giovedì 28 maggio 2020

GESU’ AL CUORE DELLE MAMME



La prima anima che devi conquistarmi Sei maritata, è vero, ma per lo stesso Sacramento che ti unisce a tuo marito, questi rappresenta me, come tu rappresenti la Chiesa. Guarda tuo marito nella mia luce e, come avresti pietà di una statua tutta mutilata che mi rappresentasse, abbi pietà di quella creatura che è tutta mutilata nell'anima. Avvolgilo nella tua carità materna, con la delicatezza che avresti nel coprire una piaga. Vivi per me per trasfondergli per me la tua vita di amore. Santifica in me ogni tua espansione con lui, fa' che risorga dal suo torpore spirituale. È questa la prima anima che devi conquistarmi.

don Dolindo Ruotolo

Preghiera della notte a San Michele Arcangelo




Preghiera a Maria rifugio delle anime






Un Mondo secondo il Cuore di Dio



L’ANGELO CADUTO, CONTRO LA CHIESA 

«Porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe». Gesù è il Primogenito tra molti fratelli. Con Lui comincia il trionfo della stirpe della donna contro il suo “nemico”. Questi non ha prevalso contro Gesù, che fedele alle sue promesse ha mandato colui che aveva promesso, lo Spirito Santo, l’Avvocato, spirito di Amore, di Verità e di Unità, le cui “primizie” ha ricevuto la Chiesa. Questo Spirito è così forte che ha realizzato un miracolo che Gesù non poteva realizzare nei suoi Apostoli, benché lo desiderasse vivamente: quella unità tanto richiesta al Padre nell’ultima Cena: «Io in loro». In realtà, lo Spirito Santo ha realizzato un miracolo più grande del dono delle lingue: per mezzo di questo Spirito esiste ora un’unità tra Gesù già in cielo e i suoi Apostoli, come quella esistente tra il capo e le membra, o per dirla con un’espressione di Gesù stesso, come quella che esiste tra la vite e i tralci. È la stessa vita quella che circola nella testa e nelle membra; la stessa linfa quella che scorre dalla vite ai tralci. È lo stesso Spirito di Gesù quello che parla attraverso i suoi Apostoli. E quando il demonio, valendosi della rettitudine di Paolo, si lancia contro il resto della stirpe della donna, Gesù dal cielo si lamenta, come si lamenterebbe il capo se gli si ferisse una parte del corpo : «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Lo Spirito Santo ha realizzato questo miracolo intimo e nascosto: l’unione della stirpe della donna, che viene ad essere il Cristo Mistico di cui parla San Paolo, la Chiesa. 

La persecuzione della Chiesa nascente, dopo la Risurrezio- ne di Gesù, potremmo chiamarla “pazzia diabolica”. Il demonio vedendo discendere lo Spirito Santo perse quella fredda serenità che aveva quando offrì denaro ai soldati perché non rendessero pubblica la Risurrezione del suo Nemico. Adesso la situazione peggiorava per il suo regno, in un modo che egli probabilmente non si immaginava. Perciò tenta di schiacciare la Chiesa nascente servendosi della Sinagoga, come tentò di uccidere Gesù Bambino servendosi di Erode. Comprende che il suo regno si sgretola, poiché il seme che Gesù ha lasciato, irrigato col suo Sangue, comincia repentinamente a fiorire e a dar frutto. Il nemico, tentando di sradicare quel seme che è cresciuto, diventa, per la permissio- ne del Padre, un vero potatore. Così si adempiono le parole di Gesù: «E ogni tralcio che porta frutto, il Padre mio lo poterà perché porti più frutto» 1 . Dal sangue e dalla preghiera del protomartire Stefano, nasce l’infaticabile apostolo Paolo. La persecuzione del demonio contro «la stirpe della donna», sia per mezzo della Sinagoga, sia per mezzo dell’Impero Roma- no, non produce altro che questo effetto: «Il sangue dei martiri è seme di cristiani». Le catacombe furono il terreno che nascose per diversi secoli “il grano di frumento”, che a forza di morire – «Se il grano di frumento non muore...» – finì per esplodere in un immenso albero «su cui sono venuti gli uccelli del cielo a rifugiarsi». La lettura degli atti dei martiri rivela tutto il satanico che c’era in certi martiri. Considerarli semplicemente come avvenimenti storici, dovuti a divergenze di pensiero, è ignorare totalmente l’essenziale del vero dramma per il quale dovette passare il «seme del regno di Dio». La conoscenza di quest’essenziale si deve ad una grazia, che ci dà una visione “divina” e molto più ampia di quella che è racchiusa nei libri di storia. 

Abbiamo detto che il « seme del regno di Dio» è cresciuto in tal modo che è diventato un albero, ove, secondo l’espressione di Gesù «verrebbero a rifugiarsi gli uccelli del cielo». Bisogna anche far notare che altri “uccelli” hanno causato un gran danno all’“albero” perché sono stati attratti dal suo splendore esterno e dalla loro propria comodità. Questo comincia a succedere quando Costantino il Grande mette fine allo stato di agonia in cui viveva il primitivo Cristianesimo. Il regno di Cristo comincia ad aver contatto coi regni di questo mondo. Il demonio usa una tattica nuova: da furioso diventa politico-religioso. Se prima si serviva delle passioni disordinate di re e imperatori, ora utilizzerà la pietà dei convertiti; e comincia così la venerazione e la stima verso gli uomini che compongono il “regno di Cristo”. Cessa l’attenzione e vien meno l’idea che il regno di Dio non è di questo mondo. Quando viene loro dato il certificato di cittadinanza come a qualsiasi altro uomo, si comincia a pensare che si può vivere molto bene in questo mondo, e allo stesso tempo appartenere al regno di Cristo. Il “nemico” ha gettato il ponte: i seguaci di Gesù d’ora in poi vorranno installarsi in questo mondo, che è il suo regno. Con questa tattica otterrà di più, benché impieghi certamente più tempo. Non analizzeremo tutte le fasi per le quali è passata la storia del “seme del regno di Dio”. Basti dire che il “nemico”, Satana, si è valso di tutto per umiliarlo e allontanarlo dallo Spirito di Gesù, che è Spirito di Amore, di umiltà e di sacrificio. E tutto questo è avvenuto attraverso i secoli, e molti, veramente molti, hanno passato il “ponte” che il “nemico” ha teso loro, intendendo fare del regno di Cristo, un regno di questo mondo, ove la forza, il diritto e il potere sostituiscano l’amore, l’ umiltà e il sacrificio voluti da Gesù. 

“Permettendo” Dio che si formasse il “potere temporale” della Chiesa, potere che non è del-l’essenza della Chiesa, esso poteva essere utilizzato come un “mezzo” temporaneo o transitorio perché la Chiesa potesse compiere la sua missione salvifica in circostanze storiche di difficoltà per la penetrazio- ne del vangelo. Nella misura in cui gli uomini si vanno elevando moralmente il potere temporale della Chiesa sui suoi fedeli diventa meno necessario; una maggiore età dell’umanità rende più superflua l’azione di questo potere temporale e lascia un ampio margine alle decisioni personali. Diremmo che così ha operato Dio nello sviluppo progressivo del suo rapporto con gli uomini nella Rivelazione: dalle Leggi del Sinai fino al Sermone della Montagna c’è una differenza come dall’infanzia all’età matura. C’è senza dubbio una gran differenza in alcune situazioni e in altre; ma questa differenza non dipende da un cambiamento di Dio; chi è cambiato, chi si è evoluto, è l’uomo. 

Qualcosa di simile è successo per il potere temporale della Chiesa: man mano che gli uomini si sono educati nei concetti della libertà della persona, sempre meno ha ragione di essere questo potere temporale. 

Restando chiaro questo, che nei suoi piani Dio si avvale di mezzi tanto “umani”, non possiamo passare sotto silenzio che molti hanno potuto utilizzare quel “mezzo” per le proprie ambizioni personali, anziché servirsene per comunicare la salvezza. Basta leggere la storia della Chiesa del secolo X per vedere a che grado di abiezione cadde il potere temporale dei Papi, desiderato avidamente da diverse famiglie romane. 

Forse il potere temporale dei Papi era cattivo? In primo luogo diremo che quel “potere temporale” della Chiesa, come abbiamo detto prima, fu “permissione” e non VOLONTÀ di Dio. Quanto poi se era cattivo o no per i Papi, dipende dall’uso che essi hanno fatto di questo “potere temporale”. A parte quel che abbiamo detto, di essere un potere condizionato da alcune circostanze storiche, esso procurava anche alla Chiesa una grande indipendenza nella sua azione spirituale, perché essa non dipendeva da nessun re o imperatore. La lotta per le Investiture tra il Papa e l’Imperatore tendeva a raggiun- gere questa indipendenza. Che alcuni Papi abbiano utilizzato male il “potere temporale” non ci deve meravigliare, perché se si può utilizzare male il potere spirituale, quanto più il temporale! Pensiamo alla distribuzione delle indulgenze. 

Una meditazione profonda della parabola del grano e della zizzania ci porterebbe a quell’essenziale che abbiamo bisogno di conoscere e di non dimenticare tanto facilmente: che nello stesso campo in cui Uno seminò il grano, il “nemico” seminò zizzania, e che questo accadde «mentre i suoi uomini dormiva- no». Riflettere su questo sonno più o meno colpevole è trovare la misura della responsabilità di ciascuno. Pensiamo al rispetto umano, alle convenienze personali, a una falsa prudenza, ecc. Tutto ciò il nostro “nemico” l’ha utilizzato per continuare a seminare la zizzania. 

«Vigilate – ci dice San Pietro – perché il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare; resistetegli, saldi nella fede». Per disgrazia, dopo tanti secoli di lotta del “nemico” contro il genere umano, manca proprio la fede nella sua esistenza e nella sua nefasta influenza. Come gli resisteremo se non crediamo che esiste? Praticamente si vive senza tener in nessun conto questo formidabile nemico. La sua vittoria passata e presente sta nel passare inavvertito, facendo credere agli uomini “intelligenti” che è stupidità e mancanza di cultura pensare a lui come principio causale dei mali che l’umanità soffre. In questo modo egli ha più libera la via per la sua opera devastatrice. Solo i santi e le anime che si sono decise ad andar verso Dio, hanno conosciuto le insidie segrete che il demonio ha loro teso. Per conoscerlo è necessaria una vita spirituale seria; la sua conoscenza esatta richiede una maturità spirituale. San Paolo ci ha avvertito molti secoli fa: «Rivestitevi di tutta l’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo, perché noi non abbiamo da combattere contro sangue e carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominato- ri di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti». 

Dobbiamo riconoscere che non ci sappiamo armare “total- mente” – «rivestiti di TUTTA l’armatura di Dio» – usando degnamente il dono divino della libertà. Della nostra irrespon- sabilità approfitta il “nemico” per fomentare in noi una falsa libertà. Qui sta la radice di un male tanto antico come il peccato. Frequentemente le lettere degli Apostoli ci racco- mandano la libertà dei figli di Dio. Forse prima di conoscere in che consistono le virtù dei figli di Dio, sarebbe necessario conoscere, a fondo, in che consiste la vera libertà umana, che è il dono che più ci fa somigliare a Dio. Il non curarsi di questa conoscenza è utilizzato dal “nemico” per colpirci costantemente. 

JOSÉ BARRIUSO 

Santi Martiri del I – II e III Secolo



Dalla Gerarchia Cardinalizia di  Carlo Bartolomeo Piazza 
 e dalle Rivelazioni Private della mistica 
 Maria Valtorta 


Martirio e morte del piccolo Castulo e S. Messa  di S. Paolo al Tullianum. 

***
Il canto riprende: “Ho aspettato ansiosamente il Signore ed Egli a me si è rivolto ed ha ascoltato il mio grido”43. 

“Il Signore è il mio Pastore, non mi mancherà nulla. Egli mi  ha posto in luogo di abbondanti pascoli, m’ha condotto ad  acqua ristoratrice” (S. 22). 
“Fabio è spirato” dice una voce nel fondo del sotterraneo.  “Preghiamo”, e tutti dicono il Pater ed un’altra preghiera che si  inizia così: “Sia lode all’Altissimo che ha pietà dei suoi servi e  schiude il suo Regno all’indegnità nostra senza chiedere alla 
nostra debolezza altro che pazienza e buona volontà. Sia lode al  Cristo che ha patito la tortura per coloro che la sua misericordia  poteva conoscere troppo deboli per subirla, e non ha loro  richiesto che amore e fede. Sia lode allo Spirito che ha dato i  suoi fuochi per martirio ai non chiamati alla consumazione del 
martirio e li fa santi della sua Santità. Così sia “ (Maran ata) 
(non so se scrivo giusto). 
“Fabio felice!” esclama un vegliardo. “Egli già vede Cristo!”  Noi pure lo vedremo, Felice, e andremo a Lui con la doppia  corona della fede e del martirio. Saremo come rinati, senza  ombra di macchia, poiché i peccati della nostra passata vita 
saranno lavati nel sangue nostro prima d’esser lavati nel Sangue  dell’Agnello. Molto peccammo, noi che fummo per lunghi anni 
pagani, ed è grande grazia che a noi venga il giubileo del 
martirio a farci nuovi, degni del Regno”. 
“Pace a voi, miei fratelli” tuona una voce che mi par 
subito di avere già udito. 
“Paolo! Paolo! Benedici!” 
Molto movimento avviene fra la folla. Solo Plautina resta  immobile col suo pietoso peso sul grembo. 
“Pace a voi” ripete l’apostolo. E si inoltra sin nel centro  dell’androne. “Eccomi a voi con Diomede e Valente per  portarvi la Vita”. 
“E il Pontefice?” chiedono in molti.
“Egli vi manda il suo saluto e la sua benedizione. È vivo, per  ora, e in salvo nelle catacombe. Fanno buona guardia i fossores.  Egli verrebbe, ma Alessandro e Caio Giulio ci hanno avvisati  che egli è troppo conosciuto dai custodi. Non sempre sono 5 di  guardia Rufo e gli altri cristiani. Vengo io, meno noto e 
cittadino romano. Fratelli, che nuove mi date?” 
“Fabio è morto”. 
“Castulo ha subìto il primo martirio”. 
“Sista è stata condotta ora alla tortura”. 
“Lino lo hanno trasportato con Urbano e i figli di questo al 
Mamertino o al Circo, non sappiamo”. 
“Preghiamo per loro: vivi e morti. Che il Cristo dia a tutti la 
sua Pace”. 
E Paolo, con le braccia aperte a croce, prega - basso,  bruttino anziché no, ma un tipo che colpisce - in mezzo al  sotterraneo. È vestito, come fosse un servo lui pure, di una  veste corta e scura, ed ha un piccolo mantelletto con cappuccio  che per pregare si è buttato indietro. Alle sue spalle sono i due  che ha nominato, vestiti come lui, ma molto più giovani. 
Finita la preghiera, Paolo chiede: “Dove è Castulo?” 
“In grembo a Plautina, là in fondo”. 
Paolo fende la folla e si accosta al gruppo. Si curva a osserva.  Benedice. Benedice il bambino e la matrona. Si direbbe che il 
bambino si sia risvegliato ai gridi salutanti l’apostolo, perché 
alza una manina cercando toccare Paolo, il quale gli prende 
allora la mano fra le sue e parla: “Castulo, mi senti?” 
“Sì” dice il piccino muovendo a fatica le labbra. 
“Sii forte, Castulo. Gesù è con te”. 
“Oh! perché non me l’avete dato? Ora non posso più!”  
E una lacrima scende a invelenire le piaghe. 
“Non piangere, Castulo. Puoi inghiottire una briciola sola? 
Sì? Ebbene, ti darò il Corpo del Signore. Poi andrò dalla tua 
mamma a dirle che Castulo è un fiore del Cielo. Che devo dire 
alla tua mamma?” 
“Che io son felice. Che ho trovato una mamma. Che mi dà il  suo latte. Che gli occhi non fanno più male. (Non è bugia dirlo, 
non è vero? per consolare la mamma?). E che io ‘vedo’ il  Paradiso ed il posto mio e suo meglio che se avessi questi occhi  ancora vivi. Dille che il fuoco non fa male quando gli angeli  sono con noi, e che non tema. Né per lei, né per me. Il 
Salvatore ci darà forza”. 
“Bravo Castulo! Dirò alla mamma le tue parole. Dio aiuta  sempre, o fratelli. E lo vedete. Questo è un bambino. Ha l’età in 
cui non si sa sopportare il dolore di un piccolo male. E voi lo 
vedete e l’udite. Egli è in pace. Egli è pronto a tutto subire, 
dopo aver già tanto subito, pur di andare da Colui che egli ama  e che lo ama perché è uno di quelli che Egli amava: un  fanciullo, ed è un eroe della Fede. Prendete coraggio da questi 
piccoli, o fratelli. Torno dall’aver portato al cimitero Lucina, 
figlia di Fausto e Cecilia. Non aveva che quattordici anni, e voi  lo sapete se era amata dai suoi e debole di salute. Eppure fu una  gigante di fronte ai tiranni. Voi lo sapete che io mi faccio  passare, con questi, per fossor44 , per potere raccogliere quanti  più corpi posso e deporli in suolo santo. Vivo perciò presso i 
tribunali e vedo, come vivo presso i circhi e osservo. E m’è 
conforto pensare che io pure nella mia ora - faccia Iddio  sollecita - sarò da Lui sorretto come i santi che ci hanno  preceduto. Lucina fu torturata con mille torture. Battuta,  sospesa, stirata, attenagliata. E sempre guariva per opera di Dio. 
E sempre resisteva a tutte le minacce. L’ultima delle torture, 
avanti il supplizio, fu volta al suo spirito. Il tiranno, vedendola  presa di amore per il Cristo, vergine che aveva legata se stessa al  Signore Iddio nostro, volle ferirla in questo suo amore. E la condannò ad esser di un uomo. Ma uno, due, dieci che si  accostarono e dieci che perirono, percossi da folgore celeste.  Allora, non potendo in nessun modo spezzare e distruggere il  suo giglio, il tiranno ordinò fosse legata e sospesa in modo da  rimanere come seduta e poi calata precipitosamente su un  cuneo pontuto che le squarciò le viscere. Credette così il  barbaro di averle levato la verginità tanto amata. Ma mai tanto,  come sotto quel bagno di sangue, il suo giglio fiorì più bello e 
dalle viscere squarciate si espanse per esser colto dall’angelo di 
Dio. Ora ella è in pace. Coraggio, fratelli. Ieri l’avevo nutrita del  Pane celeste e col sapore di quel Pane ella andò all’ultimo 
martirio. Ora darò anche a voi quel Pane perché domani è  giorno di festa sovrumana per voi. Il Circo vi attende. E non  temete. Nelle fiere e nei serpenti voi vedrete aspetti celesti  poiché Dio compierà per voi questo miracolo, e le fauci e le 
spire vi parranno abbracci d’amore, i ruggiti e i sibili voci celesti, 
e come Castulo vedrete il Paradiso che già scende per  accogliervi nella sua beatitudine”. 
I cristiani, meno Plautina, sono tutti in ginocchio e cantano: 
“Come il cervo anela al rivo così l’anima mia anela a Te.  L’anima mia ha sete di Dio. Del Dio forte e vivente. Quando 
potrò venire a Te, Signore? Perché sei triste, anima mia? Spera  in Dio e ti sarà dato di lodarlo. Nel giorno Dio manda la sua  grazia e nella notte ha il cantico di ringraziamento. La preghiera 
a Dio è la mia vita. Dirò a Lui: ‘Tu sei la mia difesa’ (S. 41). 
Venite, cantiamo giulivi al Signore; alziamo gridi di gioia al Dio  nostro Salvatore. Presentiamoci a Lui con gridi di giubilo.  Perché il Signore è il gran Dio. Venite, prostriamoci ed  adoriamo Colui che ci ha creati. Perché Egli è il Signore Dio 
nostro e noi il popolo da Lui nutrito, il gregge da Lui guidato” (S. 94). 

***
A cura di Mario Ignoffo 

Preghiera di guarigione



"Gesù, per amor nostro, hai preso su di te i nostri peccati e le nostre infermità e sei morto in croce per salvarci e guarirci, per darci la vita.
Gesù, crocifisso, sei sorgente di ogni grazia e benedizione. Ora alziamo a te il nostro sguardo e la nostra preghiera per la guarigione nostra e di tutti i nostri infermi.

Gesù, abbi pietà di noi. 

Gesù, hai sofferto sul capo per la corona di spine e sulla faccia per gli schiaffi e gli sputi. Per questi tuoi dolori guariscici dal mal di capo, emicranie, artrosi cervicale, ulcere e da ogni malattia della pelle.

Gesù, abbi pietà di noi.

Gesù, hai sofferto agli occhi bagnati di sangue e li hai chiusi morendo per noi.
Per questi tuoi dolori guariscici dalle malattie agli occhi. Dà la vista ai ciechi.

Gesù, abbi pietà di noi.

Gesù, con la voce morente hai pregato il Padre di perdonare i tuoi uccisori e con l'udito quasi spento hai accolto la preghiera del buon ladrone. Per questo tuo amore tra sofferenze, guariscici dalle malattie alle orecchie, al naso, alla gola. Dà la parola ai muti e l'udito ai sordi.

Gesù, abbi pietà di noi. 

Gesù, ti hanno inchiodato mani e piedi alla Croce.
Per questo crudele dolore guariscici da paralisi, artrosi, reumatismi, dalle malattie alle articolazioni e alle ossa. Fa' camminare gli zoppi. Risana gli handicappati.

Gesù, abbi pietà di noi.

Gesù, nelle tre ore di agonia hai sofferto la sete, il soffocamento e poi sei spirato emettendo un alto grido, come pazzo d'amore per noi.
Per questi tuoi estremi dolori guariscici dalle malattie ai bronchi, ai polmoni, ai reni, alla mente e da ogni tumore e malattia strana. Solleva gli agonizzanti.

Gesù, abbi pietà di noi.

Gesù, ti hanno perforato con una lancia il costato, mentre il tuo corpo già morto era coperto di piaghe e di sangue.
Per il tuo Cuore trafitto e per il tuo Sangue versato fino all'ultima goccia, guariscici dalle malattie al cuore, al seno, allo stomaco, all'intestino, alla circolazione del sangue e da emorragie. Chiudi ogni nostra ferita. 

Gesù, abbi pietà di noi. 

Gesù, ti preghiamo per i malati qui presenti o nelle nostre intenzioni: familiari, parenti, amici, conoscenti.
Chiediamo la guarigione per il loro bene e per le necessità della loro famiglia.
In questo momento ti raccomandiamo in particolare (nome).
Te li raccomandiamo per l'intercessione della Vergine Maria che era accanto a te sotto la Croce.
Desideriamo la guarigione perché cresca la nostra fede, si estenda sempre più il tuo Regno attraverso segni e prodigi. Gesù, se è volontà del Padre che le malattie rimangano, in questo momento le accettiamo. Sul tuo esempio vogliamo accettare la nostra croce con amore.
Ma ti chiediamo la forza di sopportare ogni dolore e di unirlo al tuo grande dolore per il bene nostro, delle nostre famiglie, della Chiesa, del mondo.
Grazie, Gesù, per quello che farai per noi e per i nostri infermi, perché siamo convinti che qualsiasi cosa farai sarà sempre una grande benedizione per tutti noi."

Il problema dell'ora presente. Antagonismo tra due civiltà



LA FRAMASSONERIA DENUNCIATA

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Nei cinque e sette anni che trascorsero fra la pubblicazione dei tre primi volumi e dei due ultimi, la sua opera fu letta e suscitò delle osservazioni da parte dei framassoni. "Secondo alcuni di questi FF
 - dice Barruel - io ne ho detto troppo; secondo altri, fu inevitabile che io dicessi tutto. Si sa che i primi sono del numero di quelli che io compresi nell'eccezione dei FF. troppo onesti per essere ammessi dentro gli ultimi misteri; e gli altri, del numero di quelli, i quali, dopo aver visto tutto nelle retro-loggie, si sono finalmente vergognati e si pentirono d'aver meritato gli onori massonici. Io sono debitore agli uni ed agli altri dei miei ringraziamenti, ma sono pure debitore d'una risposta". Questa risposta egli la dà, dimostrando che ha detto tutto ciò che doveva dire, e niente altro che ciò che doveva dire.

Altri massoni si adirarono per vedersi così scoperti ed accusarono Barruel di mala fede. Fu soprattutto l'opera d'un inglese, Griffith, redattore delle Monthly Review. Questo scrittore trova passabili, soddisfacenti anche, le prove che Barruel dà della cospirazione contro l'altare; ma dice che quelle della cospirazione contro i troni non sono perfettamente dimostrate. Specialmente l'abolizione della dignità reale in Francia è dovuta, dic'egli, a circostanze locali, più che ai voti e alle trame dei cospiratori della Rivoluzione. Dicendo ciò, egli non fa alcun cenno delle prove recate da Barruel a favore della sua tesi.

Per rispondere all'accusa di mala fede, Barruel fa osservare ch'egli ha dato e dà di nuovo i testi nel loro idioma originale a fianco della traduzione che ne fece. E per ciò che spetta ai documenti più importanti a cui si riferisce, egli dice che non solo è lodevole che ognuno consulti i volumi stampati, ma che confronti questi volumi coi manoscritti che si trovano negli archivi reali di Monaco. Barruel fa di più: egli offre al suo accusatore un convegno a Monaco per mostrargli negli scritti originali le prove evidenti della sua calunnia. Griffith non solo non vi si recò, ma rifiutossi di pubblicare nella sua Revue la risposta di Barruel.


Weishaupt, il fondatore dell'Illuminismo, venne a dar mano forte a Griffith, che era senza dubbio uno de' suoi adepti. Barruel diede pure a Weishaupt convegno a Monaco, ove avrebbe potuto rivedere gli originali delle sue proprie lettere di cui contestava l'esistenza, o il testo. "Ma - aggiungeva Barruel - siccome egli non poteva farvisi vedere senza esporsi ad essere impiccato per cagione de' suoi misfatti contro i costumi, egli potrà nominare un procuratore". Egli non vi andò né in persona, né per procura.

Delasuss, Henri;

MORTE AL CLERICALISMO O RISURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO




Monsignor Gaume

Domande frequenti sugli angeli - 1 - 2 - 3 -



1. Dovremmo dare un nome al nostro Angelo custode?

La breve risposta a questa domanda più frequente sugli angeli è semplicemente "no". Per la Congregazione per il Culto divino e i Sacramenti del Vaticano, nel documento Il Direttorio sulla Pietà Popolare e la Liturgia del 2001, si afferma che "la pratica di assegnare nomi ai santi angeli dovrebbe essere scoraggiata, tranne nei casi di S. Gabriele, San Raffaele e San Michele, i cui nomi sono contenuti nella Sacra Scrittura "(217).

Facciamo bene a riflettere, quindi, che il termine "Angelo custode santo" esprime profondamente il nostro legame con l'angelo assegnato a noi da Dio per la vita. Proprio come c'è solo una donna e un uomo in tutto il mondo che possono rispondere a noi quando diciamo "mamma" o "papà", così anche in tutti i cori degli angeli, c'è solo un angelo che può rispondere a quando gridiamo "Angelo santo custode, aiutami!"

2. Ogni essere umano ha un Angelo custode?

Che ogni battezzato abbia un Angelo custode è chiaro da ciò che insegnò San Basilio e il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica ribadì: "Ognuno dei fedeli ha un angelo che sta al suo fianco come educatore e guida, dirigendo la sua vita" (cfr. CCC 336). Questo passaggio non afferma specificamente che ogni essere umano, senza eccezione, abbia un Angelo custode. Tuttavia, in un altro passaggio, il Catechismo sottolinea senza mezzi termini che "Dal suo inizio fino alla morte, la vita umana è circondata dalla loro [vigile cura degli angeli] e intercessione" (CCC 336).

In accordo con ciò, l'insegnamento generale dei teologi sostiene che non solo ogni battezzato, ma ogni essere umano ha il proprio Angelo custode personale che insegna anche il YOUCAT (Catechismo giovanile della Chiesa cattolica) pubblicato di recente, approvato dalla Congregazione per la Dottrina della fede nel 2010, "Ogni persona riceve da Dio un angelo custode" (n. 55). Questa visione è biblicamente fondata e fondata sulle parole di Nostro Signore nei Vangeli, dove afferma con enfasi ai Suoi discepoli: "Vedi che non disprezzi uno di questi piccoli. Perché ti dico che i loro angeli in cielo vedono sempre il volto di Mio Padre che è nei cieli "(Mt 18:10). Inoltre, San Tommaso d'Aquino insegna che la protezione degli angeli è un dono non solo di grazia, ma anche un dono per l'umanità nell'ordine della natura. Finalmente, poiché ogni individuo, basato sul proprio libero arbitrio, ha un destino unico, è giusto che ci sia una relazione uno a uno con un angelo. Questa stessa posizione fu insegnata anche da San Gregorio Magico e San Girolamo, i quali sostenevano che ogni persona ha dalla nascita il suo speciale Angelo custode.

3. Quando ci viene assegnato il nostro Angelo custode?

San Tommaso d'Aquino sostiene che tutti ricevono un Angelo custode alla nascita. Inoltre, afferma che l'angelo custode della madre custodisce suo figlio mentre è ancora nell'utero. Altri padri e dottori della Chiesa, tuttavia, per esempio, San Girolamo e San Basilio il Grande, credono che il nostro Angelo custode sia assegnato al battesimo. Sant'Anselmo, d'altra parte, fa un passo avanti affermando che "ogni anima è impegnata con un angelo quando è unita a un corpo". In altre parole, crede, insieme ad altri santi e teologi, che tutti ricevano un Angelo custode al momento del concepimento. Per riassumere, quindi, ci sono tre opinioni su quando il nostro Angelo custode può essere assegnato a noi, vale a dire, 1.) al concepimento, 2.) alla nascita, o 3.) o al battesimo.

Il fatto che ogni persona umana abbia un Angelo custode esclude implicitamente che riceviamo l'Angelo custode al battesimo. Resta, quindi, una questione aperta alla speculazione se un essere umano riceve l'Angelo Custode al momento del concepimento o della nascita. Ma dal momento che la vita di una persona inizia nel momento del concepimento, non c'è motivo per cui l'angelo debba aspettare fino alla nascita della persona. Considerando l'importanza dell'assistenza prenatale, è ragionevole credere che l'Angelo Custode vorrebbe essere coinvolto. Può anche essere vero, che tutti beneficiano dell'assistenza angelica dall'inizio della vita secondo la naturale provvidenza di Dio, e che nel battesimo sorge un profondo legame soprannaturale con i santi angeli.

***

E così adornata, aspetterai il tuo Sposo



Le Rivelazioni Celesti di Santa Brigida di Svezia 


Parole della gloriosa Vergine alla figlia circa il modo di vestire e quali devono essere le vesti e gli ornamenti di cui deve adornarsi e vestire la figlia. 

Io sono Maria, che ho partorito il vero Dio e vero Uomo, il Figlio di Dio. Io sono la Regina degli Angeli. Il Figlio mio ti ama con tutto il cuore. Tu devi essere adornata di onestissime vesti. Ti mostrerò come e quali devono essere. 

Come dunque vesti prima la camicia, poi la tunica, le scarpe, il mantello e la collana sul petto, così devi vestire spiritualmente. 

La camicia è la contrizione. Come infatti la camicia è più vicina alla carne, così la contrizione e la confessione sono la prima via della conversione a Dio. Con esse è purificata la mente, che prima godeva nel peccato ed è frenata la carne immonda. 

Le due scarpe sono due sentimenti: la volontà cioè di emendare i difetti e la volontà di fare il bene e astenersi dal male. 

La tua tunica è la speranza in Dio, perché, come la tunica ha due maniche, così nella speranza vi sia la giustizia e la misericordia. Sicché, come speri dalla misericordia di Dio, così non dimentichi la sua giustizia. E così ricorda la sua giustizia e il giudizio in modo da non dimenticare la misericordia. Perché nessuna giustizia Egli fa senza misericordia, né misericordia senza giustizia. 

Il mantello è la fede: come infatti il mantello tutto copre e tutto tiene racchiuso, così con la fede l'uomo può tutto comprendere e ottenere. Questo mantello dev'essere immerso nei segni della carità del tuo Sposo; e cioè deve significare come ti ha creata, come ti ha redenta, come ti ha nutrita, come ti ha attratta nel suo spirito e ti ha aperto gli occhi spirituali. 

La collana è la considerazione della sua Passione. Essa sia sempre fissa sul tuo petto. Come fu deriso, flagellato, insanguinato e confitto vivo in croce con tutti i nervi spezzati. Come alla morte, ne tremò tutto il corpo per l'acutissimo dolore. Come nelle mani del Padre raccomandava lo spirito. Questa collana sia sempre sul tuo petto. 

La corona sul tuo capo significa la castità negli affetti, in modo tale da voler essere piuttosto percossa che macchiata. Sii dunque costumata e casta. Non pensare, non desiderar altro che il tuo Dio, avuto il quale tutto avrai. 

E così adornata, aspetterai il tuo Sposo

Benedetta sii tu, o Maria



Beata te, o Maria, vergine povera, figlia di poveri! Tu sei divenuta la Madre del Signore dei signori. Nel tuo grembo, santa Madre del Signore, ha dimorato santamente quel Figlio della cui lode sono pieni i cieli. Beata te, o Maria: con il tuo latte hai nutrito il Figlio di Dio! E beate le tue braccia che lo hanno stretto al petto. Lui, fiamma d'amore, hanno sostenuto le tue ginocchia. Beata te, o madre colma di ogni bene: in te è sbocciata la luce che ha vinto l'oscurità delle tenebre. Benedetta sii tu, o Maria, e benedetto il frutto che ci hai donato! Benedetto il Padre che ha inviato il Figlio per la nostra salvezza! E benedetto lo Spirito consolatore che ci ha insegnato il mistero di lui. Benedetto il suo nome in eterno. Amen.

SOTTO LA GUIDA DELLO SPIRITO



Esplorare la vita

Qual è la natura di questa avventura spirituale che non è assolutamente propria dei monaci ma che interessa ogni battezzato che voglia prendere sul serio il germe di vita deposto dalla grazia in fondo al suo essere? Si tratta, per l'appunto, di un germe, di un seme: di una vita, quindi, cioè di qualcosa che, di per sé, deve muoversi, crescere, svilupparsi se non vuole languire e morire. La vita non è mai statica: si evolve sempre, in un senso o nell'altro; di conseguenza, prendere sul serio la vita significa coltivarla, ascoltarla, circondarla di premure, liberarla dagli ostacoli, nutrirla e lasciare che sbocci e fiorisca in pienezza. Sarebbe estremamente più semplice per tutti se la vita cristiana si riducesse a una catechesi, all'insegnamento di alcune verità elementari e assolute: in tal caso basterebbe memorizzarle con assiduità per tirarne le logiche conseguenze a tempo opportuno. Lo stesso avverrebbe se la fede fosse costituita essenzialmente da un codice di precetti e di divieti o se si esaurisse in un grandioso progetto di azione o di conquista: sarebbe sufficiente conformarvi il nostro comportamento quotidiano. In realtà si tratta di qualcosa di molto più vasto, anche se la fede si esprime necessariamente in un corpo di dottrine, anche se genera un determinato comportamento morale e spinge il credente a un impegno effettivo e concreto a servizio del Regno già da ora. Ma prima e ben più in profondità di tutto questo, la fede è una vita - la vita di Dio in noi - che può essere soffocata dalle nostre membra carnali, cioè dall'orgoglio del cuore e da un corpo ribelle: è una vita che deve aprirsi un cammino per progredire. D'altronde non è innanzitutto a un insegnante, né a un catechista, né a un professore di morale e nemmeno a un manager di grandi imprese spirituali e apostoliche che pensa colui che cerca un aiuto spirituale. Pensa innanzitutto a qualcuno che conosca per esperienza diretta questa vita e sia capace di trasmetterla. Ebbene, la stessa trasmissione della vita è un affare di vita: non c'è nulla di più naturale e di meno sofisticato per la vita che sciamare e diffondersi. La vita diventa spontaneamente trasparenza e agisce per osmosi. Tra i primi monaci del IV e V secolo, dove la paternità spirituale costituiva la pedagogia fondamentale, un apoftegma circolava in diverse versioni. Eccone una, attribuita ad abba Poemen, uno dei più famosi padri del deserto: "Un fratello chiese ad abba Poemen: 'Dei fratelli vivono con me; vuoi che dia loro ordini?'. 'No - gli dice l'anziano - fa' il tuo lavoro tu, prima di tutto; e se vogliono vivere penseranno a se stessi'. Il fratello gli dice: 'Ma sono proprio loro, abba, a volere che io dia loro ordini'. Dice a lui l'anziano: 'No! Diventa per loro un modello, non un legislatore"'. Questo aspetto della tradizione monastica cristiana richiama singolarmente un altro detto - appartenente, questo, alla tradizione chassidica del giudaismo - in cui un discepolo spiega come gli sia bastato guardare il proprio maestro che si allacciava un sandalo per restare edificato: un semplice gesto e il messaggio è trasmesso! La guida infatti è molto più di un maestro: è lui stesso l'insegnamento, l'intera sua vita costituisce il messaggio. La vita desta la vita. E l'anziano o l'accompagnatore si presta a questo mistero di vita non con quello che sa e ancor meno con quello che può dire, ma molto semplicemente in forza di ciò che è e che di conseguenza può trasmettere, nel senso più forte di questo termine, in virtù della qualità del suo essere che irradia senza neanche che lui lo sappia e che delle parole debbano nascere.


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MISTICA CITTA’ DI DIO



COMPOSIZIONE DELLA «MISTICA CITTÀ DI DIO»


Confronto con altri scritti della Venerabile

Un'altra via, che riteniamo valida e solida, per chiarire l'autenticità della Mistica Città di Dio, consiste nel confrontare quest'opera con altri scritti sicuri della Venerabile e comprovare l'unità di stile, l'affinità di linguaggio; di pensiero, di idee, ecc., che si riscontra in essi. Per stabilire il confronto, scegliamo l'estesa corrispondenza epistolare che mantenne con il re Filippo IV; accidentalmente ricorreremo anche ad altre fonti: lettera del papa Alessandro VII, risposte della Venerabile all'esame inquisitorio e varie. Poiché il tema è vastissimo, possiamo solo abbozzarlo. Vale a dire, ci limiteremo a rilevare alcuni indizi e a segnalare piste.
Cominciamo registrando la constatazione che in entrambi gli scritti, lettere al re e Mistica Città di Dio, si riscontra la presenza di espressioni identiche, che si ripetono a profusione.
Così, per esempio, in entrambe le opere si ripete moltissime volte, riferendosi a Dio, il qualificativo «l'Altissimo» e «l'Onnipotente»; e in minor numero, però ugualmente con una certa frequenza, l'espressione «l'essere immutabile di Dio» e qualche altra simile. La spiritualità della Madre di Agreda ha qualcosa di sublime: lei ha gustato e sentito come pochi l'ineffabilità dell'essere di Dio, la grandezza dei suoi attributi e, tanto nelle sue lettere al re come nella Mistica Città di Dio o nelle sue risposte all'esame inquisitorio, ne ha lasciato tracce toccanti. Suor Maria è un anima che ha un sentimento molto vivo della trascendenza ineffabile di Dio.
Riferendosi alla condizione delle cose create, che sono per natura finite e limitate, la Venerabile usa le espressioni «coartato», «limitato». Queste espressioni appaiono con frequenza nei due scritti.
La Venerabile ama anche usare la parola «repubblica», per designare l'insieme delle facoltà, dei sentimenti, ecc., che l'uomo possiede.
Parlando degli anni che trascorsero dalla creazione fino all'incarnazione, tanto nelle lettere al re come nella Mistica Città di Dio, appare lo stesso computo di 5199 anni.
Una delle idee che più costantemente affiorano, nell'ampia corrispondenza epistolare che suor Maria mantenne con il re Filippo IV è che le monarchie cattoliche devono stare al servizio della Chiesa, difenderla, ecc. Tra queste monarchie lei vedeva che la Spagna era la principale. E senza dubbio questa fu la causa per cui con tanto impegno lavorò nella formazione spirituale di Filippo IV, nonostante conoscesse bene i suoi difetti e sapesse lo scarso frutto che ottenevano i suoi sforzi. Orbene, nella Mistica Città di Dio, possiamo comprovare la presenza delle stesse idee.
«Visione astratta della Divinità» è terminologia o tecnicismo caratteristico della Madre Agreda. Non ricordiamo di aver visto questa espressione nelle lettere al re. È’ noto che in esse suor Maria si propone di partecipare al suo destinatario quel che la luce divina le mostra, però ridotto all'ordine comune: «Nel modo che la distanza lo permette, rendo partecipe V. M. degli insegnamenti che la divina luce mi concede, disponendoli secondo l'ordine comune e occultando il mistero del Re celeste, perché V. M. riceva da esso quel che è da gustare e gli altri non lo conoscano».
Lo stesso dice nella Mistica Città di Dio (libro I, capitolo Il), quando spiega i modi delle comunicazioni divine e i diversi stati in cui la sua anima si trova rispetto ad essi. A volte - dice - Dio le dà licenza e ordine «di ammonire qualcuno; tuttavia vuole che ciò sia fatto parlando al cuore con ragioni piane, chiare, comuni e caritative in Dio».
Nell'esame inquisitorio (risposta alla domanda 66) troviamo anche l'espressione «specie astrattive». La detta domanda 66 fu di questo tenore: «Se in qualche occasione ha visto Dio chiaramente e distintamente e in quali tempi e occasioni».
La risposta della Venerabile a questa domanda è ampia e bellissima. Nega di aver mai avuto visioni intuitive, però crede di poter affermare di aver avuto un'altra visione molto inferiore «per specie astrattive». Senza dubbio si riferisce all'esperienza mistica essenziale o contemplazione infusa.
Nella Mistica Città di Dio la Venerabile usa l'espressione «visione astrattiva» ripetute volte, attribuendola alla Vergine. Dove più estesamente e di proposito si riferisce a questo genere di visione della Divinità che ebbe la Vergine è nella parte I, libro Il, numero 631ss.
La devozione agli angeli è un'altra caratteristica rilevante e notevole della spiritualità della Madre Agreda. Ella ha vissuto o creduto di vivere in relazioni intime con questi spiriti celesti. Per la corrispondenza mantenuta con il re vediamo ugualmente che a lui raccomanda più volte questa devozione. Anche nell'esame inquisitorio le fu rivolta una domanda su questo punto; lei confessò candidamente la devozione che sempre ebbe per gli angeli e i benefici che da essi aveva ricevuto; riconobbe anche senza esitazioni che a volte avvertiva intellettualmente la loro presenza. In quanto alla Mistica Città di Dio, è per di più conosciuto il ruolo tanto rilevante che in essa svolgono gli angeli in tantissimi episodi della vita della Vergine, per cui sembra superfluo e noioso fare citazioni.
Lo stesso, parallelamente, si può dire del posto che occupa il demonio, il suo intervento nel mondo, ecc. Suor Maria confessa candidamente di aver notizia e conoscenza di esso. La sua lettera a papa Alessandro VII e talvolta la testimonianza più eloquente su questo punto. Le relazioni con il mondo soprannaturale sono in certo modo familiari. Sommamente interessanti a questo riguardo sono le rivelazioni che ricevette o credette di ricevere di due egregi defunti, cioè, la regina Isabella di Borbone e il principe Baldassarre Carlos. Nella Mistica Città di Dio l'intervento del mondo diabolico è altresì molto frequente e del tutto conosciuto, perché siano necessarie citazioni.
Uno dei passi delle lettere al re che presenta un suo più evidente parallelismo con la Mistica Città di Dio è quello in cui descrive le doti di cui godrà il beato, tanto nella sua anima quanto nel suo corpo. Non solo le parole, ma persino alcune intere espressioni sono identiche.
In una lettera scritta al re in data 19 marzo 1648 (vol. Il, p. 289) la Venerabile confessa che, dopo i misteri che appartengono all'essere di Dio, a Cristo e a sua Madre, quel che le ha rapito l'anima e avvinto il cuore è la grandezza e meraviglia di un'anima in grazia, e descrive tale bellezza con termini splendidi. Nella lettera del 10 maggio 1649
(voi. Il, p. 370) dice che, descrivendo la Storia della Regina del Cielo, ossia la Mistica Città di Dio, ha ricavato un grande concetto e stima dello stato di grazia. Si dovrebbero citare molti passi della Mistica Città di Dio che si riferiscono a questo tema.
Sulla possibilità di raggiungere la perfezione con l'aiuto della grazia, scrive al re in una lettera del 25 ottobre 1647 (vol. Il, p. 254). Nella Mistica Città di Dio l'idea si trova in molti passi
Il ricorso costante alla sacra Scrittura è un'altra caratteristica degli scritti della Venerabile. Nella lettera al re del 5 luglio 1652 (vol. Il, p. 167) chiede scusa per questo, però adduce che le parole della Scrittura possiedono un'efficacia divina e per questo ricorre ad esse; in quella del 7 novembre 1653 (vol. Il, p. 259) torna ad esprimere la stessa idea. Per quanto si riferisce alla Mistica Città di Dio, possiamo dire che essa è tutta come un manuale di citazioni e allusioni al testo sacro, che evidenziano nell'Autrice una familiarità e un grado di conoscenza veramente notevole dei libri santi.
E per il momento basta. Comprendiamo che questo lavoro di confronto della Mistica Città di Dio con altri scritti della Venerabile potrebbe essere portato molto avanti, e sicuramente con risultati positivi. Un semplice sguardo a due dei suoi opuscoli, la Scala per salire alla perfezione e le Norme della sposa, dà l'impressione di identità di stile, di concezione, di tratto unico e di sentimento. Però non possiamo dilungarci oltre. I dati che abbiamo riferito si riducono il più delle volte a dettagli lessicali e affinità di idee. Questi indizi, a prima vista insignificanti e irrilevanti, di solito sono i più indicativi, come sanno bene quelli che si occupano di critica storica.
Crediamo, insomma, che uno stesso modo di parlare e di sentire nell'anima si percepisca attraverso tutti questi scritti, e che questo manifesti abbastanza chiaramente la stessa Autrice, con la sua individualità e personalità inconfondibile.

Suor Maria di Gesù Abbadessa del Monastero dell’Immacolata di Agreda dell’Ordine dell’Immacolata Concezione

Il mio angelo custode mi ha salvato la vita



Il mio angelo custode mi ha salvato la vita a 13 anni. Sono stato catturato in una risacca a Virginia Beach e ho perso la camera d'aria. Sono stato tirato lontano dalla riva e l'unico colpo di nuoto che ho saputo era la pagaia del cane. Avevo paura di morire da solo. Non andavamo alla Santa Messa da molto tempo. Mio padre è stato schierato all'estero e la mamma non ha guidato. Ma ho fatto un patto con Dio che se mi avesse salvato, avrei trovato il modo di andare a messa per il resto della mia vita. Non appena quella preghiera salì, fui circondato dagli Angeli. Non li ho visti, ma le loro voci acute risuonavano come bambini che parlavano direttamente alla mia mente e bypassavano le mie orecchie. Hanno pronunciato parole rassicuranti e incoraggianti. Non avevo più paura quando rimasero con me. Un elicottero si librò brevemente su di me e poi volò via. Non so perché non abbiano tentato un salvataggio. Ero così lontano dalla spiaggia che le persone sembravano insetti! Nel frattempo, mio ​​nonno e mio fratello di 8 anni mi stavano cercando mentre era ora di pranzo. Mio fratello ha notato l'elicottero e la mia testa nell'acqua appena sotto. Disse: "Guarda, papà! C'è Joan. Potrei avere il suo hot dog?" Papà ha mandato un giovane a prendermi. Mentre si avvicinava, lo sentii attraverso le mie orecchie gridare lo stesso incoraggiamento che gli Angeli avevano usato. Gli angeli poi svanirono. Più tardi sono stato in grado di organizzare gite a messa per i miei fratelli e me stesso con un vicino. Adesso vado anche alla Messa quotidiana.

Joan O.