'accento sulla necessità di rinunciare alle gioie passeggere di questo mondo, fissando lo sguardo sulla gioia a venire. Ritroviamo queste due tendenze nella storia della spiritualità: alcuni insistono sulla continuità tra ciò che è ora e ciò che sarà nell'aldilà; altri sottolineano il passaggio verso la luce e la rottura che questo comporta. Per questi ultimi, non esiste denominatore comune tra la gioia di questo mondo e la gioia di Gesù. Su questo argomento non è sempre necessario arrivare a una sintesi teologica perfettamente soddisfacente. Basta saper convivere con le nostre gioie semplici e vigilare sempre più a riceverle dalle mani di Gesù e attraverso lo Spirito santo. Se ci riusciamo, qualcosa trasformerà a poco a poco la nostra gioia, per quanto mondana ed egoista fosse all'origine. Non appena Gesù è implicato in ciascuna delle nostre gioie, non possiamo che crescere nella gioia, anche se questo raramente avviene senza rottura o strappo: sono i segni di una vita che cresce e quindi anche di una gioia sempre più profonda e che rimbalza sempre più in alto. Questa stessa tensione tra l'oggi e il domani, tra presente e passato, tra ciò che viene e ciò che permane si trova anche nell'evangelo: ci parla incessantemente della gioia eppure non sfuggiamo all'impressione che la gioia di oggi è sempre limitata e che tutto ha una fine. La gioia perfetta e completa di cui parla Gesù non è identica alle gioie del mondo: è come se non potessimo passare da queste alla gioia futura senza che sopraggiunga qualcosa di sconvolgente, addirittura su scala planetaria. Davvero il regno di Gesù non è di questo mondo (Gv 18,36), anche se il seme è già stato seminato e sta germogliando in modo misterioso. Nella vita di Gesù e in quella dei suoi discepoli ci sono momenti in cui sembrano incappare in punti morti: potremmo chiamarli momenti di deserto. Facciamo un esempio: Gesù annuncia la Parola, non senza successo; una folla numerosa si raduna, conquistata dalla sua Parola, lo segue entusiasta per due, tre, addirittura quattro giorni, fino a un luogo sperduto nel deserto. Improvvisamente tutti si rendono conto che la notte si sta avvicinando, che la folla ha fame e che non c'è nulla per sfamarla. Eppure la loro fiducia non sarà delusa: Gesù moltiplica i pani. Nulla poteva essere più adatto a infondere nuovo entusiasmo nella folla che decide di fare di Gesù il suo re: Gesù è alle soglie di una carnera politica. Ebbene, in quel preciso momento Gesù si ritira e fugge, perché non può imboccare quel cammino: il suo regno è altrove, lontano dal successo e dalla felicità che il mondo e i discepoli gli offrono. Gesù acconsente per un attimo ad accogliere i favori della folla, arriva perfino a servirsene fino a un certo punto, per il bene della Parola. Anche un successo mondano può servire all'annuncio della buona novella, ma solo per un certo tempo. Nel momento decisivo, quando il successo immediato minaccia di accaparrare tutto, compresa la persona di Gesù, questi viene allontanato da qualsiasi riuscita mondana, verso qualcosa di radicalmente diverso. Qualcosa che ci appare strano, talmente strano che Pietro, al primo annuncio della passione, vi si oppone apertamente. L'esperienza di Pasqua avrà aspetti analoghi: dapprima sembra essere uno scacco definitivo e la fine di ogni gioia. Gesù muore al mondo per tornare, al colmo della gioia, presso il Padre, lasciandoci solo una vaga promessa di ritorno. Il legame tra Gesù e la nostra gioia in questo mondo non è facile da individuare. Se vogliamo seguire Gesù sul cammino della sua gioia, saremo sempre fortemente tentati di allontanarcene per cercare le nostre piccole gioie provvisorie e limitate, correndo così il rischio di perdere per sempre la gioia autentica. E come se la gioia di Gesù procedesse a spirale fino a un punto centrale: noi dovremmo seguire il più fedelmente possibile la curva di questa spirale, ma nel contempo siamo incessantemente tentati di partire per la tangente, per uscire dalla spirale e continuare da soli. Allora aumenta il rischio che ci allontaniamo dal regno di Dio al centro della spirale per perderci - temporaneamente o definitivamente - nelle nostre piccole gioie umane.
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